Il destino delle finte rivoluzioni e l’indispensabile lavoro per il Partito

Le vicende che hanno coinvolto la Grecia mostrano chiaramente quale sia il destino delle finte rivoluzioni e pongono al centro l’importanza di un serio lavoro politico, volto alla costruzione ed al radicamento del partito internazionale comunista.

Le dimissioni di Tsipras hanno rappresentato l’ennesimo colpo di scena nella telenovela ellenica. Abbiamo scritto diversi articoli sul tema ma, per ragioni di spazio, in questo numero del giornale viene proposta solo la dichiarazione prodotta della TCI pochi giorni prima che si svolgesse il referendum.

A settembre dovrebbero tenersi in Grecia le nuove elezioni e Tsipras chiederà ancora fiducia al popolo greco. Avevamo commentato già prima delle elezioni le illusioni riformiste che animavano Syriza. I fatti hanno confermato le nostre considerazioni. Il leader di Syriza aveva fatto mille promesse, nessuna delle quali è stata poi mantenuta. Aveva dichiarato di voler rendere il “popolo sovrano”, ma ha subito dovuto smentire se stesso ignorando la “volontà del popolo” che in occasione del referendum si era espressa con un “No” all’accordo con le istituzioni europee. Adesso Tsipras chiede ancora “fiducia al popolo” e rilancia le stesse promesse...

Dopo le dimissioni, Tsipras ha dichiarato “ho la coscienza a posto, in questi mesi ho combattuto per il mio popolo" e parlando dell’accordo con l’Europa ha aggiunto: “non è quello che volevamo ma era il migliore che potessimo ottenere date le circostanze”. Le ipotesi sono due. Tsipras ha consapevolmente preso in giro i proletari e continua a prenderli in giro, vestendo adesso i panni della vittima e puntando ancora di più sul sentimento nazionalista e sugli appelli alla difesa del “popolo greco”. In questo caso avrebbe consapevolmente svolto quel ruolo che il sistema capitalistico assegna al riformismo di sinistra (così come al populismo di destra) in determinate circostanze: raccogliere il malcontento per neutralizzarlo, creando una valvola di sfogo istituzionale per evitare incontrollate reazioni di massa. L’altra ipotesi è che Tsipras si sia battuto completamente in “buona fede”, cercando di portare avanti i propri piani riformisti, nei quali credeva ciecamente, senza però riuscirci.

In questo secondo caso Tsipras e compagni almeno dovrebbero ammettere il fallimento di Syriza ed in generale del riformismo. A noi non interessa tanto capire quale tra le due ipotesi sia quella che più si possa avvicinare alla verità, ci interessa piuttosto sottolineare che gli sfruttati non mangiano con la “coscienza” di Tsipras, ci sono i fatti che parlano chiaro e questi dicono che il proletariato greco non solo non migliorerà le proprie condizioni ma continuerà a dover fare sacrifici, ad impoverirsi. Che ciò sia il risultato del semplice gioco della parti oppure la conseguenza di una “onorevole” sconfitta sul campo, poco importa: le vicende elleniche mostrano in ogni caso, e molto chiaramente, la totale impotenza del riformismo oggi. La crisi economica internazionale riduce progressivamente i margini di azione del riformismo, rendendolo sempre più impotente. Prima di Tsipras il proletariato greco ha dovuto digerire le misure di austerity, con Tsipras è accaduta la stessa cosa: questi sono i fatti.

Le posizioni di Syriza sono state viste con simpatia anche da molti partiti politici italiani, dalla Lega al Movimento Cinque Stelle, da Sel a Rifondazioone Comunista, persino da esponenti del PD, fino a raccogliere simpatia anche in ambienti extraparlamentari. È stata così l’occasione per dare ossigeno a tutte quelle illusioni che da diverso tempo trovano spazio anche tra la “gente comune”: il ritorno alla lira, l’uscita dall’Europa, la difesa dei “beni comuni”, il ripulire le istituzioni per il “ripristino della democrazia”, i referendum, “nazionalizzare le imprese”, “il reddito di cittadinanza”, ecc. Una lunga lista di “soluzioni concrete” – molte delle quali vanno anche oltre quanto promesso da Syriza in Grecia - che in realtà non rappresentano altro che finte rivoluzioni, in quanto si propongono di cambiare radicalmente le cose senza però abolire le relazioni di sfruttamento e il meccanismo del profitto, senza intaccare le leggi alla base dell’attuale struttura economica. Spesso durante la nostra attività ci sentiamo dire: quello che proponete potrebbe essere anche giusto ma… è difficile, meglio impegnarsi su cose più “concrete”. Con Syriza si sono visti al potere gli “uomini nuovi”, i cittadini proveniente dai movimenti di piazza, si è vista all’opera una forma radicale di riformismo ed abbiamo visto cosa è riuscito a fare per gli sfruttati: nulla. L’esperienza di Syriza ha dimostrato che quelle “soluzioni concrete” sono buone per prendere consenso elettorale, ma poi diventano aria fritta quando si scontrano con la realtà, vista l’impossibilità per questi provvedimenti riformisti di essere digeriti dal capitalismo.

L’impotenza delle soluzioni riformista non deve significare però rassegnazione. La coscienza dei limiti del riformismo deve costituire un ulteriore stimolo ad indirizzare le nostre energie per una soluzione che sia realmente rivoluzionaria. Un vero cambiamento ci potrà essere solo se si rivoluzionano completamente le regole del gioco. Deve essere abolita la proprietà e la gestione privata dei mezzi di produzione da parte dei pochi padroni (“pubblici” o privati) per spezzare il legame tra produzione e profitto. Gli strumenti per produrre e distribuire la ricchezza devono essere messi a disposizione del soddisfacimento dei bisogni umani. Un cambiamento del genere non verrà dalle attuali istituzioni, ma solo se gli sfruttati riusciranno a prendere nelle proprie mani il potere decisionale, estromettendo padroni e servili politicanti.

Vogliamo però dirlo chiaramente: in Grecia una soluzione del genere non c’era; così come non potrebbe esserci attualmente in Italia o altra parte del mondo. La crisi, la precarietà, il diffondersi della guerra, tutto questo porrebbe all’ordine del giorno la realizzazione di una nuova società. Ma questo cambiamento potrà avvenire solo se la classe degli sfruttati prenderà coscienza ed agirà per trasformare dalle fondamenta la società. Un salto di qualità del genere nella coscienza e nella organizzazione dei proletari potrà realizzarsi solo grazie all’azione di un Partito politico, non istituzionale, capace di guidare il proletariato, senza avere l’ambizione di sostituirsi alla classe.

Inoltre, un cambiamento così radicale non potrà essere confinato in un'unica nazione. Non si può costruire il “socialismo in un solo paese”, cioè era vero nel 1917 a maggior ragione è vero oggi. Allo stato attuale è difficile prevedere con precisione gli scenari nei quali si svilupperà una situazione rivoluzionaria, siamo troppo lontani dall’ora “x”, ma una cosa è certa: ogni azione “locale” dovrà essere inserita sempre e preventivamente all’interno di un quadro di sviluppo internazionale del processo rivoluzionario. E se non ci sarà per tempo un partito comunista internazionale capace di definire la tattica rivoluzionaria da adottare su scala internazionale allora non potrà esserci mai cambiamento rivoluzionario. Questo è il più grande insegnamento che ci viene dalle sconfitte del passato, ad iniziare dall’implosione della Rivoluzione d’Ottobre.

Oggi un partito del genere non c’è, manca quindi un fattore soggettivo determinate per lo sviluppo di un possibile processo rivoluzionario. Con realismo bisogna prendere atto di questo e lavorare per costruire e radicare tale organizzazione. Il Partito Comunista internazionalista, insieme alle altre sezioni della TCI , è impegnato in questo difficile ed indispensabile lavoro. Si apre una nuova “stagione politica” che ci vedrà impegnati su territorio e nella classe per poter svolgere al meglio questo compito, ti invitiamo a darci una mano.

NZ
Martedì, September 8, 2015

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.