Disastro ambientale o comunismo, non c’è una terza via

Il fiasco di Copenhagen

La conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Copenaghen a metà dicembre, è stata annunciata come una delle più importanti riunioni dei leader mondiali, in assoluto. La sua presidentessa, Connie Hedegaard, ha dichiarato che:

“Se tutto il mondo verrà a Copenhagen e se ne andrà senza aver raggiunto il necessario accordo politico, penso che si tratterà di un fallimento che non riguarda solo il clima. In quel caso sarebbe l’intero sistema democratico globale a non essere in grado di fornire risposta ad una delle sfide chiave del nostro secolo. (...) Non è un opzione.” (1)

Da allora, il presidente degli Stati Uniti Obama ha annunciato che gli Stati Uniti non intendono firmare nessun accordo che venga prodotto a Copenaghen. Senza gli Stati Uniti non si raggiungerà nessun accordo e, nella migliore delle ipotesi, la riunione servirà solo per preparare per un altro incontro nel 2010. Sarà un fallimento politico che Connie Hedegaard ha definito come il fallimento dell’ “intero sistema democratico globale” , come lo chiama lei.

La riunione di Copenhagen avrebbe dovuto produrre un nuovo trattato in sostituzione del protocollo di Kyoto, che portasse realmente ad una riduzione dei gas a effetto serra (GHG). Il protocollo di Kyoto, che è entrato in vigore nel 2005 e che è stato adottato da 187 Stati, ha completamente mancato l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra. Al contrario, le emissioni di gas serra stanno crescendo più rapidamente della previsione di peggiore scenario presentata dallo Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici. Perché gli Stati firmatari non hanno rispettato le riduzioni proposte da loro stessi? L’opinione comunemente accettata è che il trattato non abbia funzionato a causa della mancata ratifica da parte degli Stati Uniti. Tuttavia il presidente Obama - secondo la storia che ci veniva raccontata - era diverso da Bush. Si era impegnato a sostenere un trattato successore di Kyoto e ridurre le emissioni degli Stati Uniti dell’80% entro il 2050. Eppure, anche se le persone al governo degli Stati Uniti sono cambiate, le difficoltà nel firmare un nuovo trattato sono rimaste le stesse. Naturalmente, non sono solo gli Stati Uniti a bloccare la stesura del trattato, ma anche le posizioni assunte dai paesi di recente industrializzazione. Cina e India, per esempio, hanno unito le forze per opporsi a qualsiasi tetto alle loro emissioni e chiedere invece ulteriori riduzioni per le nazioni sviluppate e il finanziamento di miglioramenti tecnologici per ridurre le emissioni in tutte le nazioni “in via di sviluppo”.

Gli Stati di recente industrializzazione sostengono che le cifre che dovrebbero essere prese in considerazione sono le emissioni di CO2 pro capite, piuttosto che quelle totali. Gli Stati Uniti, per esempio, producono 20 tonnellate per abitante, mentre la Cina ne produce solo 6 (vedi tabella 1).

In alternativa, sostengono, bisognerebbe considerare i dati che rappresentano il totale delle emissioni storiche, che sono ancora in gran parte presenti in atmosfera. Secondo i dati pubblicati sul New Scientist, a partire dalla rivoluzione industriale sono state prodotte dall’uomo 500 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. La deforestazione è responsabile per 200 miliardi di tonnellate; dei restanti 300 miliardi, Stati Uniti ed Europa hanno prodotto rispettivamente 91,2 e 81.7 miliardi.

I contributi rispettivi di Cina e India ammontano a soli 27.8 e 8,3 miliardi. Vi sono quindi dei seri motivi di disaccordo su tale questione. Tuttavia, nonostante tutte le argomentazioni addotte, il vero motivo per cui l’amministrazione Bush non ha ratificato il Protocollo di Kyoto è che il trattato avrebbe limitato la redditività di ampie fasce del capitalismo americano, tra cui quella significativa delle compagnie petrolifere. Analogamente, la vera ragione per cui la Cina e l’India respingono vincoli alle loro emissioni è che questi vicoli limiterebbero la loro crescita e la redditività di una gran parte delle loro economie. Il fatto che i leader mondiali abbiano tali difficoltà nel concordare un nuovo trattato dimostra qualcosa di più fondamentale, dimostra il fallimento del cosiddetto “sistema democratico”, come lo definisce Connie Hedegaard. Dimostra l’incapacità del sistema capitalistico mondiale, nel suo complesso, a far fronte a una crisi come questa, quando la soluzione potrebbe incidere sui suoi profitti. Anche quando posti di fronte alla catastrofe ambientale, la questione chiave per i capitalisti rimane il profitto.

Solo quando sarà assolutamente chiaro che la redditività del capitalismo è minacciata da emissioni di gas serra, ci sarà da concordare un’azione efficace. Ovviamente gran parte della classe capitalista è conscia che questo punto è già stato raggiunto, ed è questo, in primo luogo, il motivo per cui vengono organizzate conferenze come quella di Copenhagen e perché la questione è diventata uno degli argomenti all’ordine del giorno della politica borghese.

I gas a effetto serra

La base scientifica per la proposta di un nuovo trattato è stata elaborata dallo IPCC. Questo organismo è stato istituito nel 1989 dalla World Meteorological Association (WMA) e dallo United Nations Environmental Programme (UNEP) per cercare di dare ai governi una visione chiara di quello che stava succedendo al clima del mondo. Finora ha prodotto 4 relazioni di valutazione. La seconda ha fornito le basi scientifiche del Protocollo di Kyoto e la quarta fornisce il background scientifico della attuale conferenza di Copenagen (2). L’IPCC ritiene che i gas a effetto serra - in particolare vapore acqueo (3), anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O) e vari gas minori - interrompano e riflettano la propagazione di onde lunghe, cioè nello spettro dell’infrarosso, provenienti dalla superficie della terra. Le componenti principali dell’aria, azoto e ossigeno, non lo fanno. Il risultato è che le radiazioni nell’infrarosso vengono riflesse indietro, interrompendo il meccanismo che la Terra usa per liberarsi di parte dell’energia ricevuta dal sole.

2009-11-24-greenhouse-gas.jpg

L’energia rimane quindi intrappolata tra la crosta terrestre e l’atmosfera. Il risultato netto è un aumento della temperatura della Terra. Il cambiamento climatico è quindi di origine antropica, cioè causato dalle attività umane che producono gas a effetto serra (GHG).

La preoccupazione principale oggi è che, una volta che verrà raggiunto un certo aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, vale a dire 450 parti per milione, e una volta che si sarà prodotto un certo aumento della temperatura, vale a dire 2°C al di sopra dei livelli di temperatura pre-industriali del 18o secolo, il processo di riscaldamento sarà in grado di auto-sostenersi.

Una volta che questo accadrà, non ci sarà nulla che possiamo fare al riguardo. Questo è ciò che viene chiamato il “punto di non ritorno” (“tipping point”). Questo è il punto di vista generalmente accettato dalla maggior parte degli scienziati borghese.

Ci sono, naturalmente, anche dei dissidenti, o “negazionisti”, come sono generalmente conosciuti.

È stato dimostrato che molti “negazionisti” sono finanziati da varie sezioni della borghesia, come ad esempio le compagnie petrolifere, i cui profitti sono minacciati da qualsiasi tentativo di limitare le emissioni di gas a effetto serra, e le loro conclusioni scientifiche sono state scartate per questo motivo. Anche se questo da solo non è un motivo valido per respingere le argomentazioni dei “negazionisti”, al momento paiono essere un gruppo marginale, che non è più preso sul serio dai principali settori della scienza borghese.

I cambiamenti climatici di origine antropica, dovuti al forte aumento delle emissioni di gas a effetto serra, sono ormai accettati come spiegazione del riscaldamento globale.

Misurazioni empiriche mostrano un massiccio incremento delle quantità di gas serra nell’atmosfera terrestre e un aumento inarrestabile della temperatura. Lo scioglimento dei ghiacci polari e dei ghiacciai, il riscaldamento dei mari e l’aumento del livello del mare, che derivano da questo riscaldamento, sono quotidianamente riportati dalla stampa borghese. Se le teorie scientifiche dello IPCC sono corrette, nella situazione attuale ci troviamo dunque sulla strada della catastrofe ecologica.

Degrado ecologico

Negli ultimi 50 anni l’economia mondiale è cresciuta di un fattore 5. Questa massiccia espansione della produzione ha prodotto un degrado degli ecosistemi del pianeta su una scala a cui non si è mai assistito nella vita dell’umanità. L’impronta ecologica dell’umanità supera ormai del 30% la capacità del pianeta (4). Il cambiamento climatico, che è legato allo sconvolgimento del ciclo del carbonio, è solo una delle devastazioni ecologiche in atto. Il 60% degli ecosistemi del mondo è ora degradato. Ad esempio, il 20% delle barriere coralline del mondo e il 35% delle loro paludi di mangrovie sono state distrutte.

Il Millennium Ecosystem Assessment ha concluso che dei 24 processi naturali da cui la nostra sopravvivenza dipende, 15 sono in declino o stanno diventando insostenibili. Vari processi chiave sono sotto minaccia, tra cui la fornitura di acqua attraverso il ciclo dell’acqua, la fornitura di cibo e di legname, la regolazione del clima, tutti i diversi tipi di impollinazione, fino a comprendere le colture, la formazione del suolo, la fotosintesi e il riciclo dei nutrienti (5).

Durante i 50 anni dal 1960 ad oggi, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre è aumentata da 315 parti per milione (ppm) a 387 ppm, con un incremento del 23%. Il costante aumento delle emissioni effettive di CO2 è mostrato nel grafico qui sotto. Come si può vedere, le emissioni annuali effettive, determinata da due distinti organismi scientifici, sono oggi pari a circa 7,8 miliardi di tonnellate, ossia pari al 25% in più di quanto non fossero nel 1990 (i più recenti dati del Global Carbon Project, riportati su corriere.it , sono ancora più preoccupanti e segnalano un aumento del +41% dal 1990 ad oggi!). Si può notare anche che esse stanno aumentando più rapidamente delle più pessimistiche proiezioni fornite dallo IPCC, che sono indicate sullo stesso grafico.

Quando si ricorda che il trattato di Kyoto avrebbe dovuto ridurre le emissioni del 5% rispetto al 1990, si può capire come sia stato un fallimento completo! Con i tassi attuali di crescita globale e l’aumento della popolazione, secondo le previsioni delle Nazioni Unite la domanda di energia aumenterà ogni anno delll’1,5% e, entro il 2050, le emissioni di gas a effetto serra supereranno dell’80% rispetto ai valori attuali. Ciò produrrà un aumento della temperatura di 6°C (6) e porterà il pianeta ben oltre il “punto di non ritorno”. Questo è ciò che sottende le soluzioni sempre più disperate che l’ala sinistra del capitalismo si sta apprestando a presentare.

2009-11-24-co2-emissions.jpg

CDIAC = Carbon Dioxide Information Analysis Centre
VIA = Energy Information Administration, il governo degli Stati Uniti
A1F1 - B2 Ipotesi = dell’IPCC documento di valutazione 4. A1F1 scenario peggiore è che l’energia del mondo ha continuato ad essere basato sui combustibili fossili. Le emissioni effettive sono peggio nella peggiore delle ipotesi
GtCy-1 = Giga tonnellate di CO2 l’anno

“Soluzioni” verdi?

Il fallimento del capitalismo nell’affrontare questi problemi sta, in un certo senso, spingendo la gente nel movimento ambientalista verso la conclusione che il capitalismo non può risolvere questi problemi, dato che i problemi si trovano proprio nel sistema di produzione, vale a dire che i problemi sono sistemici. Sebbene siano spinti da ciò che vedono davanti ai loro occhi verso una tale conclusione, non riescono però mai a raggiungerla. Anche coloro che si auto-definiscono anti-capitalisti rimangono fondamentalmente legati al sistema capitalista. Nonostante tutte le prove in senso contrario, continuano a pensare che il sistema possa essere spinto a prendere drammatiche misure per ridurre le emissioni.

Alcune delle iniziative proposte dal movimento ambientalista sono:

  • Separare l’economia dal carbonio
  • Applicare a tutti quote individuali di carbonio
  • Spostarsi verso una economia a crescita zero o addirittura a crescita negativa

Alcuni commentatori propongono anche che gli Stati prendano la via della guerra, in modo da sospendere in un certo senso le leggi che governano il sistema capitalista, come l’unico modo per raggiungere questi fini nel tempo rimasto! Queste proposte, che tradiscono un senso di disperazione, meritano di essere esaminate brevemente, prima di rivolgere l’attenzione ai reali problemi che inficiano qualsiasi soluzione all’interno del capitalismo.

Disaccoppiamento dal carbonio

Alla base di questo sistema c’è l’idea di spezzare il legame tra carbonio ed economia, la stessa idea che l’amministrazione Bush sosteneva come alternativa al controllo delle emissioni tramite il Protocollo di Kyoto. Allo stato attuale, le nostre economie dipendono per l’energia principalmente da petrolio, carbone e gas. La crescita dell’economia globale richiede sempre più energia da queste fonti, e quindi più emissioni di gas a effetto serra. La crescita è quindi direttamente collegata ad un aumento delle emissioni di carbonio. I sostenitori di questa soluzione sostengono che, se si potesse produrre energia da una fonte non legata al carbonio, ad esempio la fusione nucleare, si potrebbe smettere di bruciare petrolio, carbone e gas e vivere felici e contenti.

Una svolta scientifica enorme come quella prevista, tuttavia, è altamente improbabile ed è per questo motivo che questo sistema viene spesso chiamato la “pallottola magica”. Tuttavia, commentano altri, tali innovazioni estreme non sono per forza necessarie.

Se si potesse semplicemente ridurre la quantità di carbonio che consumiamo per produrre ogni unità di prodotto, le emissioni potrebbero essere ridotte. In realtà l’economia globale sta continuando a ridurre il suo consumo di carbonio per unità di prodotto abbastanza drasticamente.

La Tabella 1, mostra che i paesi più avanzati sono molto più efficienti rispetto al carbonio per la produzione di prodotti, in confronto ai paesi in via di sviluppo. Il Giappone, per esempio, utilizza un quarto del carbonio per la produzione di ogni $ 1 milione di PIL, rispetto a quello usato dall’Unione Africana. Nel complesso, nei 30 anni dal 1980 ad oggi, la quantità di CO2 emessa per unità di prodotto si è ridotta del 25%. Tuttavia, le emissioni effettive di CO2 sono aumentate del 50% nello stesso periodo! Questo è dovuto al fatto che l’economia è cresciuta ad un tasso che ha più che compensato gli incrementi di efficienza raggiunti. La prospettiva di trovare una fonte alternativa di energia che possa eliminare la nostra dipendenza da carbonio nei prossimi decenni è chiaramente utopica. Un disaccoppiamento graduale dal carbonio è qualcosa che si sta tentando in tutto il mondo, ma il continuo bisogno di crescita del capitalismo mina la sua efficacia come una soluzione ai problemi che abbiamo di fronte.

“Cap and trade” per gli individui

Il “Cap and trade” (un sistema basato su permessi di inquinamento negoziabili) è un tentativo di utilizzare i meccanismi di mercato per ridurre le emissioni.

Lo scambio di emissioni ha origine nel Protocollo di Kyoto, anche se sistemi simili sono stati gestiti in passato. Il più noto è stato il regime di negoziazione delle emissioni di biossido di zolfo utilizzato negli Stati Uniti per ridurre le piogge acide. Un sistema di scambio delle emissioni nella UE, che è il più grande del mondo, ha operato dal 2005. Attualmente viene avanzata una proposta per estendere questo sistema agli individui. Questa proposta in realtà è presa sul serio dal governo britannico e dal Dipartimento per l’alimentazione ambiente e gli affari rurali (DEFRA), che ha pubblicato una “Guida introduttiva alla negoziazione individuale sul carbonio” nel 2006 (7). Nel novembre di quest’anno Lord Smith, capo dell’agenzia per l’ambiente del Regno Unito, ha presentato tale proposta come parte del nuovo “corso verde” (8). A tutti dovrebbero - ha detto - venir rilasciati dei crediti sulle emissioni di carbonio, che potrebbero essere oggetto di scambio e operare come una valuta alternativa. Tutti avrebbero una sorta di conto di credito bancario relativo al carbonio e qualsiasi prodotto che contribuisca alla impronta di una persona per le emissioni di carbonio - ad esempio: viaggi, elettricità, acqua, cibo ecc. - dovrebbe essere acquistato con questi crediti di carbonio. Prima di esaminare in maggior dettaglio la questione, è bene ricordare come abbiano funzionato la PAC e il regime di commercio per l’industria.

Nell’ambito del sistema UE, qualsiasi società che utilizzi o produca più di 10 megawatt (MW) di energia deve registrarsi, in modo che venga calcolato un tetto massimo per le sue emissioni e le vengano assegnati crediti di carbonio fino a questo tetto. Circa 10.000 industrie della UE sono ora registrate sotto questo regime, ma per il momento sembra che questo sistema tenga in conto solo la metà della CO2 emessa nella UE. Tetti e crediti relativi al carbonio sono rilasciati da parte dello Stato, che potrebbe far corrispondere, ad esempio, 1 tonnellata di CO2 ad 1 credito. I crediti di carbonio sono rilasciati gratuitamente sulla base dei record del passato, in modo che le aziende con le emissioni più inquinanti ricevono la maggior parte dei crediti. Se gli inquinatori superano i crediti assegnati, possono comprare i permessi da aziende che non hanno esaurito i loro, oppure possono compensare le proprie emissioni con sistemi di riduzione della CO2 atmosferica in tutto il mondo.

Vi è, naturalmente, un mercato per questi crediti, che rispecchia i moderni mercati capitalistici, con i soliti broker e il commercio di future, derivati, opzioni, ecc.

Uno dei problemi più lampanti di questo sistema è quello di essere controllato dallo Stato capitalista, che è il rappresentante dei grandi inquinatori. Infatti i crediti assegnati inizialmente sono stati evidentemente eccessivi, oltre ogni misura. La valutazione delle emissioni si basa sui dati forniti da chi inquina, che sono difficilmente verificabili. I principali inquinatori, che ottengono i maggiori crediti di carbonio, sono generalmente in grado di continuare a inquinare con l’acquisto di crediti assegnati ad altri.

Finora il regime non ha contribuito a una reale diminuzione delle emissioni e sembra pieno di cavilli. Tuttavia ci viene assicurato che, quando l’attuale periodo di scambio si concluderà, nel 2012, i limiti saranno resi più stringenti e il sistema diventerà più efficace.

Forse l’aspetto più scandaloso del sistema di scambio delle emissioni è il sistema delle compensazioni. Questo è stato descritto come l’equivalente moderno delle indulgenze papali. Si stima che le compensazioni potrebbero contare per la metà dei tagli delle emissioni per cui la UE si è impegnata fino al 2020! Un esempio del sistema delle compensazioni, che illustra come tale commercio sia pervaso di inganni e spesso crei un degrado ambientale maggiore di quello che si avrebbe continuando semplicemente ad inquinare, è quello della raffineria di Grangemouth, in Scozia. La raffineria brucia gas a effetto serra giorno e notte, ma invece di fermare questo inquinamento la BP, proprietaria di Grangemouth, compensa l’inquinamento con investimenti nella creazione di piantagioni di eucalipto in Brasile. Questi alberi, che sono indigeni in Australia e non in Sud America, hanno abbassato la falda acquifera locale e questo, insieme con i pesticidi e diserbanti usati per la loro coltivazione, ha distrutto l’agricoltura locale ei mezzi di sussistenza, rendendo numerosi villaggi, in cui la popolazione locale viveva da generazioni, inabitabili.

Questi abitanti sono stati costretti a trasferirsi fuori dalla zona, entrando così nel novero della popolazione senza terra del Brasile, cosa che a sua volta conduce all’abbattimento della foresta pluviale per la produzione di terreni seminativi, diminuendo così l’assorbimento di CO2. La diminuzione netta delle emissioni di CO2 è molto discutibile.

Ma la BP ha continuato a sostenere che, dal momento che gli alberi potranno in futuro essere utilizzati per produrre carbone, il risparmio di carbone fossile, che - essi sostengono - sarebbe stato utilizzato ipoteticamente nell’industria siderurgica brasiliana, deve essere aggiunto ai loro crediti come compensazione! Quindi un regime notevolmente dannoso per l’ambiente con un discutibile risparmio di carbonio in una parte del mondo viene utilizzato come giustificazione per le emissioni continue di gas serra in un’altra parte. Questo esempio non è atipico rispetto ai cavilli sfruttati nel sistema delle compensazioni. (9) Il commercio delle emissioni potrebbe diventare più efficace se gli Stati coinvolti volessero davvero ridurre le emissioni; tuttavia, la questione principale non è la meccanica del sistema, ma la redditività del capitale. Se un tale regime inizia a minacciare la redditività del capitale europeo o la sua capacità di competere con gli altri Stati, sarà aggirato in un modo o nell’altro.

I sistema di negoziazione individuale dei crediti sembra essere diverso. Sembra essere un mezzo per limitare il consumo.

La relazione DEFRA, già citata, dice che il nuovo sistema potrebbe costringere gli individui a consumare meno e i tetti potrebbero essere regolarmente rivisti e abbassati. Ma è evidente che questo sistema verrà utilizzato solo come un mezzo per ridurre il consumo della classe operaia, sotto l’alone di vivere “verde”. La sinistra per molti anni ha presentato la questione dei cambiamenti climatici come una responsabilità personale, come una questione di scelte di stili di vita, di santificare la produzione locale, di adottare il vegetarianismo e il riciclaggio e così via. Beni economici come vestiti, elettrodomestici, prodotti alimentari, che la globalizzazione del capitalismo ha messo a disposizione, dovrebbero quindi, secondo le argomentazioni, essere respinti per motivi morali, dato che hanno un contenuto nascosto di carbonio. È ironico il fatto che queste idee vengano attualmente riprese da parte dello Stato borghese, come un mezzo per ridurre il consumo della classe operaia. Un ulteriore ironia è che il mercato, che avrebbe dovuto regolamentare tutto sulla base del prezzo, debba essere ora minato da un regolamento governativo! Un tipo di moneta parallela dovrebbe essere introdotto. Ma in qualsiasi modo il sistema funzioni, è chiaro che una volta che il consumo verrà ridotto, i salari potranno essere ridotti e il capitalismo britannico potrà, a sua volta, aumentare la propria redditività.

Crescita zero / crescita negativa?

Molti nel movimento ambientalista comprendono che la crescita continua implica un aumento continuo delle emissioni di CO2 e, quindi, si fanno sostenitori di un’economia a crescita zero o una economia che decresce. Questa idea dimostra il completo fraintendimento di come funziona il capitalismo e, naturalmente, non è stata ripresa da alcuna organizzazione borghese. La recente riunione dei ministri delle finanze del G20, tenutasi in Scozia a novembre, ha chiesto nel suo comunicato di rendere la crescita “sostenibile” ed “equilibrata”.

È praticamente inimmaginabile che un qualsiasi membro della classe capitalista, sano di mente, possa parlare di “non crescita”. Le ragioni di ciò sono nascoste nel modo stesso in cui il capitalismo produce, ma, una volta compresi i meccanismi fondamentali della produzione capitalistica, diventano evidenti. Essi possono essere semplicemente sintetizzati come segue:

  • Il capitalismo è un sistema che sfrutta il lavoro non pagato della classe operaia. Parte di questo plus-lavoro può essere realizzato solo attraverso l’accumulazione di capitale, che significa espandere le forze di produzione. Questo è il vero motivo per cui il capitalismo ha bisogno di continua crescita.
  • Il capitalismo genera una tendenza alla caduta dei tassi di profitto sul lungo termine. Questa può essere combattuta aumentando la produttività e aumentando il volume della produzione.

La concorrenza continua a guidare questo processo, e ciò si traduce in un bisogno di crescita continua.

L’economia a “crescita zero” o “crescita negativa” è dunque semplicemente un’illusione completamente irrealizzabile sotto il capitalismo.

Il futuro è una scelta tra il comunismo o la rovina della civiltà

I motivi per cui il capitalismo non può risolvere la crisi ambientale si trovano nella natura stessa della produzione capitalistica, cioè nella sua necessità di una continua crescita.

Finché esisterà il capitalismo come sistema mondiale di produzione, non potrà mai essere in equilibrio con la natura e comporterà il degrado del pianeta.

I problemi dei cambiamenti climatici potranno essere risolti soltanto all’interno di un sistema di produzione più sviluppato, in particolare, il comunismo (10).

Infatti nel comunismo la produzione sarebbe orientata ai bisogni e non ai profitti. Quindi la spinta alla crescita continua potrebbe essere eliminata. Le richieste del genere umano potrebbero essere messe in equilibrio con la sostenibilità del pianeta. La concorrenza che spinge il capitalismo alla produzione di rifiuti in gran quantità e verso il degrado del pianeta potrebbe essere sostituita dalla cooperazione. Rispetto alla distruzione ambientale prodotta negli ultimi secoli, che sarà l’eredità del capitalismo, si potrà cominciare una operazione di recupero. Tale nuova società può essere raggiunta solo dalla lotta contro il sistema attuale. La catastrofe ecologica è solo uno dei tanti disastri che il capitalismo sta producendo; il collasso economico è un altro. Questi problemi genereranno tensioni sociali che apriranno la possibilità di una società migliore, creando nuovi modi di combattere per ottenerla. La crisi ambientale si tradurrà sicuramente in una crisi sociale di proporzioni enormi. Come abbiamo scritto in RP 45:

“Man mano che la crisi del riscaldamento globale si svilupperà, essa sarà seguita da una catena di conseguenze. La carenza d’acqua interesserà le superfici irrigate dai fiumi ... le superfici di terreno coltivabile si ridurranno e il livello del mare aumenterà. La classe capitalista lancerà una lotta disperata per le scarse risorse ... le attuali guerre in Medio Oriente e nel Darfur sono messaggeri di ciò ci aspetta. Allo stesso tempo ci sarà un aumento massiccio della lotta di classe dei più svantaggiati della Terra, a cui è negata la ricchezza che hanno prodotto e sono trasformati in carne da cannone. Mentre le divisioni reali della società, che sono le divisioni di classe, diventano sempre più evidenti, la storia non si ferma. Lo spettro di un nuovo modo di produzione sorgerà da queste lotte e guerre. Il nostro compito di rivoluzionari è quello di trasformare questo spettro in un programma che soddisfi le reali esigenze della classe operaia, che sono quelle di tutta l’umanità.”

La scelta che si pone al mondo, sia sul fronte ambientale che su quello sociale, è tra la rovina della civiltà o la costruzione di un mondo comunista.

CP

Traduzione da Revolutionary Perspectives - 52, leftcom.org

(1) Cfr. sito ufficiale COP15 en.cop15.dk

(2) Il 4o rapporto IPCC può essere letto su ipcc.ch report_wg1_report_the_physical_science_ basis.htm

(3) Il vapore acqueo è il gas ad effetto serra più importante. È quello che ha mantenuto calda l’atmosfera dai primi periodi geologici al presente. Tuttavia, poiché questo non è un gas di origine antropica e consiste generalmente in nubi che riflettono le radiazioni solari a livello dell’atmosfera terrestre, non è considerato così importante come gli altri gas.

(4) Citato nella rivista Water and Environment Management, Vol. WEM. 14, n. 8 Pg 26.

(5) Cfr. Millennium Ecosystem Assessment (ONU 2005).

(6) Dati IEA citati dal Guardian 11-11-2009.

(7) Cfr. relazione DEFRA cse.org.uk

(8) Cfr. Telegraph 9/11/09 o telegraph.co.uk

(9) The Dutch Electricity Generating Board ha utilizzato un sistema simile in Uganda per compensare la costruzione di una nuova centrale elettrica a carbone in Olanda. Ancora una volta la popolazione locale è stata privata dei mezzi di sussistenza e costretta a lasciare il territorio.

(10) Il comunismo non ha nulla a che fare con i sistemi esistenti o esistiti in Russia e in Cina. Questi sistemi non erano comunisti, ma una varietà di capitalismo che noi chiamiamo capitalismo di Stato.