Spunti di riflessioni sull’ultimo congresso del PCL

In occasione del 3° Congresso del Partito Comunista dei Lavoratori è opportuno esprimere la nostra posizione in merito a quanto detto in quel di Rimini (città dove si è tenuta l'assise), facendo particolarmente riferimento all’intervento di Ferrando.

Le premesse del piano di azione del PCL si fondano su un’analisi della crisi, con una accesa critica al neo-liberismo ed ai “mitizzatori del New Deal”. Tali premesse però traballano, in particolar modo nel definire, senza ulteriori spiegazioni, la situazione statunitense come di timida ripresa, glissando completamente le iniezioni di capitale effettuate dalla Federal Reserve, così come la loro critica ai liberisti che semplicemente cade nel momento in cui loro stessi propongono un programma che oscilla tra “rivoluzione”, nazionalizzazioni e spesa pubblica, sintomatico di una carenza di analisi critica nel capitalismo in tutte le sue forme e in tutti i suoi nomi.

Altra importante falla di questa argomentazione “anti-capitalistica” è da ricercarsi nell’additare il male del capitalismo principalmente nell’aver generato la crisi e nell’averne scaricato i costi, in particolar modo, sulla classe lavoratrice. I marxisti non possono che criticare il capitalismo non solo nei momenti di crisi, ma anche nei momenti di crescita: l’estorsione del plusvalore, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la concorrenza predatoria, l’incapacità di soddisfare i bisogni della popolazione mondiale, le disparità sociali ed economiche non cessano certo di esistere nei periodi di boom economico. Una critica al capitalismo sbilanciata eccessivamente sull’aspetto delle sue crisi non è marxista e può aprire la strada a cupe rielaborazioni del capitalismo sotto diverse forme e diversi colori. Il nemico dei comunisti è il capitalismo, non il capitalismo dal 2007 ad oggi o dal 1928 al 1945. Su questo ci deve essere la massima chiarezza.

Un altro punto da affrontare è l’Unione Europea e la sua Unione Monetaria, che negli ultimi tempi sono state tirate in ballo anche da ogni alfiere del populismo. Previa una critica all’operato dell’UE e delle sue forze socialdemocratiche che avevano sperato in una Europa sociale – in sé e per sé condivisibile - il PCL ripudia sia l’euro che il ritorno alle monete nazionali e pone l’alternativa della creazione degli “Stati Uniti Socialisti di Europa”. Ora, criticare l'euro, di per sé, significa poco o nulla, in quanto la moneta è espressione dei rapporti economici capitalistici e le politiche monetarie della strategia di una determinata formazione politica borghese, in questo caso sovranazionale, sia pure in difficoltosa formazione. Non basta criticare una politica monetaria per saltare direttamente nel “regno del socialismo”, lasciando intatti i rapporti sociali di fondo.

La questione si complica per la ragione che viene enunciata unicamente a titolo di slogan, forse dando per assodati i principi della corrente trotskista. Qualunque ipotesi possiamo porre porterebbe comunque a ripetere la medesima critica che muovemmo a Trotsky, ossia che questa opposizione al “socialismo in un solo paese” non corrisponde affatto ad un recupero dell’internazionalismo proletario. La ragione di questo atteggiamento è però comprensibile e si colloca nella politica fallace dei trotskisti che confondono nazionalizzazione con collettivizzazione, fingendo che un trapianto di testa al mostro statale borghese basti per sventolare la bandiera rossa a festa. Conservano così la loro impronta da partito “burattinaio” in grado di muovere i fili della società una volta occupatine i “posti chiave”, senza tener conto del fatto che le organizzazioni e le strutture politiche esprimono direttamente il livello politico della/e classe/i. Il proletariato, parte integrante e maggioritaria della società, non è una massa amorfa che viene modellata a piacimento dall’alto, ma, al contrario, è la società che investe i suoi massimi esponenti dei suoi massimi ruoli. Detto altrimenti, i partiti riformisti attraggono le masse proletarie (quando le attraggono) perché le masse stesse sono ancora dominate dall'ideologia riformista-borghese, non hanno rotto, sia pure confusamente, con essa; non basta, quindi, cambiare la dirigenza di quegli organismi per cambiare il livello di coscienza del proletariato che vota e si riconosce, più o meno passivamente, nei partiti e nelle istituzioni borghesi.

Nel proseguire l'analisi, facendo particolare riferimento alle parole di Ferrando, si passa alla trattazione della crisi del movimento operaio internazionale e italiano. Di positivo questo discorso ha che è chiaro per lui/loro che il proletariato non è sparito dalla faccia della terra, come piace far pensare a molti, di negativo ha che attribuisce questa critica mancanza di _coscienza_ solo alle dirigenze varie del movimento operaio. Ovviamente è una critica monca, alla luce di quanto già detto nel paragrafo precedente e, ampliando il discorso, del fatto che le organizzazioni politiche e sociali, così come le loro dirigenze, così come i loro risultati elettorali o rivendicativi, riflettono il livello di coscienza della classe. E, visto che il discorso di Ferrando è volto a spianare il terreno alla logica dell’ “entrismo” tipicamente trotskista, vale la pena sottolineare che queste considerazioni rendono vano in partenza ogni tentativo di prendere il comando di qualunque organizzazione riformistico-borghese, data la attuale “incapacità” della classe proletaria di accettare il programma rivoluzionario e nemmeno quello “rivoluzionario” del PCL. Per quanto sia vero che è nel proletariato che oggettivamente risiede la scintilla rivoluzionaria per il rovesciamento del capitalismo, questi non ha maturato il livello di coscienza necessario per far proprie le posizioni comuniste (cioè, come si diceva non ha ancora rotto, a livello istintivo, con l'ideologia borghese), il che rende quanto meno sciocco l’entrismo, oltre che essere – ennesimo – indizio di una grave incomprensione del marxismo.

La critica solo alle dirigenze può anche essere sintomatico della mancanza di una attenta analisi della composizione di classe del proletariato, alla luce del progresso tecnologico, dei nuovi lavori, dello smantellamento dei centri industriali eccetera. Infatti, si fa riferimento alla classe operaia e all' “insieme del lavoro dipendente, i precari, i disoccupati, le masse femminili sfruttate, e i settori impoveriti della piccola borghesia”. I termini da chiarire sono “lavoro dipendente” e “masse femminili”. Il primo, può essere considerato come una semplificazione ai fini della comprensione. Anche noi lo usiamo, ma, per essere precisi, ricordiamo che dire “lavoro dipendente” non determina di per sé l’appartenenza al proletariato, in particolar modo ora più che mai, quando quasi ogni funzione che prima poteva avere il capitalista all’interno del processo produttivo (“creatività”, gestione d’impresa, ecc.) è svolta da lavoro subordinato. Il secondo elemento, “masse femminili”, scade invece nelle “masse” appunto: ci sono vari modi per essere femministi – perché è immaginabile che sottintenda un discorso di emancipazione della donna, altrimenti non avrebbe ragione di essere posta in essere questa formula - ma partire dalla base di “masse femminili” e non di proletariato femminile è una sciocchezza borghese che può collocarsi al limite nel progressismo, ma non nel movimento rivoluzionario. Le donne e la loro lotta per l’emancipazione sono subordinate e vincolate alla sorte della loro classe sociale di appartenenza, la donna proletaria fa parte di una classe e la sua emancipazione è dipendente all’emancipazione del proletariato. Il fatto che la vittoria del proletariato come classe sia l’unica via per garantire una reale emancipazione femminile è un conto, asserire che le donne indistintamente siano un interlocutore per il Partito Rivoluzionario o soggetto rivoluzionario è un altro. Come se ciò non bastasse, cadono in errore ancora una volta – ma sempre per la stessa ragione – accusando il governo Prodi, con “la concentrazione politica e sindacale” che ha creato, di essere stato il fattore primo della crisi della coscienza del proletariato, quando invece le cause sono da ricercarsi ben prima del 2006: bisogna risalire ai tempi del massimo consenso del PCI quando abbandonò il suo discorso, per quanto stalinista, di riferimento proletario, per raccogliere voti borghesotti e tranquillizzare la borghesia (inserita, in questo caso, nello schieramento imperialista della NATO) su un suo eventuale governo, facendo perdere così al proletariato il suo orizzonte politico, pratica connaturata dello stalinismo, e, di conseguenza, facendogli perdere gradualmente la sua coscienza di classe (per quanto, giova ribadirlo, deturpata dallo stalinismo medesimo) (1).

La loro ricerca del colpevole dello smarrimento proletario prosegue criticando fortemente la CGIL, ovviamente in maniera limitata, denunciandone solo la burocrazia, non il complesso e il ruolo che ricopre. E’ la critica al sindacato e non al sindacalismo, la solita questione che abbiamo spesse volte affrontato. Inoltre si parla, da onesti trotskisti, anche di entrismo sia nella CGIL – sostenendo al prossimo loro congresso la linea d’opposizione contro Landini – che nei sindacati di base. A onor del vero il loro entrismo vorrebbe estendersi pressoché anche a tutti i movimenti indipendentemente dal carattere classista che questi portano con sé. Ma tornando al discorso precedente, il PCL critica le alte sfere della Camera del Lavoro in quanto “agenzia della borghesia tra i lavoratori”, tuttavia trovandone la causa solo nella degenerazione di una cattiva dirigenza e non nel sindacalismo in sé, in quanto strumento di pacificazione sociale e di mediazione degli interessi padronali e proletari (a vantaggio del capitale, naturalmente), quindi riformista, quando va bene. La loro critica prosegue alla FIOM, che anni fa ad alcuni sembrava la testa d’ariete del proletariato, e alla sua apertura a Renzi, ponendo la questione della frammentazione delle lotte portate avanti fabbrica per fabbrica, e rilanciando l’unità dei proletari. A prima vista potrebbe essere una eccellente parola d’ordine, ma anche questa volta le premesse sono oscure: uniti sì, ma per cosa? Riforme o rivoluzione? Riforme poi rivoluzione? E’ la manifestazione di una concezione ricorrente di questo discorso, vale a dire unità a prescindere dalla chiarezza d’intenti – che per esperienza possiamo dire: fonte di contraddizioni insanabili destinate a collassare.

Da qui possiamo passare ad analizzare le proposte che il PCL pone nella sua piattaforma.

La prima è la creazione di un Fronte Unico Proletario, ossia la grande unione del “movimento operaio, dei movimenti di lotta, di tutte le forze che fanno ad essi riferimento”. Al di là degli slogan, in questa proposta vediamo il solito fronte unico dall’alto, studiato e condotto tra le dirigenze delle diverse organizzazioni di sinistra. Le basi di un glorioso calderone nato per esplodere. Parallelamente, però, muovono guerra ai vecchi calderoni della sinistra parlamentare trovando tra le cause di questi collassi appunto le unioni contraddittorie, per poi, non da meno, pretendere di formarne una nuova. Il problema è che il referente di un Partito Rivoluzionario è il proletariato, non le altre forze politiche, questo non per motivi di concorrenza tra bottegai, ma perché se due organizzazioni condividessero la medesima piattaforma, non esisterebbero semplicemente due organizzazioni distinte. La questione non è dove mettere i paletti di un’unione ma è l’unione in sé. Questa non è una tronfia teoria settaria degli internazionalisti, ma bensì una delle Tesi di Roma del PCd’I (1922), confermata mille volte dall'esperienza storica. Creare unione dove non può esservi per sopperire alla frustrazione della propria incisione scarsissima sul proletariato non ha mai funzionato e non inizierà a funzionare certo nel 2014.

La più curiosa e diciamo innovativa proposta del PCL è quella di

costruire una piattaforma unitaria di svolta definita da una grande assemblea nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro.

Sicuramente dovrebbe essere un punto di quelli che il PCL dovrebbe curarsi di chiarire, ma pare che il peso di queste affermazioni non abbia toccato più di tanto Ferrando che lo tratta a volo d’uccello. Istintivamente non ci si può che porre delle domande, a cominciare dal quando, per poi proseguire con il come, con quali contenuti, e con quali obiettivi. Non è molto chiaro se si debba trattare di un gigantesco sindacato di base che si muove in maniera coordinata, un consiglio nazionale dei Soviet o di appendici del PCL. Per quanto riguarda gli obiettivi, pare che siano esclusivamente rivendicativi, infatti si parla di “strappare dei risultati” in tempi di crisi, “concreti e parziali sullo stesso terreno rivendicativo”, il che è più che legittimo solo che, la storia ci ha insegnato, non possono essere altro che vittorie di Pirro bene che vada, se non – più spesso – sconfitte. In tempi di crisi non ci sono briciole da concedere al proletariato e la borghesia lo sa.

Un’ulteriore linea che dettano i “comunisti” di Ferrando è un piano operaio contro la crisi che si svilupperebbe in tre punti, che ci pare manchi sempre di una risposta alla domanda fondamentale che ci affliggeva alla succitata “assemblea nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro”: prima o dopo la Rivoluzione? Domanda quanto mai legittima, perché pare un programma attuabile solo con il potere esclusivo della classe proletaria, tuttavia sembra che debba essere un progetto all’interno del sistema capitalistico. Ulteriore sottolineatura, se le precedenti non fossero state sufficienti, della loro incapacità di valutare correttamente il rapporto partito-classe, ponendosi ancora una volta l’obiettivo di essere un partito burattinaio della società, a dispetto dei rapporti e delle dinamiche di questa. Ma passiamo ad analizzarne i punti.

Il primo enuncia la necessità del blocco dei licenziamenti, che può essere imposto al capitale solo con una lotta estesa che rivendichi l’espropriazione, la nazionalizzazione e il controllo operaio alle “fabbriche che licenziano e che attaccano i diritti sindacali” (le altre fa lo stesso? Per riprendere il precedente discorso che il capitalismo è il nemico dei comunisti, sia da buono che da cattivo). E qui casca l’asino, come si dice, facendo l’equazione nazionalizzazione=socialismo, che ha sempre caratterizzato le posizioni trotskiste, Chávez compreso e non solo. Anche qui si dimentica sempre l’insegnamento della base del marxismo, ossia che lo Stato è uno strumento della classe dominante, che non è mai al di sopra della lotta tra le classi, ma è un’arma per sedarla e tutelare il potere della borghesia. Che si tratti di borghesia privata o di Stato è totalmente indifferente.

Il secondo punto è riassumibile in “miglioramento radicale delle condizioni di lavoro”. La lista della spesa trotskista che conosciamo già da tempo: riduzione d’orario e 30 ore settimanali a parità di paga. Ogni marxista sa, conscio delle compatibilità del capitalismo, che non è un programma nemmeno remotamente a contatto con la realtà. Anche se gli si rende, almeno, il merito di essere contro il reddito di cittadinanza, ma non per i motivi corretti. Il PCL asserisce che con questo provvedimento si contrapporrebbero gli occupati ai disoccupati. La ragione per opporvisi invece è molto più pragmatica: questa infatti abbasserebbe verticalmente il prezzo della forza lavoro, facendolo gravare sullo Stato invece che sul padrone privato il quale si appropria di ancor più plusvalore; senza contare che, se mai venisse applicato, renderebbe superfluo, per il lavoratore, andare a svolgere il proprio impiego, lasciando il capitale senza forza lavoro; chi andrebbe a farsi sfruttare, se percepirebbe comunque un reddito “decente”? Si tratta, semplicemente, di parole al vento, dato che non sono nemmeno lontanamente realizzabili all’interno del sistema capitalistico, data la sua necessità di accumulare e di estorcere plusvalore, in modo assoluto o relativo che sia. Sono ancor meno realizzabili nel capitalismo in crisi nel quale ci troviamo.

Il terzo punto del loro programma “anti-capitalistico” è la creazione di nuovo lavoro in forma fondamentalmente keynesiana. Opere pubbliche, bonifiche, riconversioni, ferrovie, edilizia popolare e scolastica antisismica, asili nido ecc. Sicuramente un obiettivo ammirevole, ma irrealizzabile fino al giorno della rivoluzione. Lo stato italiano e all’incirca tutti gli stati a livello internazionale, in questo momento, non sono in grado di sostenere una simile emorragia di denaro, anzi non sono in grado di sostenere alcuna fuoriuscita di denaro dalle loro casse – se non per finanziare il keynesismo finanziario ossia il sostegno delle istituzioni finanziarie. Questa volta però il PCL illustra anche i mezzi per raggiungere questo obiettivo: patrimoniale progressiva di proporzioni mastodontiche e abolizione del debito pubblico verso le banche. Inutile dire che ci vorrebbe ben altro che una patrimoniale e un dito medio alle banche. Ma questo sembra non turbarli, forti di una gloriosa impreparazione sul capitalismo e le sue forze in campo. Salvo poi inneggiare a un “governo dei lavoratori”, qualificato più sul cosa non farà che sui suoi compiti di progresso sociale, con un gigantesco timore a pronunciare la parola che anima il nostro lavoro: Rivoluzione. E senza specificare se tutto quello che si è detto sia il programma della rivoluzione o del 2014.

Infine, è necessario porre un appunto all’assiduo riferimento alle realtà argentina del Partido Obrero per gettare le basi per rifondare la 4^ Internazionale. Soprattutto si assiste ad una glorificazione del PO come rivoluzionario, ma senza chiarire le motivazioni della sua presenza in parlamento né del suo programma riformista, come allo stesso modo senza chiarire le motivazioni della aspirazione del PCL a sedere in parlamento. Ma forse la ragione è da cercare più a fondo, ossia nella discutibile definizione di rivoluzionario che il PCL si attribuisce, che parrebbe più simile a un radicalissimo ed “intransigente” riformismo.

EZ

(1) La degenerazione politica del PC’d’Italia, procederà parallelamente alla degenerazione dell’internazionale Comunista. Per approfondimenti leftcom.org

Mercoledì, February 5, 2014

Comments

Il fatto che voi imputiate al PCL, e al trotskismo in generale, "l'equazione nazionalizzazione = socialismo" dà l'idea di quanto sul trotskismo non ci abbiate mai capito e non continuate a capirci un cazzo.

Aggiungendo a ciò il fatto che ritenete trotskista Chavez dà l'idea di quanto iniziate a non capirci un cazzo neanche di attualità politica.

Sia detto con franchezza e rispetto.

Sia detto con franchezza e rispetto che non è stato ritenuto un trockista Chavez - né nell'articolo né nel resto della nostra stampa, San Tommaso potrà verificare di persona - tanto meno socialista. E' stato invece affermato che le nazionalizzazioni venezuelane sono state e sono accolte con vigoroso piacere dalle organizzazioni trockiste in genere. E questo risponde in parte, in maniera franca e rispettosa, anche alla prima questione.

Poi si può dire quello che si vuole nella franchezza e nel rispetto, ma l'"alternativa anti-capitalistica" del PCL risulta essere la "nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo operaio", continuando a fingere che lo Stato, nelle cui mani entrerà la proprietà, non sia una struttura borghese costruita al fine di mantenere il potere nelle mani della classe borghese e di piegarsi ai suoi interessi di classe.

Francamente e rispettosamente, allego alcuni link ad hoc

pclavoratori.it

pclavoratori.it

pclavoratori.it

Cio Sergio. Credo che andare su un sito di un altra organizzazione a dire "non capite un cazzo" sia un atteggiamento politicamente poco serio e un po' settario. Ad ogni modo, sorvolando quindi su tale aspetto, io la questione la proporrei in altri termini: forse sono le posizioni poco chiare, a dir poco ambigue, del PCL sul tema "nazionalizzazione" a... non "farci capire un cazzo".

“CONTRO PRIVATIZZAZIONI E LICENZIAMENTI, NAZIONALIZZAZIONE COME UNICA SOLUZIONE!... Occupare le aziende che chiudono, licenziano, calpestano diritti sindacali, che inquinano.

Contro la messa in borsa e privatizzazione dei comparti pubblici e delle aziende municipalizzate.

Battersi per la loro nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo operaio.”(PCL)

Si badi bene, una cosa è sostenere le lotte rivendicative dei lavoratori (che vanno ovviamente sostenute) altra cosa è quando si passa ad argomentare la soluzione politica che i comunisti hanno il dovere di far circolare nella classe e nelle proprie lotte. Quale è la soluzione politica che come comunisti dobbiamo portare nella classe, ovviamente oggi in termini di prospettiva? La rivoluzione comunista: rovesciamento dello stato borghese, presa del potere da parte del proletariato, socializzazione dei mezzi di produzione, ovvero mezzi di produzione (e relativa distribuzione) posti sotto il controllo dei lavoratori e l’amministrazione da parte della “dittatura del proletariato”, questo per iniziare ad organizzare la produzione avendo al centro il soddisfacimento dei bisogni. I comunisti devono portare come “unica soluzione” politica quella rivoluzionaria, cavolo! I comunsiti devono parlare di comunismo! Invece il PCL continua a confondere le acque, e quindi i lavoratori, con le proprie misure intermedie. Continua a proporre come “unica soluzione” un programma minimo distinto da quello “massimo”. Nazionalizzare?! Ma per produrre cosa e per chi? Se viene nazionalizzata una fabbrica di biscotti e io – disoccupato – vado fuori la fabbrica di biscotti i lavoratori mi daranno i biscotti per la colazione senza che io paghi? O si continua a produrre per il profitto?

Si legge da un vostro documento: “La scelta del sindacato SLAI COBAS, ben presente a FIAT Pomigliano, di rivendicare la nazionalizzazione dell'azienda e la restituzione del maltolto, è un fatto molto positivo. Che può aprire un varco a questa rivendicazione esemplare in più ampi settori di lavoratori.” Bene, ma il PCL non si rende conto di quanta confusione tramette tra i lavoratori? Sai lo Slai Cobas politicamente a chi è legato? Credo di sì, agli stalinisti che fanno capo al Partito di Rizzo… Il PCL ha la stessa idea sulla nazionalizzazioni che ha lo stalinista Rizzo? Poi scrivi che il Partito comunista internazionalista non capisce un cazzo. Ripeto che forse dovresti iniziare ad interrogarti sul quanto sia chiara questa pozione del PCL.

Saluti.

Il problema è questo: che voi prendete per "riformismo", per "soluzioni intermedie" ciò che in realtà è esattamente l'elemento tattico che permette di legare, di gettare un ponte tra le lotte rivendicative dei lavoratori e la soluzione politica comunista, l'unica possibile. E questo elemento tattico è il programma di transizione (laddove la transizione non è quella pacifica dal capitalismo al socialismo per mezzo di riforme, ma quella che si apre con la presa del potere). Come ebbe modo di spiegare già Trotsky, il programma di transizione non è riformista, perché le misure che propone (quelle che il PCL articola nell'Italia del 2014, ma vale per ogni situazione) non sono attuabili all'interno del regime borghese, come l'articolo stesso più volte giustamente dice. Nessun regime borghese ha mai consentito né consentirà mai la nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende; nessun regime borghese ha mai consentito né consentirà mai l'esproprio totale e senza indennizzi dei padroni; nessun regime borghese ha mai consentito né consentirà mai opere pubbliche decise e gestite dai lavoratori; ecc. Il solo governo che può garantire tutto ciò è un governo dei lavoratori, cioè un governo del proletariato in armi che nascerà sempre e solo da un processo rivoluzionario. Questa è LA POSIZIONE del PCL. Non altre. Se volete attribuire al PCL posizioni non sue, agite in malafede. Ecco tutto.

Esiste un solo ponte possibile tra le rivendicazioni immediate ed il programma storico della classe: tenerli assieme, il che significa lottare per gli obiettivi immediati ma denunciando i limiti della lotta immediata stessa e tutto ciò che ne consegue in termini di progettualità rivoluzionaria.

Lottiamo contro il caro vita per un'aumento salariale? benissimo, ma prendiamo coscienza che 1) per vincere la lotta deve essere vera [con tutto ciò che comporta] 2) se anche una vittoria si riuscisse a strappare, il capitale sarebbe subito pronto a riassorbirla per altri mezzi, quindi in questa stessa lotta c'è bisogno che gli elementi più coscienti facciano proprio il punto di vista strategico comunista.

Ora, questo è l'unico modo possibile di impostare il rapporto tra lotte immediate e strategia rivoluzionaria, tutto il resto puzza di opportunismo lontano 10 km. Il che emerge molto chiaramente dalle giravolte che sei costretto a fare per tinteggiare di rivoluzionarismo una tattica che è solo opportunista (un po come la russia era un capitalismo di stato tinteggiato da socialismo, se volgiamo).

La tua risposta non contraddice di una virgola ciò che ho scritto. Tenere assieme le rivendicazioni immediate e il fine storico della classe è appunto l'essenza e il fine del programma di transizione. Quale sarebbe la diversità d'impostazione? Cosa ci sarebbe di opportunista nel porre ai lavoratori rivendicazioni che non sono e non saranno mai attuabili in un regime borghese? (O credi davvero che l'esproprio e la gestione operaia delle aziende sia compatibile con il capitalismo?)

Cosa ci sarebbe di opportunista nel porre ai lavoratori rivendicazioni che non sono e non saranno mai attuabili in un regime borghese? (O credi davvero che l'esproprio e la gestione operaia delle aziende sia compatibile con il capitalismo?)

Viviamo già in un mare idologico, dove l'idologia dominante falsifica in una continuazione la realtà delle cose. Noi rivoluzionari dobbiamo remare in senso completamente opposto Segio! Non possiamo pensare di combattere l'idologia dominante prendendo per il culo il proletariato, le cose vanno dette chiaramente, la nostra proposta rivoluzionaria va portata ai lavoratori chiaramente. Concordo con quanto diceva "lotus":

Esiste un solo ponte possibile tra le rivendicazioni immediate ed il programma storico della classe: tenerli assieme, il che significa lottare per gli obiettivi immediati ma denunciando i limiti della lotta immediata stessa e tutto ciò che ne consegue in termini di progettualità rivoluzionaria.

Stare nelle lotte, sostenerle, parteciparvi attivamente - anche perchè ci coinvolgono direttamente - ma dire la verità ai lavoratori! Chiaramente la verità! E questo lo facciamo solo se abbiamo la capacità di mettere in evidenza i limiti della lotta rivendicativa. Non è facile, è una questione delicata lo so ma non possiamo pensare di affrontare i problemi inventandoci scorciatoie... Questo è un passaggio indispensabile, un indispensabile punto di partenza per introdurre il programma politco rivoluzionario che è: rovesciamento dello stato borghese (non conquista di esso), presa del potere da parte del proletariato, sottrazione dei mezzi di produzione alla borghesia per porli sotto il controllo proletario e l'amministrazione dei Consigli del proletariato, produzione e distribuzione indirizzata verso il soddisfacimento dei bosogni.

Dire questo chiaramente! Senza mezzi termini, senza escamotage! Il PCL invece dice che "l'unica soluzione" (unica soluzione!) è nazializzare tutte le azinde in crisi (e le altre?) ecc ecc. Poi tu mi vinei a dire che questa cosa in realtà non sarebbe possibile... quindi si tratterebbe solo di un "elemento tattico". Una sorta di escaotage. Credete di fare chiarezza in questo modo? Quando il proletariato vedrà che non sarà possibile attuare le vostre indicazioni "intermedie" cosa direte allora, che avete scherzato? Che lo dicevate pur sapendo che la cosa non sarebbe stata attuabile? Che lo avete fatto solo per renderli coscienti? E voi pensate di rendere coscienti domani i proletari prendendoli oggi per il culo? Io dico che diffondete solo una illusione riformista in questo modo.

Bisogna parlare di comunismo, i comunsiti devono parlare di rivoluzione comunista!

Il capitalismo non ammette "soluzioni intermedie", questo è il problema! E questo lo dici anche tu... affermando che le vostre proposte "intermedie" sono incompatibili con questo sistema. Quindi dico: basta con "nazionalizzazione", "sindacato di classe", "governo di blocco popolare", "reddito per tutti", ecc ecc. Il capitalismo non ammette soluzioni intermedie, diciamolo chiaramente e proponiamo l'alternaziva rivoluzionaria.

Non è facile ma... queste sono le cose che un comunisma deve dire...

leftcom.org

leftcom.org

leftcom.org

Ti pare che il PCL non metta in evidenza ogni santo giorno i limiti della lotta rivendicativa? Sbagli. Tutto quello che facciamo, diciamo e scriviamo è teso a questo.

Sinceramente continuo a non capire quali siano gli escamotage, i mezzi termini, le scorciatoie... Bisogna o non bisogna mettere il proletariato dinanzi a rivendicazioni apertamente e chiaramente anticapitaliste come quelle che ho elencato? Pensi che sia più chiaro e più onesto dire al lavoratore licenziato: "devi lottare per strappare la fabbrica al padrone, e l'unico modo per strappargliela è che tu comandi sul padrone" oppure dirgli "devi lottare per il rovesciamento dello stato borghese, la qual cosa ti permetterà di essere libero e di fare tante cose belle"?

P.S. Mi mostri per cortesia anche solo un volantino in cui abbiamo parlato di "governo di blocco popolare"?

P.S. Mi mostri per cortesia anche solo un volantino in cui abbiamo parlato di "governo di blocco popolare"?

Facevo un discorso generale sulla questione delle "soluzioni intermedie". Questa non è la vostra "soluzione intermedia", lo so è di stampo stalinista. Ognuno ha la sua "soluzione intermedia"... senza capire che questosistema non ammette soluzioni intermedie e quindi proporle ai lavoratori non fa altro che allontanarlid a una presa di coscienza rivoluzionaria, anzichè accelerare tale processo. Questo è il punto. Punto.

Ma dov'è la soluzione intermedia? Dove? La presa del potere coincide con l'esproprio. Il rovesciamento dello stato borghese coincide con il controllo e alla gestione operaia. Non sono cose slegate fra loro. Ed entrambe le cose sono contestuali ed interne ad un processo rivoluzionario basato sul solo potere dei lavoratori. Dov'è la soluzione intermedia? Ci sarebbe soluzione intermedia se le misure proposte fossero anche minimamente compatibili col capitale. Ma mi pare che non lo siano proprio, e lo dice anche il vostro articolo. Punto.

Pensi che sia più chiaro e più onesto dire al lavoratore licenziato: "devi lottare per strappare la fabbrica al padrone, e l'unico modo per strappargliela è che tu comandi sul padrone" oppure dirgli "devi lottare per il rovesciamento dello stato borghese, la qual cosa ti permetterà di essere libero e di fare tante cose belle"?

Io credo che non ci sia niente di "chiaro" nel dire ai proletari "strappa al padrone la fabbrica (ovvero "nazionalizzala sotto controllo operaio" secondo la mirabiliante "formula pcl", che nulla ha a che vedere, fra l'altro, con socializzarla, piuttosto, la fabbrica e dunque la produzione, come un comunista dovrebbe dire) e l'unico modo per farlo e' "che tu comandi sul padrone".

E cio' perche':

1) intanto nella "soluzione" indicata e proposta dal pcl non si parla mai e affatto o chiaramente in termini di "comandare sui padroni" (e non mi si risponda, per cortesia, che cio' e' ovvio o implicito: ma per chi? per i proletari? non fatemi ridere)

2) poi anche ammesso (e "non concesso", perche' cosi' non e') lo si dicesse, ancora una volta il problema e' di sostanza del messaggio: la questione per i comunisti (e dunque per il proletariato) non e' "comandare sui padroni" ma ELIMINARLI i padroni (come classe sociale, s'intende) e cio' andrebbe detto chiaramente, ossia andrebbe detto: fino a che esisteranno padroni (e lavoro salarato, e produzione di merci, e capitale e criterio aziendale costi-ricavi nella produzione) i vostri problemi non finiranno, neanche se a "gestire" il vostro lavoro salariato siete voi lavoratori (nuovi "padroni" autosfruttatori "liberi" di voi stessi: liberi dal precedente padrone, certo, ma non dalle leggi e dagli imperativi del capitale e del capitalismo, primo fra tutti perseguire profitto o, in alternativa... chiudere, un giorno dopo o giu' di li, i battenti della vostra "bella fabbrica nazionalizzata" per ... fallimentooooo!)

Il che si traduce nel dover piuttosto dire: voi proletari dovete eliminare questo sistema, il sistema che si fonda sui padroni, altrimenti col piffero che comandate voi su alcunche'!!! (noi comunisti definiamo cio': contribuire allo sviluppo e radicamento di una "coscienza ANTICAPITALISTA, se ben ricordate... )

3) infine, e concludo: le due affermazioni di cui sopra, dunque, non sono affatto "equivalenti" o interscambiabili o "coincidenti" come si dice, anzi. Anche qui non mi si risponda che e' "implicito", perche' per i proletari nulla e' implicito se non il punto di vista imposto dall'ideologia dominante (che bisognerebbe proprio per questo smentire e ostacolare, anziche' assecondare)

E dunque non e' vero che

La presa del potere coincide con l'esproprio. Il rovesciamento dello stato borghese coincide con il controllo e alla gestione operaia. Non sono cose slegate fra loro. Ed entrambe le cose sono contestuali ed interne ad un processo rivoluzionario

o meglio: il pcl non parla mai e affatto di "presa del potere" ne' di "rovesciamento dello Stato borghese" (magari lo facesse!), anzi di esso Stato legittima agli occhi dei proletari e riconosce addirittura i le pratiche, i metodi e le dinamiche, a partire dal parlamentarismo (e dunque dal principio della delega parlamentare di tipo borghese) per finire al sindacalismo come pratica rivendicativa di tipo concertativo e contrattualistico

Per non dire che: ma dove mai il pcl ha mai parlato o indicato ai proletari la necessita' di un "processo rivoluzionario"?! Anche qui, e ancora una volta, forse il pcl fa ancor affidamento sulla autonoma capacita' dei proletari di... intuirlo?!?! Aah se l'eccessivo "ottimismo" lasciasse il posto ogni tanto ad un po' di sano... realismo! Forse si' che finalmente le chiacchiere e i ... "sottintendo, tanto si capisce" smetterebbero di far compagnia alle già' sufficienti - direi - frottole fatte ingoiare ai proletari dai mille lacche' della classe dominante