Una sanità in funzione capitalistica

Obama riformista, contro o per il capitale? I passi indietro di una strombazzata riforma sanitaria confermano che le fazioni borghesi sono preoccupate unicamente della salute della economia Usa, dove il settore sanitario è diventato un grosso problema per il bilancio statale, con le lobby farmaceutiche che assieme ai maggiori ospedali, associazioni assicurative e mediche, dettano legge anche nei tre sistemi pubblici: Medicaid, 40 milioni di “indigenti” assistiti; Medicare, 38 milioni di anziani e invalidi; SCHIP, 7 milioni di bambini senza assicurazioni. Con circa il 17% del Pil, quello Usa è il più costoso sistema sanitario mondiale, rappresentando nella montante crisi economica una minaccia alla traballante stabilità finanziaria. Gli interventi chirurgici e le degenze ospedaliere hanno costi esorbitanti, tali da far franare tutto il mercato della salute. Lo Stato spende in media per ogni abitante il doppio o il triplo (come nei confronti dell’Italia) di altri paesi.

Le polizze sanitarie costano decine di migliaia di dollari all’anno per nucleo familiare, salari e posti di lavoro sono in calo, cresce il numero di “cittadini” disperati e costretti a cure da pronto soccorso, pagate dallo Stato in perdita totale visto poi che le coperture assicurative private sono anche rifiutate a chi gode salute precaria e patologie croniche. Dunque, l’unica possibilità “riformista” che si presenta al Governo è quella di rendere obbligatorie le assicurazione attraverso l’introduzione di un polo pubblico o con cooperative assicurative appoggiate finanziariamente dallo Stato e con premi contenuti, sì, ma pagati da tutti, anche dagli attuali esclusi da Medicaid. E sempre prospettando tagli da 2.000 miliardi di dollari entro 10 anni.

Da notare che la crisi economica ha aumentato di oltre 5 milioni (precari e disoccupati) i non assicurati: complessivamente circa 30 milioni di individui senza copertura alcuna. I costi, fuori controllo, del mitico Welfare State vanno ridimensionati (in “competizione” con gli altri paesi…), razionalizzati nella logica di una migliore gestione capitalistica di entrate-uscite e, se possibile, guardando anche a quella sospirata pace sociale sempre più vacillante. Inevitabilmente, una parte della borghesia spera che il tutto possa favorire e stimolare uno spostamento di investimenti e una parallela ripresa, seppure settoriale, della domanda. Immaginando, a lungo termine, effetti conseguenti a “misure virtuose” di stimolo fiscale. In realtà, inevitabilmente si manifesteranno gli effetti negativi derivanti da un bilancio statale in deficit di oltre 1.800 miliardi, pari al 10% del Pil. E già siamo ai congelamenti del finanziamento di piani nazionali: traffico aereo, sussidi alle aziende, istruzione, alimentazione, parchi nazionali, mentre si vendono armi (6,4 miliardi di dollari) a Taiwan suscitando le ire di Pechino. Così Obama si è meritato il premio Nobel per la pace, nonostante la concorrenza di Silvio...

DC