“It’s the economy, stupid”…

Si allarga la “turbolenza” sui mercati finanziari a seguito della crisi economica in cui si dibatte tutto il settore del capitale produttivo di plusvalore, quello industriale. Il pericolo sovrasta continenti e paesi; persino la Cina - come vedremo più avanti - non è affatto immune dalle “sofferenze economico-finanziarie”.

I mercati nazionali e internazionali del capitale finanziario sono fluttuanti (per non dire peggio), i governi impotenti a mediare sui tassi di cambio e di interesse oltre che di intervenire sulle Borse in tilt (l’italica Piazza Affari dall’inizio di agosto ha perso quasi il 20%). Praticamente tutto sembra esser fermo al crac di tre anni fa della Banca d’affari Lehman Brothers, che aveva chiuso i battenti con un debito di 613 miliardi di dollari, dopo che le principali agenzie di rating l’avevano classificata come una “banca di innata solidità”! D’altra parte, le stesse agenzie di rating avevano assegnato la tripla A persino agli strumenti finanziari pieni di spazzatura (mutui subprime)…

I poteri finanziari sono saldamente in mano a privati e a gruppi economici trasversali; sono più potenti degli stessi Stati i cui governi non possono far altro che tappare qualche buco, prelevando dollari ed euro dalle tasche, ormai vuote, dei proletari e cancellando ogni loro speranza di futuri giorni migliori, promessi loro ogni volta che vengono bastonati. Mentre la fase regressiva del capitalismo si va accentuando, l’intellighentia borghese ammonisce: “Nessuno può vivere al di sopra dei propri mezzi”! Quindi, i proletari si mettano in disparte, visto che anche gli indebitamenti privati, generosamente (?) concessi dagli istituti di credito nella speranza di far figliare direttamente dal denaro altro denaro, non ce l’anno fatta a sostituire i salari sempre più magri. Perciò, tutti buoni buoni a guardare la spesa pubblica (quella a loro destinata) che si abbassa mentre aumenta la pressione fiscale, diretta o indiretta, che si abbatte sempre su di loro. Altro che rilancio dell’economia…

Destabilizzazioni monetarie

Con la crisi dei debiti sovrani, il mercato internazionale reclama tassi più alti, mentre i singoli Stati vedono salire le cifre degli interessi da pagare e devono emettere nuovi titoli per sostituire di volta in volta quelli scaduti. A quel punto, innalzare i tassi significa rendere insopportabile il servizio del debito: la bancarotta sarebbe alle porte.

Poiché la gestione dello Stato è valutata in base a entrate e uscite (il dominio totale del capitale e delle sue categorie economiche lo impone tassativamente - questo deve essere ben chiaro per tutti! - trasformando ogni “servizio” pubblico in azienda statale o privata), ecco che i titoli pubblici diventano oggetto di speculazione e lo Stato viene trattato come un’impresa privata. Può anche fallire. Ma il fallimento di uno Stato, oggi essendo ogni paese inserito in una totalità economica “globale”, avrebbe ripercussioni incontrollabili per gli stessi poteri finanziari/politici oltre che per la cosiddetta pace sociale già pericolosamente instabile. Gli USA, anch’essi addirittura “declassati”, possono disturbare l’euro ma non possono rischiare di destabilizzarlo oltre misura mettendo in subbuglio l’intero continente europeo. Lo stesso per la Cina nei riguardi del dollaro, poiché Pechino è il primo acquirente di Titoli emessi dagli americani e quindi primo finanziatore del debito Usa. Per un paese a “capitalismo-socialista” non c’è male!

La UE traballa

Per l’incerto insieme monetario della UE, la situazione è più che preoccupante dopo due emissioni straordinarie di moneta (quantitative easing). C’è chi paventa scenari drammatici; si tenta di aggirare il pericolo sollecitando qualche intervento, in funzione anti-speculativa, della Banca Centrale. E col sopraggiungere dell’ultima recente bufera speculativa internazionale (questa volta proprio in gran parte sul debito italiano) la Bce è stata costretta a muoversi nuovamente.

E qualche allarme comincia a riguardare anche la Francia: al momento gode ancora della medaglia “tripla A”, ma pur facendo parte del “club” dei Paesi privilegiati in Europa, è alle prese con il peggior rapporto tra debito pubblico e Pil rispetto agli altri “soci” dell’esclusivo club. (La Francia vive in deficit da 30 anni.) Le voci di un suo possibile “declassamento” cominciano a circolare; e ai livelli governativi si parla di un taglio di 3 miliardi di euro per le esenzioni fiscali, di “risparmi” sui dipendenti pubblici e, naturalmente, di “sacrifici” per pensioni e sanità. Oltretutto, il Pil francese stenta a crescere (solo + 0,2 negli ultimi tre trimestri) a causa del basso potere d’acquisto interno e del rallentamento dell’export (che, giova forse ripeterlo, sono però cause “derivate” dalla caduta del saggio medio del profitto).

Frizioni interne all’UE

Ora la Banca europea avrebbe ripreso - sia pure faticosamente - l’acquisto di buoni del Tesoro “traballanti” (spagnoli e italiani) sul mercato secondario, in aiuto all’Efst a corto di fondi. Poco si sa per la decisione riguardante quelli italiani, mentre persistono, dietro le dichiarazioni ufficiali, le resistenze tedesche a questi interventi di “comune responsabilità”; sia la Germania che Olanda, Belgio e Lussemburgo si sarebbero fino all’ultimo opposti agli interventi della BCE.

Gli effetti di tali terapie d’emergenza sembrano essere comunque non solo poco consistenti ma scarsamente efficaci, mentre sullo sfondo (in realtà sarebbe questo lo scenario vero da… proscenio) le invocazioni si avvitano su se stesse reclamando maggior “vigore competitivo” al potere economico-finanziario attraverso un aumento della produttività e una riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto, senza i quali si è esclusi dalla competitività mondiale. Sembra che la stessa BCE, in fase di “salvataggio”, abbia chiesto agli interessati l’applicazione di “flessibilità e licenziamenti facili”. Esattamente quanto sta già seminando ovunque rovine e miseria; e naturalmente con tutte le conseguenze che tormentano la… crescita sospirata: calano i consumi, le vendite di merci, i profitti, i gettiti fiscali. Dopo di che - non prima, cari signori, per una supposta conseguenza di politiche o regole sbagliate! - entrano in tensione i mercati finanziari, precipitano le azioni, flettono i titoli pubblici, si incagliano i crediti, banche e società vedono nero. Ma il capitale non può far altro che dare spazio al bla-bla-bla di “razionalizzazioni, semplificazioni, rigore etico”: in concreto, e lo stiamo subendo, peggioramento delle attuali già insopportabili condizioni di sfruttamento e di vita delle masse proletarie.

Rapporti euro/dollaro

C’è da rilevare inoltre come, nella attuale situazione, assumano fondamentale importanza i rapporti tra dollaro ed euro; quest’ultimo si era inizialmente rafforzato grazie anche ad una tattica, fatta propria dalla borghesia europea, basata sulla progressiva imposizione di politiche monetarie restrittive, puntando a ridurre i tassi di inflazione, e quindi con drastici interventi contro le condizioni di lavoro del proletariato e la sopravvivenza del famoso welfare state, ormai più che ridimensionato. E in tutta l’Europa si procede al salvataggio di crediti ricorrendo ai miliardi di euro di quel plusvalore estorto allo sfruttamento della forza-lavoro proletaria e con tagli alla spesa pubblica per i servizi più essenziali e rigide misure di austerità. Quindi l’euro si indebolisce…

E’ pure interessante notare che, a questo punto, persino commentatori borghesi hanno osservato come - quasi inevitabilmente - si ponga ora la difficoltà del cosiddetto “consenso popolare” legato al vigente sistema democratico e ai responsi delle consultazioni elettorali (per quanto addomesticate esse siano). La strada migliore da scegliere - per il capitale, s’intende - sarebbe (in realtà già è praticata) quella di spodestare i governi nazionali nella gestione dei loro bilanci statali, imponendo vincoli di rigide regole nelle politiche di spesa pubblica, a quel punto emanate da organismi sopranazionali e non elettivi. Tali sono già il Patto di stabilità, il controllo del Consiglio europeo, l’Ecofin (Consiglio Economia e Finanza dei Paesi membri della Ue). In pratica, e con i “perfezionamenti” che saranno introdotti, i Paesi dell’Unione europea vengono privati di autorità nazionale oltre che monetaria.

Intanto, dietro la facciata di una ipocrita “solidarietà europea” in … costruzione, la speculazione porta avanti i suoi giochi sui differenziali dei tassi di interesse. Ai margini degli osceni e tragici spettacoli (per il proletariato), anche la “sinistra” recita il suo copione: in Italia i partiti che si richiamano alle “parti sociali” (ad una sola, in realtà) arrivano “coraggiosamente” fino a proporre l’ennesima richiesta di privatizzazioni (affinché il capitale possa estorcere plusvalore senza troppi intralci), modernizzazioni delle relazioni sindacali (?) e del mercato del lavoro. (Sulle proposte formulate in merito a quest’ultimo punto ritorneremo con altre note.) Ciò che importa è sacrificare la spesa pubblica, sì, ma per “rilanciare la ripresa produttiva” aiutando il capitale a investire per far profitti. Esattamente come sostiene la destra americana. Tutt’al più destinando risorse nella ricerca per “creare” manufatti innovativi e altro sviluppo tecnologico da introdurre in settori industriali oltretutto già stracotti (chimica, metallurgia, telecomunicazioni), i quali altro non si aspettano che di tagliare quanti più dipendenti sia possibile, aumentando la produttività degli impianti esistenti. (Si dice che oggi il complesso industriale italiano sia in funzione solo per il 60/65% delle sue potenzialità…).

Nessuno logicamente pone in seria discussione, per non mettere a repentaglio la… salvezza del Paese, i profitti e le rendite che negli ultimi tempi sono cresciuti rubando almeno 8/10 punti di Pil alla quota salari. E né a destra né a “sinistra” c’è qualcuno che si occupi concretamente di quella ormai enorme massa di disoccupati (decine e decine di milioni) che si aggira per l’Europa, con oltre il 21% di giovani senza alcun futuro finché esiste questo sempre più assurdo modo di produrre e distribuire per il profitto e l’accumulazione di capitale.

La Grecia sull’orlo dell’abisso

Aggravata dall’alta evasione fiscale, dalla corruzione diffusa e da un governo che aveva falsificato i conti pubblici (con l’aiuto di Goldman Sachs, altra grande banca d’affari che nell’aprile 2010 fu incriminata per frode!), la situazione greca - fra una manovra speculativa e l’altra - sta scaricando tutti i costi di un ipotetico ristrutturazione del debito sui pensionati, sui lavoratori sia pubblici che privati e su tutto il proletariato greco in generale (e di riflesso su quello continentale). Quanto alle banche, sia quelle greche che quelle straniere, concederanno prestiti super-garantiti, col tasso del 5%: poiché il tasso d’interesse ufficiale nella zona euro è al 3%, ecco assicurato ai “salvatori” della Grecia un bel 2% di guadagno sul loro prestito. Questo quando in Grecia gli stipendi pubblici (a cui seguiranno quelli dei settori privati) sono bloccati fino al 2014 e subiscono un salasso del 25%; cancellate tredicesime e quattordicesime; portata a 65 anni l’età minima pensionabile per uomini e donne e con assegni ridotti; privatizzati i settori dei trasporti e dell’energia; aumentate le gabelle, +10%, su alcolici, tabacchi e benzina, e l’Iva portata al 23%. Con la consueta arroganza e violenza del “pacifico” potere borghese, restano inalterate le imposte per i redditi più alti, per gli utili delle banche, per le imprese alle quali si concedono maggiori possibilità di licenziare. Infine, nessun aumento di tasse sulle operazioni finanziarie né d’imposta per la rendita. Il capitale ha le sue necessità da salvaguardare!

In Italia, dove il solo costo degli interessi sul debito divora ormai più di 70 miliardi di euro all’anno (sono i salariati che pagano gli interessi sui risparmi dei “cittadini” investiti in titoli pubblici!), stanno piovendo sui proletari tagli a pensioni e salari (con licenziamenti a getto continuo, Cassa integrazione e precarietà diffusa) costringendoli poi a pagare ai privati quelli che sarebbero servizi “pubblici” (sanità, trasporti, energia, scuole).

Politicamente, parte della borghesia (e le sue istituzionali opposizioni) alimenta in extremis le illusioni di un “governo diverso”, possibilmente di “solidarietà nazionale”, per l’emergenza del Paese, di “salute pubblica” per meglio spennare il pollo proletario. Dovrebbe “rappresentare le aspettative di una larga parte dei cittadini”, una maggioranza democraticamente neutrale quanto basta - appunto - per rispondere all’interesse del capitale e di chi ha il portafoglio colmo (case, azioni, Bot, conti correnti ben nutriti, eccetera). Come esempio di rappresentanza vale quello degli attuali “onorevoli” eletti su scelta dei maggiori poteri borghesi!

Finanza in fibrillazione

Le grosse società che gestiscono gli hedge fund hanno certamente “mosso” i loro titoli, qualcuno vendendo allo scoperto, e operando al ribasso su molte attività finanziarie. Persino la Deutsche Bank ha “dichiarato” la vendita di 7 degli 8 miliardi di Bpt italiani in suo possesso per comperare i titoli dei super-indebitati Laender tedeschi!

Non si può escludere che alla fine alcune perdite abbiano coinvolto tutti, compresa la quasi totalità dei fondi, come quelli pensionistici, trascinati nella tempesta generale. Da rimarcare i tonfi quotidiani delle Borse europee (ma la musica è la stessa internazionalmente) con centinaia di miliardi di capitalizzazione ridotti in cenere. Si dice che soprattutto i grandi investitori istituzionali abbiano in tempo venduto direttamente titoli (Btp e azioni bancarie). Oppure hanno venduto il future sui Btp o comprato un credit default swap. Chiaramente, se loro hanno guadagnato, altri hanno perso (o perderanno alla fine) rivendendo titoli al ribasso.

Dopo che i leader europei (21 luglio) hanno fatto passare un secondo piano di salvataggio per il problema del debito greco con un pacchetto che prevederebbe una partecipazione dei privati investitori, a supporto dell'Eurozona sono stati conferiti nuovi poteri, che rendono le funzioni simili ad un Fmi europeo. Negli intermezzi decisionali sono circolate prediche su una chimerica solidarietà economica internazionale (un "mini-piano Marshall"). Ma anche l’ultimo intervento a favore della Grecia, col prestito da 109 miliardi di euro, non ha dissipato né i dubbi sulle modalità di esecuzione né sull’adeguatezza dell’accordo in sede Ue: il problema non viene risolto ma sposta solo nel tempo quello che sta diventando il timore di default a seguito delle difficoltà che incontrerà la Grecia per ripagare i prestiti. Un default contagioso…

La Banca centrale europea, non sapendo più che pesci prendere, benedice a destra e a manca. L'Efsf (forse) emetterà i suoi titoli che potranno essere scambiati con titoli di stato greci, probabilmente a un basso tasso di interesse. Naturalmente i costi della svalutazione dei crediti non sono certamente a carico delle banche, le quali se la cavano con perdite attorno al 20% quando i titoli hanno già subito una svalutazione del 50 per cento sui mercati secondari. E poiché il credito accordato a Grecia, Irlanda e Portogallo, è a condizioni poco “vantaggiose” per il fondo a cui contribuiscono i vari Stati, saranno i “cittadini” proletari a fare le spese di questi salvataggi con - appunto - le obbligate offerte di lacrime e sangue. Non sarà… eticamente corretto, ma questa è la minestra che passa il capitale! Per poi piangere, assieme ai suoi gestori e menando altre bastonate ai proletari, perché l’economia non cresce e la domanda è scarsa! C’è poi chi crede di aver scoperto l’acqua calda e propone una politica monetaria espansiva e deficit in aumento, con flussi finanziari dirottati verso piani di investimento che (ma questo non lo dicono) assicurino al capitale i più larghi margini di profitto.

Intanto, con il loro immenso potere, le banche centrali portano avanti politiche monetarie che ritengono corrispondenti esclusivamente ai loro interessi: lo scoppio delle bolle speculative - che hanno finito con l’assestare ulteriori colpi ai bilanci pubblici - hanno trovato alimento proprio nelle politiche monetarie portate avanti dalle Banche centrali. Ormai tutti lo ammettono. Così come è evidente che oggi le stesse banche centrali (vedi in primo piano la Fed americana) stanno finanziando in modo diretto, con l’acquisto di titoli, i bilanci statali. Nessuno sa poi come in realtà i due strumenti della politica macroeconomica - la politica fiscale e la politica monetaria - possano essere coordinati allo scopo di conseguire uno sviluppo “adeguato e sostenibile”…

Di fatto, sia le agenzie di rating sia le banche sono direttamente interessate all’andamento dei titoli; non sono certamente neutrali e quindi sono in un sostanziale conflitto di interessi in mercati finanziari che hanno tutto l’interesse a soluzioni per loro favorevoli più che per la… crescita economica, soprattutto se questa è vista solo “egoisticamente” a un particolare livello nazionale. La regolamentazione dei mercati finanziari (e l’abolizione dei letali strumenti derivati, montagne di fondi sovrani, trader, asset, futures, ecc.) rimane l’araba fenice dell’epoca moderna, mentre i grandi speculatori operano indisturbati anche sui mercati delle materie prime, accumulando enormi quantità finanziare in poche ore.

La tempesta è globale

Nel frattempo la tempesta si diffonde sempre più globalmente, specie dopo l’avvenuto declassamento del debito Usa. Paradossalmente, a Washington, sono i repubblicani americani quelli che si atteggiano a paladini dell’austerità, dopo che (con le dichiarate politiche neo-cons di Reagan e Bush junior) hanno dato il loro diretto contributo agli aumenti della spesa militare investendo, nel settore dei cosiddetti “interventi umanitari” a suon di missili, oltre il 60% delle risorse disponibili, e quindi portando ad un enorme livello il deficit statale, anche riducendo i prelievi fiscali dalla media e alta borghesia, tagliando le spese sociali e quelle per istruzione ed infrastrutture (quest’ultime in molti casi ormai al collasso).

Da notare che il tasso di interesse, bloccato a zero dalla Fed per due anni (così dichiarato), sta a indicare che la “ripresa” è di là da venire! Ed infatti a tutt’oggi non si vede alcun effetto positivo. Nel complesso le “operazioni” di pompaggio di liquidità messe in atto dalla Fed finiscono (e anche questo qua e là lo si ammette) per alimentare la speculazione delle Borse brasiliana, cinese, indiana, e gli acquisti di oro, franchi svizzeri, dollari australiani e canadesi. Il dollaro si deprezza (dovrebbero avvantaggiarsi le esportazioni americane, ma così non accade vista la globalità della crisi) e Pechino si allarma.

Abbiamo visto più sopra le preoccupazioni per il debito Usa a cui s’aggiungono i timori (ormai certezze) che la “recessione” non risparmi l’Oriente frenando via via la sua spinta produttiva. Intanto l’inflazione sta affliggendo la Cina: 6,5% in luglio, +7,5% i prezzi alla produzione; in un anno i prezzi degli alimentari sono aumentati del 14,8% (+57% quello della carne di maiale, uno dei maggiori consumi nazionali). Le amministrazioni locali sono indebitate fino alla gola; l’edilizia popolare e le infrastrutture hanno fondi risicati; previdenza e sanità sono tuttora inesistenti. Da buon paese capitalista in vesti socialiste, la Cina si vede costretta niente meno che - per bocca del premier Wen Jiabao - a chiedere ai “paesi rilevanti” (?) l’assunzione di “concrete e responsabili politiche fiscali e monetarie”, appoggiando “lo sforzo” dei suoi principali partner commerciali e delle Banche centrali del G 20 al fine di “sostenere la crescita economica e la stabilità finanziaria”…

Le speculazioni sul debito italiano

Le dimensioni del debito pubblico italiano costituiscono un piatto allettante per la speculazione internazionale. Le Banche italiane sarebbero esposte (usiamo il condizionale non avendo accesso alle varie stanze dei bottoni…) per 231 miliardi di euro in titoli di Stato, i quali nelle ultime settimane (fine luglio/prima decade di agosto) hanno perso almeno il 10% del loro valore, anche se poi si dice che le stesse Banche vantano un attivo complessivo di oltre 3.000 miliardi di euro. Sarebbero poi pari a 188 miliardi di euro (qualcuno dice 200 miliardi…) i titoli di Stato nei portafogli delle famiglie (alcune…) italiane.

Anche in Italia, ormai “commissariata” dalla UE, l’annuncio di immediate misure “sanguinose” è ufficiale; in buona parte alcune sono già state approvate da tutti, anche da chi ha finto o finge una opposizione di tale portata da permettere che in quattro giorni si portasse in porto (fra gli applausi del Presidente della Repubblica e di ogni benpensante che si rispetti) l’avvio della dolorosa operazione e quindi di quel che seguirà. Sempre e tutto a carico del proletariato mentre la borghesia, più che mai avida ed egoista, continua ad imbiancare i propri sepolcri pieni di ricchezza depredata a masse impoverite. (A proposito, il ministro del Tesoro, Tremonti, da parte sua si vanta di essere titolare di redditi annui, denunciati…, per almeno 4 milioni di euro! Da parte sua, la Marcegaglia ammette che “i più ricchi” dovrebbero (forse…) pagare “un poco di più”!)

I programmi del capitalismo, sotto i colpi della crisi, sono esclusivamente centrati su due obiettivi fondamentali: abbassare il valore del lavoro e aumentare profitti e rendite finanziarie. Le “anime belle” direttamente o indirettamente legate agli interessi della classe dominante (la borghesia) non possono far nulla contro quel “declino industriale” che corrisponde esattamente all’inevitabile calo di uno sviluppo del settore che ha intasato di prodotti i mercati (infischiandosi dei reali e insoddisfatti bisogni di miliardi di esser umani).

Non solo la produzione di merci ha raggiunto tali dimensioni da non poter essere assorbita dal mercato, dove si può presentare solo chi ha il portafoglio pieno, ma l’alta produttività tecnologicamente conseguita, con forti riduzioni di forza-lavoro, non garantisce più soddisfacenti profitti. Questo costringe quindi la borghesia stessa, in funzione di operazioni di speculazione finanziaria, a gettarsi nel saccheggio dei cosiddetti beni pubblici: il capitale chiaramente non si preoccupa minimamente del “bene pubblico”, un’immagine utile per tenere a bada la pubblica opinione, di fronte alla quale il quadro economico disastrato viene presentato sempre come la conseguenza di errori tecnici o politici. Rimediabili con la buona volontà…

Di fronte alla crisi le ricette (poche e confuse…) messe sul banco, anche se fossero applicate, non farebbero che portare ad un avvitamento della crisi su se stessa. Perdurando questa struttura economica (non è questione di questa o quella politica, di questo o quell’indirizzo) non vi sono vie d’uscita. I castelli di carta costruiti coi prodotti finanziari hanno per loro fondamento unicamente il saccheggio del plusvalore estorto alla forza-lavoro dei proletari, a cominciare da quelli dei settori produttivi, e dello stesso misero salario a loro versato (quando gli affari del capitale investito vanno bene…)

Quanto alle “direzioni” da seguire, i suggerimenti più arditi vanno dagli inviti ad un “ridimensionamento della finanza“ e ad una sua regolamentazione “più stretta”, alla richiesta di tassazioni sulle transazioni finanziari (che per sopportare una tale tassazione dovrebbero aver “garantiti” come minimo congrui guadagni…) Riguardo alla voragine dei conti pubblici, presto detto: nel rispetto assoluto delle democratiche istituzioni, della pubblica opinione e quant’altro, perché - si interrogano le suddette “anime pie” - non si trovano risorse con imposte sui patrimoni, sulle rendite, sulle successioni? Progetti fantasiosi: peccato che la maggior parte dei patrimoni in questione sia ben al sicuro (holding situate in paradisi fiscali) coi proprietari diventati cittadini svizzeri, monegaschi, panamensi eccetera. Comunque tutti con un tale accumulo non solo di ricchezze ma di potere e forza da spazzare via chiunque osi disturbarli, affidandosi agli strumenti cosiddetti democratici e al consenso popolare, nel conteggio e nella sistemazione delle loro ricchezze. E il “popolo” - sotto l’influenza ideologica borghese e le pressioni esercitate dagli attuali poteri - è perfino in parte “convinto” e in parte “costretto” (con le buone o con le cattive) a rifiutare simili proposte….

La realtà è semplicemente questa (ma i più fanno finta di non capire!): quel 10% di italiani e di europei (in tutti i paesi e continenti la situazione è più o meno la medesima) che viaggiano nella classe lusso del Titanic non solo hanno nei loro forzieri montagne di ricchezza strappata a masse di proletari sfruttati fino all’ultima goccia di sangue, ma sono pronti a tenersela ben stretta e, se necessario, usando tutti i mezzi - e quali mezzi! - di cui dispongono o hanno il diretto comando. Continuando ad osannare, con le loro dominanti ideologie e con larghe schiere di fedeli servitori, al capitale e al profitto e trascinando al loro seguito le classi che, comprese nel “popolo”, hanno ancora qualcosa che non vogliono perdere e così credono di salvaguardare. Per il momento, almeno.

E non va ignorato neppure il pericolo che, con l’approfondirsi della crisi e quindi di una rottura economica e sociale profonda e in mancanza, purtroppo, ancora di un'organizzazione politica proletaria internazionalmente strutturata ed operante, possa prendere ancor più forza una destra populista come quella che si sviluppò, nel secolo scorso, dopo gli anni Venti. Anche per questo, affinché gli sviluppi degli accadimenti siano ben diversi, gli impegni del nostro operare, sia critico che pratico, devono intensificarsi ed approfondirsi al seguito di un rafforzamento dell’organizzazione politica di classe.

DC

Comments

Il problema di noi comunisti non discettare sui primi focolai di rivolta nè tantomeno cercare di crearli. Nascono come risposta spontanea alla crisi, al deteriorarsi delle condizioni di vita, dall'angoscia di veder crollare conquiste ritenute sicure. Il punto è come trasformare eventi di grandi dimenzioni, quello che abbiamo visto sino ad oggi in Europa è solo il prologo, in rivoluzioni. E' necessario allargare il consenso o anche solo la conoscenza delle nostre posizioni, creare maggiori collegamenti tra gli spezzoni rivoluzionari che già sussistono, tenere presente che non mancheranno nuovi giri di vite, sia diretti a noi, sia generali, tesi a limitare la possibilità di libera espressione. Non è un qualche paese periferico ad essere entrato in crisi ma le principali potenze. I piccoli egoismi furoreggeranno, molti si trincereranno su posizioni illusorie figlie del rifiuto, altri cercheranno nel passato risposte che solo l'avvenire può dare. Il lavoro che ci aspetta è enorme! Iniziamo da subito!