Fidel Castro: ma rispetto politico per chi e per cosa?

Non si può essere marxisti senza nutrire il più profondo rispetto per i grandi rivoluzionari borghesi.

Lenin - Il fallimento della Seconda Internazionale, in Opere, vol. 21, maggio-giugno 1915

Col solito vecchio vizietto di tirar per la giacchetta Lenin all'occorrenza (anche quella sbagliata o inopportuna), da "certa" sinistra ci viene chiesto di ricordare, rendere omaggio, a tratti persino elogiare, commemorare con rispetto politico i "grandi rivoluzionari borghesi". Castro incluso, of course. E ci mancherebbe...

Francamente: concordiamo sul fatto che Castro sia stato un leader pienamente ed esclusivamente borghese, ma siamo anche dell'idea che un autentico comunista rivoluzionario (1) non debba affatto alcun "rispetto politico" nei confronti di coloro, tra quei sedicenti “rivoluzionari” borghesi, che amarono definirsi del tutto arbitrariamente "comunisti" senza esserlo e ben sapendo di non esserlo. Neanche in punto di morte, neanche post mortem (il rispetto per l'essere umano è altro da ciò di cui si sta parlando).

Chi si nasconde dietro false maschere è, a nostro avviso, il nemico peggiore, più grande, più pericoloso, più sfuggente (aggiungiamo en passant: più squallido). Esso contribuisce appieno da un lato a rafforzare il dominio di classe e il sistema borghese, dall’altro ad indebolire ancora una volta la possibilità di una ripresa della coscienza di classe anticapitalista contribuendo a confondere le carte in tavola rispetto a ciò che il comunismo è in quanto società completamente antagonista e opposta rispetto al capitalismo.

Sotto questo aspetto proprio il caso di Cuba, pur non essendo l'unico, è sicuramente il più “emblematico”: in particolare del fatto che per sottrarsi alla padella di un imperialismo occorra intanto rifugiarsi tra le cosce, ops - ci si perdoni! - nella brace di un altro imperialismo concorrente, nel caso specifico quello russo, che, con tutta evidenza, molti ossequianti sinistri di ieri e, ahinoi, di oggi faticano oltremodo a considerare tale. E fin qui tutto - diciamo - nella 'normalità', quella vigente in epoca di consolidato dominio planetario imperialistico: sarebbe impossibile che avvenisse altrimenti.

Il fatto è che per pararsi il 'di dietro' e riuscire a sopravvivere tra quelle 'amorevoli' quanto ‘generose’ cosce, addirittura ci si mostri disposti non solo a dichiararsi ciò che non si è (ed è qui che, come si dice, casca il somaro...), ma a sostenere le peggiori nefandezze del prezioso alleato.

Come nel caso di Castro, che dichiarò inizialmente e con la massima chiarezza di non essere affatto un comunista, per poi - rimasto miracolosamente “folgorato sulla via di … Mosca” come San Paolo su quella di Damasco… - definirsi tale, e definire 'socialista' l'economia cubana, nel momento in cui fu costretto, per sopravvivere, a ricorrere alle "amorevoli" e generosissime cure di 'Mamma Russia'. (2)

Motivo per il quale, tra l'altro, egli sostenne l'invasione dei carri armati russi per la repressione in Cecoslovacchia e parecchio altro ancora.

Oltre alla repressione nel sangue della Primavera di Praga del 1968 ad opera dell'imperialismo russo, Castro sosterrà poi:

  • la diffusione della strategia suicida della guerriglia in America Latina (così distaccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi borghesi latinoamericani gravitanti sotto l'odiato ombrello USA);
  • il governo di collaborazione di classe di Unità popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70;
  • la rivoluzione "a tappe" in Nicaragua («il FSLN non deve creare una nuova Cuba» - disse Castro) negli anni ’80;
  • il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981
  • il regime stalinista di Erich Honecker nella Germania Est nel 1989.

Castro si destreggiava così, non disdegnando pure un abbraccio (oltre che a Kruscev) a Kadar, il macellaio della rivoluzione ungherese, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite [come documentato da Raya Dunayevskaya nel 1963, ndr (3)] e una dichiarazione contro la protesta degli studenti in Cina. La definì “un problema interno cinese. Le immagini non sono arrivate qui … Conosciamo tuttavia la versione ufficiale del governo cinese e non abbiamo ragioni per dubitare delle loro spiegazioni”. Così Fidel, intervistato da G. Minà (4).

Basta, oppure occorre ricordare, e citare, anche i campi di lavoro forzato per gli omosessuali (5), di cui Castro si ... "pentì" (che gran compagno, eh?) chiedendo pubblicamente 'scusa' solo nel 2010, ossia cinquant'anni dopo?

Basta, oppure occorre ricordare il regime cubano della 'doppia moneta' di Fidel, e più recentemente il suo pieno appoggio al cosiddetto 'nuovo corso economico' di Raoul (6)?

«La "rivoluzione" cubana non superò mai - né mai intese farlo - i confini di una lotta nazionale-borghese finalizzata a sganciarsi dall'egemonia imperialistica USA finendo tra le grinfie», finanziariamente assai generose, di Mamma Russia (100 milioni di dollari di prestiti erogati, l'impegno ad acquistare 5 milioni di tonnellate di zucchero in 5 anni, peraltro ad un prezzo favorevole ai sovietici, più agevolazioni commerciali varie). (7)

E in nulla essa realizzò alcuna briciola di socialismo.

Certo, a meno che - Marx alla mano - non si dimostri il contrario, per carità! Roba alquanto difficile, visto che a Cuba permanevano e vigevano pienamente proprio tutte le categorie che Marx definì proprie del capitalismo.

Le presunte ragioni del rispetto dovuto a Castro

Sostanzialmente tre le ragioni secondo cui – per certa “sinistra” (e non solo) Castro sarebbe degno del rispetto dei rivoluzionari: gli espropri ai danni dei famelici capitalisti statunitensi e le successive nazionalizzazioni (ergo: Cuba … socialista); il welfare “gratuito” (?!) e gli enormi progressi realizzati nell’economia cubana finalmente sottratta alle fameliche grinfie sfruttatrici dell’imperialismo USA. Terzo, ma non ultimo, il carattere “progressivo” della rivoluzione cubana.

a) A proposito di espropriazioni e confische … “rivoluzionarie”

Inizialmente gli Stati Uniti furono rapidi a riconoscere il nuovo governo (8).

Nel febbraio 1960, Cuba firmò un accordo per l'acquisto di petrolio dall'Unione Sovietica. Quando le raffinerie cubane, di proprietà statunitense, si rifiutarono di raffinare il petrolio sovietico, vennero espropriate e gli Stati Uniti interruppero subito le relazioni diplomatiche ed economiche con il governo Castro.

In particolare gli attriti iniziarono quando il nuovo governo cominciò a espropriare le proprietà delle principali compagnie statunitensi (la United Fruit in particolare), proponendo risarcimenti basati sulla valutazione fiscale delle proprietà, che per molti anni le stesse compagnie avevano fatto in modo di tenere artificialmente basse.

Solo dopo la rottura delle relazioni, Castro passò in pieno alla fase delle espropriazioni e nazionalizzazioni (imprese, banche, multinazionali, fra cui Coca Cola e Westinghouse) e cominciò a stabilire legami sempre più stretti con l'Unione Sovietica. In seguito a diversi patti firmati tra Castro e il Premier sovietico Khruščёv, Cuba cominciò a ricevere aiuti economici e militari dall'Unione Sovietica.

Sorsero poi a Cuba le cooperative agricole, ma soltanto quando le proprietà terriere nordamericane furono del tutto confiscate si fecero assillanti le preoccupazioni Usa per il concretizzarsi di una “influenza comunista” e in particolare – questo uno dei timori principali – da parte della Russia, l’altro polo imperialistico che puntava a controllare Stati e zone strategiche, specie se vicine ai confini americani.

Peraltro:

Le confische attuate dal nuovo Governo cubano erano comunque indennizzate con buoni del tesoro ventennali a interesse del 4% (9).

b) A proposito di “welfare”

Si tratta del medesimo, recidivo equivoco di sempre di certa “sinistra”: identificare - leggi: confondere, in barba a Marx - il socialismo (o la via al socialismo) col welfare, peraltro falsamente definito "gratuito' (in realtà finanziato, tramite la tassazione, dallo sfruttamento dei lavoratori salariati cubani oltre che di quelli russi). Welfare che in realtà fu prevalentemente sostenibile grazie agli ingenti sostegni finanziari russi garantiti e affluiti nelle casse dello Stato cubano. Il tutto almeno fino agli inizi degli anni Novanta, quando la fragorosa e definitiva implosione economica costrinse l’URSS a ridurre le maglie della sua precedente pelosissima generosità. (10)

Del resto, se welfare equivalesse a socialismo, allora sì che ai tempi del nostro miglior italico (e non solo) welfare, o dell'IRI sin dall’epoca fascista, o della nazionalizzazione dell’ILVA negli anni Sessanta, o dell’istituzione della scuola dell’obbligo e dalla sanità pubblica, saremmo stati anche noi in … pieno socialismo!

c) A proposito dell’economia cubana come “economia socialista”

Spiace - si capisce – dover deludere i fans castristi, ma tutte le categorie economiche analizzate da Marx come proprie e "tipiche" del capitalismo vivevano e operavano (eccome!) nella Cuba del buon Fidel. I rattristati cantori di lodi se ne facciano una ragione, una volta per tutte.

Sfruttamento di lavoro salariato, scambio mercantile, moneta, finalità di profitto, dunque gestione interamente aziendalistica-capitalistica delle imprese di Stato. Se non è capitalismo questo, Marx andrebbe – almeno per coerenza - quantomeno archiviato nello scaffale delle utopie fallite.

d) A proposito di carattere “comunque progressivo” della rivoluzione castrista

Quanto poi alla motivazione circa il "comunque carattere progressivo" di quella che viene definita la "grande liberazione dalle grinfie dell'imperialismo yankee", aggiungiamo solo: nulla di progressivo vi è - per i lavoratori – dall’essere sfruttati non più dal capitale 'straniero' bensì da quello 'nazionale', dal 'capitale in mano allo Stato imprenditore' e non da quello in mano a 'privati imprenditori', come peraltro previsto dal “nuovo corso” di Raoul (ah Raoul Raoul, tu quoque, Raoul, frater mi!).

Sempre di dominio sul loro lavoro salariato si tratta, sempre di suo sfruttamento per il profitto si tratta, sempre di capitalismo stiamo parlando.

E contro il capitalismo, senza se, senza ma e senza inutili orpelli (riferiti alla mera 'titolarità' formale della sua proprietà pubblica o privata), i veri comunisti lottano, senza andar troppo per il sottile.

Ora, che le grandi rivoluzioni borghesi avessero carattere progressivo nell'epoca del dominio feudale e aristocratico, ossia nella fase della loro lotta contro l'ancien régime (il cui ruolo oggettivo era frenare, ostacolare - con i suoi ormai stantii e parassitari rapporti sociali, politico istituzionali e normativi in materia economica - lo sviluppo ulteriore delle forze produttive e dunque l'ulteriore progresso sociale) è cosa sulla quale nessuno può avanzare dubbi.

Che però oggi, nel pieno della fase imperialista e parassitaria (ossia decadente) del capitalismo dominante sull’intero pianeta (nella quale ormai da lungo tempo è in atto lo scontro finale e insanabile tra gli attuali rapporti di produzione capitalisti e ulteriore sviluppo delle forze produttive), si possa ritenere 'progressivo' semplicemente il passaggio dal padrone di capitali privato estero al padrone privato indigeno, nazionale, o da quello privato a quello statale, appare davvero risibile.

L'internazionalizzazione del capitale (comunemente definita globalizzazione), la stretta interdipendenza tra capitali nazionali ed esteri, un mercato ormai del tutto interconnesso e dominato a livello planetario dal grande capitale monopolistico imprenditoriale e finanziario, oggi ancora più di ieri, non consente ad alcun capitale nazionale, privato o statalizzato che sia, di poter operare indipendentemente dall'altro nello sfruttamento concentrico della forza lavoro mondiale. Ciascun capitale compete ferocemente per appropriarsi della fetta più consistente possibile nella spartizione del profitto mondiale basandosi sulla propria forza economica, finanziaria e militare. Cioè con ogni mezzo a sua disposizione: potenza e capacità di controllo sia dei mercati di sbocco per le proprie merci, sia di quelli finanziari, di approvvigionamento energetico, di materie prime e di forza lavoro a buon mercato, capacità di potenza statale militare, ecc.

Le economie più deboli dal punto di vista dello sviluppo delle forze produttive, ma anche sul piano della potenza militare, non possono che essere attratte da uno dei blocchi imperialisti maggiori in competizione e gravitare nella sua orbita di influenza. A Cuba, e non solo, è accaduto esattamente questo.

In un tale scenario, ritenere non solo possibile, ma addirittura progressiva l'autodeterminazione di un paese rispetto al resto del mondo capitalistico è mera chimera, per non dire pura follia. Figurarsi se può permetterselo una piccola isola caraibica come Cuba (della serie: dal socialismo in un solo paese al … socialismo in una sola isola), tanto più se “appoggiata” da un imperialismo come quello russo, e non certo da un paese a rivoluzione proletaria vittoriosa (11).

I grandi monopoli bancari, finanziari ed imprenditoriali - anche grazie alla compenetrazione ai vertici, ormai consolidata da decenni, tra consigli di amministrazione di grandi imprese e di grandi apparati finanziari (12) - dominano in lungo e in largo i mercati, determinano i prezzi e le politiche economiche, monetarie e di indebitamento dei governi, imponendo esclusivamente i loro interessi e affari miliardari, sanguinose guerre imperialistiche incluse.

Per concludere…

E adesso ci si spieghi il perché e per cosa si debba "rispetto" ad un borghese che, oltre a non realizzare alcun socialismo, ha avallato, per sessant'anni, la colossale menzogna stalinista di definire tale un capitalismo a gestione statale, falsificando il vero significato di comunismo (rivolgersi a Marx per maggiori dettagli).

E così trascinando ancor più nella confusione milioni di proletari dell'intero pianeta già abilmente e fraudolentemente convinti del ... "fallimento" definitivo del “comunismo" russo (quale comunismo?!?!?), già a sufficienza afflitti e resi, proprio da tale menzogna, orfani persino dell'idea dell'unica possibile, autentica prospettiva di una definitiva liberazione - quale il vero comunismo è - dal profitto (privato o statale che sia) e dal dominio di classe che su di esso si fonda.

PF

(1) Preferiamo non utilizzare il termine marxista, viste le aberrazioni che del marxismo autentico han fatto cani e porci.

(2) Solo due anni più tardi, il 2 dicembre 1961, in un discorso alla nazione, Castro si dichiarò un marxista-leninista e disse che Cuba avrebbe adottato il comunismo.

(3) leftcom.org

(4) Ciò che resta di Castro,. Rif. a: Gianni Minà, Il racconto di Fidel, Milano, Mondadori, 1988.

(5) Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta in particolare, il regime castrista ha adottato forme di persecuzione nei confronti degli omosessuali. Considerati "controrivoluzionari", molti di loro furono rinchiusi nei campi di lavoro forzati UMAP (Unidades Militares de Ayuda a la Producción) a causa del loro orientamento sessuale.

Nell'ideologia castrista i maricones ("finocchi") erano infatti considerati espressione dei valori decadenti della società borghese [Llovio-Menéndez, José Luis. Insider: My Hidden Life as a Revolutionary in Cuba (New York: Bantam Books, 1988), pp. 156-158, 172-174]:

"Agli omosessuali non dovrebbe essere concesso di stare in posizioni dove potrebbero essere capaci di mal influenzare i giovani. Nelle condizioni in cui viviamo, a causa dei problemi che il nostro Paese deve affrontare, dobbiamo inculcare ai giovani lo spirito della disciplina, della lotta, del lavoro... Noi non arriveremmo mai a credere che un omosessuale possa incarnare le condizioni e i requisiti di condotta che ci permetterebbe di considerarlo un vero rivoluzionario, un vero comunista aggressivo. Una deviazione di questa natura si scontra con il concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere." (In Lockwood, Lee (1967), Castro's Cuba, Cuba's Fidel, Revised edition, October 1990, p. 124).

Nel marzo del 1965, Giangiacomo Feltrinelli riuscì a ottenere da Castro una lunghissima intervista chiedendogli anche perché perseguitasse i gay e cosa c'entrasse quel pogrom con la rivoluzione. Il Lìder Maximo, dopo una risata per la domanda sfacciata, rispose accennando alla paura di "mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio". (Gian Antonio Stella, Negri Froci Giudei & Co., Rizzoli, 2009, p. 274)

(6) Per approfondimenti sulla questione, consigliamo la lettura di "Il “condono” del debito cubano: contesti e retroscena", ai paragrafi:

  • Un po' di storia del debito cubano e del presunto "socialismo cubano"
  • Il doppio regime monetario e la profonda spaccatura sociale
  • Il "nuovo corso" di Raoul Castro

su: leftcom.org

(7) Da: S. Isaia, Fidel Castro e Riflessioni sulla Rivoluzione Cubana.

(8) Castro visitò la Casa Bianca poco dopo la presa del potere, e si incontrò con il Vice Presidente Richard Nixon. Pare che Eisenhower abbia snobbato Castro con la scusa che stava giocando a golf e lasciò Nixon a parlare con lui per cercare di scoprire se fosse comunista e filo-sovietico. Pare che Nixon abbia commentato che Castro era "naif", ma non necessariamente un comunista (Mario Cervi, 27 novembre 2016).

(9) Ciò che resta di Castro, cit.

(10) Si fa questo e altro pur di piazzare – da un punto di vista strettamente geo-politico - la dovuta spina nel fianco del proprio maggiore concorrente: quello yankee… imponendo la propria indiretta presenza fin dentro il suo “cortile di casa”. In tempi di guerra fredda, poi…

(11) Il caso greco è solo l’ultima ennesima dimostrazione di tutto ciò. Figurarsi se può permetterselo una piccola isola caraibica come Cuba, con 11 milioni di abitanti, un pil di soli 68 miliardi di dollari (dati World Bank), un salario medio mensile di 20 dollari, che produce poco e dipende molto dalle importazioni. Un paese la cui economia, a bassissima produttività, si basa prevalentemente sull’agricoltura (canna da zucchero, tabacco, caffè), con un basso livello d‘industrializzazione (essenzialmente rappresentata dalla lavorazione dei prodotti agricoli locali, perciò soprattutto zuccherifici, manifatture di tabacchi, industrie tessili), unitamente alla povertà di risorse naturali e alla scarsità di capitali e di manodopera qualificata; infine sulla pesca, il turismo e qualche rendita derivante dalle concessioni di estrazione petrolifera al largo delle sue coste: risultato ne è il razionamento dei beni di prima necessità, visti i pochi beni di consumo in circolazione, tra cui persino lo zucchero e la carne. (da: linkiesta.it).

Esempio ne è la famosa "libreta de abastecimiento", la tessera annonaria con cui dal 1962

ogni famiglia cubana può comprare a prezzi "politici" irrisori (ma in aumento negli ultimi anni) i prodotti essenziali di prima necessità: alimentari (riso, fagioli, latte, zucchero, uova, patate) ma anche sigarette, sigari, fiammiferi, saponette, assorbenti. Andare alla "bodega", i negozi statali che distribuiscono questi prodotti razionati, sopportando a volte lunghe file senza alcuna certezza di trovare quel che si cerca.

ricerca.repubblica.it

Per un quadro più completo dell’economia cubana: sapere.it

(12) Compenetrazione già evidenziata con dovizia di dati e di particolari da Lenin - nel suo L'imperialismo, fase suprema del capitalismo - come fenomeno già allo stadio avanzato già agli inizi del 900, figurarsi oggi.

Mercoledì, December 7, 2016