Il referendum sulla UE del Regno Unito - Una distrazione dai reali orrori del capitalismo

Pubblichiamo un articolo dei compagni inglesi della CWO, scritto prima del referendum del 23 giugno, che analizza il contesto in cui è nato il referendum e le forze in campo. Ci riserviamo, naturalmente, di ritornare sull'argomento con un'analisi aggiornata sull'esito del referendum e dunque sulle sue conseguenze.

Per cominciare lasciateci dire una cosa. La classe operaia nel Regno Unito ha davvero poco o nessun interesse per l'esito del cosiddetto referendum Brexit e tutti coloro che fanno campagna elettorale per esso (quali che siano le loro richieste) fanno in realtà campagna elettorale, secondo l’agenda del capitalismo nazionale, su «ciò che è meglio per la (è nell’interesse della) Gran Bretagna». Come abbiamo scritto a novembre

La nostra posizione di comunisti internazionalisti è cristallina. La vera scelta per i lavoratori è quella di agire nel nostro (proprio) interesse. Non lasciarsi coinvolgere in dibattito falso che riguarda solo i padroni.

Questo scrivevamo nell'articolo "Referendum Ue: Più opzioni (scelte) capitaliste da rifiutare" [leftcom.org] che consigliamo ai lettori. Qui vogliamo solo commentare ciò che questo squallido alterco ci racconta circa i travagli dei nostri governanti.

A meno di due settimane dal voto, il risultato appare impossibile. Eppure, per il capitalismo britannico attualmente non ha senso ritirarsi da una Unione che, in generale, gli porta più benefici che costi. L'accesso al più grande mercato del mondo comporta investimenti diretti da Giappone, Stati Uniti, Cina, Thailandia, ecc. Se non fosse per il fatto che questo è il punto di ingresso nell'UE, queste aziende non sarebbero qui (come ai lavoratori Nissan è stato detto dai loro padroni giapponesi). Inoltre, il 45% delle esportazioni del Regno Unito va verso l'UE.

I giornali che tendono a rappresentare gli interessi della frazione (corrente) principale della classe capitalista (The Economist e il Financial Times) costantemente avvertono che un voto "per l’uscita dalla UE" sarebbe un disastro economico per il Regno Unito e per il resto d'Europa, una posizione sostenuta dalla maggior parte degli economisti e dalla maggior parte delle grandi imprese. Quindi la domanda che salta fuori è: perché mai la borghesia britannica vuole rischiare nella lotteria imprevedibile di un voto popolare?

La prima parte della risposta sta in una questione di opportunità politica. Il partito conservatore (Tory) è salito al potere in coalizione con i liberaldemocratici nel 2010. La loro vittoria elettorale è stata il risultato della scoppio della bolla speculativa su cui i governi precedenti avevano confidato, in particolare il New Labour (i nuovi laburisti) di Brown e Blair.

Tornati al potere per la prima volta in 13 anni, Cameron e Osborne si sono trovati di fronte ad un partito profondamente diviso sull'Europa. Essi temevano non solo che esso si sarebbe diviso, ma che la sua ala "destra radicale" lo avrebbe disertato in favore dello UK Independence Party, il quale dall’essere stato per decenni un partito-burla è giunto a diventare una casa per i razzisti e per tutti coloro che si sono sentiti esclusi dal vasto consenso per Thatcher-Blair degli ultimi 4 decenni.

Cameron ha cercato di rinunciare al suo stesso euroscetticismo con la promessa di indire un referendum sull'adesione all'UE nel prossimo Parlamento, che naturalmente non sarebbe stato in grado di garantire in quanto non vi era alcuna garanzia che i Tories avrebbe vinto le elezioni del 2015. Essi non solo hanno vinto ma hanno visto di disporre di seggi a sufficienza poter fare a meno dei loro partner (alleati) della coalizione filo-europea. Con la maggioranza del nuovo partito Tory su posizioni euroscettiche, un parlamentare vecchio stampo come Cameron si è ritrovato all’angolo. È stato definito un bluff.

Il referendum è stato promesso per il 23 giugno, perché i conservatori sapevano che più a lungo si fosse rimandata la questione e più si sarebbe messo in pericolo il governo. Al fine di concedere egli stesso margini di manovra, Cameron ha fraudolentemente sostenuto che i suoi negoziati di febbraio avevano significativamente migliorato i termini di adesione del Regno Unito all'UE e in modo che tutti avrebbero ora dovuto votare per restarvi dentro. Questo non è però riuscito ad ingannare i suoi critici euroscettici e le numerose divisioni che egli stava cercando di evitare nel suo partito sono ormai ritornate a preoccuparlo.

Sarebbe facile puntare semplicemente su questo, su una politica disastrosa da arroganti conservatori, ma dietro di essa si trova una serie di problemi più profondi riguardanti l'attuale egemonia politica ed economica del capitalismo.

Il capitalismo ha superato i confini dello Stato nazionale e gli Stati nazionali minori possono perseguire i propri interessi soltanto unendosi formando blocchi. Questa è la realtà che sta dietro l'UE. Il declino della Gran Bretagna come potenza industriale e imperialista la colloca nella categoria delle potenze minori; questo è il motivo per cui i suoi interessi economici sono sostanzialmente legati alla UE.

È chiaro, tuttavia, che l'UE non può continuare ad esistere nella sua forma attuale, ma deve procedere in direzione di una sorta di unità politica oppure collasserà. L’unità politica a sua volta deve condurre l'UE a diventare un blocco imperialista a sé stante. La crisi dell'euro, la crisi dei migranti e la crisi Ucraina sono solo le ultime manifestazioni di questa necessità (questi requisiti).

La borghesia britannica è irrimediabilmente divisa sulla sua relazione con l'UE e i suoi sviluppi futuri. Una parte di essa, il gruppo favorevole a “restare” nell’UE vede i suoi interessi economici al primo posto e quindi il suo futuro dipendente dalla UE. Allo stesso tempo, si finge circa il fatto che la futura integrazione politica non è vicina, o almeno che i vari pezzi di carta che Cameron ha firmato esenteranno la Gran Bretagna dalla futura integrazione.

L'altra parte, il gruppo favorevole all'uscita (Brexit), punta sulla inevitabile perdita di sovranità e sull'erosione del potere dello Stato-nazione, principalmente in materia di immigrazione. Per esso il Trattato di Maastricht del 1992, che ha istituito l'Unione Europea, non avrebbe mai dovuto essere ratificato dalla Gran Bretagna, e la successiva politica britannica per impedire l'integrazione, estendendo l'adesione all'UE, ha fallito. Per esso l'unica opzione rimasta è ora quella di “uscire”.

La migliore prospettiva economica per la Gran Bretagna che costoro possono offrire è quella di una Gran Bretagna che diventi una sorta di Singapore europea del commercio con i paesi del Commonwealth. Alcuni dei loro sostenitori economici (1) immaginano che la Gran Bretagna possa istituire un sistema di libero scambio unilaterale ritornando così indietro alla posizione che il paese aveva nella metà del 19° secolo. Tutto questo è pura fantasia. L'intera argomentazione dimostra la debolezza del capitale britannico e il dilemma della classe dirigente del paese di fronte alla inesorabile crisi capitalista.

Il fatto che la Brexit sia possibile ora è dovuto alla crisi globale di un sistema economicamente stagnante. La fine della bolla speculativa nel 2007-8 ha rivelato solo che la crescita apparente degli ultimi due decenni si è basata su una espansione esponenziale del debito. In breve, il futuro è stato ipotecato e non vi è alcuna soluzione rapida che possa tirare fuori dalla sua crisi attuale il sistema capitalista.

Come abbiamo già scritto molte volte, ciò di cui il capitalismo ha veramente bisogno è una svalutazione massiccia del capitale. Tali svalutazioni richiedono la distruzione di una gran quantità di valore – come quello che potrebbe essere raggiunto solo con una grande guerra tra le maggiori potenze imperialiste. Nonostante l'aumento delle tensioni, rivalità e guerre locali sul pianeta, le condizioni per questo non ci sono ancora tutte. Nel frattempo, i capitalisti hanno a disposizione due tipi di politica.

La prima è quella di salvare le banche (quantitative easing, ecc) al fine di salvare la spina dorsale finanziaria del sistema; la seconda è quello di aumentare i loro saggi di profitto, facendo lavorare i lavoratori più a lungo e con minori salari o, per dirla tecnicamente, estrarre ancora più plusvalore assoluto dalla classe operaia.

Ma non è così che i capitalisti vedono il problema. Per loro non si può trattare di un problema sistemico. Deve essere pur colpa di qualcuno. Entrano così in scena arrivano i sostenitori della Brexit. È sempre esistito un filone di pensiero (e non solo dentro partito conservatore) secondo cui entrare nell'UE (o CEE come era una volta) era sempre stato un po’ umiliante per il Regno Unito.

Dopo tutto l'impero britannico una volta copriva un quarto della superficie terrestre del mondo e "noi" ci eravamo collocati sulla sponda vincente nelle due (in entrambe le due) devastanti guerre mondiali. Viene ricordato il tempo in cui la politica estera britannica si ergeva (si deve anche dire: con alleati europei scelti sempre con cura), nel corso di tutta la storia, contro ogni potere potenzialmente dominante assoluto in Europa, sia che si trattasse della Francia di Napoleone, che della Russia di Nicola I, che del Kaiser e del Fuhrer di Germania.

Ciò che questi “piccoli Inglesi” - little Englanders, (2) - non hanno potuto evitare è che i combattimenti di queste due guerre mondiali prosciugassero l'economia britannica e alla fine minassero il suo dominio imperialista. L'impero britannico è stato svenduto agli americani e a una nuova forma di colonialismo. Nonostante la propaganda senza fine circa il "rapporto speciale", gli Stati Uniti ottennero un alto prezzo in termini di beni consegnati in cambio dei i loro prestiti in entrambe le guerre.

Ma non si può pretendere (non ci si può aspettare) che gli sciovinisti riconoscano questo né poi i fatti riguardano realmente il "dibattito" in corso. Infatti a due settimane di distanza dal voto e nonostante una pletora di programmi sulla TV e di volantini lasciati nella buche delle lettere, il 75% delle persone sostiene che non è stato fatto abbastanza. 7 milioni di elettori non si sono affatto preoccupati di registrarsi per il voto.

E questo potrebbe giocare a favore degli attivisti della Brexit. Molti ritengono che una bassa affluenza possa favorire il campo favorevole all’uscita dalla UE, dal momento che sono molto più impegnati a votare contro una UE che – come viene sostenuto dalla stampa reazionaria (Mail, Express, Sun e Telegraph) – sarebbe la causa di tutti i danni del Regno Unito per il numero di migranti che giungono qui, dal momento che questa migrazione sarebbe tutta colpa dell’adesione all'UE.

La carta dell’anti-immigrazione è la chiave di tutta la campagna Brexit. Le politiche di austerità, che hanno colpito le paghe basse e vulnerabili, sono il risultato della crisi economica globale, ma è davvero difficile trovare tutto ciò all'ordine del giorno capitalista. Molto più facile risulta trovare qualcuno o qualcosa da biasimare. La sinistra attribuisce la colpa alle banche (piuttosto che al sistema nel suo complesso) e la destra sostiene che la colpa è dell'Unione europea e della migrazione.

Questa è una menzogna (e la Brexit non risolverà il problema), ma a coloro che sono vittime della crisi e si sentono tagliati fuori dal sistema tutto ciò suona come plausibile. C'è una certa ironia in questa alleanza pro-Brexit fra i deliranti del libero mercato come Gove e Lawson e le vittime delle loro ideologie del libero mercato, ma questo aspetto contraddittorio è proprio la spina dorsale del voto in favore dell’uscita dalla UE.

Il Regno Unito non possiede molti di questi possibili esercizi di voto, e così due in uno stesso anno è una sorta di punto di partenza. Questi referendum sono soltanto sintomi minori della profonda crisi economica e politica di un sistema. Come per il referendum scozzese, l'unica scelta possibile qui per la classe operaia è quale banda di gangster politici amministrerà un sistema che sfrutta tutti allo stesso modo, chiunque sia al potere (3).

Qualunque sia l'esito del voto il "dibattito" è solo capitalista. Non solo questo è utile a mantenere le questioni di classe fuori dall’agenda politica (che cosa, soltanto adesso, sappiamo a proposito degli scioperi francesi nei media britannici?), ma esso definirà i contorni di una nuova cattiva cultura politica nazionalista e razzista anche in futuro. Da questo punto di vista, il Regno Unito non è solo.

L'ascesa del Fronte Nazionale in Francia, il AfD in Germania, il Partito della Libertà in Austria, così come la vittoria degli ultranazionalisti in Polonia (4) e in Ungheria (il Partito Conservatore britannico è alleato con alcuni di loro come i True Finns – I Veri Finlandesi - il Partito del Popolo Danese e il Partito Polacco della Legge e della Giustizia): tutto indica che ci troviamo in un periodo storico da incubo. Le macchinazioni imperialiste hanno creato inferni viventi su tutto il pianeta, dall'Afghanistan all'Africa.

Queste guerre allontanano dalle loro case 60 milioni di persone in tutto il pianeta. Alla fine alcuni fuggono verso i luoghi apparentemente più stabili degli Stati che in primo luogo hanno iniziato la devastazione. Molti muoiono sulla strada e i sopravvissuti vengono ammassati in campi o diventano vittime delle varie mafie.

E i razzisti e nazionalisti dei Paesi ricchi giocano su questo per i propri scopi immediati. È un circolo vizioso che trasforma lo spettro del crescente nazionalismo in un'altra minaccia per il futuro dell'umanità.

Solo una classe operaia internazionale e internazionalista, che recuperi la sua voce di classe e la sua capacità di combattere il capitalismo, può opporsi a tutto questo.

Jock, 9 Giugno 2016

(1) P. Minford (Cardiff University)

(2) "Little Englanders" è un epiteto spregiativo usato per criticare i nazionalisti britannici o inglesi che sono considerati come xenofobi e/o eccessivamente nazionalisti, e che spesso per questo sono anche accusati di essere "ignoranti" e "maleducati".

(3) See leftcom.org

(4) See leftcom.org

Venerdì, June 24, 2016