Entrate e uscite… epidemiche

La strutturazione socio-economico, così come viene imposta dalle leggi di movimento del capitale potrebbe questa volta mostrare tragicamente la sua impotenza a sopportare il diffondersi epidemico di virus sconosciuti, in una situazione di emergenza globale, col rischio di veder saltare per aria questo bel mondo borghese e tutto il suo modo di produzione e vendita di merci. Il suo ordine si appoggia sulle fondamenta – capitalistiche - che stanno barcollando. Cominciando proprio da quella basilare - per esso – legge del valore-lavoro: fatti di estrema importanza sul quale concentrare la nostra denuncia critica e portare avanti la nostra lotta. La quale ha un obiettivo ben chiaro e preciso: rivoluzionare il presente stato di cose, affinché si realizzi la eliminazione – finalmente - di ogni vincolo al conseguimento di un profitto che mantenga in vita il capitale e tutti i suoi dominanti rapporti di produzione. Condizioni, quelle imposte dall’economia capitalistica, che non potrebbero mai consentire all’intera umanità di lavorare esclusivamente per produrre ciò che serve a soddisfare i suoi reali bisogni. E di fronte ad una epidemia come quella attuale del corona-virus, a fornire solo i rifornimenti alimentari e ciò che può servire ad affrontare l’emergenza!. Se il capitalismo si limitasse a questo, rischierebbe la morte!

La possibilità di scoppi di disordini conseguenti ad una condizione drammatica per le masse proletarie, non è da escludersi, tutt’altro, ma da parte nostra va respinto il comodo ricorso ad un collasso del sistema. Si tratterebbe di una prospettiva che presenta non poche problematiche. A cominciare dal fatto che un aggancio idealistico a soluzioni legate da un certo determinismo meccanicistico, potrebbero deviare in qualche biforcazione storica non in linea con l’attesa manifestazione di un progressivo e onnipotente sviluppo del… “cervello sociale” verso il comunismo e non verso la barbarie.

Certo è che i pilastri del sistema (lavoro salariato, denaro e valore) – stanno subendo forti scosse, tali da cominciare a scuotere quella coscienza umana che (come diceva anche Trotski) è piuttosto conservatrice: il pensiero umano si muove lentamente, anche se la necessità di un rivoluzionario cambiamento si sta facendo pressante. La frusta della storia – aggiungeva il compagno di Lenin – deve percuotere fortemente gli uomini, affinchè i loro pensieri e le loro azioni passino a ben altro, oltre le canzoni e gli slogan ai balconi che abbiano sentito, o le proteste negli Usa perché si riprenda il lavoro-salariato (per altro, organizzate dalla destra estrema). Stiamo assistendo - e di questo siamo compiaciuti - al risveglio di una lotta quantomeno volta a strappare condizioni di sicurezza nelle fabbriche, ma siamo consapevoli quanta ancora sia lunga la strada se il movimento proletario non arriva alla denuncia politica del nostro principale nemico: il capitalismo. Questo salto di “coscienza” dovrà essere il partito a portarlo nella classe, aiutandola a compierlo e farlo proprio. A cominciare dalle sue avanguardie, alle quali non servono di certo lezioni scientifiche di epidemiologia, accompagnate dal blablabla di venditori di tappeti abituati ad esibire su di essi i propri pensieri astratti al servizio di un riformismo che – per quanto radicale si professi – è (come quell’imperatore delle fiabe) del tutto nudo! Quindi, ancora una volta, siamo più che mai convinti che gli uomini debbano – quanto più coscientemente e responsabilmente possibile – evitare sia di “dormir come ghiri” e sia di “dimenarsi come ossessi”, come molte di queste supposte avanguardie pensano di fare!

Un’ultima riflessione va al prezzo del petrolio, oggi in caduta libera – addirittura sotto i 20 dollari al barile. Gli scontri, per il momento… commerciali, si intensificano dietro l’apparente ricerca di pacifici e solidali accordi. In realtà si tratta di pressioni politiche fatte con il controllo dei mercati nei quali si commerciano materie prime e risorse energetiche, e con la esibizione di potenti muscolature belliche.

Gli orizzonti si vanno incupendo, mentre il capitalismo è alle prese con l’aumento dei costi che accompagnano l’esplodere delle tante contraddizioni che covano dentro il sistema. Si spiegano così i quasi disperati tentativi, da parte delle maggiori centrali imperialistiche, di uscire per prime dall'attuale crisi, per avvantaggiarsi sui nemici concorrenti, sia economicamente sia strategicamente. Occorre riportare a regime la macchina produttrice di profitti, costi quel che costi, sia sul piano della sicurezza dei lavoratori, sia su quello di un possibile prolungamento della pandemia.

E qui sta il punto focale di tutta la faccenda, per cui il grido di allarme non deve essere lanciato solo sulla preoccupante fase storica della crisi pandemica, sulle sue ripercussioni economiche a tutti i livelli, sulla storica discesa del prezzo del greggio, con le relative ed inevitabili conseguenze sul terreno degli scontri imperialistici. Il grido di allarme più alto deve essere lanciato contro il cinismo del capitale che, pur di rimettere in moto, subito e in fretta, la macchina del profitto illude il mondo del lavoro che la fase di ripresa economica avverrà nella massima sicurezza dei lavoratori, ben sapendo di mentire, perché una simile situazione, oltre ad essere pressoché impossibile sul piano tecnico, costerebbe al capitale così tanti soldi da rendere l'operazione impraticabile.

Dunque, la macchina del profitto riprenderà a muoversi dando ai lavoratori un paio di mascherine in più, qualche controllo in entrata e in uscita dalla fabbriche con il termometro istantaneo e niente di più. Si aggiungano pure le distanze di sicurezza comprese, che verranno certamente prescritte ma per niente rispettate, pena, ancora una volta, il rallentamento della produzione e, quindi, una diminuzione dei tanto ricercati profitti. In compenso ai lavoratori verranno iniettate pesanti dosi di nazionalismo economico (sarete i nuovi eroi della patria) se contribuirete a far uscire dalla crisi il vostro paese prima e meglio degli altri. Sottacendo che tutto il processo di ripresa economica sarà solo sulle loro spalle e che dovranno sopportare, oltre all'onere della più dura politica dei sacrifici dal secondo dopo guerra ad oggi, la beffa - come sempre - di essere super-fruttatati dal loro nemico mortale: "il capitale", causa prima di tutte le crisi e di tutti i dissesti economici, sociali e bellici che non da oggi travagliano la decadenza di questo obsoleto modo di produrre e distribuire la ricchezza sociale che è il capitalismo decadente

I tentativi di far ripartire quanto prima possibile la macchina (che si sta arrugginendo…) della produzione di merci – rispondono ad una questione di sopravvivenza per il capitale e per questo stanno diventando un assillante problema.

In gioco, con la Fase due, vi è la sospensione di tutta una serie di garanzie contrattuali in nome della flessibilità, della necessità di garantire che la macchina produttiva di merci non si inceppi. Chissà che non diano un'ulteriore botta al diritto di sciopero; insomma, è prevedibile che tutta la ripartenza della macchina produttiva vada di pari passo con una "momentanea" sospensione di tutele, normative e garanzie per i lavoratori (non parliamo di diritti), e poi... si vedrà.

Il problema è che alla fase 2 succederà la fase 3 in cui la crisi economica dispiegherà pienamente le sue ali e a quanto già abbiamo sofferto con i contagi e la morte sul lavoro (fase 1), al peggioramento delle condizioni di sfruttamento sul luogo di lavoro e ai primi licenziamenti (f_ase 2_ – da segnalare che all'Ilva di Taranto un operaio è stato licenziato per aver segnalato la mancanza di sicurezza nell’azienda), si aggiungeranno le politiche di sacrifici, lacrime e sangue, per far ripagare al proletariato tutto (non solo a chi produce ma anche e soprattutto a chi sta in strada!) i costi di tutti i sostegni che gli Stati stanno più o meno elargendo (caritatevolmente…); i costi generali, sociali, di ogni crisi ed in particolare di questa che si sta aprendo perché, confessano, tutti gli indicatori la danno ben più grave di quella del 2008, per i noti motivi. E il tutto andrà poi ad ingigantire quella mostruosa massa di debiti che grava su tutti noi. Con tanto di interessi.

Insomma, un panorama ormai tragico in cui il proletariato (e non certamente quel famoso 10% più ricco del “popolo”!) sarà l'unico chiamato a pagare il conto “salato” presentato dal capitale. Quel che rimane del ceto medio, a sua volta subirà una batosta non da poco, con una proletarizzazione per noi molto interessante. Dovremo prestare attenzione a questo fenomeno, anche perché, storicamente, il ceto medio proletarizzato tende a dare militanti alla causa proletaria, il che, a scanso di malevoli critici, non significa che esso diventi il nuovo referente sociale dei rivoluzionari: il referente sociale è e rimane, va da sé, il proletariato.

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Sabato, April 25, 2020