Il “circolo vizioso” delle lotte economiche

Il copione dei riformisti recita: "imprimere un nuovo impulso per la crescita e l'occupazione". Ma intanto, nel cielo del capitalismo globale si addensano nubi sempre più scure. Il denaro si tiene alla larga da “investimenti produttivi” che non garantiscano profitto; non trova possibilità – come capitale - di impieghi utili per estorcere sufficiente plusvalore dall'unica fonte in grado di produrlo, la forza-lavoro. Si teme più un “deterioramento della situazione” che una “ripresa”, mentre i tamburi battono sulla massima flessibilità e su "retribuzioni moderate" per i lavoratori occupati. Verso le Banche non si va oltre qualche invocazione per una "vigilanza macro-prudenziale" con inviti a "comportamenti virtuosi". Riguarderebbero le rettifiche di valore da indicare nei bilanci, nei debiti della clientela in sofferenza e in altre inevitabili perdite su crediti. Una montagna di hedge funds, cartolarizzazioni, obbligazioni immobiliari, ecc., soverchia il sistema e allarma le Banche che detengono pacchi di titoli tossici ("titoli radioattivi").

Dopo aver drogato l'economia, cercando di ristabilire un rapporto stabile tra la produzione (di merci) e il loro consumo pagante che si restringe, il credito ha finito col "valorizzare" una ricchezza fattasi del tutto fittizia. Un credito, cioè, staccatosi dal fondamentale processo produttivo, illudendosi di essere un capitale che aumenta automaticamente in operazioni prevalentemente speculative. Il denaro inteso come capitale feticcio, non solo, ma che si è alla fine volatizzato nella forma di titoli senza copertura alcuna.

Una astratta moltiplicazione in duplicati cartacei di un capitale inesistente e comunque ritenuto sempre indipendente - secondo le interessate "intenzioni" di Banchieri e finanzieri - dal plusvalore realmente estorto nei processi produttivi. E questo proprio quando il saggio medio del profitto industriale tendenzialmente continua a diminuire o quanto meno a trovarsi in forte difficoltà.

Sulla crisi che sta rodendo al cuore il capitalismo globale, ormai non vi sono dubbi neppure da parte degli "esperti" al servizio della borghese società: la crisi è strutturale, al punto da mettere in forse l'intero sistema produttivo e sociale in cui viviamo, o meglio "sopravviviamo". Gli appelli a nuove regole comuni, ad un ordine "etico", si sprecano mentre i bollettini sulle condizioni del paziente si fanno concitati e le previsioni del futuro si offuscano.

L'intero mondo è percorso da un evidente conflitto fra il presente stato di cose - dove lo sviluppo della base materiale della società, il suo modo di produzione ancora dominante, ha raggiunto potenzialità tanto enormi quanto devastanti (così come viene gestito per i “bisogni” del capitale) - e la forma sociale che lo caratterizza. I rapporti di produzione generano contraddizioni con le forze produttive disponibili, facendo chiaramente emergere quella che noi definiamo una opposizione dialettica tra base materiale e forma sociale, irrisolvibile se non attraverso una radicale trasformazione dell'una e dell'altra.

Siamo al trionfo della critica materialistica e storica del marxismo (e delle sue stesse tanto "ridicolizzate" previsioni, come quella di un progressivo immiserimento delle masse), la sola capace di indagare eventi e fenomeni in una loro concatenazione fra spazio e tempo, con il consolidarsi a livelli macroscopici e cronici di fenomeni quali quelli della sovrapproduzione di merci, saturazione dei mercati, disoccupazione, precarizzazione del lavoro salariato, eccetera.

Fra gli ostacoli soggettivi ostacolanti una definitiva presa di coscienza di una situazione al limite del collasso oggettivo, viene avanti – fra la cosiddetta “sinistra” - un pluralismo di interpretazioni del marxismo, risultanti da quella che sarebbe una sua crisi ritenuta conseguente al fallimento dello stalinismo. Occasione per far sembrare il marxismo niente più di una generica opposizione al regime borghese dominante, trasformato nel generico richiamo ad un più giusto e socializzato capitalismo. In tal senso le mistificazioni del marxismo si sono moltiplicate, dando vita a tendenze politiche fondate su spezzoni ideologici e pratiche soggettivamente volontaristiche, che ignorano le concrete determinazioni e l'approfondita analisi sia delle condizioni oggettive sia di quelle soggettive.

Al movimento pratico verso il comunismo, quale processo storico che affonda le sue radici e la sua stessa prassi in tutti gli aspetti di una realtà complessa, si sostituiscono affermazioni astratte e illusorie prospettive che ignorano ogni discriminante di classe. "E' la vecchia illusione che basti la buona volontà della gente per cambiare le condizioni esistenti, e che le condizioni esistenti siano frutto delle idee" (Marx, L'ideologia tedesca). Con un conseguente stravolgimento di obiettivi e una devastante conclusione con simulacri di lotte politiche e sociali che - senza una presa di "coscienza del proprio contenuto", quale solo il partito di classe può dare - esprimono unicamente la presenza incancellabile ed anzi aggravatasi delle tante contraddizioni reali del capitalismo. Come ancora diceva Marx, non basta vedere "l'antagonismo delle classi e anche l'efficacia degli elementi dissolventi nel seno della stessa società dominante". Occorre vedere una "attività storica autonoma da parte del proletariato, (…) un movimento politico proprio e particolare del proletariato". (Manifesto del partito comunista). E quindi, senza una compatta organizzazione politica del proletariato in classe rivoluzionaria, non si va lontano.

Attorno a noi i fatti si aggravano; i mezzi di comunicazione li sottopongono ad una costante manipolazione confondendoli fra una inutile, insignificante e persino folle girandola di notizie che nutrono le opinioni popolari e le ingabbiano in un "pluralismo" ideologico che accumula soffocanti e… “democratiche” opinioni. Non solo, ma un dominante eclettismo cultural-ideologico ha finito con l'infettare i principi

stemperandoli in una serie di "inversioni di tendenza", mentre dilaga un "ciarpame della confusione" che immobilizza il proletariato.

Quello che Marx spiegava alla classe operaia in Salario, prezzo e profitto, quasi 150 anni fa, è di estrema attualità, e oggi più di ieri fa parte di quel programma del comunismo che deve essere portato fra i proletari e non considerato come una "pia illusione ottocentesca" da dimenticare o tenere nascosta.

E' proprio lo sviluppo del modo di produzione capitalistico a porsi contro gli operai (intesi più in generale come classe salariata), diminuendo il livello medio dei salari, spingendo il valore del lavoro ad un sempre più basso limite. Questo non significa certamente che il proletariato debba rinunciare alla sua resistenza contro gli attacchi del capitale, cercando di migliorare temporaneamente la sua situazione. La classe operaia deve lottare per i livelli del proprio salario, ma occorre renderla consapevole che i suoi sforzi sono solo tentativi per mantenere ciò che il capitale riconosce al lavoro degli esseri umani, cioè la sua costrizione a vendersi come merce e solo quando il capitale ne ha bisogno.

Al sistema del lavoro salariato la classe operaia è legata oggi da una generale servitù, per cui la sua lotta “sindacale” - pur necessaria - è limitata agli effetti ma non va contro le cause di questi effetti. Si applicano dei palliativi ma non si cura la malattia. Gli attacchi continui del capitale, i mutamenti e le crisi del mercato provocano una inevitabile guerriglia che, come tale, non deve però oscurare nel proletariato la comprensione (ecco ciò che i comunisti devono far maturare fra i proletari in ogni momento e occasione!) "che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla classe operaia, genera nello stesso tempo le condizioni materiali e le forme sociali necessarie per una ricostruzione economica della società. Invece della parola d'ordine conservatrice: Un equo salario per un'equa giornata di lavoro_, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario:_ Soppressione del sistema del lavoro salariato" (Marx, Salario, prezzo e profitto).

E Marx concludeva con questa risoluzione: "Primo. Un aumento generale del livello medio dei salari provocherebbe una caduta generale del saggio generale del profitto, ma non toccherebbe, in linea di massima i prezzi delle merci". Oggi, ancor pù di prima, il capitale non può che anteporre ad ogni eventuale elemosina concessa agli operai, un condizionante aumento della produttività.(Non vi è contratto, nazionale o aziendale che sia, che non subordini il salario o suoi “aumenti”, direttamente alla produttività del lavoro). Un aumento che - con un maggiore e bestiale sfruttamento della forza-lavoro e soprattutto con lo sviluppo della scienza e della tecnologia – diminuisce anche l'impiego di manodopera.

Secondo. La tendenza generale della produzione capitalistica non è di elevare il salario normale medio, ma di ridurlo". (Esattamente quello che si è verificato a fronte del colossale aumento della produttività per ogni operaio, registratosi nei decenni.)

Terzo. Le Trade Unions compiono un buon lavoro come centri di resistenza contro gli attacchi del capitale; in parte si dimostrano inefficaci in seguito ad un impiego irrazionale della loro forza. Mancano, in generale, al loro scopo, perché si limitano ad una guerriglia contro gli effetti del sistema esistente, invece di tendere nello stesso tempo alla sua trasformazione e di servirsi della loro forza organizzata come di una leva per la liberazione definitiva della classe operaia, cioè per l'abolizione del sistema del lavoro salariato.

Eravamo nel 1865 e queste considerazioni venivano fatte nonostante i sindacati inglesi si prodigassero per una azione momentanea in difesa della classe operaia. Ma ben presto - come scrisse lo stesso Engels nel 1881 - anche le Trade Unions avrebbero "dimenticato il loro dovere di punte avanzate della classe operaia", mantenendo anzi "la classe operaia in un circolo vizioso dal quale non c'è via d'uscita". Era ormai giunto il momento perché al di sopra degli stessi sindacati "balzasse fuori un'organizzazione generale, politica, della classe operaia nel suo complesso".

Spetterà in seguito a Lenin il compito di dichiarare a chiare lettere che la lotta economica non ha alcuna funzione di rottura rivoluzionaria e che solo il partito può "dirigere la lotta del proletariato per abbattere il regime sociale che costringe i nullatenenti a vendersi ai ricchi". (Lenin, Che fare?)

Allora Lenin cercò di utilizzare i sindacati quale "cinghia di trasmissione" della tattica e strategia del partito, pur se ben pochi "sindacalisti" riuscirono a comprendere che il vero terreno dello scontro di classe doveva superare i confini della fabbrica e saldarsi con il partito di classe. Ma presto il ruolo e la natura stessa del sindacato subiranno una profonda ed evidente modificazione.

L'utilizzo, in funzione conservatrice, dei sindacati avverrà poi con la "conquista" definitiva operata dal capitale monopolistico nel secondo dopoguerra, riuscendo ad inquadrare la classe operaia nei limiti dei rapporti di produzione borghesi, addirittura sostenendoli strappando concessioni non al capitale ma agli stessi operai, e contenendo anche la più modesta delle rivendicazioni operaie nei limiti dell'interesse nazionale. Da allora, le lotte operaie saranno sempre regolate secondo le esigenze del sistema capitalistico, e il sindacato mostrerà chiaramente a noi comunisti i limiti che Marx ed Engels avevano chiaramente evidenziato e che il nostro partito definirà senza equivoci nella sua piattaforma sindacale a partire dagli anni Cinquanta. Con chiari e precisi obiettivi di classe antagonista e non certo collaboratrice al proprio sfruttamento e alla propria schiavitù.

dc

NOTA = (Le citazioni di Engels sono tratte da scritti pubblicati dal Labour Standard di Londra nel 1881 e raccolti nell'opuscolo: Engels, scritti inediti sulle lotte operaie - Edizioni Prometeo)

Giovedì, May 25, 2023