Calano i consumi, chiudono i negozi, aumenta la disoccupazione: perché non essere ottimisti?

Come dicevamo già nell’articolo “La crisi del capitale rallenta?”, tra molti economisti e organismi borghesi è ormai diffusa l’opinione che la fase di crisi acuta dell’economia globale stia finendo e che ci siano le condizioni per aprire le porte - in tempi più o meno lunghi (su questo i pareri sono alquanto discordanti, dipende dall’ottimismo...) - ad una nuova ripresa economica. Fatto sta che leggendo con un minimo di attenzione i dati diffusi dagli stessi organi della borghesia poco si comprendono le ragioni di questo ottimismo; soprattutto per chi - come noi - guarda questi dati dal punto di vista del proletariato.

Prendiamo in considerazione, per esempio, alcuni significativi numeri diffusi a fine settembre, relativi allo stato dell’economia italiana. Partiamo dai dati Istat circa l’andamento dei consumi. L’istituto di statistica italiano rileva che i consumi a luglio arretrano per la sesta volta consecutiva dall’inizio dell’anno e l’arretramento riguarda tutti i settori. Le vendite al dettaglio sono diminuite in luglio 2009 del 2,6% rispetto a luglio 2008. In particolare sono diminuite le vendite di prodotti farmaceutici (- 4,4%), calzature e articoli in cuoio (- 4%). Commentando questi dati, il presidente della Confesercenti Venturi ha affermato che per fine 2009 potrebbero essere circa 70mila gli esercizi a rischio chiusura. Nel primo semestre, ci informa Unioncamere, sono stati 36mila i punti vendita al dettaglio che hanno cessato l’attività. A essere in maggiore affanno sono i negozi più piccoli (vendite calate del 3,7 %) ma anche la grande distribuzione ha visto diminuire il proprio volume d’affari. Volendo tirare una prima conclusione, possiamo certamente dire che questi numeri, soprattutto in riguardo ai piccoli commercianti, non fanno altro che confermare la tendenza alla proletarizzazione che sta subendo da diversi anni parte sempre più consistente del cosiddetto ceto medio.

I consumi calano, e non è nemmeno una novità, ma non potrebbe essere altrimenti visto il basso livello del potere d’acquisto e in generale lo stato della classe lavoratrice, sempre più alle prese con sottoccupazione e disoccupazioni. A darci conferma di questo è Antonio Mastrapascua, presidente dell’Inps. Le domande per ricevere l’indennità di disoccupazione sono aumentate di ben il 53,1% (!) rispetto all’anno scorso; teniamo ovviamente conto che molte tipologie di precari non possono nemmeno presentare domanda. Altri dati impressionanti riguardano la cassa integrazione. Quella ordinaria nell’industria è aumentata in un anno (dal primo settembre 2008 al 31 agosto del 2009) del 660% (ossia è aumentata di quasi sette volte!) e del 66,7% nell’edilizia. Nello stesso periodo la cassa integrazione straordinaria è aumentata complessivamente dell’86,7%. Numeri veramente spaventosi. Anche la stessa Confindustria ha ipotizzato il rischio di un’impennata della disoccupazione. La Marcegaglia auspica che per il prossimo anno il tasso di disoccupazione si posta arrestare al 9,5 % ma c’è chi prevede anche lo sforamento della soglia del 10%.

Guardando oltre la penisola le cose, per i proletari, certamente non migliorano. Nel proprio World Economic Outlook il Fondo Monetario Internazionale - oltre a confermare sostanzialmente le stime di inizio mese sul PIL - ha posto l’accento proprio sulla crescita della disoccupazione che continuerà ad aumentare almeno fino al 2010. I dati Eurostat non hanno fatto altro che confermare queste previsioni, dichiarando che nel 2009 verrà raggiunto il livello di disoccupazione più alto negli ultimi dieci anni. Nell’area euro, ad agosto, il tasso di disoccupazione è del 9.6% (ad agosto 2008 era dello 7,6%); nei 27 paesi della UE è invece del 9,1%. Estremamente significative, per non dire impressionanti, sono state le dichiarazioni dei Stauss-Kahn. Il direttore del FMI ha affermato che i costi sociali della recessione potrebbero rischiare di essere veramente alti, la disoccupazione continuerà ad aumentare anche il prossimo anno con minacce sulla “stabilità sociale: i costi umani e sociali prima di migliorare potrebbero peggiorare”. Particolare attenzione è stata posta sui paesi più poveri dove, secondo Strass-Kahn, ci potrebbe essere il rischio che l’instabilità sociale possa sfociare in una guerra.

Aldilà se si potranno ripristinare o meno i livelli economici - comunque già disastrosi - antecedenti a questa fase di crisi acuta, guardando questi dati, e leggendo certe dichiarazioni, si fa veramente fatica ad immaginare, anche a lungo temine, una reale fase di crescita economica con un parziale miglioramento pure per le condizioni del proletariato (fermorestando in ogni caso la propria condizione da sfruttati). L’andamento di consumi e disoccupazione infatti è estremamente significativo circa lo stato, veramente pessimo, nel quale versa l’economia reale (ossia produttiva). Aldilà dei tempi, ci potrà essere una reale ripresa economica, così come auspicano molti borghesi?

Per tentare di rispondere a questa domanda dovremmo innanzitutto considerando le ragioni alla base della crisi. Il meccanismo che ha innescato questa ultima fase di crisi - di chiara recessione - apertasi con scoppio della bolla speculativa alimentata dai mutui subprime, non è certamente nuovo. Cosa simile è avvenuta nel 2000-2001, questa volta la bolla finanziaria era stata alimentata dalla speculazione sui titoli della new-economy, gonfiati ben oltre quelli che erano i reali fondamentali di questo settore economico. Ovviamente, allora come oggi, a guadagnarci sono stati i grossi capitali che animano queste attività speculative. Entrambi i casi sono stati ricondotti ad una crisi semplicemente finanziaria, che a sua volta si è trascinata dietro i diversi settori legati all’economia reale. Tutto sarebbe riconducibile, secondo le opinioni borghesi, all’avidità del singolo padrone o al manager approfittatore e ad un mercato finanziario poco e male regolato. Se così fosse, dovremmo almeno concludere che di avidi e approfittatori ne è pieno il mondo, vista l’entità della crisi, e certamente non sono proletari.

La realtà delle cose, come sempre, è esattamente opposta a quella descritta da economisti, padroni e politicanti. Come abbiamo più volte detto la crisi è partita proprio dell’economia reale e le cause sono da ricercare nelle inevitabili contraddizioni alla base del sistema economico capitalistico. Le crescenti difficoltà di remunerazione incontrate dai capitali investiti nell’economia reale hanno spinto sempre di più i grossi capitali verso attività a carattere speculative. Sono i governi borghesi, USA in testa, che hanno guidato il processo di deregolamentazione del mercato finanziario aprendo le porte a prodotti altamente speculativi e alla creazione di una enorme montagna di capitale fittizio (capitale che non trova nessuna origine e riscontro nell’economia reale, basato sulla scommessa, sulla capitalizzazione anticipata di ipotetici redditi futuri). Il Sole24ore del 24 settembre riportava dei dati veramente impressionanti circa le dimensioni di questa vera e propria montagna di carta. Ad oggi, in giro per il mondo c’è una quantità di derivati pari a quasi 10 volte il PIL mondiale (ammontano al 964% del PIL mondiale), nei bilanci delle banche americane ci sono 202 miliardi di dollari di derivati, 4 volte il PIL mondiale. Dalle pagine del giornale della Confindustria si legge che il 78% dei derivati è addirittura fuori dal controllo delle banche centrali. Altro dato impressionante riguarda il debito cartolarizzato, ammonta al 138% del PIL mondiale, di cui l’11% è fuori il controllo delle banche centrali.

Insomma, praticamente, per assorbire la quantità enorme di capitale fittizio l’economia reale dovrebbe crescere a ritmi impressionanti, altrimenti, dopo la new-economy e i subprime lo scoppio di ulteriori bolle finanziarie, anche di entità maggiore, è sempre dietro l’angolo. Gli stessi provvedimenti anticrisi, immissione di liquidità e sostegno dello stato, se non accompagnati immediatamente da una ripresa produttiva non faranno altro che rappresentare da un lato essi stessi dei meccanismi di creazione di capitale fittizio e dall’altro un aumento del debito pubblico. Ma il nocciolo della questione è proprio questo, una reale ripresa dovrebbe partire dall’economia reale, ma la crisi ha origine proprio dall’economia reale. È un po’ come il cane che si morde la coda, oltre a tentare di sbranare il proletariato.

NZ

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.