Riforme, “sviluppo”, sfruttamento

Marcegaglia: cambiare il modello di sviluppo

La crisi mondiale del capitalismo non risparmia certamente l'Italia. I problemi dell'economia nazionale sono tanti e molto gravi. A parte la disoccupazione generale e quella giovanile in particolare, l'Italietta del Governo Berlusconi ha il debito pubblico tra i più alti al mondo: duemila miliardi di euro pari al 120% del Pil. Un servizio sul debito di novanta miliardi di euro all'anno. Il prodotto interno lordo, ovvero la ricchezza prodotta, è stagnante da tre anni e non si vedono i presupposti perché possa iniziare a crescere. Il tanto agognato sviluppo rimane tra le pieghe delle dichiarazioni del Governo senza muovere un passo. Non c'è fattore dell'economia nazionale che non sia negativo e, soprattutto, non si vede come si possa uscire dal tunnel della crisi mondiale del capitalismo di cui l'Italia è parte integrante.

Il presidente della Confindustria, a nome degli imprenditori affiliati, ma più in generale degli interessi del capitale nazionale, la ricetta pensa di averla ed è la solita: attacco repentino e determinato contro il mondo del lavoro, con una serie di corollari.

La Marcegaglia al pari di Marchionne, Montezemolo e giù giù sino all'ultimo imprenditore della bergamasca o dell'Abruzzo, chiede a gran voce che il Governo cessi di rincorrere gli interessi economici e giudiziari del suo leader per contribuire politicamente e in termini normativi ad un modello di sviluppo che consenta al capitale italiano di uscire dalla crisi.

La ricetta di lacrime e sangue per il proletariato italico prevede una serie di riforme strutturali il cui contenuto, sinteticamente, presenta i seguenti punti, che, se non messi in campo da subito, secondo il presidente di Confindustria e soci, il destino del capitalismo italiano sarebbe segnato per i prossimi decenni.

  1. Riforma delle pensioni. Il capitale, lo Stato non possono permettersi il “lusso” di mandare i lavoratori anziani in pensione con i termini di anzianità e vecchiaia attuali. Soprattutto con l’attuale esborso economico. Meglio allungare l’età lavorativa, modificare verso il basso i parametri di calcolo dell’ammontare della pensione stessa. Meglio mantenere al lavoro i vecchi, posticipare l’erogazione della pensione, pagare il 60% dell’ultimo stipendio, anche se i giovani non possono entrare nel mondo del lavoro, subiscono il devastante peso della precarietà e la pensione se la sognano. Il capitalismo per sopravvivere ha bisogno di questo e questo deve essere fatto subito e in fretta.
  2. Riforma del mercato del lavoro. Su questo punto cruciale i giochi sono ancora aperti, benché la conclusione sia vicina e scontata. Il capitale vuole essere messo nella condizione di aumentare la sua competitività sul mercato interno e su quello internazionale. Come? Aumentando lo sfruttamento, avendo mano libera nei licenziamenti. Aumentando la precarietà del lavoro e agganciando i salari alla produttività. Smantellando quello che resta dei contratti collettivi a favore di quelli aziendali, mettendo così in ulteriore debolezza il lavoratore di fronte all’impresa.
  3. Sgravi fiscali e incentivi. Il mondo delle imprese chiede anche che le poche risorse finanziarie vengano indirizzate verso lo sviluppo economico, verso cioè il rinforzo delle condizioni per aumentare i profitti. Meno risorse allo Stato sociale, meno soldi alla scuola, alla sanità e alle pensioni. Meno salari a chi lavora, più tasse per tutti ma sgravi fiscali a chi investe produttivamente.

Questo è quanto. La crisi lo impone. Quello stesso capitalismo che ha creato la crisi, adesso impone sacrifici enormi al proletariato per uscirne, in un perverso ciclo economico che più sopravvive più è costretto ad aumentare lo sfruttamento ed a imporre devastazioni sociali, quali la disoccupazione, il maggiore sfruttamento per chi ha la “fortuna” di avere un posto di lavoro, povertà per milioni di famiglie, fame e miseria se non guerre con il loro carico di disperazione e morte.

Con le parole d’ordine “cambiare il modello di sviluppo” e “creare le condizioni per la ripresa economica” la Marcegaglia e con lei il capitalismo italiano rimproverano al Governo Berlusconi di non aver fatto abbastanza, di aver pensato più a restare al potere che a governare, lasciando che l’economia reale restasse orfana di una necessaria guida politica che creasse i presupposti normativi per l’uscita dalla crisi. Tremonti e Sacconi qualcosa hanno fatto, ma ad un livello ben al di sotto delle aspettative del capitale, da qui il grido della Marcegaglia e soci. “Strano” ma vero è la stessa critica che muove la sinistra da Vendola a Bersani passando per Di Pietro.

Lasciamo pure che gli interpreti della società borghese si rimpallino le responsabilità soggettive sulla gestione della crisi. Per noi un dato è certo e riguarda come lor signori si scervellino sul come e quando fare pagare il tutto al proletariato. Le crisi, comunque presentate e giustificate dagli analisti borghesi, hanno il “merito” di rendere più palese l’inconciliabilità degli interessi tra le classi. “Crescita e nuovi modelli di sviluppo” altro non sono che gli strumenti più idonei a rimettere in funzione la macchina del profitto e dello sfruttamento, con il compiacente senso di responsabilità dei Sindacati. L’unico “modello di sviluppo” a cui il proletariato deve iniziare a pensare, mentre la mannaia della crisi compie sfracelli tra le fila dei lavoratori, è quello che prevede un mondo del lavoro libero dalle angherie del capitale e dalle inumane leggi del profitto. Imboccare questa strada significa dare vita a lotte contro il capitale fuori dalle gabbie sindacali. Lotte che partano dal basso senza il guinzaglio dei partiti di “sinistra”, al di fuori dalle compatibilità del sistema. Lotte che incomincino a vedere nel capitale non solo “un qualcosa” a cui chiedere e rivendicare, ma un obiettivo da eliminare, perché solo dalla eliminazione del capitale e del suo rapporto con la forza lavoro, possono nascere le condizioni di una nuova società, senza classi sociali, senza crisi economiche, più umana e dignitosa. Ma perché l’anticapitalismo e la speranza di una alternativa sociale possano essere presenti e politicamente operanti all’interno della classe, occorre la presenza organizzata e operante del partito rivoluzionario che cresca nelle lotte, con le lotte e che ne sia la guida politica.

FD

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.