Rivolta in Bosnia: nazionalismo, “democrazia”, classe

Potrebbero non durare a lungo ma di certo ci sono molti elementi positivi nelle lotte iniziate in Bosnia lo scorso febbraio. Il motivo alla base è stata la privatizzazione di 5 industrie nel Canton Tuzla. Tali aziende erano la Dita, la Polihem, la Poliolhem, la GUMARA e la Konjuh. In passato le privatizzazioni hanno visto come passo successivo la chiusura. Inoltre, una delle cose assolutamente normali nella ex Yugoslavia, è il fattore che ha acceso la miccia delle rivolte: la feroce risposta della polizia.

In generale, la risposta della polizia è stata davvero dura ed è stata una delle cause di queste rivolte. Ci sono numerosi video che mostrano la polizia mentre picchia i manifestanti, gli tira le pietre o li getta nei fiumi (1).

È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Il 7 febbraio la Bosnia era in piena sollevazione contro la corruzione al governo, contro la disoccupazione e in generale contro la situazione sociale. Le contraddizioni sono esplose e le masse si sono riversate nelle strade. A Tuzla, la polizia si è arresa di fronte ai manifestanti, ha abbassato gli scudi, gli elmetti e i manganelli, ed ha lasciato che le masse assaltassero gli edifici. I manifestanti hanno bruciato il quartier generale del Parlamento di Tuzla e quello dell'amministrazione cittadina (2).

All'alba delle proteste, il primo ministro ha rassegnato le proprie dimissioni non appena una lista di richieste dei manifestanti è stata ammessa all'interno di un “proclama” fatto pubblicare dall'”Assemblea Generale” dei “lavoratori e cittadini del Canton Tuzla”. Tale proclama richiedeva la rescissione del processo di privatizzazione e la riapertura delle fabbriche. Inoltre, era presente la richiesta di riequilibrio degli stipendi fra lavoratori e funzionari, un nuovo governo di tecnocrati sotto il diretto controllo settimanale dei lavoratori e di tutti i “cittadini interessati”, il controllo delle forze di polizia, e un taglio alle retribuzioni degli ex ministri. (3)

Ora, ciò che potremmo subito pensare è che non si tratta di una lista molto promettente ma, in essa, vi sono molte eco delle cose che la Comune di Parigi tentò di implementare 150 anni fa. E dovremmo anche ricordare che si tratta dello stadio iniziale di un movimento presente in un territorio che, neanche molto tempo fa, è stato torturato dalla guerra civile, dalla pulizia etnica e dall'intervento imperialista. (4) Finora, per quanto ne sappiamo, non c'è alcun riferimento al nazionalismo perciò chissà, magari questo movimento potrebbe svilupparsi nella direzione dell'autonomia di classe. O potrebbe essere catturato da altre fazioni capitalistiche il cui solo scopo è la riforma del sistema politico. La storia recente, ad oggi, ci dice che la seconda ipotesi è largamente favorita, ma sappiamo anche che la storia non è prevedibile e dunque non possiamo predire lo sviluppo futuro di un movimento proletario indipendente. Ci sono buone probabilità in questo senso.

A Mostar, i manifestanti hanno assaltato e bruciato il quartier generale del governo Herzego-Neretvaniano. In seguito a questo fatto, hanno dato fuoco con le molotov la quartier generale dell'amministrazione cittadina, della Unione Democratica Croata e del Partito di Azione Democratica. La polizia non è intervenuta, perché negli ultimi mesi non hanno eletto nessuno a capo della polizia regionale, ossia l'unica persona in grado di attivare le Forze Speciali. In tali manifestazioni, hanno partecipato persone da “ambo le rive del fiume” (ovvero sia i bosniaci che i croati).

Juraj Katalenac op. cit.

Le segreterie dei partiti attaccati sono ben noti per le loro posizioni nazionaliste, e il fatto che non solo i bosniaci e i croati siano coinvolti in tali rivolte, ma anche i serbi di Banja Luka, fa ben sperare. Abbiamo recentemente scritto circa il vicolo cieco del nazionalismo in Ucraina. In seguito al collasso dell'apparato stalinista basato sul capitalismo di stato e alle guerre che seguirono nei Balcani negli anni '90, tutta l'Europa dell'Est è diventata praticamente sinonimo di crudele nazionalismo in salsa pulizia etnica. Non c'è nulla come una sanguinosa guerra per rafforzare il concetto nazionalistico di diversità. Non c'è niente di meglio del nazionalismo, del razzismo e dello sciovinismo per spazzare via la naturale solidarietà fra coloro che lavorano gomito a gomito allo stesso livello. Le classi dominanti, in ogni luogo del pianeta, giocano la carta del nazionalismo per distruggere ogni barlume di solidarietà di classe. Ma ecco esplodere le recenti rivolte bosniache, a dimostrazione che neanche tutta la propaganda di questo mondo può rimettere nella lampada il genio di classe, una volta che la crisi e i suoi effetti si sono generalizzati.

La crisi economica in Bosnia

E in tutto questo la Bosnia sta fronteggiando un'enorme crisi economica. Il modello economico bosniaco era basato sull'afflusso in entrata di capitali, ma dopo lo scoppio della bolla speculativa nel 2008 tale afflusso si è praticamente fermato. Juraj Katalenac riassume la situazione:

Quando ci accingiamo a parlare della Bosnia, siamo soliti enfatizzare solamente i problemi collegati all'identità nazionale, mentre “dimentichiamo” quelli sociali. La Bosnia si trova all'interno di una ferocissima crisi economica, che ha rafforzato di molto le misure di austerity e la flessibilità del mercato del lavoro, per non parlare degli ormai cronici problemi legati alle privatizzazioni degli anni '90, l'incredibilmente alto tasso di disoccupazione (il 44% dei lavoratori è senza lavoro!) e l'elevato numero di lavoratori che, pur lavorando, non ricevono stipendio. La privatizzazione delle aziende nei paesi dell'ex Yugoslavia è quasi sempre sfociata nella bancarotta delle stesse, coi lavoratori che si ritrovano senza lavoro in quanto i nuovi proprietari non sono interessati a investire nelle società, ma solo nel “risucchiare” capitali e plusvalenze il più velocemente possibile.

Il livello che ha raggiunto l'odio classista nei confronti dei padroni e dei politici arricchitisi sulle spalle del proletariato è enorme. Dopo le rivolte, la classe dominante non ha tardato ad agire.

Tali rivolte non hanno solamente svegliato i lavoratori bosniaci, ma anche la borghesia. Essi hanno visto un vero e proprio movimento contro di loro, un movimento basato su tematiche sociali e di classe, e non sul nazionalismo. E proprio per questo hanno deciso di intervenire il più in fretta possibile.

Il primo ministro ha rassegnato le dimissioni e, in seguito a ciò, la macchina della propaganda di tutti i politici nazionalisti è entrata a pieno regime, denunciando i rivoltosi e provando ad aizzare un gruppo contro l'altro. Secondo i leader (croati, bosniaci e serbi) si tratterebbe di un complotto europeo o statunitense, oppure solo ad opera dei bosniaci alla ricerca di uno stato maggiormente centralizzato rispetto alla versione federale post Dayton. L'assalto mediatico non deve essere sottovalutato. L'assalto mediatico non deve essere sottovalutato, perché esso potrebbe essere in grado di neutralizzare l'espansione del movimento, ma siccome la situazione economica nella ex Yugoslavia è ovunque catastrofica, la classe dominante avrà il suo bel da fare per porre freno all'offensiva capitalista. I graffiti comparsi a Tuzla inneggianti alla “Morte per tutti i Nazionalisti” è uno dei tanti segnali in tal senso, ma ce ne sono altri.

… mentre il vice presidente della Serbia ha richiesto stabilità per il paese, il Sindacato della Polizia di Belgrado ha pubblicato un documento dove esprimeva solidarietà per i manifestanti bosniaci, sostenendo che uno scenario del genere è ben possibile in Serbia “dove ci sono anche molti cittadini indigenti, disoccupati o comunque senza salario, con una corruzione a livelli altissimi e una manipolazione politica dei cittadini” e hanno minacciato di unirsi ai manifestanti qualora tali segnali si avvertissero anche in Serbia. E' qualcosa da prendere molto seriamente, considerando le lotte portate avanti dai lavoratori delle fabbriche di Kraljevo e Vranje, lotte che bloccarono persino l'autostrada il 12 febbraio scorso (5).

Il movimento assembleare

Nel frattempo, in Bosnia, il movimento si espande attraverso le assemblee generali. Tali assemblee ebbero inizio grazie a studenti croati circa 5 anni fa, ma oggi si stanno spandendo nelle città di tutta la Bosnia. Ma cosa sono le assemblee generali? Secondo un attivista:

Un'assemblea generale è un'assemblea di tutti i membri di un certo gruppo. E' uno spazio pubblico di dibattito. Non ha leader né restrizioni. Le decisioni vengono prese pubblicamente... Un'assemblea generale non è un partito politico, o una ONG, o un'associazione con a capo una persona. È invece l'unica e sola democrazia possibile (6).

E non c'è alcun dubbio circa il fatto che essa rappresenti qualcosa di nuovo. Qualcosa di molto vicino alla democrazia proletaria così come noi vorremmo che funzionasse.

Si tratta di sviluppi straordinari. Ogni giorno, da quando le protese sono scoppiate, migliaia di cittadini di Tuzla, Mostar, Sarajevo, Travnik, Zenica e molte altre città, si riuniscono in spazi pubblici, dove prendono parola a turno per rivolgersi alla cittadinanza. Alla fine di ogni incontro, viene stilata una lista di richieste concrete e votata. Ogni persona può votare una sola volta: non ci si può astenere. Finora, i governi ufficiali hanno abbandonato quattro regioni mentre nuove strutture guidate dai cittadini stanno evolvendosi in assemblee generali (7).

Nonostante tutto, tali organismi non sono ancora granché coerenti o realmente consistenti. Un'idea contraddittoria che hanno fatto propria è quella riguardante i tecnocrati che vengono visti come in grado di guidare il governo, e passibili solamente di controllo dal resto della popolazione. Questa ricorda un po' la visione “spetsy” che i bolscevichi sostennero per combattere la guerra civile fra il 1918 e il 1921. Persone con conoscenze avanzate sono molto utili nel dare consigli e allargare lo spettro delle scelte, ma dar loro potere decisionale significa minare alla base gli organi di massa della democrazia (in quel caso i soviet). Le assemblee devono avere potere di sovranità e potere esecutivo al tempo stesso, e dovrebbero eleggere i propri delegati per poterli controllare. Ci sono comunque altri pericoli che il “movimento assembleare” sta fronteggiando. Abbiamo già visto che l'origine di questo movimento risiede negli scioperi di cinque fabbriche, ma in alcune di esse le richieste delle assemblee dei lavoratori sono relegate al fondo dell'agenda o peggio dimenticate immediatamente. Il concetto di base che le assemblee generali starebbero ripulendo la “democrazia” per i “cittadini”, ma non si starebbero muovendo verso un nuovo sistema politico, sociale ed economico, viene spinto in ogni momento da potenti forze. Fra queste troviamo anche la UE e i media occidentali. L'Economist ha accolto di buon'occhio la “moderazione” degli organizzatori delle assemblee generali (noi la vedremmo come una stupefacente capacità di autorganizzazione), ma hanno poi anche fatto suonare un'allarme:

… se nuovi leader emergeranno e se si focalizzeranno su richieste realistiche, qualcosa potrebbe davvero cambiare (8).

In parole povere, dovrebbero arrendersi di fronte al capitalismo internazionale, accettare maggiori privatizzazioni e dunque perdita di lavoro e perciò tornare a lasciare che i “leader” intrattengano affari col capitale internazionale.

Non c'è alcun dubbio sul fatto che il movimento assembleare abbia posto un giusto problema, ma è la sola classe lavoratrice all'interno del movimento che potrà rispondere ad essa. I lavoratori bosniaci non dovrebbero abboccare alle ripetute bugie circa il fatto che una “migliore democrazia” possa migliorare la loro condizione. Non può esistere una “migliore democrazia” senza l'abolizione della società divisa in classi e l'instaurazione di una società basata sui bisogni umani. Non esiste alcuna emancipazione, per noi, sotto il sistema capitalista. I lavoratori bosniaci hanno bisogno del loro proprio programma politico per un'autonomia di classe. Alla lunga, al massimo, la classe lavoratrice bosniaca non potrebbe far altro che dare il via: dovrà essere il resto della classe lavoratrice a prendere in mano il vessillo della lotta di classe in ogni dove.

Jock

(1) Cfr. Juraj Katalenac su libcom.org. La maggior parte delle informazioni qui presenti sono state presi da questo documento o da materiale informativo aggiuntivo fornito dall'autore stesso. Le opinioni espresse sono le nostre.

(2) Vedi Juraj Katalenac op cit

(3) Proclama completo su europe-solidaire.org.

(4) leftcom.org-

future-wars

leftcom.org

(5) op. cit. For more on Kraljevo see bhprotestfiles.wordpress.com

(6) Damir Arsenijević, “What is plenum?”. Racconti di testimoni su anarchistnews.org

(7) Edin Hajdarpasic aljazeera.com

(8) economist.com

Lunedì, April 7, 2014