Politica e diktat dell'economia

Nella repubblica tedesca di Weimar (1919-33), l'articolo 48 della Costituzione concedeva, in situazioni considerate d'emergenza, poteri speciali al presidente della repubblica, tra cui quello di imporre governi senza che questi avessero la maggioranza in parlamento. Fu così che il generale-presidente Hindenburg fece e disfece gli “esecutivi” che prepararono la salita al potere del nazionalsocialismo.

Ora, l'Italia 2013 non è la Germania 1931-33, né Napolitano indossa l'elmo col chiodo, ma qualche parallelismo si può ugualmente fare, nel senso che, di fronte a una crisi molto pesante del sistema, la borghesia, superate (o accantonate momentaneamente) le divisioni interne, preme sui partiti affinché lo stallo politico venga rimosso, a costo di interpretare “disinvoltamente” – nella sostanza, ma anche nella forma – i sacri principi della Costituzione. A maggior ragione quando i partiti tendono a far prevalere i loro interessi particolari di “lobbies”, invece di quelli generali della classe borghese.

Così è stato per la rielezione di Napolitano, che, lo si deve riconoscere, è indubbiamente uno dei migliori “quadri” di cui disponga la classe dominante italiana: quasi settant'anni spesi a convincere il proletariato a pazientare, curvare la schiena, compiere sacrifici su sacrifici per tenere a galla la sconquassata nave del “sistema Italia”. Dalla Ricostruzione del dopoguerra ai governi di Unità nazionale alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, fino al governo Monti, che ha assolto il duplice compito si salvare Berlusconi – dandogli la possibilità di rimontare lo svantaggio elettorale – e di assestare mazzate storiche al mondo del lavoro salariato-dipendente, Napolitano ha sempre gridato “presente!”, ricoprendo, nel tempo, ruoli sempre più importanti. Non poteva, dunque, restare sordo agli appelli che gli rivolgevano le cosiddette “parti sociali”, quasi sgomente e molto irritate nell'assistere allo spettacolo offerto da una classe politica inconcludente, che a due mesi dalle elezioni cincischia(va?) e si dilaniava in furibonde lotte a coltello. Intanto, la crisi non demordeva e non demorde. Da qui, gli aspri rimproveri, alternati agli inviti accorati alla “casta” perché si desse una regolata, la smettesse di litigare in maniera indecente alle e sulle spalle di un paese stremato. Corriere della Sera, La Stampa, Repubblica, il Sole 24 ore in queste settimane – per conto dei loro padroni – hanno bombardato la classe politica affinché si decidesse a colmare la distanza, quasi abissale, con il “paese reale”.

Che cosa hanno martellato, quei giornali? Che la politica deve essere al servizio del “paese” e non viceversa, che, in situazioni difficili, la lotta per le poltrone e relative prebende deve essere “messa in pausa”, almeno fino a che sul ponte di comando della nave non ci sia qualcuno in grado di prendere in mano il timone e di tracciare la rotta in maniera sufficientemente duratura. Anzi, per meglio dire, ribadire la rotta, perché questa è ampiamente nota: è già stata indicata dalle istituzioni politico-economiche dell'Unione Europea e dal Fondo monetario internazionale: in breve, dall'ammiragliato (per restare sulla metafora marinaresca) della borghesia europea e, naturalmente, italiana.

In questo momento (24 aprile), dopo l'elezione bis di Napolitano, pare che si vada verso la formazione del tanto sospirato (da chi?) governo di larghe intese, dunque il proletariato deve ricominciare a tremare. Adesso, in nome del solito “senso di responsabilità” riprenderà lo spolpamento della nostra classe, finché ci sarà un brandello di carne attorno all'osso, e anche oltre.

D'altra parte, un anticipo di riconquistata concordia nazionale è stato offerto al convegno della Piccola industria tenutosi a Torino il 13 aprile. Lì, sono intervenuti i massimi calibri delle “parti sociali”, vale a dire Squinzi, presidente di Confindustria, e i segretari generali di CGIL-CISL-UIL. Da tutti è venuto un altro appello perentorio alla “politica” perché si faccia presto, perché partorisca un governo autorevole, legittimato a fare quello che c'è da fare. Sono i numeri della crisi che lo esigono. Dal 2007, la produzione industriale, vera base economica di un paese che si rispetti, è calata del 24,2% e a marzo di un altro 0,2. Lo stato ha debiti verso le imprese per cento miliardi di euro (dati di Confindustria) e i quaranta appena stanziati da Monti (ammesso che vengano reperiti i finanziamenti) sono da considerarsi un semplice anticipo. Infine, ma non da ultimo, dice sempre Squinzi, è stato buttato almeno un punto di Pil.

Ma non basta: al fosco quadro economico, si affianca, ovviamente, quello sociale. Tra disoccupati, inattivi e scoraggiati si raggiunge la cifra di 5,8 milioni di persone, a cui si sommano gli oltre 600.000 lavoratori (per lo più donne) in part-time involontario – cioè che hanno dovuto accettare (prendere o lasciare) questo tipo di assunzione – aumentati del 34% in un anno (Repubblica, 12-04-2013). Che dire, poi, del costante aumento della cassa integrazione (richiesta e/o attuata) di fronte al progressivo calo delle risorse da destinare agli ammortizzatori sociali? Per finanziare la cassa integrazione in deroga occorrerebbero, secondo fonti sindacali, da 1,5 miliardi a 2,7 miliardi di euro (il manifesto, 17-04-2013), altrimenti c'è il rischio che oltre 500.000 lavoratori, all'inizio dell'estate, rimangano senza lavoro, senza salario e senza cassa integrazione. Non per niente, dunque, Squinzi ha lanciato e rincarato l'allarme: siamo

in una situazione che non può continuare per molto tempo senza sfociare in esplosioni sociali violente.

rassegna.it, 10-04-2013

È proprio di questo che la borghesia ha paura, non tanto dell'astensionismo elettorale così come si manifesta oggi, un astensionismo all'americana, per così dire. Infatti, se milioni di persone, disgustate e disilluse dai riti della democrazia borghese, non votano più, ma nemmeno si mobilitano per cercare strade alternative al sistema, tutto sommato va bene lo stesso, anzi, va meglio, perché i partiti borghesi devono faticare meno per rispondere, sia pure formalmente, alle istanze della parte più critica o più “scomoda” da gestire del proprio elettorato, di solito appartenente al proletariato e alla piccola borghesia. Gli Stati Uniti sono qui a dimostrarlo: milioni di individui, per lo più collocati in quelle classi sociali, non votano, ma neanche si muovono, se non sporadicamente, sul terreno di classe, a maggior gloria del famigerato 1%. L'esplosione sociale, invece, è tutta un'altra cosa, anche se, priva di un programma politico coerentemente politico, quindi di un partito rivoluzionario, esplode, appunto, alla cieca e, al massimo, può scuotere (il che non sarebbe poco, certo) ma non compromettere irreversibilmente l'edificio borghese.

Penso sia necessario e possibile trovare una posizione comune tra le associazioni imprenditoriali e quelle sindacali...

proclama la Camusso, a cui fa eco Squinzi con un

Credo sia finito il tempo degli scontri e delle incomprensioni e si deve andare tutti nella stessa direzione - è - una responsabilità storica. Questa la strada verso cui dobbiamo andare con decisione – perché in questa – tempesta perfetta siamo tutti sulla stessa barca.

rassegna.it, 12-04-2013

Già, la solita vecchia barca, con borghesi e proletari ai soliti posti: tremate, tremate, le sirene (sindacali) e le streghe (padronali) sono tornate; cioè, non se ne sono mai andate.

CB
Lunedì, April 29, 2013

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.