Il programma sgangherato e riformista del PCL di Ferrando

Fra i partiti schierati alla sinistra di Rifondazione, il Partito Comunista dei Lavoratori, che si identifica con il suo leader storico, Marco Ferrando, è quello con una maggiore visibilità mediatica.

Fin dalla sua formazione, nel 2006, i risultati elettorali sono insignificanti (sempre sotto l’1%), pur avendo una discreta presenza a livello territoriale. Nell’opuscolo di presentazione, che riporta il suo programma elettorale, il PCL sostiene che è necessaria una “vertenza generale del modo del lavoro” per “redistribuire la ricchezza” attraverso un piano di opere sociali che dia “nuovo lavoro a milioni di disoccupati, italiani e migranti”, e tanto altro ancora.

Di fronte a una crisi capitalistica devastante che spinge i padroni all’attacco su tutti i fronti, aumentando lo sfruttamento, la precarietà del lavoro e la disoccupazione, il continuo taglio delle pensioni, della spesa per la scuola e la sanità, il PCL, un partito che si definisce “marxista” e “rivoluzionario”, vuole “redistribuire la ricchezza”. Ora, un marxista dovrebbe sapere che l’incremento della disparità nella distribuzione della ricchezza è strettamente connessa ai meccanismi della produzione, e che se quest’ultima attraversa una crisi strutturale come quella attuale, non può che causare un ulteriore divaricamento della forbice sociale.

Oggi, quindi, rivendicare una migliore distribuzione della ricchezza senza intaccare il modo di produzione, non solo è riformista, ma è anche miope, perché i margini di contrattazione fra capitale e lavoro si sono ridotti al minimo, per cui in futuro la borghesia potrebbe concedere qualche briciola solo se si sviluppasse un esteso e forte movimento di classe, e lo farebbe per arginarlo, bloccarlo e impedirgli di trascrescere su un terreno politico. Ma di fronte a una situazione del genere, un partito marxista rivoluzionario dovrebbe dare appunto l’indicazione della conquista rivoluzionaria del potere da parte del proletariato, non rivendicare una più equa distribuzione della ricchezza capitalisticamente prodotta!

Il programma del PCL si spinge oltre, perché secondo l’organizzazione di Ferrando bisogna avanzare altre “rivendicazioni elementari” come la nazionalizzazione di assicurazioni e banche e quella “senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori delle industrie in crisi”. Aggiungendo poi che tutti questi obiettivi sono raggiungibili solo con una “economia democraticamente pianificata, basata sul controllo delle leve della produzione e del credito da parte dei lavoratori.” Qui le deviazioni dal marxismo sono talmente tante che non si sa da dove cominciare.

Innanzitutto: “economia democraticamente pianificata” che significa? La pianificazione economica socialista è gestita dalla democrazia proletaria (cioè dal potere esclusivo del proletariato rivoluzionario, quello che storicamente si chiama dittatura del proletariato, che è l'esatto opposto delle dittature pseudo socialiste rappresentate dallo stalinismo e affini), non da una democrazia senza aggettivi che sottintende una possibile collaborazione interclassista. Inoltre il controllo della produzione da parte dei lavoratori è possibile soltanto attraverso la rivoluzione proletaria, spezzando la macchina statale borghese e costituendo il potere dei Consigli operai, con un forte partito di classe alla loro testa. Dunque non nazionalizzazione (che presuppone il mantenimento dell’economia capitalistica), ma socializzazione, ossia gestione delle forze produttive da parte degli organismi rappresentativi del proletariato.

Non solo, ma una volta che i lavoratori hanno il controllo della produzione, il credito a che serve? L’edificazione di un’economia socialista passa attraverso l’abolizione (progressiva ma rapida) del denaro, sostituito da buoni di lavoro personali e non cumulabili.

Nel programma si rivendica inoltre “una democrazia fondata sull’autorganizzazione democratica dei lavoratori stessi e delle larghe masse popolari, con rappresentanti eletti direttamente nei luoghi di lavoro e sul territorio.” Anche in questo passaggio non si capisce di quale democrazia stiamo parlando. Sono i Consigli operai? Ma allora “le larghe masse popolari” sono di troppo. E se fossero Consigli operai bisognerebbe spiegare come si possa arrivare a un obiettivo del genere, che presuppone l’abbattimento dello stato borghese e l’avvio del processo rivoluzionario.

Dulcis in fundo, manca in tutto il programma un chiaro riferimento alla dimensione necessariamente internazionale della lotta anticapitalistica. Al di là della generica intenzione di fondare il partito internazionale dei lavoratori (l’ennesima IV Internazionale trotskista), non si afferma mai che l’edificazione di un’economia socialista non potrà avvenire se non internazionalmente, pur avviandosi in una o più singole nazioni. Come se la critica allo stalinismo riguardasse solo la cosiddetta “degenerazione burocratica” (mentre nei paesi a capitalismo di stato spacciati per socialisti si formò una vera e propria borghesia), ma non il tragico inganno del “socialismo in un paese solo”.

Il programma del PCL, insomma, non è un bel modo di presentarsi per un partito che si dichiara marxista. La fraseologia rivoluzionaria utilizzata a piene mani nasconde ancora tutti i limiti storici del trotzkismo, per di più aggravati da un fardello democraticistico e di impossibile riformismo di cui si vergognerebbe lo stesso Trotsky.

GS

Venerdì, January 11, 2013

Comments

L'ambiguità è l'anima del centrismo

Trotsky

Questo articolo è un capolavoro o di ipocrisia e malafede o di ignoranza. Scegliete voi. Come si può seriamente sostenere che il programma rivoluzionario del PCL sia riformista? Trovate una vaga compatibilità fra ciò che il programma rivendica e prospetta e l'ordine economico e politico esistente? Pensate davvero che sia possibile attuare quel programma senza la dittatura del proletariato? Pensate davvero che per il PCL la dittatura del proletariato sia ottenibile tramite le elezioni? Le vostre accuse semplicemente non hanno senso. A meno che non riusciate a dimostrare apertamente in quale riga di quale comunicato, articolo, testo, tesi, risoluzione o discorso il PCL abbia mai detto ciò.

Segui il ragionamento: "ad ognuno una casa nella quale vivere". è una semplice rivendicazione, ma soi sappiamo che, fermo restando il capitalismo, è impossibile da realizzarsi. perfetto.

Allora dovrò dire: affinchè ognuno abbia una casa nella quale vivere comodamente, l'unica via è che il proletariato conquisti il potere. quindi la rivendicazione generale è: il potere al proletariato, il che è anche la condizione affinchè la rivendicazione particolare di cui sopra possa edaudirsi.

Ora se io mi limito a dire "ad ognuno una casa" sono un riformista, perchè non formulo chiaramente il primo punto necessario a realizzarla: il potere proletario. Quindi devo essere chiaro: noi vogliamo tante belle cose, ma queste sono irraggiungibili se il potere rimane borghese o dico chiaramente questo oppure avanzo una serie di rivendicazioni "incompatibili" che non chiariranno mai l'unico punto per il quale ha senso il partito comunista: la rivoluzione.

Ora mi risponderai, ripetendo a memoria questo o quel passo del "programma di transizione", che noi non abbiamo capito, ma io ti anticiperò con una domanda: mi dai un esempio nel quale l'azzardo tattico ipotizzato da trotzki (il programma di transizione) si è rivelato efficace? Io in cambio ti posso citare un pò di esempi storici nei quali il proletariato, grazie alle rivendicazioni intermedie "irrealizzabili nel capitalismo", è stato incaprettato mani e piedi agli interessi della borghesia e sonoramente mazziato.

Mi pare di capire, quindi, che la colpa del PCL sia di non dire apertamente e in continuazione, per ogni rivendicazione e per ogni parola d'ordine, che la condizione affinché esse siano ottenute è il potere al proletariato. Ti ringrazio per il prezioso e fondamentale suggerimento tattico-metodologico. Ne terrò conto domattina, allorché, appena sveglio, al momento di scendere dal letto, dirò a me stesso, ad alta voce e scandendo bene: "Affinché io mi alzi, l'unica via è che metta i piedi a terra." Dopodiché, sempre ad alta voce e scandendo bene, non potrò fare a meno di rispondermi: "Grazie al c*o!"

Chissà se i bolscevichi, Lenin in testa, si rendevano conto del loro ingenuo riformismo quando, per una dozzina d'anni e oltre, si "limitavano" a dire SOLAMENTE: pace, terra e pane. Si vede che anche loro scarseggiavano in chiarezza! E che cos'erano pace, terra e pane se non una serie di rivendicazioni incompatibili con quell'ordine economico e politico? Erano forse i menscevichi e gli SR a rivendicarle e farle proprie? Ci sono forse, oggi, partiti o organizzazioni riformiste, in Italia, che rivendicano l'occupazione delle aziende da parte degli operai o il controllo delle banche da parte dei lavoratori?

Potrei risponderti dicendo, quindi, che è stato appunto nell'Ottobre che la tattica del programma transitorio ha dimostrato una volta per tutte la sua validità. Ma non avrei difficoltà nel dire che il programma di transizione del 1938 non "si è rivelato efficace", se con questo vuoi dire che non ci sono state rivoluzioni dopo il 1938 (anno in cui il programma è stato scritto). E questo per una ragione molto semplice: il programma di transizione (e ricordo che il termine "transizione" non è una parolaccia, non essendo sinonimo né di programma minimo né di tappe intermedie) è un programma per sua natura rivoluzionario. E' quindi un programma che può mettere capo solo ad un processo rivoluzionario che miri alla presa del potere. E il primo a metterlo in chiaro è Trockij stesso. Gli incaprettamenti e i mazzolamenti sono dirette conseguenze PROPRIO del tradimento (da parte di stalinisti e centristi) o del fallimento delle rivoluzioni, cioè del tradimento della rottura anticapitalistica che il programma di transizione implica. E di esempi, questa volta in negativo, ce ne sono a iosa.

Hai ragione, errore mio, dovevo prevenire questa tua classica risposta, ma non volevo allungare troppo, recupero immediatamente:

La realtà russa del '17 è ben diversa dalla nostra, là una società semi-feudale, qui il capitalismo più maturo di una pera cotta. Ne consegue che allora - e fino a che i rapporti capitalistici non diventano dominanti - aveva senso formulare una serie di rivendicazioni intermedie che sostanziavano l'alleanza con settori non proletari, ma comunque oppressi dall'autocrazia (contadiname e piccolo-broghesi). In questo senso agiva giustamente il marx del manifesto (i punti alla fine del capitolo II): nel 1848 come nel 17 infatti si trattava innanzitutto di abbattere i residui precapitalisti. Benvenuta allora l'alleanza con settori non proletari e la formulazione di rivendicazioni "intermedie" che la sostanziava.

Ora le cose stanno diversamente. Al potere vi è già da un po' la borghesia, la formazione sociale è uniformemente capitalista. Con chi si dovrebbe alleare il proletariato? Questo il cuore del problema. Il trotskismo si dichiara favorevole ai forni uniti ed ai governi operai. Afferma quindi che, ancora oggi, ci siano compiti progressivi che altre classi possono svolgere e che quindi con esse il proletariato si deve alleare. Per noi, oggi - non nel '17! -, l'unico compito progressivo che rimane è l'abbattimento del capitalismo, ma nessuna classe non proletaria ha interesse affinchè questo avvenga. Il proletariato è solo e come tale deve agire (anche per attrarre nella SUA sfera d'influenza - ossia al suo programma - le mezze classi). Per questo il partito proletario deve scrivere sulle proprie bandiere: no fronti unici, no forme di governo intermedie tra il potere borghese e il potere proletario, indipendenza politica del proletariato, conquista rivoluzionaria del potere politico come primo punto del programma della transizione.

Perchè, e chiudo, la transizione è dal capitalismo al comunismo. Schematizzo: capitalismo - rivoluzione - transizione (=socialismo) - comunismo.

Giustissimo quindi propagandare il socialismo, ossia tutte le misure che il proletariato adotterà nella transizione dal capitalismo al comunismo. Sbagliato affermare che queste possano iniziare prima della rivoluzione. Noi oggi abbiamo bisogno del programma rivoluzionario, poi avremo anche bisogno del programma di transizione. Speriamo. Mi piacerebbe che nella risposta entrassi nel merito degli ultimi tre capoversi e che avessi un tono più comunicativo. Grazie.

Il programma di transizione non era valido solo per l'Ottocento o per la Russia dell'inizio Novecento, né solo per i sistemi di produzione non ancora capitalistici. La teoria della rivoluzione permanente, verificata e validata proprio in Russia, lo conferma. Così come lo prevedevano, ad esempio, le lettere di Marx a Vera Zasulic sulla possibilità e le forme del socialismo in Russia. L'obiettivo principale delle rivendicazioni transitorie non è quello di creare alleanze di classe, ma quello di istituire un legame ed un passaggio (= transizione) fra le lotte singole, frammentate, differenziate, non politicamente mature e il fine strategico della rottura anticapitalista e della presa del potere (conseguenza inevitabile del programma). Il programma di transizione è un metodo, non una tattica da applicare in determinate circostanze storico-sociali. Tant'è che Trockij lo arriva a formulare nel 1938, anno in cui GIA' riteneva il capitalismo maturo come una pera cotta! Fronti unici e governi operai saltano fuori dal III e IV congresso della Terza Internazionale (1921 e 1922), NON dal “trotskismo”. Il programma di transizione NON PREVEDE forme di governo intermedie tra il potere borghese e il potere proletario. La “transizione” di cui stiamo parlando NON E' la transizione dal capitalismo al comunismo, che certo non avviene in poche decine di anni, e meno che mai in base ad un “programma” di qualche pagina, ma la transizione dal dominio politico borghese al PRIMISSIMO grado del dominio politico proletario, che non si instaura con un avemaria.

@ Sergio

A mio modo di vedere in questo modo il partito diventa la necessita primaria e il rischio e' che vengano subordinati gli obniettivi di classe.

Le situazioni rivoluzionarie che mettono in moto la classe, la lotta per obbiettivi rivoluzionari, richiama il partito rivoluzionario alla rappresentanza di classe.

Ogni volta che gli operai vengono "rappresentati" da parlamentari, la loro posizione si e' poi sempre ridotta a quella di negoziatori all'interno dell'ordine capitalistico, senza più possibilità di discussione.

Sergio, un carissimo compagno diceva che l'ideologia dominante è sempre quella della classe dominante. Non capisco francamente in che termini, sia a vostro avviso possibile invertire la tendenza, ovvero ottenere un "dominio politico", che non sia borghese, senza una rivoluzione.

Non esistono espedienti per riprodurre una situazione "rivoluzionaria" quando non c'è rivoluzione. Come non esisteva modo per conservare il potere politico dei lavoratori in Russia, senza una transizione sociale verso il socialismo.

Gli "espedienti" tattici formulati dal trotzkismo racchiusi "in un programma di transizione", Trotzky le formula solo nel '38, perché non trova nessuna continuità con la tattica dei rivoluzionari del passato.

Il trotzkismo oggi, formulando rivendicazioni, per una massa che evidentemente ritiene "acefala", ritiene di attivarla, verso un livello di coscienza maggiore. Il discorso è tipicamente estraneo agli insegnamenti di Marx e di Lenin. Il punto di partenza delle masse, è la rivendicazione economica, il punto di arrivo dei trotzkisti è la rivendicazione "massima"... mentre per i comunisti internazionalisti è SEMPRE la rivoluzione.

In ogni discorso in ogni lotta, noi ribadiamo sempre e comunque non un programma di transizione intermedio fra il programma comunista e la logica borghese nella classe operaia (l'economicismo), bensì il programma comunista congiunto con una spiegazione dei meccanismi che inducono la necessità della lotta di classe nel capitalismo, oltreché denunciando e agitando il bisogno di difendersi come classe.

Trotzky formulando il programma di transizione fa un passo indietro verso una logica di intervento gradualista di memoria menscevica!

MA07, mi dici dove ho scritto che il dominio politico del proletariato è ottenibile senza una rivoluzione? Ho scritto una cosa diversa, cioè che il dominio politico è il risultato inevitabile della rottura anticapitalistica (rivoluzionaria) che è lo sbocco naturale delle misure del programma di transizione.

Non ci sono espedienti tattici, c'è solo l'incessante e molecolare lotta quotidiana per veicolare e mettere in pratica posizioni anticapitaliste rivoluzionarie. Questo è il ruolo che per noi, come per Marx, Lenin e Trockij, DEVE avere il partito. Confondere il programma di transizione con le rivendicazioni massime della socialdemocrazia della Seconda Internazionale e del mencevismo è una falsificazione inventata dallo stalinismo. Non capisco perché la utilizziate anche voi.

Il comunismo non è come il lassativo Falqui, della celebre pubblicità: non "basta la parola". Non basta evocarlo per realizzarlo. Bisogna propagandarlo e farlo vivere nelle lotte e nella vita concreta di lavoratori e di larghissime masse, non trasformarlo in un tema accademico di cui discutere in pantofole.

Sergio, come inevitabile, la discussione non evolve. solo due note: 1) la sinistra comunista fin dalla prima ora si è battuta contro la generalizzazione delle lezioni tattiche dell'Ottobre. 2) trotski nel PdT erge a sistema proprio queste lezioni tattiche a partire da due esperienze: l'ottobre stesso e il III e IV congresso.

1) Come ti scrivevo nel primo post le lezioni dell'ottobre erano significative in un contensto autocratico e semi-feudale, inapplicabili ad un contesto a capitalismo ultramaturo (è l'abc della concezione materialistica della storia). 2) il III e IV congresso oltre a porre le basi per la disfatta politica della rivoluzione internazionale (culminata a Canton), si sono di molto allontanati dai primi 2 congressi. ovvio, il processo di degenerazione della rivoluzione era già in atto, i bolscevichi, in buona fede, cercavano di salvare il salvabile, senza rendersi conto che così riaprivano la porta all'opportunismo che avevano gettato dalla finestra pochi anni prima... contraddizioni delle rivoluzioni. storicamente comprensibile. suicidio voler riproporre oggi come cardine della tattica rivoluzionaria quelli che furono gli errori chiave di un secolo fa. No grazie, fate come volete, a noi la libertà di criticarvi e di fare di tutto per non finire nel pantano dell'opportunismo.

Sergio, il problema del "che fare?" oggi è attualissimo, ma il PdT più che fornirci un agile prontuario dell'impostazione tattica da evitare, non può, e noi faremo di tutto perchè la prossima generazione di rivoluzionari non caschi nel tranello del suo rivoluzionarismo a parole, opportunismo di fatto.

ciao.

Loto, la discussione non evolve perché ci si rifiuta di prendere atto della limitatezza delle proprie posizioni, criticando infondatamente quelle altrui. Siete liberi di indicare in Lenin e Trockij gli autori coscienti della disfatta politica della rivoluzione internazionale, ma dovreste quantomeno riconoscere che le vostre opinioni attuali (e di sempre) hanno ricevuto autorevolissime risposte di merito GIA' al II, III e IV congresso dell'IC. Quelle risposte (A PRESCINDERE da "generalizzazioni delle lezioni" e contestualizzazioni) smontavano e smentivano analisi e postura della sinistra comunista.

Nel programma di transizione Trockij non "erge a sistema" nessuna tattica. Al contrario, attualizza e dialettizza concretamente il programma bolscevico all'altezza dello scontro di classe e della temperie controrivoluzionaria del 1938. Attualizzazione e dialettizzazione concreta (cioè specifica e pratica) che la sinistra comunista italiana non è mai stata in grado di operare né tatticamente né analiticamente, nonostante "pensiero rivoluzionario vivente, musocloso ed abbondante di Amadeo Bordiga", come lo definiva Trockij stesso. Ed è in fondo questa la ragione fondamentale del suo fallimento e della sua sterilità, come corrente del movimento comunista. Non è un caso che le vostre posizioni non riescano ad essere tradotte, e che la vostra tattica, quindi, non riesca ad essere messa in pratica.

A parte che non siamo bordighisti, non è che il trotskysmo, se vogliamo usare un linguaggio mercanile, sia esente da fallimenti: è un fallimento continuo, non ne ha azzeccata una. Nonostante le sue infinite diaspore (o anche grazie a queste), l'influenza reale, in termini numerici, sul movimento operaio finora è stata ed è indubbiamente superiore a quella della sinistra comunista, ma sempre incomparabilmente inferiore a quella dello stalinismo, in pratica vicino allo zero, salvo qualche raro e localizzato caso. I programmi, la teoria hanno un ruolo fondamentale, ovvio, ma la loro conversione pratica dipende, dialetticamente, anche e non da ultimo dalle condizioni generali in cui si trova la classe. Se la classe, per mille motivi, rimane sotto l'egemonia schiacciante del pensiero dominante, non potrà mai, se non a livello individuale, aderire al programma rivoluzionario. E' vero che il trotskysmo ha un seguito "di mass" in America Latina o in Francia, ma perché, oltre alla particolare tradizione storica, il suo (del trotskysmo) radical-riformismo è il massimo, per così dire, cui può accedere la classe in questa fase (che dura da tantissimo, troppo, tempo).

Un saluto,

Smirnov

Sergio sai benissimo che la nostra Tendenza non identifica in Trotzky e Lenin gli autori coscienti della controrivoluzione staliniana.

Smirnov, il damenismo nasce dal bordighismo e non ne costituisce una vera rottura (salvo pochi aspetti). Ogni famiglia ha i suoi fallimenti. E' ovvio che la conversione pratica della teoria e del programma dipendono anche e soprattutto dalle condizioni generali della classe, ma ciò non può costituire un alibi o una giustificazione. Non si parla di "fallimenti", si parla di validità (funzionalità) e di fondatezza di posizioni e di tattica. Validità e fondatezza che non possono, dialetticamente, essere prive sempre e comunque di riscontro storico.

Sergio, penso che sia del tutto assurdo, visto che ci conosci molto bene, che tu ci accosti ai bordighisti. Sai benissimo che siamo del tutto differenti, e non credo che ti aiuti nell'argomentare la tua correttezza.

Sono rimasto senza parole leggendo questo articolo, perchè è evidentemente scritto in malafede e anche con una buona dose di ignoranza. Ora non starò a fare la pulce a tutte le evidenti calunnie riportate, però è chiaro che o l'articolo è scritto da ultra-sinistri (idealisti, come lo stesso Lenin, che guarda caso parlava di nazionalizzazione, faceva intendere) oppure non si conosce il significato del programma transitorio, un ponte tra le rivendicazioni minime e il programma massimo, peraltro proposto proprio da Marx, se pure in fieri, per la prima volta, oltre che, come ben noto, da Trotsky. Devo dire che prima di leggere questa robaccia, avevo provato una buona simpatia per i compagni di leftcom. Devo ricredermi, pazienza

In realtà non avevo letto tutta la discussione, Sergio è stato sicuramente esaustivo nella spiegazione, fortuna che ci sono ancora compagni come lui

E' evidente che per te, per i trotskysti, l'articolo sia "robaccia": non ci aspettiamo altro dai trotskysti, che, seguendo la curva discendente "Trotsky, trotskysmo, trotskysti", sono finiti, da un bel pezzo, nel pantano del più vieto riformismo, ripescando la vecchia distinzione socialdemocaratica tra programma massimo e programma minimo. C'è da dire che Trotsky, pur senza preciptare negli abissi del riformismo come i suoi discepoli, ha una grossa responsabilità in tutto questo: è penoso vedere come il vecchio "Leone" cercasse di escogitare formule assai improbabili, dal punto di vista rivoluzionario, per uscire da una situazione sempre più controrivoluzionaria. In certi scritti della fine degli anni Trenta e di poco prima del suo assassinio, c'è quasi da rimanere strabiliati nel vedere come avesse perso la bussola, lui, il fondatore dell'Armata rossa. I suoi nipotini ripetono a pappagallo i "versetti" del maestro: con tutti gli errori teorico-politici che ha fatto, mi viene però da dire che Trotsky non merita di essere rappresentato da quei "famigliari": Ferrando, se non fosse stato cacciato prima, sarebbe diventato parlamentare e avrebbe sostenuto Prodi, perché, si sa, all'astuzia rivoluzionaria (tradotto: all'opportunismo radical-riformista) si aprono strade innumerevoli...

In ogni caso, visto che scopri adesso la nostra "robaccia ultrasinistra" (strano che te ne sia accorto solo ora, se prima ti eravamo simpatici equindi ci avevi letto), niente ti vieta di evitare scrupolosamente di cliccare sul nostro indirizzo web: staremmoo bene in due, no?

Saluti,

Smirnov