War Games: l’Ucraina al centro dei conflitti imperialistici

In tutto il mondo gli eventi si succedono in maniera tumultuosa. Nel corso di pochi giorni lo scontro per il potere in Ucraina è diventato un conflitto internazionale. Il mondo si trova davanti ad uno dei più rischiosi e grossi conflitti dalla fine della guerra fredda. 100 anni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, una catastrofe che ha segnato profondamente il XX secolo, ci si ritrova un’altra volta invischiati nel “Grande Gioco” delle grandi potenze imperialistiche per la conquista di zone di potere ed influenza.

L’Ucraina: povera e fortemente contesa

Per via della sua posizione geostrategica la multietnica Ucraina è sempre stata un territorio di contesa per le grandi potenze imperialistiche. In quanto terreno di gioco della prima e seconda guerra mondiale, il paese guarda con dolore al proprio passato. Le diversità regionali e socioculturali odierne hanno radici profonde. Col crollo del Blocco dell’est il paese tornò ad essere di nuovo al centro dell’attenzione dei giochi di potere imperialistici. La questione della direzione politica ed economica che avrebbe dovuto prendere l’Ucraina acquistò nuova rilevanza. In primo piano, naturalmente, si compì come nel resto dell’Europa dell’est, il “processo di trasformazione verso la democrazia”. Vecchie e nuove élite provenienti da apparati di partito e di stato si gettarono sulle parti migliori dell’economia, si accordarono per l loro spartizione e fondarono un ben pianificato sistema fondato sul nepotismo e la corruzione. Gli anni della svolta erano caratterizzati da una rapida decadenza industriale. Il Pil collassò su se stesso del 60%. Solo nel 1999 poté essere recuperato il livello economico del 1989.

Negli anni dal 2000 al 2007 si arrivò ad una breve fase di ripresa economica. Ma i tassi di crescita del 7% circa si basavano a grandi linee sul generale boom delle materie prime ed il crescente prezzo mondiale dell’acciaio in particolare. Con lo scoppio della bolla speculativa del 2007/2008 il sogno di sovranità economica ucraina di liberali e nazionalisti era già dissolto. La crisi colpì il paese in pieno. L’inflazione salì dal 12,8%(2007) al 25,2%(2008), mentre la produzione industriale collassò cadde del 34% e il debito nazionale toccò cifre astronomiche. Soltanto tramite tagli per miliardi e i prestiti del FMI fu possibile di scongiurare inizialmente il totale collasso del paese. Il conto, come sempre e ovunque, lo pagò la classe dei lavoratori. Oggi, più del 30% della popolazione vive al di sotto della soglia di sopravvivenza. Duramente colpiti gli anziani. L’80% dei pensionati deve cavarsela con una pensione minima di 81 Euro al mese, soldi che non bastano né per vivere né per morire. L’Ucraina è un paese a salari eccezionalmente bassi e proprio per questa ragione un luogo interessante per chi investe a lungo termine, come fabbrica della miseria a lungo termine. Con una paga media di appena 300 Euro ed un minimo salariale di circa 110 Euro, l’Ucraina ha un livello salariale tre volte più basso della Polonia.

Le sovvenzioni

Le sovvenzioni per gli affitti e per i costi dell'energia, in corso di negoziazione con l'UE, sono praticamente l'ultima barriera prima del totale impoverimento di milioni di persone. Da aggiungere anche il divario di salario ed entrate tra città e campagna e tra le diverse regione del paese. Particolarmente forte il divario tra l’est industrializzato, come ad esempio la regione del Donetsk e l’ ovest prevalentemente agricolo. Tutto questo incrementa le tendenze regionaliste, acuisce le già menzionate differenze socioeconomiche e rende ancora più profonde le divisioni nella classe lavoratrice. Di fronte alla crescente miseria e povertà della popolazione stanno la ricchezza e lo sconfinato strapotere degli oligarchi. I 50 oligarchi più potenti controllano oltre 2/3 della ricchezza. La maggior parte di questi soldi sono depositati in paradisi fiscali all’estero. Ma senza i clan degli oligarchi in Ucraina non si muove pressoché niente. Da tempo, hanno capito come affermare e imporre i loro interessi sulla stragrande maggioranza della popolazione. Sugli orientamenti in politica estera, le opinioni si dividono invece in base ai propri interessi di mercato. Mentre gli oligarchi del settore energetico puntano sulla Russia, altri si ripromettono grandi profitti con l'adesione alla UE. Gli scontri tra i clan hanno a grandi linee controllato gli eventi politici ucraini, portato alle coalizioni di regime più diverse e a una crescente instabilità politica.

Tra Bruxelles e Mosca: Janukovic sulle uova

Per un certo periodo sembrava che l’ormai odiato presidente Janukovic, ora dimesso, fosse in grado di mascherare gli interessi divergenti degli oligarchi ucraini. Egli viene volentieri ritratto come particolarmente amico della Russia. Questo però è vero solo in quanto il criminale di piccola taglia Janukovic era una creatura d'oligarca pro-Russia Rinat Achmetow. In quanto a politca estera, Janukovic si è sempre impegnato in una strategia di equilibrio tra Eu e Mosca. Dietro a questo ragionamento, il calcolo di rendere altamente profittevole il passaggio di petrolio e gas in quanto regione di transito tra est e ovest. Una politica che fallì, ma che sarebbe stata in ogni caso destinata a fallire. L’ondeggiare tra gli accordi associativi con la Eu e la ricontrattazione dei contratti sul gas con la Russia ha, alla lunga, solamente fatto salire la tensione da entrambe le parti. Mentre la Russia minacciava di chiudere i rubinetti del gas, portando avanti a periodi una vera e propria guerra commerciale contro l’Ucraina, l’UE faceva pressione sull’applicazione dei crediti di salvataggio dell’FMI, che comprendono il congelamento dei salari, lo smantellamento delle sovvenzioni sull’elettricità, pesanti tagli alle spese pubbliche e per finire un aumento del prezzo di elettricità e gas del 40%. Richieste, quindi, che a un paese ormai impoverito come l’Ucraina avrebbero portato ad un ulteriore e massiccio impoverimento per milioni di persone.

Janukovic non è mai stato un filantropo. Durante il suo mandato si è arrivati ad una lunga serie di pesanti attacchi sociali. Ma nonostante ciò, egli non si mise nella situazione di imporre il programma di tagli della EU nella maniera richiesta, cacciandosi così in una posizione sempre più complessa. Mentre il debito estero si raddoppiava, raggiungendo i 75 miliardi, le riserve d’oro dell’Ucraina andavano sciogliendosi, passando da 37 a 15 miliardi. La posizione di stato-cuscinetto, capace di sopravvivere tra Russia ed Europa, diventava sempre meno praticabile. Questo era il momento giusto per Putin di lanciare intelligentemente la sua soluzione per la svolta, facendo intravvedere la prospettiva di concedere prestiti e agevolazioni sul prezzo del gas all’Ucraina. Con lo scioglimento dei trattati associativi con la UE, tramite il governo di Janukovic, Mosca ha raggiunto obbiettivi importanti. Ma la risposta di Bruxelles e Washington non si fece aspettare a lungo.

Piazza Maidan

Tramite il duro intervento della polizia le proteste contro lo scioglimento dei trattati europei, inizialmente poco spettacolari, presero una dinamica particolare. L’indignazione contro la repressione, il malcontento sociale ed un diffusa sfiducia contro le élite politiche corrotte, si sono fuse in un vasto movimento di protesta sociale. Paradossalmente, però, tutti gli elementi presenti a Maidan non sono stati in grado, né sarebbe stato possibile, di articolarsi politicamente. Rivendicazioni sociali di qualsiasi genere erano pressoché assenti all’interno del movimento. Altrettanto assente la classe operaia come forza a sé. Al posto dei lavoratori, la piazza era dominata dai partiti d’opposizione pro-occidentali. Essi potevano contare sui massicci finanziamenti da parte della UE e degli USA. Secondo i dati del segretario di stato americano Nuland, il governo americano avrebbe investito dal 1991 intorno ai 5 miliardi di dollari per una “Ucraina benestante e democratica”, nel tentativo di porre le basi per una annessione del paese alla EU. Relativi dati da parte della EU non sono ancora stati resi pubblici. (1)

Tramite le mediaticamente utili visite di solidarietà di alti funzionari e rappresentanti politici della UE e degli Usa, come ad esempio il senatore americano Mc Cain, la ministra degli esteri della UE Catherine Ashton e i politici europei Elmar Brok (CDU) e Rebecca Harms (dei Verdi), il tutto prese una dimensione internazionale, quasi geopolitica. Anche questo contribuì ad accentuare l’escalation degli eventi. Questo porterà ad un altro importante e premeditato momento al Maidan: L’apparizione massiccia di forze fasciste come il Partito “Svoboda” e i gruppi organizzati paramilitarmente chiamatisi “Settore di destra”. La loro entrata in scena si è basata su di un lungo e sistematico lavoro di preparazione. Ed è proprio in Ucraina che i fascisti hanno trovato facile terreno fertile per fare cassa dalla miseria sociale, dalla frustrazione e dall’assenza di prospettiva che regna nel paese. Lo spostamento a destra dei dibattiti politici, la riabilitazione e dichiarazione a “Eroe dell’Ucraina” del fuehrer dei fascisti Stepan Bandera [capo delle forze filonaziste durante la Seconda guerra mondiale, collaboratore nello sterminio degli ebrei], da parte del governo “arancione” del presidente Juchenko il 22 gennaio 2010, non ha fatto altro che offrire ai fascisti ulteriori punti di forza. L’establishment politico ucraino è costellato da posizioni di destra e ultranazionaliste. Non a caso il partito del pugile Vitali Klitschko, voluto e finanziato dalla “Konrad Adenauer Stiftung”, una fondazione tedesca vicina alla CDU della Merkel, non si è fatto problema alcuno a stringere patti ufficiali con i fascisti di Svoboda.

Ma i fascisti non solo avevano il vento in poppa, avevano prima di tutto una buona infrastruttura finanziaria e organizzativa. Così gli è stato possibile di pagare ai loro sostenitori viaggi in autobus e indennità giornaliere, intimidire e cacciare gruppi più piccoli, per imporsi coi loro picchiatori, esperti di guerriglia urbana, a “protettori” della Patria contro le forze della Polizia. Con gli spari mortali al Maidan si toccò una soglia che portò di fatto alla prima svolta. E’ fino ad oggi poco chiaro cosa si nasconda dietro a questi colpi mortali. Quello che stava diventando invece sempre più chiaro, è che Janukovic non era più in grado di risolvere la situazione. Questo lo screditava ulteriormente agli occhi degli oligarchi che lo sostenevano, rendendolo sempre meno utile ai loro scopi. Appena gli oligarchi gli hanno voltato le spalle, la UE, con alla testa il governo tedesco, ha iniziato l’offensiva diplomatica con la scusa della de-escalation politica per diventare padrona della situazione.

Oligarchi, fascisti e arance ammuffite: una Rada per grazia della Merkel

Risultato di questi sforzi è stata la creazione del cosìddetto “governo di transizione” sotto Arseniij Jazeniuk, un fedele seguace della oligarca milionaria Julia Timoschenko. Politicamente parlando, a livello di regime, la trasformazione avvenuta è espressione di un insignificante o debole aggiustamento, considerata la complessa struttura tra gli oligarchi. Accanto alla “principessa del gas” Julia Timoschenko, ora stanno seduti Il magnate dell’acciaio Serghej Taruta, il re del cioccolato Petro Poroschenko, il mogul mediatico Wiktor Pinchuk come anche Igor Kolomoisky, che controlla insieme a Gennadiy Bogulybov la più grande banca del paese, e che con un capitale di 6,5 miliardi di dollari è il quarto ucraino più ricco. Anche Rinat Achmetow, che con 11 miliardi di dollari è uno degli uomini più ricchi del paese, che controlla la metà della produzione di acciaio, dell’estrazione del carbone e della produzione di energia elettrica, ha fatto una veloce virata: “l’utilizzazione della violenza e di assenza di legge che vengono dall'esterno sono inaccettabili”, ha detto intendere Achmetow. Il suo conglomerato di 300.000 dipendenti, “che rappresenta l'Ucraina dell'ovest nell'est e del nord al sud”, farà di tutto per mantenere salda l’integrità del paese. (2) E' chiaro che, con queste premesse, valeva la pena, per l'UE, rinunciare all'applicazione delle sanzioni contro di lui.

Il fatto che per la prima volta dal 1945 siano andati in un parlamento legittimato dalla Ue gruppi apertamente fascisti, è però una nuova realtà. Tramite la loro massiccia presenza al Maidan, i fascisti sono diventati una forza decisiva della politica ucraina. Hanno piazzato molti ministri e controllano importanti parti dello stato e degli apparati della sicurezza di stato. Questo ha incoraggiato la loro base a procedere violentemente contro le altre poco gradite forze politiche e ad instaurare una vera e propria atmosfera da pogrom. In questo clima di paura sono state chiamate in vita organizzazioni di supporto e aiuto ebree per gli ebrei che vivono in Ucraina. Alcuni rabbini hanno invitato la loro comunità a fuggire da Kiev. (4)

Accanto al divieto della lingua russa come seconda lingua ufficiale, i fascisti hanno portato nella Rada una iniziativa di legge che punta all’abolizione di un articolo del codice penale, che pone sotto accusa la negazione dei crimini del fascismo. Tutti questi provvedimenti hanno messo in allarme e in agitazione le regioni di lingua russa dell’Ucraina dell’est. Le loro paure non sono senza fondamento. Il partito Svoboda , fondato nel 1991 come “Partito socialista nazionale”, non ha mai fatto mistero delle proprie posizioni. Tra i loro obiettivi principali c’è il progetto di una “Grande Ucraina etnicamente pura”, l’eliminazione dell’autonomia e il relativo inserimento della Crimea nello stato ucraino, la “liquidazione della simbologia bolscevica” e l’entrata dell’Ucraina nella Nato con status di potenza nucleare. “Per creare una Ucraina veramente ucraina nelle città dell’est e al sud… dovremo eliminare il parlamentarismo, vietare tutti i partiti, statalizzare l’intera industria, i media e vietare l’importazione di certa letteratura dalla Russia in Ucraina… Tutti i vertici delle autorità del servizio pubblico, dell’istruzione e le autorità militari(soprattutto all’est) devono essere completamente cambiate, tutti gli intellettuali di lingua russa e tutti gli ucrainofobici devono essere liquidati fisicamente (velocemente e ammazzati senza processo! Ogni membro di Svoboda può denunciare ucrainofobici), tutti i membri di partiti antiucraini devono essere giustiziati…” venne dichiarato nel 2010 in uno statement pubblicato su di un forum ufficiale del partito. (5)

Accanto alla idolatria del fuehrer ucraino dei fascisti Stepan Bandera, i leaders dell’organizzazione si mostrano volentieri in uniforme SS. (6) Nell’aprile del 2013 Svoboda organizzò a Lviv una marcia in onore della Divisione SS-galizia, alla fine della quale, in municipio, vennero distribuite medaglie agli allora uomini delle SS. Ciononostante, per l'ambasciatore della Ue in Ucraina, Jan Tombinski, “il partito(Svoboda) è un partner alla pari per dibattere con la UE”. (7) Anche il governo federale tedesco non ha paura di entrare in contatto con Svoboda: “Svoboda può essere un partito populista di destra e nazionalista, che rappresenta in parte posizioni di estrema destra, che però nel suo lavoro parlamentare non lascia riconoscere tracce di tendenze di estrema destra”, fece sapere il governo tedesco. (8) Similarmente si è espresso Elmar Brok, presidente della commissione per le opportunità estere del parlamento europeo. (9) Svoboda non è un partito che ama, che ha però reso possibile la caduta di Janukovic, spiegò il politico della CDU, anch’esso comparso sulla scena di Maidan, al giornale italiano Panorama. “Fintanto che tale partito si impegna a livello giuridico-statale nella messa a punto della democrazia”, tutto è in ordine. “Questo è, credo, il punto fondamentale, non i paroloni del passato.” (10)

Sullo sfondo delle proclamazioni del presidente federale Gauck riguardo al cambio di rotta verso una “più decisa politica estera”, il paesaggio mediatico tedesco era tutto un complimento nei confronti dell’offensiva diplomatica tedesca verso Kiev. Nella figura del ministro degli esteri Fran-Walter Steinmeier, la repubblica federale avrebbe interpretato egregiamente “il suo ruolo di guida in Europa”,ha proclamato l'organo conservatore “FAZ” [Frankfurter Allgemeine Zeitung]. Senza il tenace lavoro di convincimento del ministro degli esteri della Germania, della Francia e della Polonia, “l’Ucraina sarebbe sprofondata sempre di più sul terreno dell’aperta guerra civile, questo se lo possono ricordare anche gli americani.” (11)

C’erano e ci sarebbero, secondo l’ufficio della commissione estera, valide motivazioni per questo tenace lavoro: l’Ucraina mostra una serie di posizioni geopolitiche vantaggiose. Un mercato interno relativamente grande con una popolazione di circa 45,6 milioni di abitanti, alcuni settori di nicchia altamente sviluppati come la costruzione di missili e aerei, la vicinanza geografica ai mercati della UE e dell’Esteuropa, grandi potenzialità del mercato interno, di investimenti di modernizzazione, buoni presupposti naturali per l’agricoltura come anche un livello salariale relativamente basso rispetto ad un livello di specializzazione relativamente alto.” (12)

Più sfacciatamente e comprensibile anche per chi non se ne intende, il portale online della Tagesschau fece il punto sugli interessi tedeschi: “L’Ucraina è, sia per la Russia che per l’Ue, interesse militare, visto che in Crimea sta stanziata la flotta del Mar nero. Come secondo stato dopo la Russia, per estensione territoriale, l’Ucraina è la riserva di grano dell’Europa” e inoltre uno dei “più importanti pezzi del mosaico del progetto russo per una Unione euroasiatica”. Tramite un’annessione dell’Ucraina nella cornice del pianificato patto di libero commercio, gli europei potrebbero “allargare il loro mercato e avere più facile accesso alle materie prime e ai tesori della terra dell’Ucraina.” (13)

Questo risveglia ricordi di vecchie strategie d’espansione tedesche. Con l’esempio di una arancia, senz’altro interessante dal punto di vista odierno, il vecchio “regista” degli affari esteri, Paul Rohrbach (1869-1956), spiegava durante la prima guerra mondiale gli obiettivi della politica per l’Est contro la Russia: “Come questo frutto è composto da singole parti facilmente divisibili tra loro, così l’impero russo è con le sue parti di territorio: Provincie baltiche, Ucraina, Polonia etc. “ Se si riuscisse a “staccar le une dall’altra e dar loro una certa autonomia” sarebbe “facile gioco, mettere fine all’impero grande russo”. (14) Tuttavia, oggi, certe “teorie della decomposizione” non sono più del tutto esatte. Lo spicchio da dissolvere è ormai abbondantemente marcio. L’Ucraina è economicamente alla frutta e di fatto davanti alla bancarotta. Così la necessità obbligata verso l’est si dimostra essere allo stesso tempo un gioco rischioso quanto costoso. Per di più deve ancora essere dimostrato se la “forza dirigente europea”[la Germania], quando ha innalzato il livello dello scontro con la Russia, abbia mosso bene le sue pedine su questa nuova partita.

La battaglia per l’Eurasia – la fase scottante del Great Game

Il travestimento dei diversi “Corpi di difesa” e le formazioni di cosacchi che Mosca ha messo in azione in Crimea, potrà anche essere originale, ma non erano necessari nelle regioni sudorientali dell’Ucraina. Gli eventi di Kiev hanno portato a bollire tensioni e desideri di separatismo. Con un diffuso mix di propaganda di retorica “antifascista”, nostalgia sovietica e nazionalismo grande-russo, Mosca cerca di scaldare ulteriormente la situazione per poi passare all’azione. Giusto la Crimea ha in Russia un alto valore simbolico nazionalista, oltre, naturalmente ad essere di grande interesse strategico. La perdita della Crimea e della base navale Sevastopol, ridurrebbe di molto la possibilità di intervento della Russia nell’area del Mediterraneo e nella regione del Caucaso. Già nel 2008, durante la guerra in Georgia, la Crimea era oggetto di forti dispute, quando l’allora pro-occidentale presidente Juschenko minacciò di non prolungare il trattato di stazionamento della flotta del Mar Nero. Ma la posta in gioco è molto più alta della sola Crimea. La crisi attuale è solamente il culmine di una lunga serie di conflitti imperialistici. “Siamo consapevoli, che l’appartenenza alla Nato di una Germania unita potrebbe evocare domande complesse. Per noi però resta fermo un punto: la Nato non si allargherà ad Est. E per quanto riguarda l’allargamento della Nato questo vale in generale”, avrebbe assicurato l’allora ministro degli esteri Genscher, secondo una notizia di protocollo a lungo tenuta segreta, del 10 febbraio del 1990 all’allora negoziatore sovietico Schevernadze, a margine dei negoziati “Due-più due-quattro”. (15)

Di fatto, però, accadde il contrario. Sistematicamente si portò avanti l’allargamento ad est della Nato. Nel 1999 vennero accolte nella Nato la Polonia, la repubblica Ceca e l’Ungheria. Cinque anni dopo seguirono le repubbliche baltiche, cioè la Lituania, la Lettonia, l’Estonia come anche la Bulgaria, la Romania, la Slovacchia e la Slovenia. Nel 2009 si unirono al trattato militare occidentale anche l’Albania e la Croazia. Il piano di uno scudo antimissilistico US in Europa, le guerre in Iraq, il conflitto intorno alla Siria e il variopinto spettacolo delle varie “rivoluzioni” - “Rivoluzione delle rose” del 2003 in Georgia, la “Rivoluzione arancione” del 2004 in Ucraina e la “Rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan nel 2005 - sono stati materia di ulteriore conflitto. La Russia reagì a questo accerchiamento col progetto di una “Unione Euroasiatica”. Secondo l’esempio della EU e i piani del Cremlino, Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Tajikistan, Kirghizistan e l’Ucraina dovrebbero formare un blocco economico comune. L’allora ministro per gli esteri americano Hillary Clinton, definì questo progetto nient’altro che una riproposizione dell’Unione Sovietica”. Con “l’Unione Euroasiatica” si creerebbe tra la Cina e il “mondo occidentale” una nuova forza con una politica militare e di sicurezza dominata dalla Russia. Non da ultimo, per via del controllo geostrategico di importanti materie prime e passaggi energetici, si creerebbe per gli USA e la UE un pesante contrappeso.

Già nella guerra di Cecenia, Mosca mostrò la sua intransigenza nella difesa dei suoi confini esteriori, difendendoli con la violenza. Nel corso della guerra di Georgia nel 2008, la Russia poté imporre alle ambizioni occidentali un chiaro rifiuto. Anche nel braccio di ferro diplomatico intorno alla Siria, sono stati raggiunti importanti obiettivi contro gli USA. Nella questione ucraina, che giocherebbe un ruolo fondamentale nei piani per una “Unione Euroasiatica”, si tratta quasi di una questione interna. “Senza l’Ucraina la Russia non sarebbe più un regno euroasiatico” spiegò l'eminenza grigia della geopolitica degli Stati Uniti, signor Zbigniew Brzezinski, nel suo libro “L’unico potere mondiale: La strategia del predominio americano”. “Da che la sua esistenza come Stato indipendente contribuirebbe al cambiamento della Russia”, l’Ucraina sarebbe fulcro e caposaldo di questo obiettivo e proprio nella situazione attuale si offrirebbe ad un deciso intervento da parte dell’occidente. Per essere pronta ad ogni evenienza, la Nato dovrebbe applicare i propri piani di emergenza e posizionare più truppe in Europa centrale. (16) “Se la UE volesse giocare una parte seria nel mondo, lo potrebbe fare a partire dall’Ucraina.”, così Brzezinski. (17)

L’obbiettivo strategico di questa politica si lascerebbe ridurre ad una semplice formula: Chi controlla l’Eurasia, controlla il mondo. Per rendere possibile (nella logica dell’imperialismo) tutto questo, si dovrebbe respingere e spezzare definitivamente l’influsso della Russia, che di certo non starebbe a guardare. La perdita della Ucraina sarebbe un incredibile colpo per le grandi ambizioni di potere della Russia. Mosca userà tutto il suo potere politico e i mezzi a sua disposizione per evitare l'integrazione all'Occidente, con tanto di appartenenza alla Nato, e/o tenterà di staccare, oltre alla Crimea, anche altre regioni del sud e dell’est del paese dall'Ucraina.

Decisamente buoni amici. La dinamica geopolitica della crisi

A riguardo della posizione dura della Russia, si stanno nel frattempo, aprendo divergenze tra l’UE e gli USA. Mentre gli americani e gli stati Nato est europei ,come la Polonia, la Lituania, l’Estonia e la Lettonia, spingono per un intervento più severo contro la Russia, la Repubblica Federale punta su una linea più moderata. Questo perché – ma non solamente perché – la Germania si è sforzata per conservare e utilizzare un “margine di manovra politico”. La Repubblica federale importa il 40% del suo gas e il 35% del suo petrolio dalla Russia. Il volume di investimento delle imprese tedesche ammonta a 22 miliardi di dollari. C’è quindi molta carne al fuoco in questo gioco. Il calcolo di annettere l’Ucraina in modo possibilmente rapido e senza far rumore si è dimostrato essere un calcolo grossolano. Per questo, ora la Germania è impegnata a mantenere possibilmente bassi i costi e a lavorare sulla conquista di spazi politici nel ruolo di mediatore. Allo stesso tempo, ci si deve rendere conto che di fronte alla situazione creata, non si può vendere il pelo dell’orso russo senza averlo ucciso. “Il passo numero tre è sempre stato nei miei pensieri. La giornata di oggi ha rafforzato ancora di più questa decisione”, spiegò la cancelliera tedesca Merkel, dopo che il summit straordinario dell’Ue, il 6 marzo, per la prima volta dalla fine della guerra fredda, ha deciso un piano di sanzioni a più livelli contro Mosca. (18)

Agli USA, i ripensamenti economico-politici della UE e in particolare quelli della Germania, non sono di alcun interesse. Gli USA non sono particolarmente legati alla Russia, né per le politiche energetiche né per le questioni economiche, e dopo le difficoltà in seguito ai contraccolpi del conflitto in Siria e ai problemi suscitati dall’affare NSA, vedono la possibilità di recuperare un po' di terreno politico andato precedentemente perduto. La molteplicità delle voci e la fragile costellazione di interessi della comunità degli stati occidentali, non rendono la situazione meno pericolosa. Di fronte al fatto che la Cina abbia ingigantito il suo bilancio militare a 95 miliardi di Euro, dimostra l’esplosività dell’attuale dinamica di crisi geopolitica. (19)

Riguardo al conflitto ucraino, la Cina, fino ad ora, si è solo espressa con moderazione e circospezione. A lungo termine, però, l’annessione dell’Ucraina al blocco occidentale toccherebbe anche importanti interessi economici e strategici di Pechino. La Cina ha all’attivo in Ucraina progetti d’investimento miliardari e insegue, nella cornice della “Shangai Cooperation Organisation”, una politica di stretta collaborazione economica e militare con la Russia, così tende a respingere l’influenza degli USA nell’Asia centrale. Non è quindi da escludere che Pechino continui a mantenere una posizione neutrale nel caso di un’acutizzazione del conflitto.

Non esiste un “lato giusto” nella guerra imperialista

La zuffa odierna intorno a “sanzioni”, “soluzioni diplomatiche” e “reazioni militari” corre lungo la linea di un pericoloso gioco d’azzardo. Un gioco che si gioca su poste elevate e alleanze cangianti. Un gioco nel quale chiunque può essere il bersaglio successivo. Gli slogan “integrità territoriale”, “autodeterminazione nazionale” e “sovranità statale” rappresentano come sempre solo la musica d’accompagnamento ideologica. Il ritmo lo suggerisce la crisi che porta al culmine le diatribe tra la classe dominante per il controllo del potere e del territorio. L’odierno groviglio non è quindi solo opera di singoli stati o di politici incapaci, bensì il “Prodotto di un determinato grado di maturità nell’evoluzione mondiale del capitalismo, un fenomeno internazionale per sua propria natura, un tutto inseparabile che non non si può capire che nel senso dei suoi rapporti reciproci e al quale nessuno stato può sottrarsi” (Rosa Luxemburg) Per questo sarebbe fatale scegliere una “parte giusta” o sperare in “un male minore”.

Quando sedicenti “sinistri” si schierano da uno dei giocatori del poker del potere ucraino, giustificando, a scelta, i “processi base della democrazia”, il “diritto all’autodeterminazione” o il presunto “antifascismo” di Putin, essi dimostrano ancora una volta di essere parte del problema. Simili “posizionamenti tattici” sono fortemente legati alla cornice interpretativa della classe dominante e contribuiscono solamente a cementare ideologicamente gli attuali rapporti. La difesa della “Nazione” e della “Patria” significa sempre e ovunque la difesa del capitalismo, un sistema che conduce l’umanità sempre più profondamente verso il caos, la guerra e la barbarie. Non esiste un nazionalismo -in qualche modo- “progressista” o “sano”. Il nazionalismo potrà anche prendere le più svariate forme, ma si baserà sempre sull’identificazione con i propri sfruttatori e la sottomissione del proletariato ai bisogni dello stato e del capitale. L’unica via d’uscita da questo dilemma consiste ne “…la liberazione spirituale del proletariato dalla tutela della borghesia, espressa dall'influenza dell'ideologia nazionalistica”(Rosa Luxemburg), nell'infischiarsene della Nazione e del posizionamento a favore dei contendenti borghesi e nell'intraprendere la lotta per i propri interessi. Movimenti sociali e di sciopero, i quali si sottraggono al controllo dello stato e del sindacato, sono già da sempre l’unico realistico programma contro la guerra.

Ma questa possibile reazione di classe da sola non basta, essa deve essere indirizzata politicamente, verso il programma politico rivoluzionario, per liberarsi dal capitalismo ed aprire le porte alla realizzazione di una società diversa, comunista. Questo richiede una cornice organizzativa, la costruzione di un'organizzazione comunista, internazionale ed internazionalista che sia in grado di indicare una prospettiva che porti fuori dalla spirale mortale del capitalismo di crisi e di guerra. Non è facile, certo. Tuttavia, di fronte alla forza distruttiva scatenata dal capitalismo non esiste nessun’altra alternativa. “Il delirio cesserà e lo spettro infernale sparirà solo a condizione che i lavoratori [di Germania e di Francia] sappiano finalmente riscuotersi dalla loro ubriacatura, stringersi fraternamente per mano e sovrastare il coro bestiale della canea imperialistica cosi come le roche strida delle iene capitalistiche, col vecchio e possente grido di guerra del lavoro: Proletari di tutti i paesi, unitevi!” scriveva Rosa Luxemburg quasi cent’anni fa nel mezzo della confusione della guerra imperialista [La crisi della Socialdemocrazia - Juniusbroschure]. Parole che oggi non hanno perso alcunché di attualità.

GIS

(1) Siehe dazu state.gov

(2) n-tv.de

(3) timesofisrael.com

(4) jewishpress.com

(5) wsws.org

(6) Bericht des russischen Fernsehsenders Rossija 1: youtube.com

Vedi anche: worldjewishcongress.org

(7) Interview im Focus vom 21.Dezember 2013

(8) dip21.bundestag.de

(9) Elmar Brok può riguardare la sua rapida carriera. Nel 2007 è perfino stato eletto “fumatore di pipa dell’anno”. Il politico europeo è già da molto tempo impegnato in Ucraina e si è adoperato per la liberazione della Timoschenko. Il suo impegno per la democrazia e i diritti umanitari a Kiev, combinati alla frequentazione di bordelli locali, per poi esprimersi in modo sprezzante sulle donne ucraine gli è stato rinfacciato dal gruppo Femen: femen.org . Secondo Brok, il gruppo Femen si sarebbe letteralmente fatto abbindolare da una campagna di disinformazione del governo ucraino. Brok si intende molto bene di campagne di disinformazione e così ha sfruttato i suoi contatti con l’editore della FAZ Günther Nonnenmacher, per zittire un giornalista che si era esprsso criticamente nei suoi confronti. Dalla “Zeitung für Deutschland”(Giornale per la Germania) tutto questo èstato naturalmente smenito.

(10) daserste.ndr.de

(11) faz.net

(12) auswaertigesamt.de

(13) tagesschau.de

(14) Walter Mogk: Paul Rohrbach und das “Größere Deutschland”. Ethischer Imperialismus im Wilhelminischen Zeitalter, München 1972

(15) spiegel.de

(16) washingtonpost.com

(17) huffingtonpost.com

(18) Berliner Zeitung, 7.3.2014

(19) eurasischesmagazin.de

Lunedì, March 31, 2014