Proletari d’oltremare, non cadete nelle trappole della democrazia borghese e dell'integralismo religioso!

In questi ultimi mesi di grande effervescenza nello scenario politico dei paesi arabi, tirannie decennali sono state rovesciate - come quella di Ben Ali, che ha tenuto sotto il proprio giogo il popolo tunisino fino a pochi giorni fa - o stanno barcollando - come nel caso di Mubarak in Egitto.

Questi tiranni, con il beneplacito di buona parte delle borghesie occidentali e un certo consenso domestico, hanno di fatto violentato la popolazione per anni, e per questo motivo sono stati tirati giù da una massa che sembrerebbe unanimemente felice. Qualche intellettuale democratico racconta questi momenti rimandando alla caduta del muro di Berlino, e si augura che possa generarsi un effetto a catena che travolga tutte le tirannie dei paesi arabi e inaugurare una nuova era di prosperità e libertà democratica.

Non a torto per certi versi questa situazione è analoga, ma non certo per come appare dall'ottuso punto di vista borghese. Infatti sappiamo che la transizione alla cosiddetta democrazia per i proletari dell’ex Unione Sovietica non ha significato sotto alcun punto di vista un miglioramento delle condizioni lavorative e di vita. Lungi dal voler sembrare nostalgicamente filo-sovietici, vogliamo al contrario evidenziare la continuità strutturale che c’è stata in questi paesi, che dal capitalismo sono passati... al capitalismo. In Russia, come in molti dei paesi dell’ex blocco imperialista sovietico sono di fatto rimasti gli stessi della vecchia nomenclatura a controllare i mezzi di produzione e a gestire i servizi. Con la differenza che i proletari hanno subito un repentino smantellamento della previdenza sociale accompagnato dallo sciacallaggio generale da parte dei briganti capitalisti d’oltremuro (e non) delle risorse umane e naturali di quei paesi. Inoltre - sembra inutile dirlo - i proletari dell’ex blocco sovietico hanno vissuto ugualmente periodi di dura repressione e fortissime restrizioni quanto a libertà politiche e sindacali: giacché sempre di dittatura borghese si tratta.

Oggi che aleggia una analoga “svolta” nel mondo arabo, i proletari devono assolutamente diffidare di chi promette libertà e pane. Infatti, finché tutto non sarà nelle mani di chi lavora, non avremo certo la libertà che ci spetta! E finché ci saranno padroni (e non importa che lingua parlino!) che continueranno a privare i produttori dei prodotti del loro lavoro, ossia finché esisterà il controllo privato dei mezzi di produzione, ci sarà certamente solo fame. Ma soprattutto, se questo era vero ieri, oggi con la crisi ne abbiamo la certezza assoluta.

Per questo motivo noi internazionalisti invitiamo i proletari e le avanguardie operaie dei paesi arabi a sfruttare questa situazione di crisi, mettendo all’ordine del giorno il proprio obiettivo storico-strategico: tutto il potere al proletariato! Infatti - è bene dirlo - non si tratta di rivoluzione, sia in Tunisia che in Egitto, bensì solo di un passaggio di amministrazione nel quadro della salvaguardia degli interessi padronali e della difesa dei rapporti di produzione capitalistici.

Vanno accolti i tentativi di ricomposizione di classe come gli scioperi generali che abbiamo visto in Tunisia e in Egitto. Va detto però che tali scioperi devono necessariamente sposarsi con la parola d’ordine dell'autonomia proletaria, e mai essere lasciati alla strumentalizzazione da parte delle cosiddette sinistre borghesi, per tifare a favore di un falso cambiamento. I proletari di tutto il mondo non hanno nulla da perdere, fuorché le proprie catene: ne consegue che in questo contesto lo sciopero generale deve essere invocato e impostato in un'ottica rivoluzionaria. Occorre quindi che si creino dei comitati di lotta autorganizzati che mettano in primo piano il protagonismo proletario in senso anticapitalista. In questo senso, salutiamo gli ottimi progressi nelle lotte del proletariato algerino, che in più occasioni ha scavalcato la barriera sindacale abbracciando forme di lotta non convenzionali e dure, come lo sciopero selvaggio. Occorre che l'organizzazione della lotta del proletariato si coniughi con un reale tentativo di rompere con il frazionamento voluto ed ottenuto da parte dei padroni, sia su base etnico-religiosa che corporativa. Un altro esempio di lotta generalizzata e di forte caratterizzazione classista era ad esempio il relativamente recente movimento degli Aarch della Kabilia algerina (2001), movimento che è si è sciolto a causa dell’isolamento provocato dal martellante impatto della propaganda nazionalista dei media e della politica algerina. Non ci sorprende che sicuramente anche il movimento dei cosiddetti Fratelli Musulmani stia cercando di rompere i proletari egiziani su questioni etnico-religiose. Occorre che le avanguardie proletarie in questi paesi combattano queste tendenze con la prassi della lotta unitaria, di classe. Non c'è miglior antidoto ai veleni ideoligici inculati dalla borghesia che la lotta di classe.

I comitati di lotta si porranno problemi politici. La storia del movimento proletario nel mondo ci ha insegnato che questi vuoti politici se non vengono riempiti da un Partito Comunista, vengono inevitabilmente riempiti dai nemici di classe. Ne consegue che il delicato passaggio dai comitati di lotta ai consigli rivoluzionari deve necessariamente essere accompagnato e fecondato dalle avanguardie politiche rivoluzionarie.

Salutiamo i proletari che si sono resi protagonisti in questi momenti drammatici ma ricchi di entusiasmo e auguriamo loro un buon lavoro, ossia che possano saldare la loro lotta con il programma della rivoluzione internazionale.

Karim, 2011-02-07

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.