Stiamo tornando agli anni 1930?

Dovremmo avere più di 80 anni per ricordare direttamente qualcosa degli anni 1930. Per quelli della generazione successiva ciò che li poteva avvicinare maggiormente a quell'esperienza era ascoltare i genitori che invece preferivano dimenticarsene. I racconti riguardo al Means Test (accertamenti della condizione economica di un individuo al fine di valutare se lo stato deve intervenire in suo aiuto), alla fame, alla mancanza di scarpe, al non essere in grado di permettersi un dottore e poi l'ombra della disoccupazione e della guerra non erano propriamente favole della buonanotte. L'impatto di queste esperienze sulla loro coscienza solleva la domanda su come l'esperienza storica, che ci piaccia o no, modella la nostra attuale comprensione e le nostre prospettive. Può valer la pena esaminare questo problema metodologico prima di entrare nel confronto degli anni 1930 con il mondo di oggi.

Lezioni della storia

Molti conoscono la famosa apertura dell'articolo di Marx “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte” in cui scrive:

Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi i grandi avvenimenti e personaggi mondiali appaiono, per così dire, due volte. Ma si è dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia la seconda volta come farsa.

Lasciando da parte la questione che in realtà Hegel non ha detto questo, rimane una grande immagine che è stata usata molte volte (e spesso da noi stessi) per far confronti tra eventi storici. Ma ciò che Marx aggiunge è più significativo per la nostra discussione attuale.

La tradizione di tutte le passate generazioni pesa come un incubo sul cervello dei vivi. Nel momento stesso in cui sembrano impegnati a rivoluzionare le cose e se stessi, a realizzare ciò che non è mai stato fatto prima, in queste epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano ansiosamente al loro servizio gli spiriti del passato, assumono i loro nomi, le loro grida di battaglia, i loro costumi per mettere in scena un nuovo atto storico con un travestimento antico e con un linguaggio preso in prestito.

Qui c'è un avvertimento per noi sull'uso e sull'abuso della storia. Non possiamo evitare la storia, è la memoria collettiva dell'umanità e, a parte la nostra diretta esperienza personale, è l'unica base per un pensiero cosciente sul futuro che dobbiamo percorrere. Possiamo tuttavia essere indotti in errore nella nostra interpretazione quando cerchiamo di guardare alla storia attraverso gli schemi del passato. Ciò comporta il pericolo di non riuscire a comprendere il significato di ciò che è nuovo nell'epoca in cui viviamo. Potrebbe accadere qualcosa a noi sconosciuto che costruisca un nuovo schema per il futuro.

Ne abbiamo un esempio concreto nel nostro vicino passato. Le idee della sinistra comunista sono arrivate per la prima volta nel Regno Unito negli anni 1970. Non si trattava di un incidente storico, il momento coincideva infatti con la fine del boom del dopoguerra e l'inizio della fase di declino nel ciclo di accumulazione del capitale. La ricomparsa della crisi ha dato ragione a quei marxisti (come Paul Mattick Sr) i quali durante gli anni 1950 e 1960 avevano sostenuto che il boom postbellico non fosse la fine di tutte le crisi capitalistiche. Avevano sostenuto che quel boom si basava sulla massiccia distruzione di capitale durante la seconda guerra mondiale e che, prima o poi, la caduta tendenziale del saggio del profitto si sarebbe riaffermata precipitando di nuovo il mondo nella crisi.

Da questo lavoro, quelli di noi che hanno dato vita alla CWO, potevano vedere che i cicli di accumulazione del capitale, che ai tempi di Marx duravano circa ogni dieci anni, erano stati alterati dalla graduale centralizzazione e concentrazione del capitale, così che ora durano più a lungo.

Quando il ciclo raggiungeva il suo picco, la semplice distruzione di capitale attraverso la bancarotta di qualche azienda non bastava più a permettere l'inizio di un nuovo ciclo di accumulazione. Così a partire dal 1914 le crisi capitaliste hanno portato i principali stati alla guerra totale in due occasioni. La nostra conclusione iniziale fu che, se il terzo ciclo di accumulazione stava per concludersi, o la classe operaia rovesciava il sistema, o ci saremmo trovati di fronte a una nuova guerra in un futuro non troppo lontano.

Questo si è rivelato un grosso errore, causato dal fatto che abbiamo sempre pensato che ogni stato capitalista avrebbe combattuto allo stremo per controllare i settori che determinano l'economia, quelli necessari alla “sicurezza nazionale”, come l'acciaio, i cantieri navali e l'energia. Ciò che non abbiamo visto è che nel mondo della Guerra Fredda tutto questo non era più considerato così importante, perché interi blocchi di stati funzionavano congiuntamente. Così è stato possibile per alcuni stati non solo di liberarsi di determinati settori di investimento e ristrutturare l'industria, ma anche di incoraggiare attivamente l'investimento di capitali in paesi a basso costo del lavoro piuttosto che in patria. Un sistema in crisi ha trovato un nuovo modo per tenere a galla il sistema con l'ulteriore vantaggio di domare la lotta di classe nelle aree centrali del capitalismo.

Questo è esattamente ciò che è successo negli anni 1980 e 1990. Per un certo periodo sono riusciti così a controllare la caduta del saggio del profitto, ma quando tale saggio, ancora una volta, sembrava minacciato, la globalizzazione è diventata “finanziarizzazione”. I veri guadagni ora si facevano creando strumenti che garantissero un flusso costante di entrate a banche e istituzioni finanziarie. Non c'è stato limite alla creatività degli scommettitori, dai futures e dagli hedge founds, alle obbligazioni più opache e ai derivati. La tracotanza ha preso il sopravvento e i nostri governanti hanno trovato conveniente dimenticare le lezioni della storia abbandonando tutte le norme introdotte negli anni 1930 (Glass-Steagall act, ecc.) per impedire un altro crollo di Wall Street. In questo modo, alle banche è stato permesso di partecipare allo sviluppo di "nuovi strumenti finanziari" che sostanzialmente riciclavano il debito e che alla fine sono diventati pura speculazione.

È successo che, invece di ricorrere alla guerra, il sistema aveva trovato un nuovo modo di posporre le conseguenze della crisi attraverso la speculazione. Tuttavia, come Marx chiarisce nel terzo libro del Capitale, la fase speculativa in cui viene creato il capitale fittizio è la fase finale del ciclo. Anche qui, negli anni 1990, abbiamo visto chiaramente che la bolla speculativa avrebbe dovuto prima o poi scoppiare, ma non potevamo immaginare che il sistema avrebbe resistito fino al 2007-8.

La risposta degli stati di tutto il mondo alla nuova manifestazione della crisi è stata più prevedibile. Permettere alle leggi capitaliste di operare senza controllo avrebbe portato al collasso dell'intero sistema finanziario e quindi al collasso del sistema capitalista. Questo, al confronto, avrebbe reso le conseguenze del crollo Wall Street un piccolo incidente di percorso. Gli stati sono stati costretti ad agire. Le uniche soluzioni sono state massicci salvataggi seguiti dal quantitative easing. Misure però che curavano i sintomi non la malattia. A distanza di un decennio, hanno solo aumentato l'indebitamento globale che ora si avvicina a 250 trilioni di dollari ed è in aumento. Il principale cambiamento è che gran parte di questo debito ora è in mano agli stati. La crisi non è passata, ma siamo in una situazione completamente nuova che il mondo non ha mai sperimentato prima.

Il 2018 non è il 1930

Parlare di ritorno agli anni 1930 è fuori luogo, tuttavia, ci sono molte ragioni per cui alcuni commentatori hanno ripetuto questo concetto negli ultimi due anni. Quando Hitler salì al potere nel 1933, fece uscire la Germania dalla Società delle Nazioni, si ritirò da tutti i patti miranti a promuovere la pace e da tutti i colloqui sul disarmo.

I primi atti significativi di Trump sono stati il ritiro dall'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e dalla Partnership Trans-Pacifica, tutto mentre i suoi funzionari si dedicavano assiduamente a sminuire le Nazioni Unite. Trump ha non solo minacciato l'azione militare contro i presunti nemici degli Stati Uniti, ma ha effettivamente messo in atto varie missioni militari per dar forza a quelle minacce. Si possono trovare anche altre somiglianze. La disoccupazione di massa e le dittature fasciste non sono presenti oggi, ma la stagnazione economica, il declino degli standard di vita per molti e il crescere di un nazionalismo autoritario e sempre più razzista in tutto il mondo potrebbero essere visti come i loro corrispondenti moderni.

E, naturalmente, dietro a tutto ciò resta la questione irrisolta della crisi economica. Nel 1930 il Congresso degli Stati Uniti introdusse la tassa Smoot-Hawley aumentando i dazi fino al 60% su 20.000 beni. Ciò provocò ritorsioni in tutto il mondo a partire dal Canada. In Germania dazi compensativi furono introdotti dal governo di Brüning nel gennaio del 1932, esattamente un anno prima che i nazisti salissero al potere. I dazi non sono stata l'unica politica mirante a battere i concorrenti introdotta a quell'epoca dagli stati. Mentre i paesi uscivano dal gold-standard, arrivarono anche svalutazioni valutarie competitive, ma questo faceva aumentare la guerra commerciale, che peggiorava la crisi economica. Tutto ciò fu il preludio alla seconda guerra mondiale.

Manca un fattore concreto rispetto agli anni 1930. Hitler arrivò al potere con la promessa di rivedere tutti i trattati imposti alla Germania dopo la prima guerra mondiale. All'interno della Germania la sua strategia economica era l'autarchia che mirava alla totale autosufficienza. Comprendeva anche alcune politiche economiche spietate, come la vendita di macchinari in un paese e il rifiuto di venderne i pezzi di ricambio, a meno che il paese in questione non importasse di più dalla Germania. Queste e altre strategie erano ovviamente misure a breve termine, ma erano destinate a esserlo. L'intero programma economico del nazismo dipendeva dal condurre una guerra di successo nel breve periodo. Una volta che Hitler riuscì a riarmarsi e sopravvisse alla scommessa della rimilitarizzazione della Renania nel 1936, tutta la sua politica si incentrò sulla ricerca del conflitto.

Oggi la cosa più vicina ad uno stato revisionista come la Germania nazista è la Russia di Putin, che ha già annesso la Crimea, ristabilito il suo punto d’appoggio nel Medio oriente ed è pronta ad annettersi le due province orientali dell’Ucraina. Ma Putin è ancora limitato dalla debolezza economica e militare della Russia. E’ la sua strategia, frutto di un’attenta analisi, che gli ha consentito di ribaltare parte delle perdite subite dalla vecchia Urss, non con una massiccia e aperta forza militare. Anche lui sa che spingersi troppo oltre e troppo presto potrebbe provocare una risposta più dura di quella che ha affrontato sino ad oggi.

E’ sempre stato una sorta di mito che l’Urss fosse in qualche modo un rivale di pari potenza per gli Stati Uniti nella Guerra fredda e, infatti, lo sforzo di mantenere vivo quel mito contribuì a distruggerla. Tuttavia il principio di blocchi orbitanti attorno a due “superpotenze” che avevano tratto vantaggi dalla Seconda guerra mondiale creò un nuovo ordine mondiale. A riguardarlo ora sembra che questo mondo di blocchi bipolari sia stato un’aberrazione e che siamo ritornati ad un mondo di singoli stati nazionali, come era la norma sotto l'epoca dell’imperialismo capitalista precedente. Dapprima l’Urss implose ed il suo blocco crollò. Dal 1990 gli Stati Uniti sono diventati l’indiscussa potenza dominante sul pianeta. Ma all’interno della classe dominante Usa c’è un costante dibattito tra coloro che vogliono che gli Stati Uniti siano il leader mondiale coordinandosi con i suoi alleati, e quelli che vogliono che gli Stati Uniti perseguano una politica estera più aggressiva. Come il nostro articolo in questa edizione dimostra, l’attuale amministrazione Usa appartiene a quest’ultima fazione. Quando la potenza che è emersa nel 1945 come la più potente della storia comincia a denunciare tutte le istituzioni che ha essa stessa costituito per garantire il suo dominio del mondo, sappiamo di essere entrati in una situazione completamente nuova.

Gli Stati Uniti hanno molta più influenza della semplice forza finanziaria ma dovremmo notare che attualmente spende 600 miliardi di dollari all’anno per la difesa (che è più di quanto viene speso dalle successive quattordici potenze messe insieme ed è dieci volte tanto la spesa della Cina), e Trump vuole aumentare questa spesa del 25% . Con oltre 700 basi intorno al mondo, non c’è nessuna potenza o anche coalizione che potrebbe resistergli. Trump sta usando questo, oltre alla potenza economica degli Stati Uniti, per denunciare un mondo che ha “fregato gli Usa” per decenni. Non importa se questo è vero o no. Il punto è che questo è diventato il mantra dell’“America prima di tutto”. Per cominciare, sta minacciando sanzioni nei confronti di chiunque commerci con l’Iran. Questo programma aggressivo è però un aspetto secondario per il suo vero obiettivo, la Cina.

La Cina ha apertamente annunciato che intende diventare la potenza numero uno al mondo entro il 2049 in termini di “potenza nazionale e di influenza internazionale”. A quel momento la lenta e furtiva strategia cinese potrebbe effettivamente mettere gli Stati Uniti in una posizione in cui dovrebbero acconsentire ad un nuovo ordine mondiale (vedi il nostro articolo la Cina: I timori di lunga data degli Usa diventano realtà? nella nostra edizione precedente). Il problema della classe dominante americana è come impedirlo e soprattutto quando. La minacciata guerra tariffaria di Trump potrebbe spingere la Cina a stringere un accordo ma, dato che lo stato cinese ha tre trilioni di riserve in dollari, è più probabile che una guerra commerciale crei intanto ulteriori problemi all’economia statunitense.

Il sine qua non della nostra condizione attuale è che siamo ancora immersi in una crisi economica globale. Grazie alle azioni dei governi, non è così apparentemente drammatica nelle sue conseguenze come quella degli anni trenta del Novecento. Tuttavia, come negli anni 30 del Novecento, i signori dell’universo capitalista non hanno una soluzione economica. La speculazione può dare l’apparenza di una sorta di ripresa, ma ciò preannuncia soltanto lo scoppio della prossima bolla.

Essendo prive di soluzioni economiche reali, le scelte politiche sanno di disperazione (e abbiamo deciso di non menzionare la Brexit in questa edizione!). Gli sgravi fiscali di Trump potrebbero avere dato nel breve termine uno stimolo alla fiducia degli investitori (abbastanza lungo da durare fino alle elezioni congressuali di novembre), ma a lungo termine garantiscono che i deficit degli Usa continueranno a crescere, e con loro il costo annuale del servizio del debito. Per il momento, gli Stati Uniti rimangono a galla perché stati e operatori finanziari hanno abbastanza fiducia negli Usa, e nelle sue istituzioni, per considerarli come una scommessa sicura quando acquistano obbligazioni. L’attuale disordine potrebbe non garantire questo per sempre, nel qual caso una nuova, più drastica crisi del sistema sarà inevitabile.

Quando ciò accadrà quale sarà la probabile conseguenza? E’ probabile che le conseguenze siano disastrose, con forze nazionaliste e militariste a dettare l’agenda. Gli attuali conflitti interminabili nel mondo acquisteranno nuova forza ed in ultima analisi l’ipotesi di una guerra più generalizzata non può essere esclusa.

L’unica forza che è in grado di modificare la situazione e di salvare il pianeta è la classe lavoratrice internazionale, ma adesso non si trova nella situazione migliore. Non si trovava in ottime condizioni nemmeno negli anni '30 del '900. A quell’epoca era stata da tempo sconfitta nel suo primo tentativo internazionale di rovesciare il capitalismo. A seguito di tale sconfitta, la classe era divisa ed illusa - alcuni erano illusi che la Russia stalinista fosse il socialismo, altri erano ancora leali ai socialdemocratici che avevano salvato il capitalismo nel 1914 e nel 1919. I rivoluzionari all’interno della classe erano stati ridotti a piccole frazioni che cercavano di fare chiarezza sulla controrivoluzione o erano nei campi di prigionia fascisti o staliniani.

Una cosa, tuttavia, che la sinistra comunista comprese era che “l’antifascismo”, ben lungi dal riguardare la difesa della classe lavoratrice, era divenuto uno slogan per convincere i lavoratori a sostenere la “guerra per la democrazia”. Era diventata la posizione ufficiale dell’Internazionale comunista stalinista dopo il 1935 e venne usata per mobilitare i lavoratori per andare in Spagna, non per combattere per “la rivoluzione spagnola”, ma per combattere per gli interessi dell’Unione sovietica in una guerra intr-imperialista contro la Germania e l’Italia. Col tempo, venne adottata dalle democrazie occidentali durante la seconda guerra mondiale. Combattere il fascismo sembrava una nozione molto più progressiva per cui morire rispetto al combattere per “il re e la patria” o la “patrie”, come nel corso della prima guerra mondiale, e le classi dominanti in Russia e in Occidente non furono lente ad approfittarne. L’antifascismo divenne il loro slogan di mobilitazione per la guerra imperialista.

La maggior parte dei confronti tra gli anni '30 del '900 e l'oggi viene fatta dai sostenitori della democrazia capitalista. Non sostengono l’autonomia proletaria o la lotta per una società comunista. Si preoccupano soltanto di una possibile rinascita del fascismo. Per loro parlare degli anni 3'0 è sempre uno spauracchio. Per ironia della sorte è proprio il modo in cui parlavano anche i loro predecessori politici. Invece di indicare alla classe lavoratrice il vero problema, che è l’attuale crisi del capitalismo, dirottano il dibattito su quale fazione capitalista dobbiamo favorire. Ovviamente anche gli orrori della dittatura fascista, con tutte le loro conseguenze genocide, devono essere combattuti, ma non è quello che i nostri antifascisti di allora e di oggi argomentano. Si battono ancora, come ha fatto Paul Mason un paio di anni fa, per una difesa del mondo democratico globalizzato: “abbiamo -- e dobbiamo difendere -- un sistema globale resiliente” (theguardian.com).

Questo “sistema globale resiliente” funziona solo per una classe e non abbiamo alcun interesse a difenderlo. Dobbiamo difenderci, non solo dai fascisti ma anche da quelli che si illudono che questo sistema persegua il “concetto di diritti umani universali e inalienabili”. In un mondo in cui i bambini siriani sono gasati, in cui le donne del Congo vengono sistematicamente stuprate come atto di guerra, e in cui 22 milioni di yemeniti soffrono la malnutrizione per una delle guerre più inutili del pianeta e così via, dove si possono trovare oggi questi “diritti umani inalienabili”?

Con la classe lavoratrice in ritirata in tutto il globo terrestre dinanzi a salari che si riducono, condizioni di lavoro che peggiorano e alla quota della ricchezza nazionale che si restringe in ogni paese siamo ancora in una situazione disastrosa. La disuguaglianza che cresce in termini statistici è peggio di quella degli anni '30. Anche se gli indicatori della povertà potrebbero essere meno gravi che negli anni '30, 80 milioni di persone nella nazione più ricca del pianeta vivono a livelli da terzo mondo. Gli unici lati positivi in tutto questo sono che la maggior parte dei lavoratori di oggi non ha vissuto le sconfitte del passato e che, finalmente, nuove lotte cominciano a scoppiare in tutto il mondo. Appaiono contemporaneamente, in tutto il mondo ogni anno che passa, sempre di più piccoli nuclei di comunisti genuini che non credono a tutti i vecchi miti circa l’equivalenza tra stalinismo e comunismo. E’ probabile che le cose peggioreranno prima di migliorare, considerata l’ascesa del nazionalismo e del razzismo, ma proprio come la storia nel passato sembrò imboccare una direzione, solo per prenderne un’altra, sarebbe un errore trascurare quelli il cui lavoro fornisce effettivamente la base della nostra esistenza umana. La scelta storica che un sistema capitalista decadente ci offre è ancora “il socialismo o la barbarie”.

L’articolo di cui sopra si basa sull’introduzione al nostro incontro pubblico a Newcastle Upon Tyne il 24 luglio 2018. È stato l’editoriale su Revolutionary Perspectives, che è uscito l’8 agosto.

Domenica, September 30, 2018