Sulla contrattazione nazionale - La borghesia studia “nuove” strategie contro la classe salariata

La borghesia sta cercando di rianimare un capitalismo sempre più acciaccato e i suoi rappresentanti, non ultimi quelli più beceri, si affanno a trovare il modo per estorcere quanto più plusvalore possibile alla classe lavoratrice e/o a intensificarne la rapina. Vedi, a questo proposito, la cosiddetta “Quota 100” che, come abbiamo detto altre volte, è nei fatti una taglio alle pensioni (furto del salario differito) spacciato per una concessione.

A fianco dei politicanti c'è tutta una schiera di “teste pensanti” a cui la borghesia demanda il compito di presentare strategie per ossigenare il capitale che abbiano la parvenza della scientificità, di fronte alla quale, si sa, non si può fare altro che alzare le mani. Se poi tale “scientificità” ha le stesse fondamenta delle teorie complottiste, no-vax, negazioniste del Covid – e chi più oscurantismo ha, più ne metta – non ha nessuna importanza: l'importante è che l'aggressione alle condizioni di lavoro del proletariato assuma dignità culturale, di stampo universitario, e per l'appunto scientifico. Detto in termini più terra terra, le pensate di certa intellighenzia si differenziano dalle grossolane bugie della propaganda volgare solo per la forma, per i fiocchi con cui le menzogne più spudorate vengono impacchettate. L'attacco alla contrattazione nazionale ritorna periodicamente nei discorsi dei padroni e dei loro ideologi, perché la ritengono una palla al piede che impedisce alle aziende italiane di affrontare adeguatamente la concorrenza dentro e fuori i patrii confini. Le occasioni per tirare fuori dal cassetto gli spartiti di questa sgangherata litania sono le più varie. Per esempio, ultimamente sono state le parole del sindaco Sala, ai primi di luglio, che, nonostante l'attenzione mediatica ricevuta, ha scoperto l'acqua calda: a Milano la vita è più cara che in altri posti, specialmente del Meridione, quindi, prosegue il sindaco, gli stipendi devo tenere conto di tale disparità. Bene, bravo! Per una volta potremmo anche essere d'accordo con un esponente delle istituzioni e non ci permettiamo di suggerirgli la soluzione, tanto è banale. Infatti, se nel capoluogo lombardo la classe salariata arriva a fine mese col fiato più grosso che, mettiamo, a Napoli, basta alzare i salari milanesi e il gioco è fatto. Sappiamo però che ciò che può sembrare ovvio, in una società divisa in classi non lo è, perché i rispettivi interessi sono inconciliabilmente opposti: l'aumento dei salari intaccherebbe l'interesse dei padroni e se questi ultimi parlano di rivedere i livelli salariali è per andare in una direzione contraria a quella che il banale buon senso suggerirebbe alla “gente comune”, al proletariato. Tanto è vero che a metà luglio un articolo del Sole 24 ore (1) riprendeva la questione, riportando i risultati cui è giunto un gruppo di economisti – tra cui Boeri, ex presidente dell'INPS - esemplificativi del modo di ragionare di questo “general intellect” borghese, che per quanto demenzial-dadaista possa apparire a una persona normale, è la stella polare della teoria economica dominante e, ciò che più conta, dei proprietari/gestori del capitale. Per inciso, quei professori, seduti sulle cattedre di alcune delle più importanti università del mondo, hanno o avevano manifestato (se ricordiamo bene) simpatie politiche vicine all'ambiente democratico, inteso nella sua accezione corrente.

Uno di quelli, A. Ichino, così si esprime:

Nella ripresa economica post-Covid il Sud non deve rimanere indietro. Per questo bisogna correggere le inefficienze del paese, adeguando gli stipendi non solo in termini temporali all'indice dei prezzi ma anche in termini spaziali, cioè geografici, al costo della vita locale.

Per dare sostegno al loro teorema, riportano dei dati, secondo i quali nel Meridione i salari reali sarebbero mediamente più elevati del 9% rispetto al Nord, per via del prezzo minore delle case e della «spesa media delle famiglie» del Sud, che sarebbe inferiore per ben 740 euro mensili. Detto in altro modo,

Si tratta del 36% in meno in termini relativi, confrontando i 2810 euro mensili spesi nel Nord-Ovest rispetto ai 2068 nelle città del Sud, in base ai dati Istat 2019.

Anche prendendoli per buoni, quei dati vanno comunque sempre relativizzati, perché un salario/stipendio maggiore (eventuale...) deve “compensare”, per così dire, una disoccupazione molto più estesa e una qualità-disponibilità dei servizi generalmente inferiore, con i costi economico-sociali che tutto ciò comporta per il proletariato. In ogni caso, se fosse come i “nostri” accademici ci raccontano, questo non cambierebbe di una virgola i termini della questione: che si aumentino “in termini relativi” i salari al Nord del 36% e tutto andrebbe a posto. I padroni o imprenditori che dir si voglia vedrebbero sgonfiarsi i portafogli “in termini relativi” e il mondo del lavoro salariato vederebbe allentarsi un po' il cappio attorno al collo. Ma nel regno del capitale non funziona così: il profitto è il fine a cui tutto deve essere subordinato, a cominciare, va da sé, dalla forza lavoro. E infatti Ichino, dopo avere indicato nel divario di produttività tra Nord e Sud il difetto di fondo che renderebbe il contratto nazionale irrazionale, oltre che ingiusto, snocciola la formula non magica, ma “scientifica” che risolverebbe il problema:

Se i salari nominali fossero autorizzati a riflettere la produttività locale, diminuirebbero nelle province a basso valore aggiunto (2) e l'occupazione aumenterebbe.

Insomma, stringi stringi, il succo di tanta “scienza” economica è uno solo: abbassare i salari nel Mezzogiorno, con la speranza non detta – aggiungiamo noi – che la disoccupazione e il lavoro nero più estesi che al Nord esercitino un'ulteriore pressione sul mercato del lavoro, spingendo ancora più in basso il salario. Con la speranza aggiuntiva che una caduta verticale dei livelli salariali (ufficiali) al Sud trascini verso il basso i salari su tutto il territorio nazionale.

Si tratta di un pensiero talmente innovativo che riprende, di fatto, le gabbie salariali, abolite formalmente più di mezzo secolo fa e indica in una specie di delocalizzazione interna la via italiana non al socialismo (quanto mai famigerata pure quella), ma all'uscita dalla crisi pluridecennale e dagli effetti pesantissimi (ma aggiuntivi) della pandemia. La crescita economica dei paesi “emergenti” non è basata sostanzialmente sulla presenza diffusa delle “Zone economiche speciali”, dove il capitale (molto spesso straniero) può contare su incentivi statali e, in primo luogo, su di un costo del lavoro molto basso o più basso che nel resto del paese? Ichino &Co. non forniscono dettagli nell'indicare di quanto il salario dovrebbe scendere, ma prendono come esempio virtuoso la Germania, dove – dicono – il divario tra il salario medio della Baviera e della Turingia (ex DDR) è del 29,7%, quando invece in Italia tra Nord e Sud è “solo” del 4,2%. A parte il fatto che, a questo punto, non ci orientiamo più bene tra le cifre (insomma, il divario è a favore del Nord o del Sud?), forse perché non teniamo corsi alla Bocconi, ci viene da pensare che il “giusto” salario ufficiale per la forza lavoro meridionale dovrebbe essere un trenta per cento più basso di quella settentrionale. Il taglio netto della retribuzione sarebbe però controbilanciato – stando sempre ai professori – da un aumento dell'occupazione

che aumenterebbe in modo significativo […] fino a 13,9 punti percentuali […] con effetti positivi anche in busta paga.

Positivi per chi? Forse per il padronato – in questa ipotesi tutta da verificare – che pur sborsando grosso modo la stessa massa salariale o anche meno, vedrebbe però crescere la massa del plusvalore, la linfa vitale del modo di produzione capitalistico. La strada per raggiungere questo risultato strabiliante è, come si diceva, lo smantellamento della contrattazione nazionale, a favore di quella aziendale o territoriale, più aderente, secondo gli accademici, ai livelli di produttività della singole imprese.

Non ritorniamo, qui, sulla natura e sulla funzione del contratto nazionale, e quindi del sindacato (3), che ha sempre tirato indietro rispetto a questa questione, perché il suo ruolo di cogestore del mercato della forza lavoro verrebbe indebolito. Ciò che vogliamo sottolineare è che la borghesia, ben consapevole delle enormi incognite che pesano sull'economia (4), non trascura né trascurerà ogni mezzo per rendere il salario ancora più “variabile dipendente” dalle compatibilità aziendali specifiche e dalla fase generale del capitale; con buona pace del riformismo, ci viene da aggiungere, illuso che si trovi l'uscita dalle difficoltà economiche nell'aumento del potere d'acquisto della classe lavoratrice. La via perseguita dalla borghesia va, come sempre nelle epoche di crisi, in direzione opposta, perché prima di tutto il capitale deve assicurarsi un livello di estorsione del plusvalore “congruo” alla composizione organica data (5); il che può avvenire solo intensificando, in qualunque modo, lo sfruttamento del lavoro vivo.

Sta alla nostra classe, al proletariato con o senza contratti, cominciare a mettere il bastone tra le ruote del capitale, con la prospettiva di buttarlo definitivamente giù, nella scarpata della storia.

CB

(1) M. Finizio, Cresce il divario nord-sud ma gli stipendi “reali” premiano chi lavora nel Mezzogiorno, Il Sole 24 ore, on-line, 15 luglio 2020. Le citazioni successive sono tratte da questo articolo.

(2) Aveva fatto l'esempio di un lavoratore di Cosenza, la cui produttività sarebbe del 71% inferiore a quella di un suo compagno di Milano. Non ci dice il perché, almeno non ce lo dice l'articolo del Sole 24 ore.

(3) Rimandiamo alla nostra pubblicistica più che abbondante: vedi, per esempio leftcom.org

(4) Nel primo trimestre di quest'anno, il Pil è caduto del 4,7%, nel secondo del 12,8%, addirittura più di quello previsto. Gli altri paesi europei non stanno meglio, a volte anche peggio. Ma il discorso vale, grosso modo, per il mondo intero.

(5) Ricordiamo che la composizione organica del capitale è il rapporto tra capitale costante (macchinari, materie prime, energia ecc.) e il capitale variabile, cioè la forza lavoro. E' un rapporto allo stesso tempo tecnico e di valore.

Lunedì, August 31, 2020

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.