Imparare dall'esperienza rivoluzionaria in Russia

Recensione: “La rivoluzione russa in ritirata - 1920-24 - I lavoratori sovietici e la nuova élite comunista” di Simon Pirani, Oxford and New York: Routledge, 2009, 289 pagine, brossura, £ 26 circa

«Ciò che conta è distinguere nella politica dei bolscevichi l'essenziale dall'inessenziale, il nocciolo dal fortuito. In quest'ultimo periodo, in cui tutto il mondo è alla vigilia di lotte mortali decisive, il problema più importante del socialismo è stato ed è la scottante questione del giorno: non questo o quel dettaglio di tattica, ma la capacità d'azione del proletariato, l'energia delle masse, in generale la volontà di potenza del socialismo. Da questo punto di vista i Lenin e i Trotsky coi loro amici sono stati i primi a dar l'esempio al proletariato mondiale, e sono tuttora gli unici, che con Hutten possano esclamare: io ho osato!
Questo è quanto costituisce l'essenziale e l'imperituro della politica bolscevica. In detto senso è loro imperituro merito storico di essere passati all'avanguardia del proletariato internazionale con la conquista del potere politico e l'impostazione pratica del problema della realizzazione del socialismo, e di aver potentemente contribuito alla resa dei conti tra capitale e lavoro in tutto il mondo. In Russia il problema ha solo potuto essere posto. Non vi poteva essere risolto. E in questo senso l'avvenire appartiene dovunque al bolscevismo.» (Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, Einaudi, pagg. 606-607)

Ora che il libro di Simon Pirani è uscito in edizione più economica, siamo riusciti finalmente a leggerlo. Ed è valsa la pena, di leggerlo. Dopo la caduta dell'URSS e l'apertura degli archivi di Stato, ci erano state promesse tante nuove rivelazioni sulle vili gesta dei dirigenti del Partito Comunista Russo (Bolscevico), come era chiamato nel 1918. In realtà queste cosiddette rivelazioni si sono dimostrate banali e incapaci di destare meraviglia, come (per citare solo un esempio) quella secondo cui Lenin avrebbe dato istruzioni di sparare ai disertori durante la guerra contro i bianchi, una cosa in realtà niente affatto segreta prima del 1990.

Per i rivoluzionari che cercano di capire come le speranze suscitate nel 1917 siano svanite così rapidamente, è stato ben più interessante e significativo il lavoro di quegli storici che hanno avviato la ricerca sul modo in cui la rivoluzione ha funzionato (o meno), dal basso. In questo siamo ora debitori ad un lungo elenco di persone, ma i pionieri principali sono Diane Koenker, Mary McAuley, Ronald Suny, William Rosenberg, Donald Raleigh e Steve Smith. Steve Smith è stato supervisore di Pirani durante il suo dottorato e il suo lavoro “Pietrogrado Rossa”, assieme al lavoro di Alexander Rabinowitch, “I bolscevichi al potere”, è stato per la CWO la principale fonte di ispirazione nella stesura dell'opuscolo “1917” (2). Pirani condivide gran parte delle posizioni principali della Sinistra Comunista. Ci troviamo d'accordo sul fatto che la Rivoluzione d'Ottobre del 1917 è stato un “evento di definizione”[un punto di svolta, caratterizzante un'intera epoca storica], a cui lui guarda da un punto di vista “socialista”. La grande e angosciante domanda a cui vuole rispondere è perché “in sei mesi dall'insurrezione dell'Ottobre, la rivoluzione ha cominciato la ritirata dagli obiettivi di liberazione sociale che aveva proclamato”. Per lui e per noi, il socialismo (o il comunismo, dato che per Marx i termini sono intercambiabili) si basa sulla definizione di Marx, secondo il quale è “un movimento per rifare la società mandando in soffitta (sic) il lavoro alienato, la proprietà privata e lo Stato”.

Siamo anche d'accordo con Pirani sul fatto che “l'inizio della primavera del 1921 è stato un punto di svolta per lo stato sovietico”, infatti abbiamo scritto proprio questo nel nostro articolo “1921: Kronstadt, inizio della controrivoluzione” (3).

All'analisi di Kronstadt Pirani dedica poco spazio, mentre si concentra maggiormente su Mosca e sulla ondata di scioperi nelle fabbriche che hanno preceduto Kronstadt. Quel che Pirani cerca di fare è fornire ulteriori prove sul modo preciso in cui la rivoluzione si ritirò dopo il 1921. Egli smonta subito l'idea di destra (di Pipes e Figes) e di alcuni storici anarchici secondo cui nel 1921 c'era la concreta prospettiva di un terza rivoluzione, all'inizio, ma riconosce che,

«al decimo congresso, tenutosi nella prima settimana di marzo, mentre veniva schiacciata la rivolta di Kronstadt, venne deciso di sostituire le requisizioni di grano con una tassa in natura; vennero inoltre vietate le fazioni nel partito e approvata l'ulteriore centralizzazione dell'apparato; questo, assieme alla repressione di Kronstadt e all'invasione della Georgia confermava la direzione autoritaria e centrata sull'apparato che lo Stato sovietico stava prendendo.» (p.72)

Vogliamo anche aggiungere che l'adozione da parte della Terza Internazionale (tre mesi dopo) del fronte unito con la social-democrazia significò sulla scena internazionale un'altra ritirata, seria almeno quanto quella a livello interno. Questo segnava in effetti l'abbandono della prospettiva della rivoluzione mondiale. Dato che la rivoluzione mondiale era la premessa su cui la Rivoluzione d'Ottobre si era basata, non si tratta di una mera questione teorica. La causa principale del fallimento della rivoluzione fu il suo isolamento. Nessuno dei principali esponenti del movimento rivoluzionario in Europa, da Lenin alla Luxemburg (come la nostra citazione sopra mostra), riteneva che fosse possibile la costruzione del socialismo nella sola Russia, per di più costretta in una condizione di isolamento. Pirani accenna appena a questo fatto (anche se ne è consapevole e lo accetta). Ciò a cui lui è interessato non è il “perché?” del fallimento della rivoluzione, ma il “come?”, e da ciò avvia la sua narrazione. E nel far questo, ci rende un servizio. Per i rivoluzionari l'esperienza russa, per tutte le sue unicità da non ripetere, ci offre una delle poche possibilità di studiare come il potere proletario dovrà funzionare (o meglio, come non dovrà funzionare).

La narrazione è avvincente. Pirani sostiene che il Partito Comunista Russo (Bolscevico) (PCR-B) - o i bolscevichi, come insiste a chiamarli, perché molti lavoratori usavano ancora quel nome - aveva davanti una scelta a questo punto, con la guerra civile ormai finita. Potevano rilanciare l'attività autonoma del proletariato oppure potevano integrare ulteriormente il partito e lo Stato.

Hanno scelto la seconda opzione. A partire dal decimo congresso del partito, egli mostra come il partito inasprì la sua azione contro i dissidenti interni, con Bucharin (lui stesso un dissidente nel 1918) che chiedeva un “partito unico con una sola psicologia e una sola ideologia”. L'ex sinistra comunista chiedeva inoltre “una maggiore centralizzazione e militarizzazione”, avendo come chiari obiettivi sia l'Opposizione Operaia che i Centralisti Democratici. Pirani poi guarda la ripresa economica legata alla NEP che ha portato il Partito Comunista Russo a rimodellare “il suo rapporto politico con la classe operaia” in modo che

«Si sviluppò un contratto sociale secondo cui i lavoratori avrebbero mantenuto la disciplina e avrebbero aumentato la produttività del lavoro, cedendo il reale potere decisionale al partito - che, in cambio, avrebbe garantito un consistente miglioramento del tenore di vita ... Le aspirazioni del 1917 alla democrazia collettiva e partecipativa furono abbandonate, e all'attività politica della classe operaia, ai soviet e ai sindacati furono assegnate funzioni limitate che riguardavano l'esecuzione delle decisioni, piuttosto che la loro elaborazione.» (p.90)

Poi, dato che i lavoratori, come segno di protesta, votavano sempre per i candidati esterni ai partiti nelle elezioni per i soviet (tutti gli altri partiti politici o erano stati vietati, oppure non godevano della fiducia da parte dei lavoratori, ma nonostante ciò il PCR non ottenne la maggioranza in nessuna grande fabbrica di Mosca nel 1921), il PCR cominciò a cambiare le regole.

Le elezioni si sarebbero quindi tenute solo ogni anno (contro la precedente durata trimestrale, e senza che nessuno parlasse del principio di revocabilità) e i candidati esterni al partito sarebbero potuti entrare nell'esecutivo solo dopo approvazione del PCR. Ma ciò non impedì la loro elezione nei comitati di fabbrica. La maggior parte di questi candidati esterni ai partiti erano pronti a lavorare con il PCR (molti erano loro stessi ex-bolscevichi) per migliorare l'economia e quindi accettavano sempre più la dittatura del partito. Tuttavia, il PCR-B dopo la guerra civile fece tutto il possibile per escludere questi comunisti esterni al partito, in quanto a quel tempo molti erano convinti che solo il partito rappresentasse realmente la via da seguire. Lenin era tra questi, sostenendo che la classe operaia in Russia era ormai costituita da “elementi di tutti i più diversi tipi”, guadagnandosi il rimprovero da parte del capo dell'Opposizione Operaia, Shlyapnikov, che gli rispose:

«non avremo mai una classe operaia diversa, o “migliore”, e dobbiamo essere soddisfatti di quella che abbiamo.»

In una riunione di lavoro aperta della cellula del PCR-B dell'ex Bromlei (ora Rosso Proletario) un compagno ex SR di sinistra, Beliakov, intuitivamente arrivò a dichiarare:

«Ogni giorno scivoliamo sempre più lontano da ciò che abbiamo conquistato nell'Ottobre. In Russia non c'è il comunismo. Non è nemmeno vero che i comunisti sono al potere: firmano i decreti, ma sono non-comunisti a scriverli. I decreti sono diretti contro i lavoratori.» (vedi p.165)

Questa fu una anticipazione curiosamente profetica di Lenin, che giunse grosso modo alla stessa conclusione durante l'undicesimo congresso del partito nel 1922:

«... Se consideriamo l'enorme macchina burocratica, quell'apparato gigantesco, dobbiamo chiederci: chi dirige chi? Dubito fortemente che si possa sinceramente dire che i comunisti stiano dirigendo quell'apparato. A dire il vero, non stanno dirigendo, ma vengono diretti.» (V.I. Lenin, Opere Scelte, vol. 33)

Pirani non riporta questa citazione nel suo lavoro, ed è un peccato in quanto essa dimostra che i problemi erano visti da tutti. Ha però ragione nel dire che, mentre che i comunisti inveivano contro il burocratismo riferendosi solo allo spreco, alla duplicazione e all'inefficienza, in realtà il problema era che il partito non rappresentava più l'avanguardia del proletariato, ma la spina dorsale dello Stato.

Qui vi è una lacuna nel discorso di Pirani. Nella sua introduzione al libro, ci dice che la ritirata iniziò “pochi mesi” dopo la Rivoluzione d'Ottobre, ma il suo resoconto inizia alla fine del 1920. Così, quando Pirani inizia il suo racconto, si avverte la sensazione che manchi qualcosa - gli errori precoci dei bolscevichi nella mancata separazione tra partito e Stato, così come l'esperienza negativa della guerra civile sulla politica proletaria e il fatto materiale che i bolscevichi ereditarono una paese alla fame, che avrebbe perso altre 8 milioni di vite tra 1918 e il 1921. Questi sono fattori materiali che Pirani riconosce, ma sono in gran parte esclusi dal suo discorso...

Al contrario, egli raffigura un lento ma costante declino dopo il 1921. I lavoratori continuavano ad eleggere non bolscevichi nei comitati di fabbrica, e a riguardo del periodo 1922-23 afferma che

«sarebbe difficile dire che avesse preso forma una cricca burocratica di potere.»

Ma il processo era inarrestabile. Nel 1923 i dirigenti delle fabbriche guadagnavano 40-50 volte più dei lavoratori, e i burocrati non molto meno. Gli oppositori interni furono espulsi dal PCR e arrestati; il fallimento dei vari gruppi della sinistra comunista, dai centristi democratici alla Opposizione Operaia, al più radicali Gruppo Operaio e Verità Operaia, nell'ottenere un consenso più ampio era soltanto un ulteriore indizio di come gli operai accettassero in gran parte un contratto sociale secondo cui il tenore di vita migliorasse, ma si rafforzasse al tempo stesso la partitocrazia. Mentre i salari reali continuavano ad aumentare,

« l'altra faccia della medaglia era l'erosione continua della partecipazione della classe lavoratrice nel prendere le decisioni. Mentre nel 1921 i lavoratori erano andati alle assemblee per le elezioni nei soviet in buona fede ed avevano eletto socialisti non membri del partito, nel 1923 se ne tennero semplicemente alla larga.»

E il colpo di grazia ci fu quando il partito alla fine scatenò la resa dei conti con i suoi ultimi dissidenti interni raccolti nell'Opposizione di Sinistra (una coalizione eterogenea dei seguaci di Trotsky e di comunisti di sinistra, come i centralisti democratici). Pirani saggiamente guida anche i lettori alle opere di Graeme Gill sulle origini sociali della dittatura di Stalin (vedi anche il nostro articolo “Stalin e lo stalinismo” in Internationalist Communist 22) e completa così il suo resoconto della degenerazione, passo dopo passo, della rivoluzione. In tal modo egli ci ha reso un grande servizio.

La nostra tendenza, fin dalla sua fondazione nel 1943, ha sempre sostenuto che il partito costituisce la direzione politica e la guida della rivoluzione proletaria, ma che non può farsi Stato né costruire esso stesso, da solo, il socialismo. Questo compito spetta alla classe operaia nel suo complesso, che lo realizza attraverso il controllo delle sue proprie istituzioni semi-statali, attraverso gli organismi che abbracciano la classe stessa, come i consigli operai. La ricerca di Pirani non solo conferma ampiamente questo assunto, ma dimostra anche che il proletariato ha la capacità di sviluppare i propri strumenti per la libertà. Pirani si pone la domanda “le cose sarebbero potute andare diversamente?” e saggiamente conclude che le condizioni materiali (compresa la sconfitta delle rivoluzioni dei lavoratori al di fuori della Russia) erano tali per cui il risultato sarebbe stato poco diverso in termini di sconfitta della rivoluzione. Tuttavia, egli suggerisce che se i comunisti nel 1921 avessero fatto una scelta diversa in termini di democrazia per la classe classe lavoratrice, avrebbero almeno lasciato una eredità migliore rispetto allo “Stato operaio” monolitico, che resta ancora oggi “una parola d'ordine che pesa come un macigno sul movimento operaio”. L'ultima citazione riportata da Pirani è l'esortazione del 1920 di Victor Serge:

«La logica spietata della storia fino ad ora sembra aver lasciato ben poco spazio per lo spirito libertario nelle rivoluzioni. Questo perché la libertà dell'uomo, che è il prodotto della cultura e dell'innalzamento del livello di coscienza, non può essere stabilita con la violenza; [eppure] proprio la rivoluzione è necessaria per conquistare - con la forza delle armi - la possibilità di una evoluzione ... dal vecchio mondo … verso un ordine spontaneo, verso la libera associazione di liberi lavoratori, verso l'anarchia [intesa come una società senza stato, perché senza classi antagoniste, ndr]. Quindi è tanto più importante preservare in tutte queste lotte lo spirito libertario.»

I rivoluzionari non possono che essere d'accordo e il lavoro di Pirani è un altro importante pezzo del puzzle che ci permette di capire il tipo di società che vogliamo, ed i pericoli che dobbiamo affrontare per ottenerla.

Articolo tratto da Revolutionary Perspectives 52, pubblicato in italiano in due parti su Battaglia Comunista di gennaio e febbraio 2010

Jock

(1) Ulrich von Hutten (1488-1523) è stato un umanista e poeta che, durante la Riforma, ha combattuto per l'abolizione dei principi del Sacro Romano Impero e la secolarizzazione dei beni della Chiesa.

(2) Disponibile a £ 3 dall'indirizzo del gruppo (spese di spedizione incluse).

(3) Cfr. Prometeo 5/2002 o leftcom.org

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.