Violenza nei CIE: parte il processo per “Vilipendio all'onore e al decoro della polizia di Stato”

I Fatti

Nel mese di novembre partirà il processo per vilipendio all'onore e al decoro della polizia di Stato. Un processo che, in particolare, vede accusate alcune compagne del gruppo “Noinonsiamocomplici” che 3 anni fa si fece promotore di una mobilitazione contro l'esistenza dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) e tutto ciò che ne implicava. Il gruppo lanciò la mobilitazione quando nell’agosto 2009 nel Cie di via Corelli ebbe luogo una rivolta dei detenuti contro il “Pacchetto sicurezza” che prolungava la detenzione da due a sei mesi. Durante il processo messo in piedi contro i rivoltosi e le rivoltose una delle recluse – Joy - raccontò di aver respinto un’aggressione sessuale da parte dell’ispettore-capo Vittorio Addesso. L’immigrata raccontò del tentativo di violenza e che l’ispettore dovette desistere davanti alla pronta reazione della ragazza e delle sue compagne di cella. In particolare dopo questo episodio, “Noinonsiamocomplici” cominciò la propria attività di mobilitazione mostrando particolare attenzione alla condizione delle donne immigrate, vittime di tratta. “Nei Cie la polizia stupra” fu quindi uno degli slogan che accompagnò presidi e manifestazioni, adoperato da parte di coloro che hanno sostenuto la lotta per la liberazione di Joy. “Nei Cie la polizia stupra” è lo slogan per il quale aderenti al gruppo “Noinonsiamocomplici” vengono adesso processati con l’accusa di Vilipendio.

A chi serve quel braccio armato? A cosa serve e cosa difende?

Infiniti sono gli episodi di cronaca (immaginandoci quello che rimane sommerso…) che narrano degli abusi e delle nefandezze compiute dagli uomini in divisa: Cie, carcere, strade, questure e via dicendo. Non ultima quella di Francesco Tuccia (militare del 33o reggimento artiglieria terrestre «Acqui» di stanza all’Aquila) accusato di aver violentato un ragazza fuori da una discoteca (la quale ha riportato lesioni gravissime) e lasciata li in fin di vita. Insieme a Tuccia iscritti nel “registro degli indagati” altri tre sono militari volontari, di stanza al 33esimo reggimento artiglieria Acqui. Non si tratta di alcune mele marce ma di una prassi sistematica.

In tutto questo non possiamo però commettere l’errore di indirizzare la nostra attenzione, e la nostra battaglia, solo su chi indossa una divisa omettendo tutto ciò che sta dietro al braccio armato..

Tante persone si sono infatti “indignate” per la presenza dei Cie nella propria città, quasi se si trattasse più di una questione di “not in my backyard” che di comprensione reale del ruolo svolto da questi nuovi lager. Condannare l'Istituzione Cie in quanto tale, senza tentare di creare dei rapporti di forza classisti all'interno - ma soprattutto all'esterno di essa – e senza sottolineare il ruolo che i Cie svolgono nella società capitalista significa appiattire il tutto ad una battaglia riformista.

Cosa sono i Cie?

I Cie (prima denominati Cpt, Centri di permanenza temporanea) sono i Centri di identificazione ed espulsione. Furono istituti nel 1998 dal governo di centro-sinistra con la legge Turco-Napolitano, sorta in seguito all'adozione delle politiche migratorie europee conseguenti all'accordo di Schengen del 1995, con il quale veniva istituita la “ Fortezza Europa”; un accordo che irrigidiva le disposizioni di entrata dei flussi migratori nei paesi europei. Con la legge Bossi-Fini, istituita nel luglio 2002, il permesso di soggiorno veniva strettamente legato al contratto di lavoro e si metteva in piedi il circuito Cie-carcere-Cie: la detenzione può arrivare sino a 60 giorni al termine dei quali, se non avviene il rimpatrio, viene rilasciato l'obbligo di lasciare il paese entro 5 giorni, se questo non avviene e il soggetto viene colto in “reato di clandestintà” sul suolo italiano, scatta l'arresto, dopo il quale è prevista una nuova permanenza nel Cie e poi l'espulsione.

Nell'agosto 2009, con il Pacchetto Sicurezza del Ministro Maroni, la detenzione nei Cie viene prolungata da due a sei mesi, prorogabili sino ai 18 mesi. Nel 2004 venne invece istituita Frontex, una “agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea”. Questo ente si occupa delle deportazioni dei migranti in Libia o nei vari paesi di riferimento; da ricordare che chi viene espulso non sempre viene rimpatriato, spesso viene deportato in altri paesi. I rimpatri forzati avvengono tramite l'allestimento di charter privati che partono da alcuni aeroporti italiani (in particolare Malpensa e Fiumicino da cui partono i rimpatri per il Niger).

Tutti gli aspetti riguardanti il funzionamento del sistema economico capitalistico si sviluppano ormai ampiamente su scala internazionale, questo riguarda anche la gestione della forza-lavoro. Gli immigrati rappresentano per la borghesia “locale” semplicemente lavoratori a basto costo. Per le necessità di profitto del capitale gli immigrati quindi sono i benvenuti. Dall’altro lato però la crisi, potenzialmente, mette in moto flussi migratori ancora più ampi rispetto al passato ed una massa “eccessiva” di disperati sul territorio renderebbe più complicata la gestione del cosiddetto “ordine pubblico” e potrebbe minare la pace sociale nel paese tanto cara alla borghesia. Le leggi alla quali precedentemente abbiamo accennato son servite proprio per conciliare questi due aspetti: il controllo più rigido dei flussi migratori in entrata ed in uscita serve da un lato a soddisfare la richiesta di forza-lavoro a basso costo e dall’altro ad espellere quella parte di immigrati considerati dai padroni – e dai loro servi - superflua, fastidiosa. I Cie sono semplicemente l’arma repressiva in questo lavoro di gestione della merce umana.

Da questo punto di vista bisogna dire che i Cie rappresentano anche un meccanismo di ricatto, la deadline di un circuito di sfruttamento dove viene rinchiusa la forza lavoro ritenuta oramai eccedente: in che senso? Nel senso che un padroncino qualsiasi, che sia delle cooperative di logistica, come di un cantiere edile etc. può decidere di denunciare lui stesso la clandestinità dell’immigrato che impiega per liberarsene, perché magari la persona non accetta i ritmi e i tempi di lavoro o per qualsiasi altra motivazione. Il padroncino di turno non pagherà così nessuna ammenda anche perché spesso è proprio lui a fare contratti sotto falso nome ai propri dipendenti. Questa prassi permette quindi un riciclo della forza-lavoro. Il Cie funziona infatti come un doppio binario: da un lato permette il ricambio della forza-lavoro, dall'altro rappresenta una minaccia nei confronti di chi, da lavoratore sfruttato, sa che deve adeguarsi a qualsiasi condizione lavorativa per non perdere il permesso di soggiorno legato come tutti sanno al contratto di lavoro.

Gli interessi economici di Enti e Associazioni assistenziali

I Cie, oltretutto, creano un indotto non indifferente: attorno a loro infatti si sviluppa una rete di Enti e associazioni assistenziali costituiti di fatto da burocrati con sete di guadagno che ingaggiano immigranti per fare da traduttore linguistico ai detenuti e nulla più. Spesso, infatti, chi lavora per questi enti “dal volto umano” si “dimentica” di informare gli stessi detenuti dei loro - se pur elementari - “diritti” (ad esempio l'esistenza del art. 18 per e vittime di tratta, con tutte le complicazioni del caso); traduttori che tuttavia grazie all'esistenza dei Cie e quindi degli stessi reclusi, possono portarsi la pagnotta a casa. Non che i “diritti” ai quali si accennava rappresentino una soluzione, ma in alcune situazioni possono essere uno strumento per uscire dal Cie ed entrare nei circuiti “protetti”, ovvero le varie Casa delle donne; meglio dei Cie per condizione ma esse stesse ben lontane dal rappresentare un reale percorso di liberazione.

Per dare un'idea del guadagno che cooperative ed Enti vari traggono dalla presenza dei detenuti, prendiamo un esempio, ormai non più recente, che risale al 2010: per ogni migrante reclusa/o nel Cie di Modena la Misericordia (ente / confraternita che gestiva dal 2005 i Cie di Bologna e Modena presieduta da Daniele Giovanardi, gemello dell'ex senatore Carlo Giovanardi) incassava 75 euro al giorno per detenuto: di questi, 2 euro e mezzo venivano quotidianamente segnati sul libretto della persona rinchiusa e ogni due giorni veniva fornita una scheda telefonica da 5 euro per chiamare dal fisso (nel Cie di Modena i cellulari venivano sequestrati, in altri Cie no), dunque ogni giorno ai reclusi venivano assegnati, tra contanti e scheda telefonica, 5 euro con cui comprare ciò che serve per sopravvivere oltre al vitto (riso al pomodoro con sedativi…) scegliendo tra cioccolato e Cola, oltre a procurarsi sigarette ed eventuali altre schede Welcome della Telecom (interessanti anche queste convenzioni…). Tutto il resto era guadagno per la confraternita i cui operatori e le cui operatrici rimangono convinti/e di fare del gran bene a chi si trova nel lager.

I Cie e la prostituzione

Per quanto riguarda la prostituzione, i Cie garantiscono il continuo ricambio sulle strade, e cioè la disponibilità, di “carne” sempre giovane e “fresca” per i nove milioni di clienti.

Le donne e le trans vittime di tratta pagano un debito nei confronti dei propri papponi (o pappone come nel caso delle Maman), da cui vengono adescate nel proprio paese, con la falsa promessa di svolgere in occidente un qualsiasi lavoro e fare fortuna. Una volta giunte in occidente vengono sottoposte a svariate forme di torture e stupri prima di essere sbattute in strada a prostituirsi, il debito che contraggono con il proprio pappone (50.000 euro o cifre simili) deve essere saldato da loro negli anni a venire. Ogni donna o trans vittima della tratta sa che se intende ribellarsi o fuggire pagherà questo suo atto con l'omicidio dei propri famigliari.

Il Cie, per le donne e trans vittime di tratta, significa anche il rimpatrio forzato: chi si ribella e intende fuggire dal proprio sfruttamento sessuale porterà per sempre le marchiature a fuoco del proprio pappone (non è una metafora ma donne e trans vengono marchiati a fuoco con dei simboli per essere riconoscibili dai papponi e da chi ne fa le veci), sa che nel momento in cui metterà piede nel proprio paese rischia di essere ammazzata.

Tutto questo senza dimenticare che il periodo di detenzione nel Cie significa essere sottoposte a tutta una serie di ricatti sessuali: prestazioni sessuali per ricevere in cambio schede del telefonino e via dicendo.

Conclusioni

Questi centri vengono da sempre sbandierati dalla borghesia come dei baluardi contro la “degenerazione razziale” della società, come uno strumento indispensabile per la sicurezza della popolazione italiana. Abbiamo visto che in realtà essi non sono altro che strumenti repressivi posti – come tutte le istituzioni – al servizio dell’interesse del capitale. È certamente una tra le più orrende istituzioni messe in piedi da questo sistema economico e sociale, veri e propri lager, che merita di scomparire… assieme al capitalismo.

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Giovedì, November 15, 2012