A proposito di un “reddito che remunera l’ozio”

Da anni si blatera, tra economisti e politici del bel mondo borghese, attorno all’ipotesi di svolte monetarie con le quali distribuire un po’ di liquidità a chi non ne ha a sufficienza da spendere per poter sopravvivere in questa società dei… consumi. Ovunque, nel frattempo, miserie e povertà affliggono ormai centinaia di milioni di individui, Usa compresi. E solo in Italia si avvicinano a quasi 10 milioni i “cittadini” in una condizione di povertà, più o meno ufficiale...Questo anche se le statistiche ufficiali dimezzano la cifra.

Agli inizi, tutti i benpensanti col portafoglio ripieno e animati da spirito caritatevole, hanno caldeggiato teoricamente una politica di creazione e di distribuzione di moneta cartacea, illudendo il “popolo” sulla sua destinazione finale che dovrebbero essere le tasche dei cittadini bisognosi. Non si dimentichi che, alle spalle di questi apostoli del bene comune, vi è tutta una serie di tentativi centrati sulla illusione di giuste politiche monetarie quali toccasana dei mali che affliggono l’ammalato, il capitale, e ne stanno peggiorando le condizioni facendo pagar cara la sua conservazione ai proletari di tutto il mondo.

Chiariamo subito che queste esibizioni di buone intenzioni si dimostrano fallimentari in partenza. Pretenderebbero di risalire la china di un baratro di cui non si intravvede la fine, anzi si allarga e approfondisce di anno in anno, nonostante i governi borghesi abbiano per decenni carezzato il sogno dl incrementare i bilanci pubblici mandandoli in rosso. Lo scopo – dicono – sarebbe stato quello di applicare qualche “cerotto” assistenziale, migliorare qualche infrastruttura e “sostenere” qualche azienda, in parte seguendo le ispirazioni geniali di un Keynes senza però poter in alcun modo generare redditi e profitti duraturi. Come è noto, in mancanza di questi il capitale e i suoi gestori sparano a zero su chiunque s’avvicini ai loro portafogli!

Distribuzione di denaro?

Quanto al distribuire in varie forme moneta in quantità, la sua “produzione” non sarebbe un problema, ma se il denaro è facile stamparlo, oltre un certo limite esso crea svalutazione, incremento dei prezzi, inflazione. E’ anche vero che la svalutazione alleggerirebbe il peso dei debiti pubblici e privati, ma va pure detto che se il Pil non aumenta ecco che sale in percentuale il rapporto debito-pil. Intanto, dal 2008 ad oggi, i cicli che tengono in vita il capitalismo sprofondano nella crisi. Aggiungiamo: nonostante le Banche centrali abbiano acquistato montagne di titoli del debito pubblico (allargando la base monetaria), ed anche acquistando sul mercato secondario titoli emessi da istituzioni private. Liquidità aggiunta in forte dosi (quello che anche un Keynes chiamava il “feticcio della liquidità”...).

Le illusioni delle politiche monetarie

Saremo forse gli ultimi della classe nella scuola dove si esibisce il “docente” Fumagalli (vedi il suo articolo Reddito, sovversione e libertà. Il reddito incondizionato che remunera l’ozio – su Sinistra in rete). Ma di fronte a certe sue divagazioni sul tema di politiche monetarie, alcune domande ci assillano.

È vero che siamo partiti da “pensate” altrui, come l’incondizionata erogazione di moneta la quale – si diceva – avrebbe avuto una ricaduta molto alta, tipo moltiplicatore economico keynesiano (coi suoi effetti poi disastrosi!). Ma, ci chiediamo sempre: quel denaro distribuito farebbe parte di una spesa aggiuntiva nel bilancio statale? Insomma, gira e rigira, un deficit spending? E i prezzi aumenteranno oppure da chi saranno tenuti fermi? Pur fingendoci degli ingenui, invano attenderemmo una esauriente risposta.

L’idea accarezzata da alcuni economisti borghesi, sarebbe infatti quella del puro finanziamento monetario (questa volta magari direttamente al “popolo”) per combattere la deflazione, “pericolosa” per il capitale, e con la speranza di lanciare la sospirata “ripresa” e sconfiggere l’“austerità”.

Chi “pilota” l’elicottero?

Un accenno a proposito di simili “idee” lo merita l’originaria panzana dell’elicottero che lancia denaro. Essa risale a un altro genio che si chiama Friedman (fautore di politiche monetarie super-espansive) (1) e poi a quel Bernanke che nel 2002 (guidando – si fa per dire – la Fed) pensava di prendere un brevetto, lui pure, quale pilota per voli in elicottero… In seguito, si preferirono le politiche di quantitative easing alle sole Banche, per decine e decine di migliaia di miliardi di dollari e poi di euro. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. (21) Ad ogni modo, una pacchia per le banche, per gli “investitori” in Borsa e per le…ricche grandi famiglie!

Kinsey (particolarmente inviso a M. Friedman…) nel 1936 suggeriva al Tesoro di “imbottigliare” banconote, sotterrarle e lasciare che i “privati” scavassero (o meglio, lo facessero fare ai disoccupati) per riportare alla luce il denaro sepolto! Insomma, una sorta di manovra di deficit spending, tentando però di salvare la… faccia, non limitandosi semplicemente ad elargire moneta a cani e porci, incondizionatamente, ma fantasticando attorno a qualche criterio regolatore da spacciare come una più “razionale” distribuzione. Nessuno si doveva comunque azzardare a toccare le categorie fondamentali del capitalismo, sia in fase produttiva che distributiva delle merci. A cominciare da quel valore (di scambio, prima ancora che di un uso… comunque “imposto”) che il capitale non può certo abolire. Lo farà il comunismo, e allora con il valore saranno abolite la produzione di merci, l’economia monetaria, il lavoro salariato. E non certo con la scheda…

Il dominio del denaro

Cogliamo l’occasione per ricordare come, nel capitalismo, senza il denaro non si scambiano le merci, prodotte per ricavare plusvalore. Nei secoli, il denaro si impose come terzo elemento, cioè come equivalente generale per poi acquisire una sua forma autonoma. L’oro fu l’ideale per diventare la “forma fenomenica del valore” e quindi mezzo di scambio delle merci. Come moneta, separa così vendita e acquisto delle merci, oggi sostituita anche dalla carta, da simboli e impulsi elettronici.

Marx così lo definiva: “Il denaro è l’essenza, fatta estranea all’uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina.” (La questione ebraca). Oggi il denaro ha raggiunto il massimo livello di astrazione, fino ad assumere (ad opera degli economisti borghesi) una immaginaria sua totale indipendenza ed autonomia. Avrebbe un valore intrinseco, perdendo il suo compito particolare (quello di rappresentare il valore prodotto dal capitale attraverso le transazioni mercantili) e ne ha acquisito uno, tanto confuso quanto generico, ponendosi come la misura di un fittizio valore assegnato a tutte le cose, mercificandole. E poiché al suo precedente valore materiale se ne è sostituito un altro virtuale, eccolo nella sua nuova veste circolare all’impazzata sulle reti della moderna informatica (come moneta elettronica), fingendo di raffigurare un valore materiale che non c’è e che lui, da solo, non può produrre. Il capitale stesso, contemporaneamente, si è smaterializzato: uscendo dalla produzione di merci è entrato di prepotenza in quella finanziaria, dove però come abbiamo appena visto ha perso la sua forma di capitale, cioè la possibilità di incontrarsi con la forza-lavoro dell’operaio. Quest’ultimo è l’essere vivente che unicamente gli può fornire valore. A condizioni determinate: la sua forza-lavoro, acquistata dal capitale, deve essere trasformata in oggetto-merce.

Un colpetto alla politica monetaria e uno a quella fiscale

In presenza di un forte deficit di bilancio pubblico e di una “recessione economica” piuttosto allarmante, Friedman definiva quello dell’elicottero un “eccezionale, miracoloso evento”, con l’aggiunta di politica fiscale “espansiva” ovvero in favore delle ricchezze in mano alla borghesia. (3)

Sarebbe stata una “accoppiata vincente” (magari per alzare l’inflazione!). Questo lancio di soldi sul popolo osannante poteva avvenire (lo scriveva il Sole24ore nel maggio 2016) “sotto forma di pagamenti forfettari in favore delle famiglie, oppure buoni di consumo per tutti i cittadini, finanziati esclusivamente dalle banche centrali”. Oggi l’accoppiata Di Maio-Salvini dà allo Stato l’incarico di manipolare denaro dal pubblico bilancio e cercare di tamponare qua e là il malessere sociale, senza però trascurare gli interessi borghesi. Da non dimenticare che si tratta di “sofferenze”, tra i proletari, che potrebbero anche esplodere un giorno o l’altro e, allora, sarebbero “cavoli amari” per il capitale! E comunque, non ci si dimentica di quelli che, avendo comportamenti ritenuti “parassitari” (di “basso livello”, poiché chi sta in alto non si tocca!), saranno sottoposti a opportuni interventi selettivi…

Sta di fatto che assieme a un po’ d’inflazione (che ci volete fare, questi sono i meccanismi del sistema e gli effetti dei movimenti del capitale!), a pagare alla fine saranno i soliti, quelli che subiscono anche continue riduzioni dei servizi del defunto Welfare (con la maggior parte dei servizi in via di “affidamento” ai privati che – logicamente – ci guadagneranno sopra), mentre i ricchi avranno condoni e meno tasse.

Reddito di cittadinanza

Eccoci dunque ad una sorta di “reddito di cittadinanza” partorito dal governo italico dopo le varie promesse di un “reddito minimo” garantito per tutti, e presentato come una specie di “reddito di inclusione”, di "sussidio condizionato" perché legato a eventuali proposte di lavoro (quando ci saranno…) non rifiutabili. Sotto sotto, c’è puzza di “obbligo al lavoro”, tant’è che si parla di almeno un “impegno” di 8 ore settimanali a progetti sociali del Comune di residenza…

Insomma, un tentativo di ammortizzatore sociale per disoccupati (volontari?) o persone a rischio povertà. Non è mancata l’ipotesi, poi scartata, di un salario minimo, nel tentativo di adempiere a ciò che molto ipocritamente recita anche l’articolo 34 della Carta dei “diritti fondamentali” della Ue: consentire una “vita dignitosa” a chi è escluso dalle ricchezze che vengono dilapidate da alcuni insensibili ed egoisti cittadini!

Lo stesso ministro del lavoro, Di Maio, lo ha dichiarato: “il nostro reddito di cittadinanza non è una misura assistenziale, ma uno strumento di politica attiva per il lavoro”. Ed infatti, chiarisce la coppia Di Maio-Salvini: se uno, disoccupato e in miseria, non cerca (e non trova…) lavoro, non solo non riceverà un euro, ma può rischiare pure la galera!

La Germania insegna

Un fulgido esempio sarebbe la legislazione tedesca di “Hartz IV” con l’introduzione di “offerte” di contratti di lavoro precario: i mini, a 450 euro lordi mensili, e i midi job a 850 euro. Ne sono coinvolti in Germania circa di 8 milioni di lavoratori: o si accetta questo “inserimento lavorativo” o si perde ogni pubblico sussidio integrativo e si è considerati esseri inutili. I controlli e i ricatti sui “poveri” diventano una norma, mentre i capitalisti gioiscono per queste ricerche di “occasioni occupazionali” a bassa retribuzione che favoriscono le forme burocratiche e tayloristiche di organizzazione del lavoro. L’importante è contenere il costo del lavoro, mentre ottenere un lavoro-salariato dipenderebbe solo dalla “buona volontà” di ciascuno. Chi non accetta le opportunità di lavoro offerte dal capitale, chi rimane “passivo” e non si “attiva” accettando le discipline organizzative del capitale e i suoi “bisogni”, non può pretende il diritto all’esistenza civile: commetterebbe un abuso.

Per fare accettare dai proletari questa “strategia” – mistificando le conseguenze che essa ha con gli attuali e dominanti rapporti di produzione – si proclama che questo sarebbe l’unico modo per far crescere l’occupazione (mentre avviene esattamente il contrario!). Dovrebbe cioè ridurre una disoccupazione oggi attorno al 10%, ma che tenendo conto di quanti si trovano in cassa integrazione o fanno lavori saltuari, precari e part-time, va oltre il 15% e coinvolge qualche milione di uomini e donne in età compresa fra i 15 e i 64 anni. Quell’obiettivo di aumento della occupazione (“nuove opportunità di lavoro”, salariato, così le chiamano!) è in realtà una enorme e drammatica falsità, la quale non solo va peggiorando condizioni al limite del sopportabile delle masse in tutto il mondo, ma altresì è una delle contraddizioni che sta terremotando il capitalismo stesso. Nonostante quelle basse retribuzioni che dovrebbero facilitare il reingresso nel mondo del lavoro dei meno qualificati ed anche al fine – lo si dichiara apertamente – di “rendere più agevole la gestione dei picchi di lavoro”…

Ma anche al più superficiale osservatore non dovrebbe sfuggire la constatazione – ben presente fra gli esperti borghesi – di come in effetti un “alto” salario minimo per tutti i proletari porterebbe ad un aumento della disoccupazione, soprattutto nella attuale situazione di crisi: il capitalismo, infatti (per non avere rialzi nel costo del lavoro), dovrebbe al contrario ridurre il salario minimo ad una misera elemosina per non “alterare” gli equilibri del mercato del lavoro...

La borghesia (e i suoi governi di destra, centro e sinistra) sarebbero ben lieti di poter impiegare nel lavoro tutti i proletari. E proprio dal lavoro che il capitale ottiene valore, comperando e usando quella forza-lavoro che, sola, gli fornisce plusvalore. Ma sono troppi i proletari per i “bisogni” del capitale! La gran parte di essi diventa sempre più “superflua” man mano che il progresso scientifico e tecnologico avanza. Certamente, vi sarebbero sempre dei lavori che richiedono operai a bassa qualifica, ma quelli poi si trovano facilmente. Nell’“attesa dei momenti alti” (?) per una produzione di merci in crisi, gli industriali ricorrono per il momento al part-time, al mini job, al precariato diffuso. E incolpano i proletari di non sapersi adattare, con entusiasmo, alle esigenze del capitale! E i “governanti”, non sapendo più che fare (oltre al “blablabla” dilagante), ripiegano su un momentaneo tamponamento della situazione: vi diamo un po’ di carità, tanto per tamponare esagerate privazioni e sofferenze che vi potrebbero rendere… violenti, ma sia chiaro che chi nel frattempo non accettasse un lavoro, privato o pubblico, perché ritenuto poco allettante e gratificante (sempre ammesso che lo si trovi), scatenerà le ire degli appositi burocratici organismi statali di controllo e quindi sarà dichiarato un fuori-legge! Dunque, tutti sotto sorveglianza con l’obbligo tassativo di accettare qualsiasi offerta di lavoro, anche temporanea, al fine di non figurare più fra i disoccupati.

Ci sarà poi sempre un Fumagalli, in buona compagnia, a raccontare alla pubblica opinione come col reddito di base si combatterebbe lo “schiavismo moderno”, il precariato. E – udite, udite! – solo così si potranno “rifiutare lavori malsani, massacranti, inaccettabili”. Questi, alla fine dovranno essere pagati meglio… Esattamente quello che il capitale non potrà mai fare, a parte il fatto che i suoi problemi sono ben altri! Sono cioè quei vincoli di mercato, con in più i risultati dell’aumento di produttività (plusvalore relativo), che lo costringono a subire tutti gli effetti (per lui disastrosi) del costante sviluppo materiale delle forze produttive; sviluppo che il capitale è costretto a ricercare e applicare per aumentare la produttività di merci (battendo la concorrenza), e sempre ammettendo che riesca poi a venderle.

E intanto lo sviluppo tecnologico-scientifico riduce ovunque i tempi di lavoro: ripartendoli fra tutti si potrebbe finalmente conquistare tempo libero per poter sviluppare tutte le migliori attività umane. Esse non sarebbero più sottomesse al capitale (ma questo va però anche abbattuto!) che oggi sceglie solo quelle che ancora possono servirgli come mezzo per la produzione di valore, rispettando e facendo rispettare – con la forza, se necessario – le sue “leggi economiche”.

Il capitale finanziario come surrogato di quello produttivo di merci

Ancora una volta, va ripetuto che, sull’orlo del baratro, il capitalismo si è visto ad un certo punto costretto ad incrementare oltre ogni limite l’erogazione del credito. Prima alle imprese e poi direttamente a quelli che dovrebbero essere i “consumatori”. Ma questo “ultimo rimedio” porta alla dissoluzione tutto il sistema. Il capitalismo viene “drogato” in ogni suo settore, cominciando dai meccanismi creditizi che invano tentano di rianimarlo. Nuovamente profetiche le parole di Marx: “Le illusioni che alcuni si fanno riguardo al potere miracoloso del sistema di credito e del sistema bancario in un senso socialista nasce dall’ignoranza totale di ciò che è il regime capitalista di produzione ed il regime di credito come una delle sue forme”. (Il capitale, Libro III –capitolo 36)

Mentre la massa del capitale finanziario sta toccando vette fino a ieri inimmaginabili, quella del capitale reale (produzione e circolazione delle merci), sta per essere sopraffatta per l’appunto dalla massa monetaria che, in gironi infernali, si forma e riforma (carta e Byte dei computer) alla ricerca di una sua autovalorizzazione. Lo si immette nei mercati finanziari, illudendosi che così possa diventare capitale, e potersi magare scambiare con forza lavoro, mentre nell’attesa la sua “operosità” è puramente illusoria e la sua valorizzazione una pura “apparenza” dietro la quale non c’è niente.

Milioni di miliardi di dollari e di euro “investiti” in varie speculazioni (l’aggettivo “malavitose” sarebbe d’obbligo); un oceano di liquidità dove ci si attende – sono gli stessi esperti borghesi ad avvertirne i lugubri segnali! – un maremoto dagli effetti devastanti per il capitale. Dunque una massa monetaria congelata nella sfera della circolazione, strumentalizzata per valorizzazioni solo virtuali e per svalorizzazioni, effettive. Nulla a che vedere con la “creazione” (come vorrebbero i borghesi) di plusvalore vero e proprio, il quale sta diventando insufficiente per la sua trasformazione in quelle centinaia di migliaia e migliaia di dollari, euro o yen, che sarebbero invece necessarie al fine di essere iniettate nel sistema per la sua conservazione (non solo “economica” ma anche “politico-sociale”). Sempre però in corrispondenza ad una aumentata produzione di merci e quindi per la costante riproduzione del capitale.

Il denaro finora stampato, “distribuito e consumato”, ha solo ingigantito le speculazioni, specie nelle Borse e in tanti specchietti per le allodole! La sfera produttiva (di merci) lo rifiuta, e sappiamo tutti noi il perché, visto che il capitalismo non distribuisce prodotti a chi di essi ha bisogno, ma vende merci (anche se spesso praticamente inutili, quando non addirittura pericolose) a chi le può comperare, e quindi “investe” solo a condizione di avere profitti sicuri e consistenti.

Cause, non effetti

È solo perché si ha a che fare con personaggi i quali altro non sanno che dire all’infuori di scambiare cause per effetti (uno sport ideologico diffusissimo!), che siamo costretti ad occuparci delle idiozie (vere e proprie) di chi – inserito nel libro paga dei gestori del capitale – pur di “tirare avanti” era arrivato, come abbiamo visto, alla ipotesi di “gettare soldi gratis dall'elicottero sulla popolazione”. Già, ma – come sopra detto – chi avrebbe pagato? Gli stessi promotori della brillante idea, ripensandoci, si sono chiesti: ma dopo che sul buio dei mercati si accenderà qualche luce momentanea vendendo merci che rischiano di ammuffire nei depositi, alla fine dei “volteggi” aerei, chi salderà i conti in rosso, proprio quelli che già stanno paralizzando il sistema?

Gira e rigira, la questione principale – che sta rodendo il fegato agli economisti del dio capitale – è quella della produzione-riproduzione del capitalismo. Il capitalismo deve continuamente, costantemente, riprodurre se stesso. Altrimenti, per la borghesia stessa sarebbe la fine. Ecco perché i tentativi di far quadrare il cerchio si susseguono invano fino all’assurdo di voler produrre e vendere merci diminuendo i salari e riducendo la mano d’opera che di ciclo in ciclo va in esubero.

Il problema del capitalismo è quello di conservare saldi gli attuali rapporti sociali e, soprattutto – come ben diceva Marx – mantenere “i mezzi di produzione, materiali e prodotti, trasformandoli in capitale, in mezzi di produzione monopolizzati da una determinata parte della società”. (Il Capitale, Libro III).

La verità è – sottolineiamolo con forza – che, per produrre il plusvalore indispensabile al capitale, l’unico rapporto realmente idoneo è quello fra capitale e forza-lavoro, la quale, convenientemente sfruttata, essa sola può valorizzare il capitale. Il resto appartiene al mondo delle illusioni e porta alla fame, oggi, e alla morte, domani, masse disperate di uomini, donne, bambini e anziani. Pochi altri milioni di soggetti, spacciandosi per “esseri umani” dotati di qualità superiori, giocano con miliardi e miliardi di soldi creati da sofisticati strumenti finanziari, non solo imponendo miserie, sofferenze e debiti agli altri, ma contemporaneamente “investendo” in scommesse sul pagamento o meno degli stessi debiti! Non più nemmeno denaro contro merce bensì contro il “niente”, con sofisticate operazioni (uno squillo di telefono o un tasto premuto sul computer) ripetute più volte affinché il “mercato del nulla per il nulla” possa sembrare in movimento!

E il saggio di profitto diminuisce!

Nel frattempo, per quanto assurdo sembri persino a tanti proletari relegati nella più desolante e disperata miseria, gli incrementi di produttività – aumentando il plusvalore relativo che si ottiene con l’introduzione di macchine, nuove tecnologie e la forte riduzione di personale – finisce proprio col far diminuire il saggio di profitto, vitale per il capitale che estrae plusvalore soltanto dalla viva forza-lavoro dei proletari. Ed ecco il meccanismo dell'accumulazione incepparsi via via che scarseggia il plusvalore che dovrebbe invece – a tutti i costi! – ritornare da un ciclo all’altro remunerando il capitale investito.

Ed allora, abbassandosi il saggio di profitto, il capitale comincia ad agitarsi – ne abbiamo le prove guardando allo scorrere della sua storia, fino ai giorni nostri – ed è capace di tutto: guerre, genocidi, terrorismi. Intanto, nella guerra per ora solo commerciale e diffusa a livello globale, i costi del lavoro per unità produttiva sono un riferimento di base fondamentale assieme all’incalzante bisogno di mantenere alta la produttività del lavoro (più merci prodotte in un’ora di lavoro di ogni singolo operaio). Una fra le dirette conseguenze del raggiungimento di questo vitale obiettivo del capitalismo, è l’aumentato irrigidimento delle procedure di assunzione a tempo indeterminato, per contro favorendo quelle a tempo determinato, flessibilità agli ingressi, facilità alle uscite, contratti atipici, ecc.

E poiché in definitiva la sola libera gestione della flessibilità numerica dei lavoratori da parte delle imprese, sia in entrata che in uscita dal mercato del lavoro, si è dimostrata (né poteva essere altrimenti) del tutto inefficace per conseguire aumenti di produttività e “riprese” economiche, i servi sciocchi del capitale tornano a lamentarsi perché quelle misure sono andate soltanto a… scapito delle innovazioni tecnologiche e organizzative nell’impresa.

Quindi, in aperta contraddizione con uno sperato aumento dei posti-lavoro, si torna ad invocare l’introduzione di nuove tecnologie e automatizzazioni per realizzare altri e più consistenti incrementi della produzione di merci. È un imperativo, per non essere travolti dalla altrui competitività sui mercati, anche se pochi, in questo, sono i vincitori e molti i perdenti. Sempre, s’intende, fra i capitalisti, mentre i proletari sono già tutti vittime sacrificali, pronti per scenari anche dichiaratamente bellici…

E si continua a tacere, in queste perverse logiche capitalistiche, sull’aspetto negativo del succedersi di di innovazioni tecnologiche provocanti riduzioni di manodopera. Gli aspiranti ristrutturatori progressisti del capitalismo, di questo non parlano, ma “corrono ai ripari” accettando la diffusione della flessibilità degli orari di lavoro, il part-time, il lavoro “usa e getta”, mentre sia con macchinari e con ritmi intensificati di lavoro, lo sfruttamento fisico e nervoso della forza-lavoro si esaspera e si abbrutisce. Ma anche con la massima flessibilità del mercato del lavoro e le innovazioni tecnologiche e scientifiche, si devono fare i conti con la illusione di poter estorcere plusvalore relativo (quello che alcuni ritengono possa mantenere alto il saggio di profitto) in costante progressione. Ma la caduta del saggio di profitto è irreversibile e alla lunga porta alla caduta anche della massa del profitto. E qui il suono della campana a morto per il capitale si fa assordante.

La panacea monetaria

In conclusione, e tornando alla moneta emessa con sussidi o con qualunque nome li si voglia chiamare, in quale misura potrebbe dunque cambiare le cose? Lo ripetiamo: forse emettendo non-valore, cioè fingendo che tale valore non si forma nella produzione di merci, ma astraendo da essa? Se dalla produzione (di merci) non si ottiene sufficiente formazione di valore, quella moneta a cosa corrisponde?

Se le merci (col loro valore di scambio, compreso il plusvalore che contengono in quanto lavoro sfruttato e non “pagato”) non hanno più una diretta corrispondenza con la massa monetaria “stampata” e messa in circolazione, il sistema scricchiola. Si tratta solo di “valori” che rappresentano il nulla, poiché quello delle merci prodotte non corrisponde più alla massa monetaria messa in circolazione. Ed i tassi negativi di interesse del denaro (che sono arrivati al di sotto dell’1%) ne sono la dimostrazione.

Quindi, si dà ossigeno – momentaneo – alle più selvagge speculazioni e ai più delinquenziali tentativi di trarre guadagni dalla sola circolazione di simboli del denaro. Infine, ecco la “bufala” del sussidio che “remunera e distribuisce” ricchezza (evviva ancora il “moltiplicatore economico di Keynes”!) dopo averla precedentemente “regolata” con la massima… ineguaglianza possibile e premiando chi quella ricchezza (che sarebbe sociale e non privata!) non la produce, facendo invece sudare sangue agli altri. Inoltre, anche fingendo di disapprovare i “cattivi” che hanno attuato una iniqua distribuzione fra “lavoro, impresa, proprietà, quindi salari, profitti e rendite”, con appelli alla morale e alla giustizia.

Ed ecco pronta la giustificazione teorica, alla Fumagalli pensiero: i mutamenti tecnologici avrebbero allargato (non ristretto!) la base dell’accumulazione capitalistica, e sapete il perché? Perché sarebbero aumentate le attività che sino agli anni Settanta venivano considerate improduttive perché non “creavano” plusvalore. Stiamo parlando di attività di cura, riproduzione sociale, relazione, tempo libero, svago. Miracolo divino: oggi sono diventate “produttive”, poiché Fumagalli & C. avrebbero scoperto che in molti casi, anche “oziando” (?), si starebbe producendo valore. Insomma, tutti parteciperebbero alla produzione di valore (pure Fumagalli?), anche se in fin dei conti non fanno altro che attingere al plusvalore prodotto da altri poveri disgraziati proletari, con quello scambio che è e resta fondamentale per il capitalismo, cioè capitale – lavoro!

Così, dalla distribuzione di denaro “gratis” dall’elicottero, siamo passati al reddito di cittadinanza, poi a un reddito-base “incondizionato” per remunerare una “produzione di valore” che personaggi come il Fumagalli ritengono sia oggi fatta da tutti. Ed infatti il saggio di profitto, per il capitale investito nel produrre merci, diminuisce! Queste le conseguenze della forzata logica del capitale, contro la quale “la ragion non vale”. Si pretenderebbe, ciò nonostante, di riportarlo sulla “giusta” via, quella della pace sociale e della convivenza tra capitale e lavoro… E se gli opponessimo la “nostra logica”, e non certo a suon di chiacchiere?

DC

(1) A proposito delle idee di Milton Friedmann, risale al 2003 il “ripudio” di una sua precedente politica monetarista, dichiarando che “l'uso della quantità di moneta come obiettivo non è stato un successo; (…) non sono sicuro che oggi la incoraggerei con la stessa forza con cui l'ho fatto in passato”. Nel passato, Friedman riteneva che l’offerta di moneta si dovesse mantenere al suo “valore di equilibrio”, quello determinato dalla crescita della produttività e dalla domanda. Col rispetto (?) di una regola monetaria fissa, legata a fattori finanziari e macroeconomici

Più tardi, Friedman formulò la teoria “quantitativa della moneta”, la quale mirava ad aumentare la domanda aggregata, influenzando i consumi. Le “idee” erano contrarie a quelle di Keynes, alimentando la querelle fra le due correnti di pensieri… vaganti. Da notare che per molti esponenti della corrente monetarista, gli eccessi di spesa pubblica erano ritenuti colpevoli, con i deficit del bilancio pubblico e il loro finanziamento, degli eccessi di crescita monetaria. Quindi, minore spesa pubblica e un po’ di austerità. Ma nei decenni successivi, le situazioni economiche e finanziarie peggiorarono anziché migliorare, nonostante un successivo ritorno alla liberalizzazione del credito e alla riduzione dei tassi di interesse (con un boom inflazionistico).

A questo punto, gli scienziati del capitale non sanno più a quale santo appellarsi, specialmente dopo il “lunedì nero” del 1987 e le “imprese monetariste” di Alan Greenspan (anche se lo si accusò di applicare una politica monetarista “restrittiva”… Quando poi la Fed inondò il mondo di dollari e cercò di “salvare” alcuni hedge fund andando così a peggiorare il quadro generale sia economico che finanziario, allora la recessione si manifestò apertamente e la instabilità dei mercati si approfondì. Sono comunque continuati i battibecchi tra chi esalta la “quantità di moneta” e chi la “economia dell’offerta” di merci per l’obiettivo di un “valore della moneta”.

(2) Diceva Bernanke: “L’idea sottostante il QE è dare alle banche una notevole quantità di liquidità in eccesso nella speranza che esse sceglieranno di usarne una parte per concedere prestiti o per comprare altri titoli. Tali acquisti dovrebbero, in via di principio, far crescere il valore sia dei titoli che di misure più ampie della ricchezza e questo, a sua volta, dovrebbe indurre famiglie e imprese a comprare asset non monetari o a spendere maggiormente in beni e servizi.” (Conference on key developments in monetary policy, Washington D.C., 8/10/2009). No comment…

(3) Secondo la scuola di Chicago, capeggiata da Friedman, e detta anche neo-classica o neo-liberale, le tasse si dovrebbero contenere al minimo ed il governo dovrebbe evitare interventi sul mercato e sul suo naturale funzionamento. “Le tasse – ebbe a dichiarare Friedman, premio Nobel per l’economia – sono immorali e l’evasore è un patriota. (…) Sono favorevole alla riduzione delle tasse sotto ogni circostanza, e con qualunque scusa, per ogni ragione, non appena sia possibile. Il motivo è perché credo che il problema centrale non sia le tasse, il problema centrale è la spesa. La domanda è ‘come tieni a bada la spesa dello Stato?’ L'unico metodo efficace per tenerla a bada è controllare gli introiti dello Stato. Il modo per fare questo è tagliare le tasse.” E aggiungeva, intervistato dal Corriere della Sera nel maggio 1994: “Siete un grande Paese. Grande tradizione di mercato, voi inventate banche e contabilità . Allora dovete passare dal 50 per cento dell’economia controllata dallo stato al 10 per cento. Ecco come: 1) Privatizzare. 2) Privatizzare. 3) Privatizzare.”

Giovedì, November 15, 2018

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.