PD: tanto tuonò che piovve

A proposito della frattura all'interno del Partito Democratico di Renzi

Il tanto annunciato divorzio si è consumato. La “sinistra” se ne è andata sbattendo la porta, il centro è rimasto al suo posto gridando al complotto. Prima dello scarno commento all'episodio che nulla ha a che vedere con gli interessi dei lavoratori, né tanto meno con la lotta di classe, perché completamente inserito all'interno degli scenari borghesi, vale la pena fare un paio di considerazioni. Il termine “sinistra” non ha più nessuna valenza politica, viene usato solo per identificare una falsa “auto certificazione”, è un termine ormai estraneo alla tradizione proletaria, come se fosse un senso di marcia all'interno di una indicazione stradale di viabilità.

Purtroppo, però, questo termine suscita ancora delle sensazioni se ben confezionato e riproposto all'attenzione di chi è disposto a credere ancora nelle favole anche se il loro racconto non ha né capo né coda.

Questa “sinistra” ha dato vita ad una nuova formazione DP (Democratici Progressisti) che rimprovera al vecchio PD e, soprattutto al suo segretario, di essere un partito personale, autoritario, antipatico e non attento alle questioni dei giovani e della disoccupazione. Tutto vero, ma questi signori ignorano che da quando Renzi è diventato primo ministro e segretario di quel partito, non ha fatto altro che fare una politica a favore del capitale finanziario italiano (banche) e del capitale imprenditoriale. Si è reso interprete a tal punto di questi interessi che ha messo mano alla riforma del mercato del lavoro, ha cancellato l'articolo 18, ha incentivato le imprese che avrebbero assunto a tempo indeterminato, mistificando la riforma citata che dava comunque agli imprenditori la possibilità di licenziare senza “giusta causa”. Ha creato danni al mondo del lavoro più di quanto non avrebbe potuto fare un partito di destra dichiarata, sommando al danno di una disoccupazione che non si è risolta (anzi gli ultimi dati Istat la danno in stallo per il dato generale in aumento quella giovanile), la beffa della falsa speranza di posti di lavoro a tempo indeterminato (sempre i recenti dati Istat dicono che, finiti gli incentivi, i pochi nuovi contratti vedono un ritorno al tempo determinato al 65% ). E sempre questi signori glissano sul fatto che tutte queste misure sono passate con il loro assenso, compreso il passo politico di allearsi con FI di Berlusconi pur di stare al potere e di mettere in campo una politica di centro degna della “migliore” tradizione della democrazia cristiana. E allora, se il terreno della conservazione, degli interessi del capitale era lo stesso, se l'attacco allo Statuto dei Lavoratori era una propensione comune, giustificata dalle “imprescindibili” necessità di sopravvivenza del sistema economico aggredito dalla crisi, perché la rottura? Si potrebbe dire che alla base ci sia stata la solita incompatibilità tra i vetero comunisti alla Bersani, D'Alema e la componente centrista di Renzi e confratelli, tutti ai loro posti ministeriali. Si potrebbe supporre che all'interno sia scoppiata una lotta di potere tra rottamati e rottamatore, come non sarebbe nemmeno da escludere una questione di semplici personalismi giunti ad un livello troppo elevato di incompatibilità. Probabilmente tutte queste cose ci sono e sono state operanti, ma dietro ci sono due aspetti che devono guidarci a spiegare un po' meglio il fenomeno.

Il primo è la crisi che, nonostante sia stata dichiarata finita, continua a macinare disastri su disastri. Il Pil non cresce o non cresce a sufficienza. Il debito pubblico al 135%, livello storico mai raggiunto, comporta un esborso da parte dello Stato di quasi 90 miliardi di euro all'anno come servizio sul debito. La disoccupazione non accenna a diminuire, il processo di pauperizzazione procede in maniera preoccupante. L'unico “stato sociale” che mantiene la baracca è ancora, e per poco, la famiglia che quando può, mantiene i figli disoccupati, paga gli asili nido e gli studi (ma in questo caso siamo già a livelli medio alti). Si arriva persino, come nel meridione dove la crisi ha fatto i danni maggiori, che con la pensione dei nonni, si mantengono i figli e i nipoti. Pensioni peraltro, che negli ultimi due decenni sono state decurtate del 30% e, sempre a causa della crisi, si parla di un ulteriore abbassamento con allungamento della vita lavorativa. Come “valore aggiunto” la Comunità europea impone un aggravio di 3,4 miliardi di euro per mettere a posto i vacillanti deficit interni, che lo Stato italiano deve somministrare attraverso l'imposizione di nuove tasse e tagli alle solite voci deboli dello Stato sociale, come la Scuola e la Sanità, altrimenti c'è il rischio di incorre in sanzioni amministrative. Tutto questo sta creando un terreno fertile ai cosiddetti populismi, ovvero alle destre più o meno camuffate che, vistesi togliere da sotto i piedi la loro tradizionale politica di conservazione, sono state costrette a prendere in prestito rivendicazioni che un tempo facevano parte del bagaglio riformistico delle sinistre borghesi, appunto come il PD, mettendo in difficoltà il loro ruolo di amministratori della “Cosa pubblica” sia a livello centrale che periferico. In termini semplici, il perdurare della crisi, la disaffezione nei confronti delle forze politiche al potere stanno creando dei problemi a Renzi e ai suoi fedelissimi aprendo spazi al Movimento 5 Stelle, alla Lega e a tutti i “populismi” di destra e di sinistra.

Il secondo aspetto, corollario del primo, è che il PD o correva ai ripari o al suo interno il malcontento per una perdita di credibilità rispetto al proprio elettorato, sempre più piccolo borghese e sempre meno operaio, si sarebbe fatto sentire. Da D'Alema a Speranza, passando per il governatore della Toscana Rossi e per il ministro della giustizia Orlando anche se quet'ultimo ha preferito rimanere all'interno del Pd per contrastare Renzi, la paura era quella di perdere consenso nei confronti dell'elettorato e, con il consenso, il potere politico. E' pur vero che la scissione porterà maggiore debolezza per il vecchio centro sinistra e la “nuova” Democrazia progressista, ma gli scissionisti hanno pensato anche a questo dichiarando che la rottura è avvenuta su basi politiche (profonda diversità sulla questione della disoccupazione, del mondo del lavoro e della ripresa economica, problemi sui quali, peraltro lo stesso Renzi si è precipitato a dire che sono prioritari) ma che, se necessario, saranno sempre a disposizione del Centro-sinistra affinché il governo non cada lasciando libero spazio agli avversari elettorali che continuano ad essere Grillo, i Fratelli d'Italia e quello che resta di Forza Italia. Insomma, tanto rumore per nulla se non fosse che queste farse finiscono per essere la “solita pastura” da dare in pasto a chi continua a credere che questo sistema economico sia recuperabile alle esigenze della stragrande maggioranza della popolazione, magari attraverso riforme come quelle del salario minimo garantito, del salario di cittadinanza. Che si possa eliminare la disoccupazione e che il reddito nazionale possa essere distribuito più equamente. “Pastura” per chi pensa che lo schifo politico in cui versa il “sistema Italia” possa essere superato attraverso enunciazioni di principio, promesse velleitarie o radical riformismi che non servono a risolvere i problemi dei lavoratori ma soltanto ad agganciarli sul terreno dell'acquiescenza e della conseguente conservazione della macchina capitalistica dello sfruttamento.

Di fronte e contro al solito e decadente capitalismo, con tutte le sue crisi economiche, le sue politiche dei sacrifici, il maggiore sfruttamento sui posti di lavoro, la maggiore disoccupazione per chi ne è fuori, occorre che si cominci a pensare ad abbattere l'intero sistema mandando a casa la destra, il centro-destra, la “sinistra”, tutti i populismi che di questo sistema di sfruttamento rappresentano soltanto i diversi modi di amministrazione, anche se, va detto, il ventaglio dei programmi in termini di politica economica e amministrativa, si è notevolmente ristretto perché la strada della conservazione ha un'unica direzione, quella anti proletaria dell'intensificazione dello sfruttamento sino al neo schiavismo salariale.

FD
Sabato, March 11, 2017

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.