Ad un secolo dai massacri della Prima guerra imperialista mondiale

Si sta per celebrare il “centenario della Grande Guerra” e pochi sanno che il precedente Governo Letta aveva già stanziato per quest’anno ben 8milioni di euro e poi 5milioni nei successivi anni fino al 2018 per interventi “infrastrutturali”. Inoltre: 1,5milioni di euro per il 2014, ’15, ’16 destinati ad eventi commemorativi.

Scoppia la Prima Grande Guerra imperialista. Nel 1914 la classe borghese è in Europa la sola classe nazionale: è finita l’epoca delle guerre di indipendenza; la prima Guerra mondiale riguarda esclusivamente il predominio tra le borghesie dei diversi Stati: borghesie solidali come classe, nemiche fra di loro come nazioni.

Siamo entrati in pieno nella fase imperialistica. Scrive Lenin (nell’Imperialismo fase suprema del capitalismo): "L'imperialismo è il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitali ha acquistato grande importanza, è cominciata la spartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i grandi paesi capitalistici". (Pag. 100-101, Ediz. Rinascita 1956)

La guerra mondiale del 1914-1918 fu un colossale massacro, un tragico macello di carne umana: complessivamente più di 26milioni di morti (metà civili) e 20milioni di feriti: persone menomate, disabili e traumatizzati in modo irreversibile. La seconda guerra mondiale allargherà il numero delle vittime militari a 22milioni500mila, e farà un vero e proprio sterminio epocale fra la popolazione civile: 48milioni525mila morti. In totale le vittime della Seconda guerra Mondiale raggiunsero la spaventosa cifra di 71milioni100mila. Questi sono i fasti della “civiltà borghese”; un capitolo terrificante del Libro nero del capitalismo!

L’Italia giustificò il proprio intervento nel conflitto bellico che insanguinò l’Europa spacciandolo come la guerra finale per la sua indipendenza nazionale; furono richiamati alle armi 5milioni200mila uomini e alla fine si contarono 750mila morti: 600mila caduti in combattimento e 150mila fra la popolazione per cause di guerra. Oltre 1milione i feriti (500mila rimasero mutilati o invalidi permanenti) e circa 2milioni gli ammalati per cause belliche.

Anche la maggior parte degli osservatori borghesi non ha potuto in seguito fare a meno di segnalare l’impreparazione militare dell’Italia, la scarsità dei rifornimenti e gli errori della logistica, con conseguenti enormi perdite di uomini e mezzi. Da parte di alcuni si è parlato addirittura di una vera e propria “stupidità militare”, come quella ampiamente dimostrata da Cadorna con i suoi disastrosi attacchi frontali compiuti con truppe mal equipaggiate, insufficienza di artiglieria e mitragliatrici. Un Cadorna che così commentava, fra cataste di morti: «Le sole munizioni che non mi mancano sono gli uomini»…

Lo sfibrante stallo della guerra di logoramento rivelava quasi quotidianamente i segni di cedimento nelle compagini degli apparati militari. Si generalizzava lo scollamento fra i reparti mentre le “offensive” si concludevano con perdite umane spaventose. Sempre più alto diventava il numero dei prigionieri consegnatisi agli austriaci; aumentavano i casi di rifiuto delle consegne, così come le diserzioni, il mancato ritorno alle unità dopo i rari permessi, gli atti di autolesionismo. L’apparato militare di controllo e di repressione aumentò quindi i suoi sforzi per mantenere ordine e disciplina, in contemporanea quasi con i segnali che anche dall’interno del paese giungevano a seguito di alcune manifestazioni di malcontento e di protesta, che in particolare a Torino nell’agosto 1917 si trasformarono in una vera e propria insurrezione.

Torino si presentava in Italia come la prima città industriale con centinaia di migliaia di operai (industria metallurgica e automobilistica). Col peggiorare delle condizioni di vita del proletariato, fin dal 1915 si ebbero scioperi e manifestazioni che nell’agosto 1917 – venendo a mancare addirittura il pane – sfociarono in uno sciopero generale. Vi contribuì certamente anche l’eco di quanto stava accadendo in Russia, fino al verificarsi di vere e proprie battaglie di strada, con barricate, rotaie del tram divelte e scontri a fuoco. Presto la cosiddetta “cintura rossa” (i quartieri periferici) fu controllata dagli “insorti”. Si tentò anche, in particolare da parte di gruppi di donne eroicamente scese in strada a fianco dei loro uomini, una fraternizzazione con i soldati che presidiavano il centro della città con mitragliatrici e tank contro i quali si gettavano donne e giovani disarmati. L’insurrezione sarà domata presto, anche per la quasi totale mancanza di armi da parte dei proletari: alla fine delle giornate di lotta si contarono più di 50 morti fra i dimostranti, 200 feriti ufficiali e un migliaio di arrestati. Centinaia furono poi le condanne a diversi anni di carcere.

Le nude e crude cifre ufficiali provenienti dal fronte di guerra ci danno un quadro incompleto, ma ciò nonostante terrificante, di una condotta repressiva che contraddistinse (persino un gradino forse più avanti degli altri Stati) i vertici militari italiani, impegnati nello stringere gli anelli di una catena di drastici interventi contro i propri soldati bollati come indisciplinati, codardi e disertori. Si trattò di una serie di tragici episodi che assunsero le caratteristiche di veri e propri omicidi. In alcuni casi sul fronte italiano si ebbero non solo episodi isolati con protagonisti singoli soldati, ma anche principi di ammutinamento collettivo – in particolare nell’estate 1917 – da parte di gruppi di soldati o interi reparti; uomini che non sopportavano più la guerra di trincea (fra l’altro in condizioni igieniche bestiali) e i morti accumulati sul teatro di battaglie assurde ed inutili, e che si ribellavano ai comandi degli apparati militari.

Particolarmente grave (anche per la ferocia con cui fu bloccata) sarà la sedizione dei reparti della brigata Catanzaro nel luglio 1917 a Santa Maria la Longa (Palmanova).

Si trattò di un vero e proprio ammutinamento di massa, con conflitti a fuoco contro la polizia militare e il comando di brigata. Una decina i morti; seguirono arresti, una decimazione con fucilazioni immediate ed altre esecuzioni sommarie (trenta e più soldati). Tutto il reparto fu subito trasferito al fronte in prima linea. Decine di soldati vennero denunciati al tribunale di guerra che poi condannò a morte quattro soldati e altri a pene detentive. Una sentenza esemplare, tanto più che alcuni “accusati” avevano espresso “intenti rivoluzionari”…

Va rimarcato che insubordinazioni di massa si verificarono anche fra le truppe francesi e quelle russe. In Russia molti reparti si disgregavano e abbandonavano le linee di combattimento; in Francia si succedevano episodi di ammutinamento e di diserzione; lo stesso accadeva anche nell’esercito asburgico, dove la protesta cresceva col passare del tempo, e nei reparti tedeschi e inglesi.

La giustizia militare italiana godeva di una vasta elasticità di norme; i tribunali militari istituirono 100.000 processi per renitenza; altri 370.000 a carico di “emigrati”. 60.000 furono i processi ai civili; 340.000 contro militari alle armi (diserzioni e rifiuto all'obbedienza). Il risultato finale fu che almeno un soldato su 12 fu processato; i fucilati dopo regolare processo furono tra i 1000 e i 1500 (non è possibile avere dati precisi) Più numerosi furono i fucilati direttamente sul campo per disubbidienza agli ordini dei “superiori” o i soldati uccisi in battaglia dal “fuoco amico” al minimo accenno di fuga. Frequenti (ma difficilmente controllabili) furono anche le decimazioni, le fucilazioni eseguite per "dare esempio”, per incutere terrore e spronare ad inutili e sanguinosi assalti. E ancora: le condanne a morte emesse in contumacia furono 4.028. Vi furono poi 40.000 condanne con pene superiori ai 7 anni; 15.345 all'ergastolo.

I tribunali processarono durante tutto il conflitto 262.500 soldati, condannandone ben 170.000, con una percentuale pari al 62,2%.

Gli ufficiali processati furono 2658 con una percentuale di condannati pari al 35,4%, inferiore quindi alla percentuale dei soldati condannati. In termini percentuali, il 6% del totale di ufficiali mobilitati durante il periodo bellico fu comunque rinviato a giudizio ed il 4% di questi subì una condanna.

Di più non è dato sapere, per non rischiare un… processo postumo.

La iniziale “guerra lampo” si trasformò di mese in mese in una lunga e stremante guerra di posizione, con centinaia di migliaia di uomini ammucchiati in trincee melmose diventate focolai di epidemie mortali, con assalti massacranti per la conquista di poche centinaia di metri di terreno, a costo di migliaia di morti conseguenti all’utilizzo di armi di nuovissimo tipo: mitragliatrici, aerei e uso di gas asfissianti. I soldati non erano altro che carne da macellare, costretti ad sanguinose quanto inutili operazioni difensive od offensive, sottoposti ad una rigida disciplina che se non rispettata portava a processi non solo dei Tribunali Militari ma anche sommariamente svolti secondo il libero arbitrio dei “superiori” e spesso conclusi con esecuzioni sul campo. Veri e propri assassinii per ostacolare quelli che si definivano «episodi di _sbandamento, codardia, rivolta, ammutinamento,_ eccetera». Dunque, mentre la “liberale” borghesia italiana (poi si trasformerà in fascismo…) diffondeva fiumi di patriottica retorica, sul fronte chi osava accennare ad un minimo di protesta rischiava la fucilazione.

Esiste tutta una serie di bandi e circolari emanate dal Comando supremo dell’Esercito che confermano gli ordini di fucilazione alla schiena mentre i Tribunali Militari distribuivano “esemplari” condanne di “giustizia punitrice”: dai lavori forzati a vita, alla reclusione ordinaria, degradazione militare e destituzione. Appartenevano alle pene non infamanti la fucilazione al petto (anziché alla schiena), la reclusione militare, la rimozione e la sospensione dal servizio.

Una Circolare (28 settembre 1915) firmata dal generale Cadorna, il Generalissimo d’Italia, incitava i soldati a “convincersi” che «il superiore ha il sacro dovere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi (…) Ognuno deve sapere che chi tenti ignominiosamente di arrendersi o di retrocedere, sarà raggiunto, prima che si infami, dalla giustizia sommaria del piombo delle linee retrostanti o da quello dei carabinieri incaricati di vigilare alle spalle delle truppe, sempre quando non sia stato freddato prima da quello dell’ufficiale».

I carabinieri, aggregati ad ogni reparto con compiti di polizia militare, ma anche gli ufficiali e i sottufficiali, potevano sparare a vista sui ribelli, su chi si rifiutava di avanzare verso la morte o su chi ripiegava disordinatamente perché mitragliato dall’esercito nemico. Quindi i carabinieri stavano in fila dietro i soldati, pronti a sparare su chi non andava all’assalto o si ritirava. Per aiutare il “lavoro” dei carabinieri, i loro ufficiali intervenivano a colpi di rivoltella…

Ritorniamo sulle più “energiche misure di repressione” che furono giustificate dalla necessità di reprimere manifestazioni di indisciplina e diserzione, al di fuori delle procedure giudiziarie normali.

«Si è perciò dovuto ricorrere a fucilazioni immediate, su larga scala, e rinunciare alle forme del procedimento penale, perché occorre troncare il male nelle sue radici e finché si può sperare di arrivare in tempo». Così Cadorna in una lettera al Presidente del Consiglio, Boselli, nel giugno 1917; un Cadorna che continuava a minacciare la reintroduzione della decimazione, «un supremo atto di repressione, che incoscientemente si volle togliere dal codice penale militare, ma che è arma necessaria, oggi più che mai, in mano al Comando, data l’”improvvisazione”, su larga scala, delle truppe e il veleno che esse attingono dai contatti col Paese». Questo era uno dei tasti su cui batteva il contenuto della corrispondenza gerarchica. Sorvolando sul fatto che la fucilazione di soldati scelti a sorteggio (“decimazione”) era già stata introdotta dallo stesso Cadorna, in qualità di capo di stato maggiore, con una circolare del novembre 1916. Il telegramma del 1° novembre 1916 così la ordinava: «…ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello dell’immediata fucilazione dei maggiori responsabili e allorché l’accertamento personale dei responsabili non è possibile rimane il dovere ed il diritto dei comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la morte…». Dovevano essere di “salutare esemplarità”!

Sempre “ufficialmente” si contarono più di 300 esecuzioni sommarie e varie decine di decimazioni. Era un “sacro dovere” sopprimere ogni responsabile di “codardia o rifiuto ad effettuare gli assalti dalle trincee”. Quando non scattava la pena capitale venivano a volte applicati dei sistemi barbarici di punizione: col “reticolo”, per esempio, si legava per diverse ore ad un palo, nelle vicinanze della trincea, un soldato colpevole di mancanze anche minimali. Infine, se le condanne dei Tribunali erano brevi, subito si ritornava a combattere, rimandando la pena, da scontare in galera, alla fine della guerra!

Sia il Governo che i comandi militari erano inoltre infastiditi dal “pacifismo antipatriottico” (con qualche punta di antimilitarismo) del Partito socialista; si scagliavano, ingigantendolo come un “veleno” diffuso nel corpo sano dell’esercito, contro l’atteggiamento disfattista dei “nemici interni”, presente in alcuni gruppi del fronte politico nazionale e nella società civile. Questo sempre mentre continuavano numerose le diserzioni e gli atti di indisciplina: insubordinazione, rifiuto d’obbedienza, ammutinamento e rivolta. Pene severissime, compresa la fucilazione, anche per gli autolesionisti i quali addirittura si amputavano gli arti e persino si procuravano la cecità per evitare gli assalti alla baionetta in prima linea. Altri dati: per diserzione i processati furono 162.563 di cui 101.000 condannati; indisciplina (24.600 condanne); furto (16.522 condanne; automutilazione (10.000 condanne); sbandamento o resa (5.325 condanne); violenza o vie di fatto (3.510 condanne); reati sessuali (532 condanne). Molti ufficiali di complemento furono processati per lettere denigratorie o disfattismo.

Nel 1917 avvenne la rovinosa disfatta di Caporetto che fu incolpata ad uno “sciopero al fronte” dei soldati italiani. Di fronte alla fuga caotica di centinaia di migliaia di soldati, senza più alcun collegamento né ordini da parte dei comandi militari, Cadorna si scagliò contro i soldati stessi accusandoli di viltà.

Il “vate” D’Annunzio (simbolo del Decadentismo ed “eroe di guerra”) scrisse sul "Corriere della sera": «Di chi si rende prigioniero, si può veramente dire che pecchi contro la Patria, contro l’ Anima e contro il Cielo»…

I trecentomila soldati italiani fatti prigionieri dagli austriaci saranno ricoperti di ingiurie e calunnie. Furono persino totalmente bloccati i pacchi viveri inviati dalle famiglie ai prigionieri italiani (molti internati in campi che si riaprirono nella Seconda guerra mondiale, come quelli di Mathausen e Theresienstadt), perché ritenuti “responsabili del crollo difensivo italiano”. E furono più di 100mila i soldati italiani che trovarono la morte nei campi di concentramento austriaci, abbandonati dai loro comandi prima, disonorati poi, lasciati morire di fame e di stenti dal quella Patria che sia in tempo di pace sia in tempo di guerra si nutre del sangue delle masse proletarie.

Concludiamo riportando alcuni brani della Canzone di Craonne (Francia, 1917), composta da un soldato semplice francese, fra il fango e il sangue delle trincee, cumuli di morti, uomini feriti e con terribili amputazioni, sofferenze e dolori bestiali.

…E fa pena vedere sui grandi viali
tutti quei borghesi in festa;
se per loro la vita è rosea,
per noi non è la stessa cosa.
Invece di nascondersi, tutti quegli imboscati
farebbero meglio a scendere in trincea,
per difendere i loro averi; noi non abbiam nulla,
noialtri, poveri morti di fame.
Tutti i compagni son sepolti là
per difendere gli averi di quei signori.
Quelli coi soldi ritorneranno a casa
perché è per loro che noi si crepa.
Ma ora basta, perché i soldatini semplici
ora si metteranno in sciopero.
Sarà il vostro turno, grassi borghesi,
di salire sull'altopiano,
perché se volete la guerra
pagatela con la vostra pelle…

In Italia, la canzone Gorizia fu ritenuta scandalosa (Festival di Spoleto 1964) e disfattista; accusata di “vilipendio alle Forze Armate” poiché una strofa recitava: “traditori signori ufficiali/ questa guerra l'avete voluta/ scannatori di carne venduta/ e rovina della gioventù"…

DC
Martedì, April 1, 2014