L’affare (sofferto…) della TAV e le manovre politiche dellle fazioni borghesi al capezzale del capitale

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Fra trucchi e trucchetti “giuridici”, è stata avviata la procedura di gara per la Tav con una “preselezione” delle candidature delle imprese che poi presenteranno le loro “offerte” per i vari lotti. Sono così “salvi” i primi fondi Ue (si parla di più di 8oo milioni).

Figurano “rinviati” i bandi di gara (chiamati anche “inviti per i lotti”) ma non c’è nulla di nuovo, poiché questa è sempre stata la procedura formale. Dunque, dopo i risultati delle elezioni europee, il rabberciato Governo andrà avanti nel rimescolare gli interessi in gioco…

Così, mentre la matassa delle manovre politiche fra Lega e 5Stelle non si è sciolta ma si è ancor più aggrovigliata, al momento – fra “atti preliminari” e “riflessioni sui costi-benefici” – sembra favorita la banda Salvini. Di Maio potrebbe spacciare come sua “vittoria” un eventuale risparmio (revisionando però il trattato franco-italiano) di almeno un miliardo e mezzo di euro (così si dice). Di certo, ci sarebbe un elenco lunghissimo di infrastrutture da “rilanciare” al posto della Tav: ma restando in tema di… miliardi, con i tempi che corrono e con tutte le spese che incombono per strade, ponti, scuole, ferrovie, fiumi e territori che franano, i “finanziamenti” scarseggiano; la “lista della spesa” sarebbe impressionante e soprattutto non si vede la necessaria “remuneratività”!

Si parlava fino a ieri (di bloccare il progetto) poi di sospensione dei lavori esecutivi, e di ridiscussione integrale del progetto, ma il tutto si va annacquando di giorno in giorno; le dichiarazioni si fanno generiche e comunque sempre «nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia». Per i pentastellati la faccenda è complessa; in pericolo un elemento fondante della loro identità (“mitologica” quanto demagogica) che già si è incrinata dopo il sì al Tap e il pasticcio delle Trivelle nel Mar Jonio. (Anche questo risoltosi con un po’ più di denaro dalle imprese petrolifere…). Fin dalla loro comparsa come movimento, netto fu l’accordo di posizioni con il “guru” Grillo, da sempre dichiaratosi “valsusino”.

Largo alle “discussioni”!

E’ da quasi trent’anni che si discute in Italia di ferrovie ad alta velocità; in generale, il sistema Alta velocità ha cominciato i primi passi nel 1991, con un susseguirsi al rialzo di tutta una serie di cifre previste per i diversi costi di realizzazione. Le vicende attorno agli ultimi progetti Tav si trascinano dagli accordi Bersani-Claude Gayssot del 29 gennaio 2001: la Torino-Lione veniva presentata come “opera urgente”. Già da allora le diverse fazioni della italica borghesia si trovavano in disaccordo (gli interessi sono tanti e non tutti condivisibili fra le varie lobby…). Da notare che la linea in questione ha poco a che fare con l’alta velocità in senso stretto; sarebbe infatti una “linea mista” con treni passeggeri che non potranno superare i 220 km/h. Per i treni merci i limiti sono a 120 km/h, e i convogli non dovranno superare i 750metri e le 2 mila tonnellate, al di sotto quindi delle normative UE. Va pure ricordato che il trasporto su gomma, sia di merci e sia di passeggeri (questi anche su aerei) era stato presentato decenni prima al «popolo sovrano» – al seguito degli affari di Fiat ed Eni – come il miglior mezzo usabile rispetto a quello su ferro…

La “entrata in vigore” della costruzione delle «opere necessarie alla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario misto merci-viaggiatori», inizialmente «dovrebbe aver luogo alla data di saturazione delle opere esistenti». Questa “saturazione” da allora cominciò a dare segnali contrari ed inoltre, a seguito di un susseguirsi di proteste (anche violente), sono state molte le modifiche apportate al progetto iniziale.

Una nota a proposito delle “proteste”: si è parlato poco o nulla di quelle dei francesi che – oltre ai “valsusini” - hanno interessato la Savoia. Questo mentre le proteste italiane venivano addebitate a una massa di «cretinetti» (testuale!) abbagliati da quei “pericoli” che ufficialmente si continuava a dichiarare “inesistenti” per l’ambiente, negando la evidente inutilità di una simile infrastruttura faraonica, quando il trasporto merci si faceva già declinante. Ed oltre al calo dell’interscambio fra Italia, Francia, Spagna e Portogallo, si segnala anche quello del traffico passeggeri, presentato invece come un «ruolo importante».

Inoltre, il piano finanziario ha subito vari aggiornamenti (anche nei costi dei lavori) e, “dulcis in fundo”, è avvenuto anche l’accertamento di alcune infiltrazioni della criminalità organizzata. Ed altre sicuramente ne seguiranno: il sistema a ragnatela di appalti e sub-appalti si apre ad affari imprenditoriali di ogni genere, penetrazioni mafiose, tangenti a pioggia per soggetti intraprendenti… Intanto, nell’ombra, si sono tramati i preliminari di intese oligopolistiche per spartirsi gli appalti a condizioni “speciali”. Già si è parlato di strani manovre, incarichi sospetti, appoggi elettorali mercanteggiati, controlli occulti, connessioni locali di imprenditori con la ‘ndrangheta, ecc.

Al 31 gennaio 2019 – secondo i dati ufficiali di Telt (responsabile realizzazione e gestione della sezione transfrontaliera della futura linea Torino-Lione) – risulterebbe comunque “scavato il 15,5 per cento _delle gallerie previste per l’opera_”, mentre il passaggio dei primi treni è previsto nel 2030. Constatata quindi l’evidenza, anche sulla base delle più ottimistiche previsioni, delle decine di anni necessarie per ammortizzare colossali somme di denaro “investito”, è del pari evidente che diventerà utopistico il ripagamento degli oneri d’esercizio, in vista di enormi costi di gestione e manutenzione.

Un bottino da spartire

Che si tratti di un grosso “affare finanziario” non vi sono dubbi: attorno a quella che sarà innanzitutto una valanga di distruzioni, c’è un bottino da spartire fra grandi imprenditori del "cemento e tondino", con finanziamenti bipartisan a tutti i partiti compiacenti, occasioni di riciclaggio per le mafie sempre presenti dove c’è da arraffare denaro. Anche in Val di Susa la ‘ndrangheta è pronta a infilare mani e piedi in una… miniera d’oro, così come è stato e sempre sarà in grandi opere e cantieri. Oggi soprattutto, quando si sopravvive nel marciume più ammorbante di operazioni e comportamenti, privati e pubblici, ormai apertamente malavitosi.

Vedi in proposito tutta una interminabile serie di truffe (anch’esse pubbliche e private…) che vanno dalle centrali nucleari (che ancora oggi, come Caorso, Trino Vercellese, ecc., succhiano milioni di euro) agli inceneritori, ai faraonici progetti del Ponte sullo stretto di Messina (sospeso dopo essere costato, in progetti, quasi una settantina di milioni di euro) e a tutta una sfilza di opere monumentali a dir poco mostruose e disastrose, e attorno alle quali proprio la salvaguardia dell’eco-sistema è l’ultima delle preoccupazioni che possano disturbare gli affari del capitale. Il quale ha delle strade obbligate da percorrere in una pazza corsa al profitto e alla mercificazione di uomini e cose.

La copertura ideologica del cosiddetto «bene comune» e «interesse nazionale» non riesce a nascondere gli enormi e specifici… utili della classe al potere. Quelli, cioè, di fazioni della borghesia che di fronte all’aggravarsi della crisi sono disposte a tutto pur di non rotolare nel baratro (al limite solo dilazionandolo nel tempo) di un collasso generale del sistema.

Finanziamenti bancari e intese d’affari

Le Banche finanziano i progetti di Alta velocità con prestiti a prezzo di mercato e con interessi che, a causa dei ritardi e di revisioni continue, saranno per decenni a carico dei bilanci statali. Chi paga, inutile dirlo.

L’Eurostat nel maggio 2005 dichiarava che nessun rischio privato era stato preso per l'Alta velocità italiana, e obbligava l’erario a scrivere in passivo debiti aggiuntivi per circa 13 miliardi di euro. Cifra poi moltiplicatasi. In totale, nel gioco tra "SpA" finto-private, furono occultati 12miliardi e 950milioni di euro, tutti poi aggiunti al debito pubblico con un comma nella legge finanziaria per il 2006. Col seguito di interessi e arbitrati che hanno portato i costi a superare di almeno sei volte quelli delle ferrovie francesi e spagnole. E così, con l’Alta Velocità ferroviaria, gli investimenti “pubblici” si sono fatti colossali, al seguito di tracciati imponenti. E con la particolarità del nostro Bel Paese, quella degli “alti costi”: poco più di 150 metri di binari e opere collegate costano in Italia una decina di milioni di euro, mentre in Francia si costruisce con una cifra uguale addirittura un chilometro di binari. Quindi, col passivo del bilancio statale, seguiranno altri tagli a sanità, istruzione, ferrovie locali, manutenzione strade, ecc.

La TAV ha certamente il suo Comitato d’affari, nel quale non sono estranei i partiti presenti nei passati Governi che l’hanno approvata, con “larghe intese” attorno ad interessi di natura oligarchici e sulle quali si è costruito un colossale business. Lo stesso per quanto riguarda altri Grandi Opere, come il Mose, l’Expo, l’autostrada tirrenica, la Orte-Mestre. La lista è molto lunga: comprende anche i progetti di infrastrutture energetiche a base di fossili, con mega-gasdotti, trivellazioni a terra e in mare, giga-stoccaggi di gas in mezzo a centri abitati, dal Salento alla Lombardia. Una pacchia per gli interessi speculativi di conventicole bancarie, industriali, con le dovute pratiche di tra politica, finanza, e altre consorterie.

Ora – secondo l’attuale Presidente del Consiglio in carica, Conte – il progetto della Tav non converrebbe più al “Paese Italia” (eufemismo che sta per “capitalismo italiano”) che si trova sull’orlo di un pericoloso baratro economico, finanziario e – non lo si trascuri – sociale. Questo, naturalmente lo aggiungiamo noi, precisando inoltre lo “stallo politico” che consegue nella classe dirigente. Ci si aggrappa quindi alle analisi costi-benefici e si presenta la questione come uno scontro fra due “teste dure”, entrambe alle prese con promesse fatte e possibili reazioni negative, a livello elettorale, dei propri sostenitori. Specie per i 5Stelle, in forte calo nei sondaggi. In realtà sembrano veramente troppe le spese che si annunciano, in una situazione economica che per il capitalismo (al cui “servizio” le due “teste” di cui sopra non intendono certo sottrarsi, anzi!) si fa sempre più drammatica in presenza di casse vuote e crisi in evidente peggioramento.

Sul tavolo ecco allora comparire il mitico “interesse nazionale”, tanto più che la Francia non avrebbe alcuna intenzione di finanziare la sua tratta per prima. Quindi, largo ai “dubbi” sulla equità dei finanziamenti: si scontrerebbero le “sensibilità” della borghesia italiana e di quella francese mascherate dietro l'interesse dei cittadini (sempre naturalmente divisi in classi contrapposte).

A parte il fatto – più che certo – che la faraonica opera sia ben poco funzionale sul piano dei trasporti di merci, molti i dubbi e le perplessità, anche se per gran parte della borghesia altro non rimane che aggrapparsi alla “illusione” di un rilancio economico. (la frase non gira) Che altro fare?

Dietro quella che si presenta come una «gestione politica» dei piani per «cantieri e grandi opere pubbliche», altro non c’è che l’agitarsi di un capitalismo boccheggiante, certamente ancora potente e invasivo, il quale a questo punto non si arrende di fronte a qualsiasi rischio, pur di sopravvivere. Nel nome del progresso e dello sviluppo della «civile società» borghese…

Nessun accenno alle pressanti necessità di un capitale in piena difficoltà nella sua fondamentale versione “produttiva” e quindi molto agitato nella versione “finanziaria” (oggi per lui (esso) quasi obbligata…), alla caccia di feticistiche autovalorizzazioni. Con l’imperversare degli insoddisfacenti saggi medi di profitto nei settori industriali, al capitale non rimane – per ora – che il muoversi in avventurose circolazioni di denaro in cerca di denaro.

I pericoli venuti alla luce

Gli iniziali «studi e garanzie scientifiche» sono stati al centro delle modifiche apportate dopo le successive ammissioni di presenze di amianto e uranio in un milione di metri cubi di rocce da scavare. Scienziati e tecnici non se ne erano accorti prima, aggiungendo poi: «comunque è un rischio che riguarda solo chi scava…». Da notare che i tanti “esperti” coinvolti attorno all’«essenziale e strategico» progetto della Tav, hanno intascato milioni di euro per le loro ricerche. Eravamo nel 2001, e in più ci si dimenticavano i rischi dell’assetto idrico della valle (fiume Dora).

A proposito della esistenza di amianto in diverse forme nelle rocce della Valle di Susa, la dispersione nell’aria di fibre d’amianto durante le fasi di lavorazione e di stoccaggio sarebbe una minaccia certa. Fra le malattie causate dall’amianto la più grave è il mesotelioma, tumore maligno della pleura, con una mortalità vicina al 100%. Da notare che già oggi in zone della Valle si hanno annualmente percentuali di decessi per mesotelioma molto più alte rispetto al resto della nazione.

E per l’uranio, risulta che fin dal 1965 il CNR ha documentato la presenza di giacimenti nel massiccio d’Ambin attraversato dal traforo (con 15 milioni di metri cubi di materiale da estrarre!): si tratta di pechblenda, forma notevolmente radioattiva. La contaminazione delle falde acquifere sarebbe un rischio certo. Per la salute sarà inoltre inevitabile un aumento dei linfomi, come è stato per i militari in “pacifica missione” nei Balcani, esposti all’uranio impoverito (teoricamente dichiarato meno radioattivo…). Esiste in proposito una documentazione redatta dai medici di base della Valle, alquanto preoccupante.

Inoltre, nella zona sono presenti due parchi regionali, l’Orsiera e il Gran Bosco di Salvertand, ma anche questo sarebbe un problema, seguendo i pensieri degli esperti, che tutto sommato – si dice – dovrebbe unicamente interessare gli… animali per i possibili pericoli di inquinamenti, compresi quelli acustici durante gli scavi, e la volatilità di polveri e fibre di amianto.

La costruzione di piazzali di smistamento, aree di servizio e di sicurezza, porterà alla cementificazione di decine di migliaia di mq di terreno pianeggiante. Una di queste aree, da costruirsi per motivi di sicurezza, viene fatta passare per la base di costruzione di una stazione internazionale a traffico ridotto. In realtà, il risultato sarà quello di vasti parcheggi e snodi di container al servizio di un girone globale di merci, fantasiosamente previsto in aumento.

L’equilibrio idro-ecologico della zona sarà intaccato, lungo il territorio attraversato, con tunnel ed interramenti che porteranno alla perdita di sorgenti e all’impoverimento di torrenti con effetti sugli acquedotti e sulle colture, sui boschi e sulle viticolture, oltre ai danni su specie vegetali e animali. Non va escluso un possibile impatto su acque sotterranee e zone umide, con danni all’ecosistema. Altro che tutela del paesaggio, dell'assetto urbanistico o di siti archeologici!

Da tenere presente che la valle di Susa, molto stretta, è già percorsa da ferrovie di cui una internazionale, due strade statali (per i valichi del Monginevro e del Moncenisio), un’autostrada (A32), una centrale idroelettrica. E’ la valle più “infrastrutturata” e sempre meno vivibile dell’intero arco alpino. Durante i lavori che complessivamente si protrarranno almeno per 15 anni, la valle sarà percorsa da un via vai di tonnellate e tonnellate di materiali residui e da costruzione. E per finire, sarà inevitabile un aumento della mortalità fra gli abitanti della Val di Susa a causa del diffondersi nell’atmosfera di ossidi di azoto, polveri sottili e sottilissime. Si prevede, e nessuno può sottacere l’esistenza di un tale pericolo, un aumento durante i lavori di malattie respiratorie (asma, mesotelioma, tumori alla pleura) in particolare fra anziani e bambini. “Dulcis in fundo”, vicino al Tunnel di Base vi sono persino alcune miniere di uranio scavate in precedenza dall’AGIP; qui gli stessi progettisti parlano apertamente della presenza, in alcuni tratti, di rocce amiantifere. Spazi enormi saranno quindi destinati a cantieri decennali, con una diffusione di polveri, rumori e compromissioni delle acque generati da scavi e produzioni di cemento rapportate alle dimensioni dell'infrastruttura. Inevitabili gli inquinamenti acustici ed atmosferici dovuti a un flusso continuo dei viaggi di grossi camion, con la costante congestione del traffico su di una viabilità ordinaria che dovrà essere "modificata" e comunque ostacolata.

Avanti, dunque, con la prospettiva di scavare un minimo di 16 milioni di metri cubi di roccia, quasi 13 Km di scavi per la sola parte italiana e complessivamente (compreso il tratto francese) 57 Km di galleria. (A proposito: come si potrà correre ad oltre 200 Km orari con 57 Km da percorrere in galleria?). A conti fatti, il volume dei detriti risulterebbe pari a quello di una città da 250 mila abitanti. Dove verranno depositati, magari con l’amianto contenuto?

Lo “sviluppo economico” del Paese

Si esaltano le “ricadute” che avrebbero i lavori per la Tav: uno «sviluppo economico del Paese e delle future generazioni». Sospendere la Tav – si dice – significherebbe far saltare migliaia di posti lavoro: è la stessa “preoccupazione” che impedisce una chiusura delle fabbriche d’armi e bombe! Intanto, servizi pubblici veramente utili come sanità, istruzione, ecc., che reclamano l’inserimento di decine e decine di migliaia di addetti e macchinari per migliorare le prestazioni in evidente quotidiano decadimento e scomparsa, si vanno riducendo…

Ma finché impera il capitalismo e le sue logiche produttive e distributive, rimarrà sempre centrale – oggi più che mai – l’attenzione esclusiva sul profitto e sui guadagni finanziari da risucchiare al plusvalore estorto alla vivente forza-lavoro. Rotolando fra le spirali della crisi, il mistificare la realtà è d’obbligo per il capitale che diffonde l’illusione di un costante aumento dei traffici di merci mentre ovunque produzione e consumo, in termini capitalistici, sono ridotti a livelli pericolosi per la conservazione stessa del sistema.

Non è certo un problema di circolazione delle merci; ampliate e velocizzate le reti ferroviarie, rimane comunque l’altro problema per il capitale e i suoi commerci: quello delle distanze dalle linee ferroviarie sia dei punti iniziali di partenza delle merci, sparsi sul territorio nazionale e continentale, sia dei punti di destinazione finale delle medesime merci in luoghi altrettanto sparsi. Non solo rimangono lunghi tratti da percorrere in camion ma il totale dei costi e dei tempi (ambedue ragioni di vita o morte per il capitale) aumenterebbe ricorrendo alle due forme combinate di trasporto. E sempre a danno dei vitali profitti del capitale, poiché ben diverse sarebbero sia la produzione e la distribuzione in una società comunista, dove occorrerebbero solo beni (prodotti quanto più possibile in loco) per soddisfare i bisogni umani e non per estorcere plusvalore dal lavoro salariato dopo aver dilatato consumi inutili e dannosi. Ma questa è un capitolo del nostro programma anticapitalista; non è certamente fra le lungimiranti preoccupazioni, tipo quelle che anni fa formulava il professor Monti e il Governo che allora curava gli affari borghesi: il primo dichiarava che il Pil nazionale (ecco la “necessità” della TAV!) sarebbe aumentato addirittura del 10% negli anni a seguire le randellate assestate sul proletariato….

Assi ferroviari e piattaforme logistiche

Sempre a proposito della Torino-Lione, va anche detto che esiste già la linea ferroviaria del traforo del Frejus, che collega Torino alla Francia passando dalla Val di Susa. La riduzione di un’ora circa del tempo dei percorsi da Torino a Parigi si presenterebbe con costi salati per i contribuenti italiani (salariati e pensionati in prima fila). Ripetiamo altre cifre che circolano a proposito di costi: circa 1.200 euro al centimetro (120 milioni di euro al chilometro, e nella tratta dei 57 Km del tunnel di base si arriva ad un costo di 182 milioni/Km!

Invano si illumina il miraggio di una Italia che diventerebbe la «piattaforma logistica» con montagne di merci che sbarcherebbero sulle coste della penisola per poi essere smistate in tutta l’Europa. Dovrebbe in futuro entrare in scena l’asse ferroviario Lione-Budapest-Frontiera ucraina, passando dalla nuova galleria del Moncenisio. Fra l’altro, sarebbe prevista (sempre sulla carta) una tratta Torino-Venezia, mentre rimane sospeso il collegamento Milano-Venezia, e soprattutto la tratta Verona-Padova. I misteri dell’ipotetico «corridoio 5» si infittiscono proprio nella parte riguardante il complicato collegamento veneto. Da tener presente il fatto che le merci in maggior parte arrivano da est (Veneto) e non da ovest (Piemonte); in ogni caso con volumi destinati ad ulteriori cali visto le… congiunture negative. Tant’è che i progetti iniziali della Tav – ricordiamolo ancora una volta - si basavano su un movimento ipotizzato in 16 milioni di tonnellate annue che già nel 2006 era calato a 6 milioni di tonnellate! Nel 2010 il piano prevedeva addirittura 20 milioni di tonnellate mentre la dura realtà (a smentita delle illusioni capitalistiche) è stata di 2,6 milioni di tonnellate. Ce n’è abbastanza perché non poche ombre negative comincino ad agitare i sonni di qualche esponente degli stessi “interessi e poteri forti”.

I vantaggi in termini economici sono dunque molto astratti; concreta invece la lievitazione dei costi di costruzione durante gli anni (addirittura i decenni!) che vanno dai preventivi ai consuntivi (coi «costi collaterali» di appalti e subappalti e di «imprevisti» di vario genere). Di riflesso, dunque, un incremento del debito pubblico, già insostenibile con gli attuali chiari di luna. Da alcuni studi risultava fin dagli inizi un bilancio costi-benefici (sempre in termini di conteggi capitalistici su “entrate/uscite” di denaro) negativo per un minimo di 40 anni, mentre i debiti crescerebbero da 20 a 25 miliardi di euro per il passivo di esercizio.

Tornando alle Banche, si tratta di una pacchia per loro, con mutui che avranno la durata di decine e decine di anni e con spese supplementari che porteranno nelle casse delle Banche miliardi di interessi, mentre si leccano le dita quelli che si accaparreranno i lavori. Grazie sempre agli altissimi costi dell’opera, con denaro proveniente dalle finanze pubbliche e destinato ad essere inghiottito in una voragine che si andrà allargando negli anni. Montagne di “risorse” che vengono negate alle scuole, alla sanità, alle pensioni e ai servizi sociali. E’ chiaro, a questo punto, come per il potere borghese sia fondamentale l’investimento di colossali capitali finanziari, visto che gli investimenti produttivi (quelli per realizzare merci contenenti plusvalore strappato allo (con lo) sfruttamento della viva forza-lavoro) non rendono abbastanza. Meglio (per il capitale) correre il rischio di impatti ambientali devastanti, cercando di isolare (con le dovute maniere…) un “irrazionale” dissenso…

Progresso e crescita all’ombra dei “valori costituzionali

Nessuna meraviglia, per noi – che il capitale e i suoi gestori reclamino «progresso e crescita», preoccupati degli scricchiolii che il sistema fa sentire: una inquietudine che persino anche i “grillini” hanno presente quando – a nome della «resistenza popolare» – si dichiarano pronti a tutto pur di «difendere i valori costituzionali nell’interesse nazionale e di tutti i cittadini». Interclassismo a profusione, con l’impostazione di qualche contestazione che non può che risentire della dominante influenza ideologica che viene esercitata dalla borghesia anche su frange dello stesso proletariato e di certe “rivendicazioni” che gli vengono suggerite. imponendo un finale e rigoroso rispetto, nel complesso, del "sistema" (modo di produzione e distribuzione dominante), nascondendo il fatto che è proprio lui la causa ultima degli attacchi rivolti non solo al territorio ma innanzitutto alle condizioni di lavoro e di vita della classe operaia. Cioè quella parte della “cittadinanza” che ancora serve al capitale per estorcere plusvalore dallo sfruttamento della sua forza-lavoro, lasciando ampi strati di essa (sempre più in aumento) senza quel lavoro-salariato che nel sistema dominante costituisce l’unica possibilità di sopravvivenza. Una “questione”, questa, che non riguarda la classe borghese, soprattutto quella alta e media, la quale possiede ben altre fonti di… reddito. Per meglio garantirsi la “pace sociale”, ecco poi il caritatevole gesto della elargizione (momentanea e a forcaiole condizioni!) di un eventuale «minimo reddito» a condizione che i “poveri” se ne stiano sull’attenti davanti al business delle grandi opere pubbliche, attorno alle quali i gruppi imprenditoriali-finanziari (legali) e mafiosi (illegali), si scatenano speculando e saccheggiando, rapinando e devastando senza freni.

L’«intreccio perverso partiti-imprenditori-mafie» e la conseguente devastazione di territori, ambienti e salute dei «cittadini», non sono cause bensì effetti del dominio esercitato dal capitale nei rapporti fra gli uomini. Un capitalismo che non sopporta ostacoli di alcun genere nel suo movimento all’interno della società borghese e in caccia di profitto.

Il proletariato, la classe operaia, anche quando è portata a lottare contro gli attacchi che (oggi quasi quotidianamente) le sferra il capitale, continua ancora a sentirsi legata al capitale stesso e non va spontaneamente al di là della rivendicazione di una relativa stabilità delle proprie condizioni di vita e di lavoro in questo sistema. Segue ancora i pifferai che esaltano una «convivenza democratica e civile» fra tutti i “cittadini” nel rispetto degli averi e dei privilegi di cui gode la borghesia. Si parla di un interesse comune che in realtà tale è soltanto mistificando o negando ogni fondamentale differenziazione economica e sociale presente fra i “cittadini”. Così facendo viene nascosta, addirittura negata, l’esistenza determinante di una struttura economica e di un potere, il capitalismo, che tutto domina fino alle più estreme conseguenze a danno del proletariato, sul cui sfruttamento esso vive.

Quale soluzione?

Ancora una volta, senza una trasformazione radicale, politica ed economica, dell’intera struttura sociale, di un superamento del sistema produttivo dominante, si rimane preda della illusione di possibili riforme e correzioni di alcuni aspetti del presente stato di cose. Senza affrontare – con una seria «attività teorica, politica e organizzativa» come sarebbe necessario - la concreta prospettiva di un radicale superamento del presente stato di cose con la realizzazione del programma per il comunismo. E’ questa l’unica soluzione valida a quello che si sta manifestando come un vero e proprio imbarbarimento della vita umana in generale. La crisi del capitale e quindi l’azione di attacco al proletariato, la quale si farà conseguentemente sempre più feroce, esige risposte che superino ogni illusione sulla possibilità di soddisfare gli «interessi generali» o i cosiddetti «beni comuni» attraverso – come si crede o si vuol far credere – una diretta e democratica partecipazione popolare. Questo quando tutto intorno a noi ci indica chiaramente come non esistano interessi generali che il popolo in sé e per sé rappresenterebbe, quando invece in esso sono presenti divisioni e contrapposizioni di classe in dipendenza di condizioni di esistenza, economiche e sociali, che sono il prodotto dei presenti e storici rapporti produttivi.

Ed è sempre mascherandosi dietro un fantomatico “interesse generale” che si incensa un capitalismo che sarebbe un sistema soltanto da rivedere e correggere in alcune sue forme errate, instaurando un ipotetico «nuovo suo modello» col quale si avvierebbe un miglior futuro per tutti. Riferendosi al progetto della Tav, questo sarebbe per i “pentastellati” colpevole di «bloccare miliardi su miliardi», gli stessi che invece si vorrebbero usare (e “manipolare”) per altre necessità che meglio rafforzerebbero “l’insieme di verità e giustizia che compone la democrazia che vogliamo», senza minimamente intaccare questo assurdo modo di produrre e distribuire…

E se esiste una contrapposizione, un conflitto, che a questo punto non si può evidentemente negare, lo si dovrebbe superare con un ritornello oggi bandiera del “movimento popolare” caro ai 5Stelle: “una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa (…) seguendo un modello di sviluppo che consenta la partecipazione democratica ai processi decisionali… “. Le luci si spengono, la scena si scurisce sempre più.

DC
Mercoledì, March 20, 2019