“Io sono Giorgia… e il capitale può stare tranquillo"

Finalmente anche le elezioni politiche del 2022 sono giunte al termine e l’aspetto positivo, l’unico, è che per un po’ non dovremo più assistere alla parata di “venditori di tappeti” che si spintonano per irretire una platea sempre più stanca, incazzata e disorientata, con la loro merce fatta di promesse e magnifiche imprese, passate e future.

Se c’è una cosa che queste elezioni ribadiscono, se ancora ce ne fosse stato bisogno, è che si può anche andare tutti a votare, ciascuno in cuor suo animato dalle migliori intenzioni, ma nella società in cui viviamo i voti si pesano molto di più di quanto non si contino.

C’è chi per votare ha a disposizione solo la propria scheda e chi vota spostando capitali, forza lavoro, tecnologie. Chi traccia una X su un foglio e spera che la sua vita venga presa in considerazione e chi invece può finanziare partiti, giornali o televisioni facendo una telefonata o schiacciando un bottone, o magari guadagnare speculando sul prezzo delle materie prime. Sono modi diversi di votare, ma non sono ugualmente efficaci.

A dire il vero, anche se questo non è accompagnato dalla consapevolezza politica e dalla disponibilità alla lotta che vorremmo noi, la percezione dell’inutilità del voto si sta facendo sempre più strada. Il numero di potenziali elettori che non si è recato alle urne supera i 16 milioni, più di un italiano su tre, e ovviamente il fenomeno è direttamente proporzionale all’assenza di prospettive economiche ed è più alto nelle regioni più depresse d’Italia, ma comunque anche nelle aree più ricche è in aumento. Lo ribadiamo però, onde evitare equivoci, non ci interessa appropriarci politicamente dell’astensione come se fosse di per sé un risultato positivo: se l’astensione si ferma alla rinuncia al voto può voler dire semplicemente rassegnazione, disinteresse e certe volte qualunquismo. L’astensione ha valore per noi se è accompagnata dalla disponibilità alla lotta per una società non condannata alla divisione in classi e allo sfruttamento. In una società non divisa in classi contrapposte saremmo per il voto e per la partecipazione le più alte possibili.

Detto questo proviamo a trarre dall’attuale tornata elettorale qualche considerazione. L’esito era scontato, i sondaggi avevano fotografato in modo esatto la situazione. Ha vinto l’unico partito della coalizione di centrodestra che non ha fatto parte del governo di unità nazionale guidato da Draghi, e questo è sintomatico perché ormai da un po’ di anni, accanto all’astensione in crescita, quella che si registra è una spinta molto forte in termini di consenso popolare verso i partiti che appaiono come “antisistema”, anche se poi antisistema non sono.

Abbiamo assistito negli ultimi cinque anni alle alterne fortune prima dei Cinque stelle che hanno fatto il pieno nel 2018 e in pochi mesi sono crollati, poi della Lega che ha seguito lo stesso percorso e ora dei Fratelli d’Italia. Siccome già nelle settimane prima delle elezioni si è visto quanto il linguaggio barricadiero delle origini si sia moderato e istituzionalizzato con l’approssimarsi al potere, e come si siano registrate sempre maggiori consonanze della Meloni con lo stesso Draghi in materia di politica economia, scostamento di bilancio, politica estera etc., la sensazione è che questo possa diventare presto anche il destino degli attuali vincitori.

Non possiamo saperlo però perché non si può prevedere il futuro, nemmeno a breve termine, quello che si sa è che questo governo si troverà di fronte una situazione molto difficile da gestire, da un lato per le conseguenze della guerra, prima fra tutte l'inasprirsi dell'inflazione e della crisi energetica, e dall’altro per quelle della crisi economica che precede la guerra, di cui è causa, e da decenni continua a scavare sotto le fondamenta dell’attuale società. Non possiamo dire ora quale strada la crisi prenderà di qui a breve, ma è probabile che ci sarà un’accelerazione. I vincitori di oggi potranno pure giocare la loro partita sul piano ideologico, battendo il chiodo sull’identità italiana, sulla difesa dei valori tradizionali della famiglia etc., sulla persecuzione degli immigrati visti come contrapposti agli italiani, ma sul piano economico avranno ben poche opzioni, e anche quelle poche rischiano di giocarsele per inesperienza e per mancanza di quadri politici all’altezza, ciò che li renderà se possibile ancora più inclini a non prendere troppo le distanze dall’attuale classe dirigente e dai suoi notabili.

Del programma politico del partito di Giorgia Meloni quello che si può realizzare senza grandi disturbi è una revisione del reddito di cittadinanza, che verrà circoscritto rispetto alle attuali categorie. Sarà tutto da vedere se e quanto delle risorse disponibili verrà destinato alla promessa riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, magari qualche piccola regalia sarà concessa e pagata più tardi con un taglio della spesa sociale, cosicché il gioco sarà a somma zero se non negativa.

Ben più probabile è invece una qualche misura che vada in direzione della cosiddetta flat tax, che era la bandiera in modo particolare delle altre due formazioni del centrodestra che su questo hanno giocato una partita spudorata.

Ridurre le tasse ai ricchi è come si sa la nuova frontiera di un capitalismo che per il resto le ha già provate tutte per rianimare i tassi di profitto: delocalizzazioni, riduzione degli stipendi, precarizzazione, taglio delle pensioni e della spesa sociale. Ora non ci si gira più nemmeno intorno: “i ricchi devono stare bene perché così starà meglio anche il resto della società”, e se non l’ha detto Adam Smith in persona qualcuno deve pur averlo detto, la ricchezza procede come lo spirito santo dall’alto verso il basso, e se in basso non arriva è perché in alto non ce n’è abbastanza.

Sulla politica estera è probabile che il nazionalismo, o sovranismo che dir si voglia, si stemperi in una più docile e accomodante posizione di equilibrio con l’Unione Europea: non son questi tempi in cui si possa fare troppo i furbi con le alleanze internazionali e i cordoni della borsa – ovvero i miliardi del PNRR e le protezioni dagli attacchi speculativi – arrivano solo a chi fa il bravo. La prima impressione è che anche per Giorgia in un certo senso… è finita la pacchia.

Per chi, invece, la pacchia non c'è mai stata, si pone con la forza di sempre il solito problema. O il proletariato (di lui si parla) riesce a scuotersi di dosso il senso paralizzante di sconfitta e rassegnazione, frutto di decenni di attacchi borghesi – di ogni specie – e comincia a rispondere con la lotta di massa, oppure continuerà a recitare il ruolo di cavia per gli “esperimenti” sempre più violenti che la borghesia mette in atto per cercare – inutilmente – di uscire dalla sua crisi storica. Solo la ripresa della lotta di classe proletaria potrà dare fiato e gambe alle sparute minoranze che, tra immani difficoltà, cercano di forgiare il partito della rivoluzione internazionale, strumento indispensabile per conquistare un mondo nuovo e incomparabilmente migliore di questo.

MB

Giovedì, September 29, 2022