Le tensioni imperialistiche si spostano in Estremo Oriente

I termini del contenzioso sono rappresentati dal controllo di un piccolo arcipelago disabitato situato tra Okinawa e Taiwan nel Mar cinese orientale. Per i giapponesi è l'arcipelago chiamato Senkaku (che Tokyo possiede dal 1972 quando fu abbandonato dagli americani), e Diaoyu dalla Cina, che ne rivendica il possesso in quanto strategico per la difesa delle sue acque territoriali. La Cina, con dichiarazione unilaterale, ha creato un nuovo “status quo” da un punto di vista del diritto internazionale, inglobando l'arcipelago all'interno della propria area di pertinenza marittima. In realtà la «Zona di identificazione per la difesa d' aerea» (Adiz) voluta dalla Cina si estende a tutto il Mar cinese meridionale, comprendendo non solo le isole Diaoyu in questione, ma sconfinando anche nell’area di competenza coreana (che comprende l’isola di Jeju) e a quella relativa a Taiwan. In più l'ammiraglia della marina da guerra cinese, la portaerei Liaoning, dopo le dichiarazioni di Pechino, ha preso la rotta in derizione del mare della Cina meridionale, e la sua presenza in loco è destinata a prolungarsi a tempo indeterminato. La portaerei è scortata da due incrociatori muniti di missili anti missili, la Shenyang e la Shijiazhuang.

Il Giappone ha immediatamente risposto organizzando dei voli aerei sulla neonata “no fly zone”, per ribadire il concetto che l'arcipelago è giapponese e tale deve rimanere. A rincarare la dose ci si sono messi anche gli Usa. Obama è entrato pesantemente nel contenzioso spalleggiando il suo alleato asiatico e organizzando, a sua volta, una serie di “raid” sull'arcipelago in questione, ammonendo la Cina perché nell'episodio specifico, e più in generale in tutta la zona, assuma un profilo più basso, altrimenti si potrebbero aprire scenari preoccupanti per tutte le parti in causa. In altri termini, sull'arcipelago si è aperta una tensione imperialistica i cui attori, tutti di grande peso, non hanno esitato a mostrare i muscoli roteando i pugni sotto il naso degli avversari. A parte gli Usa, che per ruolo, interessi strategici e prospettive future nell'area sono dalla parte del Giappone con la stessa intensità con la quale si oppongono alle mire cinesi, la battaglia tra Tokyo e Pekino ha assunto una accelerazione in questi ultimi mesi. Ad esempio, in agosto Pechino ha organizzato una serie di manovre navali in concomitanza con l'anniversario della sconfitta militare del Giappone alla fine della seconda guerra mondiale. Un mese prima la Cina aveva già organizzato, per la prima volta dopo la chiusura della guerra, un transito di navi commerciali nello stretto di mare che separa la Russia dal Giappone. In risposta il neo presidente giapponese Abe, in visita ufficiale alle truppe, aveva dichiarato di non restare con le mani in mano a guardare le ambizioni dell'imperialismo cinese.

Va da sé che tanta tensione per quattro scogli in mezzo al Mare cinese appare per essere sproporzionata anche per i più sprovveduti osservatori. In realtà in gioco c'è ben altro.

In primo luogo, nel tratto di mare interessato transitano le vie commerciali più importanti sia per il Giappone che per la Cina. Sopratutto Tokyo vede minacciate le sue vie di commercializzazione navali con Taiwan e la Corea del sud e, sempre in zona, possiede un giacimento di gas di non trascurabile interesse, vista la quasi totale dipendenza energetica del Giappone in termini di gas e di petrolio.

In seconda battuta va considerata, da parte di Pechino, la necessità di rompere l'accerchiamento militare che gli Stati Uniti gli hanno confezionato addosso. Gli alleati di Washington - Il Giappone, la Corea del sud e Taiwan - chiudono il Mar cinese orientale in una sorta di morsa militare che fa fare brutti sogni al governo cinese. Per di più, recentemente, il governo di Seul ha concluso un acquisto di aerei F16 e di altre apparecchiature militari con gli Usa, cosa già fatta in precedenza da Taiwan e da sempre dal governo giapponese.

In conclusione, nel Mare cinese orientale gli imperialismi dell'area, come belve feroci, segnano il loro territorio di caccia, per il momento come reciproca intimidazione, poi si vedrà.

FD
Lunedì, December 2, 2013