Nuova fregatura pensionistica in arrivo per i lavoratori

Verso la fine di ottobre il governo Draghi ha varato la legge di bilancio 2022, consistente in circa 30 miliardi, di cui 23,5 andranno a ingrossare il deficit dello stato, già enormemente gonfiato dalla crisi pandemica.

Naturalmente gli stanziamenti più corposi (4,1 miliardi) sono destinati alle imprese grandi medie e piccole, cioè ai padroni, sotto forma di sostegni, decontribuzione, finanziamenti vari per cercare di favorire la ripresa economica e rilanciarne la competitività sui mercati internazionali.Tanto che lo stesso governo prevede una crescita del 6% circa come rimbalzo dopo la fase di blocco semitotale avvenuta nel 2020 causa l’emergenza covid.

Per i lavoratori si prospetta come al solito qualche mancia insignificante sul piano di una possibile riforma fiscale che andrebbe a modificare leggermente le aliquote Irpef, anche se solamente quella di mezzo, che comporterebbe piccoli benefici solo alle fasce medio alte del lavoro dipendente e lascerebbe inalterate tutte le altre che costituiscono la stragrande maggioranza della classe lavoratrice, cioè operai e impiegati. In più, come ulteriore considerazione, va notato che gli eventuali ridicoli benefici mensili ( dai 10 ai 30 euro mensili) che spetterebbero sono già stati spazzati via dagli aumenti esagerati che riguardano le materie energetiche: luce e gas aumenteranno del 40% e 30% rispettivamente sottoponendo subito i proletari a una nuova stangata anticipata.

L’inflazione sta risalendo in modo notevole, negli USA è già segnalata al 6% e in Italia si prevede che a fine anno supererà il 3%. La domanda di materie energetiche per rilanciare l’economia capitalistica internazionale vede il suo apice nella Cina, che sta rastrellando petrolio e gas a livello mondiale, facendo così lievitare i prezzi enormemente.

Tornando nella nostra Italietta, inserita nella manovra economica che tutte le forze governative dell’ammucchiata nazional - patriottica hanno caldamente approvato, c’è poi l’intenzione di provvedere a una nuova ennesima riforma delle pensioni.

Facciamo una breve e sintetica carrellata di quelle precedenti e più significative che sono state approvate dai vari governi borghesi di diversa estrazione, con il sostegno e la collaborazione attiva di tutti i sindacati (CGIL CISL UIL) nel cercare di sforbiciare tutto il cosiddetto stato sociale (pensioni scuola e sanità), per destinare le risorse al contenimento del bilancio statale e agli investimenti capitalistici, con ristrutturazioni varie dell’apparato economico produttivo della borghesia.

Il sistema pensionistico italiano fino agli anni '90 del secolo scorso era praticamente uscito dalla guerra e dalla successiva ricostruzione con due criteri che permettevano di ottenere la pensione con 60 anni minimo di età e 35 anni di contribuzione. Vi erano poi delle eccezioni che riguardavano il pubblico impiego, con le cosiddette pensioni baby per i dipendenti pubblici introdotte nel 1973 e rimaste in vigore fino al 1992, che consentivano di andare in pensione dopo 20 anni di lavoro e dopo 14 anni e sei mesi alle donne sposate con figli.

Dagli anni '90 in poi si succedono vari interventi volti a eliminare del tutto i cosiddetti favoritismi (pensioni baby), ma soprattutto al tentativo di ridurre pesantemente la spesa previdenziale in rapporto al Pil, che la crisi economica e il continuo aggravarsi del bilancio statale non potevano più permettere di mantenere al capitalismo italiano.

La riforma Amato innalzò l’età di vecchiaia da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 anni per gli uomini. Inoltre introdusse il calcolo dell’importo pensionistico effettuato non più sulla media degli ultimi 5 anni di salario o stipendio percepito, bensì sugli ultimi 10 anni. Inutile osservare che ciò comportava un primo pesante taglio all’emolumento stesso, riducendo sostanzialmente il salario differito dei lavoratori.

Nel 1995 sarà la riforma Dini, sempre col sostegno attivo delle sinistre borghesi e dei sindacati, ad assestare un altro pesantissimo colpo alle pensioni dei proletari.

Si passa come metodo di calcolo dal sistema retributivo (circa 80% dell’ultimo stipendio percepito) a quello contributivo, conteggiando i contributi versati in tutta la vita lavorativa (circa il 55% dell’ultimo stipendio) per coloro che non avevano nel 1995 raggiunto 18 anni di contribuzione, introducendo una enorme disparità per i lavoratori più giovani, che si vedevano decurtata la futura pensione del 35% circa rispetto alla pensione precedente calcolata col metodo retributivo. Teniamo presente sempre che le pensioni italiane sono tra le più basse dei paesi Europei, come del resto i livelli salariali. Vengono inoltre tagliati gli importi delle pensioni di invalidità e reversibilità.

Ci saranno altri tentativi di riforma che saranno introdotti dal governo Prodi, dai ministri Maroni e successivamente Padoa Schioppa, che inseriranno quota 96 come somma di anni di contribuzione e anzianità, che quindi verrà elevata ulteriormente e soprattutto si procede alla progressiva eliminazione del TFR, che verrà destinato ai Fondi pensione; da un lato favorendo la speculazione finanziaria del capitale e dall’altro sottoponendo il salario differito dei lavoratori all’incognita pericolosa dell’investimento finanziario, che già tanti guasti aveva apportato alle misere condizioni di vita degli operai (la tragica vicenda Enron negli Usa insegna ampiamente!!).

Arriviamo pertanto alla riforma Fornero che innalza ulteriormente l’età minima a 67 anni e la contribuzione a 42 anni… Il criterio per i padroni e i loro governi è sempre più uniformato a diminuire l’importo delle già magre pensioni dei lavoratori e aumentare l’età di uscita dal lavoro, in modo, come già abbondantemente dimostrato, di comprimere al ribasso la spesa previdenziale accusata falsamente di essere la causa principale dell’indebitamento pubblico dello stato capitalistico italiano.

L’ultima modifica viene attuata dal primo governo Conte e sponsorizzata dal fascistoide ministro Salvini, introducendo la cosiddetta quota 100, che doveva essere raggiunta come somma di anni e contributi (62 + 38 ecc.). Da notare che soprattutto la Lega ha sbandierato questa modifica all’odiata riforma Fornero come innovazione positiva per il mondo del lavoro. I falsari del partito di Salvini non hanno mai detto però che questa riforma apportava un taglio ulteriore dell’importo pensionistico in misura del 3% circa per ogni anno di uscita rispetto al limite di 67 posto dalla riforma Fornero. La manovra, demagogica e strumentale di un partito che rappresenta interessi della media e piccola borghesia imprenditoriale e bottegaia, è effettuata soprattutto per cercare di ottenere consensi elettorali anche nella classe operaia del nord, del tutto priva ormai di referenti politici social-riformisti, schierati ormai apertamente a difesa dell’economia nazionale e del capitale.

Finalmente siamo ad oggi, in quanto le modifiche apportate da quota 100 scadono a fine 2021.

Quindi l’attuale governo Draghi e compagnia cantante devono intervenire nuovamente per dare vita a una nuova riforma che stabilizzi per lungo tempo la spesa previdenziale, rendendola compatibile, e sempre più al ribasso, con le necessità improrogabili del capitale italiano e del suo stato.

È in corso un confronto con i sindacati che hanno minacciato (sic!!) iniziative di lotta qualora non venissero consultati e non partecipassero alla emanazione delle modifiche da apportare all’impianto della legge Fornero, che comunque resterà nelle sue linee fondamentali. Ora si parla come fase di transizione per un anno solamente di quota 102, come somma di contribuzione ed età lavorativa, incrementando ancora di 2 anni la quota precedente!

È sicuro però che l’unico metodo di calcolo a regime sarà quello contributivo, che taglierà gli importi, come già detto, del 35 % circa rispetto al precedente retributivo.

Verranno probabilmente confermate le due varianti per uscire con flessibilità prima dei fatidici 67 anni, cioè 1) opzione donna a 58 anni e calcolata per intero col contributivo, pertanto con il taglio suddetto che la renderà una solenne fregatura, e 2) l’Ape Sociale che sarà destinata ai lavoratori che hanno svolto lavori gravosi e che se non sono deceduti sul lavoro (non è purtroppo una battuta vista l’incidenza elevatissima di tali “incidenti” mortali) andranno in quiescenza, comunque col solito calcolo ridotto della pensione.

Al momento in cui scriviamo pertanto non è stato partorito dal governo ancora un nuovo trattamento che dal 2023, dopo la fase transitoria di quota 102, utilizzerà comunque l’impianto generale della riforma Fornero, i cui capisaldi restano in ogni caso il regime contributivo di calcolo per tutti e l’età minima per l’accesso alla rata pensionistica in 67 anni o 42 e sei mesi di contributi versati, salvo le varianti di cui sopra.

La direzione nella quale il capitalismo e i suoi governi di ogni colore sono ormai da tempo allineati è in ogni caso già tracciata: pensioni sempre più misere come potere d’acquisto e ottenibili in età sempre più avanzata!

La tendenza è ormai consolidata anche a livello internazionale, perché la crisi economica e sociale del sistema capitalistico impone un continuo e massiccio ridimensionamento della spesa sociale; il cosiddetto Welfare State nelle sue componenti principali deve essere schiacciato fino in fondo, per le esigenze sempre più fameliche del capitale.

In più vi è da sottolineare come fra un paio di anni, esaurito il piano di finanziamento del Recovery Plan di 209 miliardi dell’Unione Europea, di cui circa 130 andranno ad aumentare il vertiginoso debito pubblico (155/160MLD) e il deficit conseguente ( 9/ 10 %), le litanie antiproletarie dei sacrifici e delle privazioni torneranno a costituire il ritornello principale con cui padronato, socialdemocrazia (cioè la sua pallidissima versione centro-sinistra, il che...) e sindacati imbottiranno la coscienza e le menti dei lavoratori.

Il quadro complessivo delle condizioni di vita e lavoro oltre che pensionistiche del proletariato non potrà pertanto che peggiorare notevolmente, sia sotto l’aspetto salariale, tra i più bassi a livello europeo, sia in quello occupazionale. Già lotte di resistenza sono in atto con occupazioni di fabbriche che hanno chiuso o riducono il personale, anche se tali risposte operaie denotano purtroppo solamente l’iniziativa della disperazione per la salvaguardia del posto di lavoro o si caratterizzano esclusivamente per la difesa immediata delle condizioni di salario e contrattuali.

La speranza e l’augurio nostro e l’intento per il quale lavoriamo è che tali lotte possano in un futuro non lontano assumere un carattere generale ed unitario da parte della classe lavoratrice e che superino gli steccati sindacal- riformisti per ergersi su un piano di classe contro la causa prima che è alla base degli attacchi che il capitalismo, travolto dalla crisi, assesta al proletariato.

Le lotte per l’occupazione, il salario, contro lo sfruttamento sempre più intenso e contro le riforme antioperaie di governo padroni e sindacati devono cercare di caratterizzarsi quindi sul terreno politico dell’anticapitalismo, dello scontro di classe contro la borghesia e i suoi governi, per la crescita di una prospettiva rivoluzionaria ed internazionalista.

È il principale compito cui devono lavorare e impegnarsi attivamente quelle avanguardie politiche, diretta emanazione di un partito realmente comunista, nella loro capacità di organizzare e dirigere le iniziative all’interno dei posti di lavoro, sul territorio e ovunque sia presente la classe proletaria.

RD
Sabato, November 13, 2021