il marxismo come scienza

vorrei continuare la "divagazione" iniziata nel topic di Fortichiari...meglio farlo qui per evitare confusione.

il marxismo oggi a quale visione della scienza/epistemologia è legato?

empirismo, positivismo, empiriocriticismo, neopositivismo ecc...

se non sbaglio Engels e Lenin si rifanno al positivismo in voga all'epoca... quali conseguenze ha "aggiornare" la filosofia della scienza sulla quale si basava il marxismo un secolo fa?

Forum: 

Il Positivismo segue di un po' il Socialismo Scientifico in fondazione, comunque nascono nello stesso contesto storico: lungi dal poggiarsi sul positivismo, il socialismo scientifico ne rappresenta l'esatto opposto. Il positivismo è l'impostazione della borghesia progressista, fiduciosa nelle sorti magnifiche e progressive del capitalismo (e proietta sub specie aeternitatis alcune caratteristiche del capitalismo triumphans della seconda metà dell'Ottocento); credo sia intuitivo che non ha nulla a che vedere col marxismo (il lavoro di Engels marcia deciso in direzione opposta al positivismo). La seconda Internazionale acquisì delle tematiche positivistiche, e quindi riformismo gradualista ecc. Lenin rappresenta la più netta rottura con questo allontanamento dal marxismo. La visione della scienza del marxismo è il marxismo stesso, il materialismo storico e dialettico, che non è dottrina religiosa o statica e quindi è auspicabile che si riesca a svilupparlo scientificamente. Certo è che il marxismo nasce assumendo la concezione della scienza del suo tempo e col confronto e l'assimilazione delle correnti scientifiche più avanzate dell'epoca. Come dicevo in altro topic, un filone di ricerca antropologico marxista ancorato a Morgan sarebbe oggi ridicolo. C'è da considerare però che con l'imperialismo la borghesia ha frenato la sua conoscenza del mondo in senso lato, se non in chiave tecnica, e le scienze e la filosofia degradano verso impostazioni fondate sulla inconoscibilità obiettiva, sul non-determinismo ecc. Sviluppare correttamente la scienza che chiamiamo per convenzione "marxismo" non può non tener conto di questi fattori, ma nemmeno restare ancorata solo alle vecchie fonti del marxismo.

Il fatto che il nostro pensiero soggettivo e il mondo oggettivo sono sottoposti alle stesse leggi e quindi, anche, che in ultima analisi non si possono contraddire l’un l’altro nei propri risultati, ma essi devono piuttosto coincidere, governa completamente il nostro pensiero teoretico nel suo complesso.

Engels

con "positivismo" intendo non tanto l'ideologia borghese delle "meravigliosi sorti e progressive", ma l'epistemologia secondo la quale la scienza arriva a conoscere la realtà ultima delle cose.

Cosa comprensibile per l'epoca, mentre oggi è chiaro che il compito della scienza è quello di costruisce modelli sempre più sofisticati che ci sanno spiegare sempre di più, ma che non coincidono affatto con la realtà ultima. Le "rivoluzioni scientifiche" della fisica sono la dimostrazione che "modello" e "realtà" sono cose distinte...ogni cambio di paradigma riesce a spiegare tutto quello che spiegava il modello precedente e qualcosa in più. In questo modo non si arriverà mai alla "fine della scienza", ma si tende asintoticamente verso il "reale".

Il fatto che il nostro pensiero soggettivo è riducibile ai meccanismi fisici del mondo oggettivo è vero, ma questo non contraddice l'epistemologia contemporanea....questi "meccanismi" non sono la realtà ma si situano a un livello superiore. Che poi comunemente si usino "come se" fossero la realtà, è un altro discorso.

Il punto è questo: Engels sostiene (e Lenin riprende) l'idea che la realtà è obiettivamente conoscibile, non una volta per tutte, ma con un procedere dialettico ecc. ecc. Collegato a questo discorso c'è il presupposto che la realtà esiste a prescindere dalla nostra percezione (esistenza obiettiva della realtà). Se fin qui ci siamo, bene. I paradigmi scientifici contemporanei inclinano spesso, più o meno radicalmente, verso l'idea che la realtà ha un'esistenza legata alla percezione (mondi "costruiti" dalla rappresentazione, individuale o sociale ecc.), da un estremo che nega l'esistenza indipendente della realtà ad una posizione che almeno ne nega l'obiettività. In linea di massima i "modelli" si basano sui concetti di percezione e rappresentazione (non sempre, certo, ma spero si colga la questione). Gira e rigira, idealismo. Sono sicuro che Lev non nega l'obiettività del reale e la sua possibile conoscenza, quindi interpreto (correggimi, Lev) il suo intervento nel senso della necessità che il marxismo si affini e sviluppi così da essere sempre più attrezzato al fine della conoscenza (e quindi della trasformazione) dell'esistente; d'altronde la differenza che pone Lev tra "modelli" e realtà è la stessa sollevata proprio da Engels, anche se il termine "modello" mi sembra inadeguato. Lev, ti consiglio di approfondire i testi marxisti relativi a queste questioni, penso che troveresti soluzioni alle tematiche che giustamente poni nel seno stesso della metodologia ed espistemologia del socialismo scientifico. Molte critiche al marxismo che vengono dal mondo accademico sono molto gravate da una sua conoscenza superficiale: un approfondimento vivo e militante da parte dei compagni può impedire lo stallo teorico del marxismo.

Il rapporto complesso tra scienza e politica

Ecco di seguito delle considerazioni di Bordiga, che personalmente ritengo scientificamente agghiaccianti (riallacciano tra l'altro a dei punti del topic su Fortichiari):

> 12. Per quanto dunque la dotazione ideologica della classe operaia rivoluzionaria non sia più rivelazione, mito, idealismo, come per le classi precedenti, ma positiva «scienza», essa tuttavia ha bisogno di una formulazione stabile dei suoi principii e anche delle sue regole di azione, che assolva il compito e abbia la decisiva efficacia che nel passato hanno avuto dogmi, catechismi, tavole, costituzioni, libri-guida come i Veda, il Talmud, la Bibbia, il Corano, o le Dichiarazioni dei diritti. I profondi errori sostanziali e formali contenuti in quelle raccolte non hanno tolto, anzi in molti casi hanno contribuito proprio per tali «scarti», alla enorme loro forza organizzativa e sociale, prima rivoluzionaria, poi controrivoluzionaria, in dialettica successione.

> 13. Proprio in quanto il marxismo esclude ogni senso della ricerca di «verità assoluta», e vede nella dottrina non un dato dello spirito sempiterno o della astratta ragione, ma uno «strumento» di lavoro ed un' «arma» di combattimento, esso postula che nel pieno dello sforzo e nel colmo della battaglia non si abbandona per «ripararlo» né lo strumento né l'arma, ma si vince in pace e in guerra essendo partiti brandendo utensili ed armi buone. (La «invarianza» storica del marxismo, Sul filo del tempo, 1953)

Prendendolo radicalmente alla lettera, poco senso avrebbe una scienza guida per l'azione: meglio un libro dettato magicamente da qualche dio, e via verso direzioni fantasiose (quale più o meno sarebbe a questo punto anche il comunismo). E' questo che bisognerebbe combattere dal punto di vista scientifico (dici sostanzialmente questo, giusto Lev?).

L'importanza dell'assolutezza scientifica del marxismo

Lev deve approfondire,secondo me, il concetto di formazione storico-sociale (determinata storicamente) se vuole approdare al marxismo scientifico.Difatti, nel Marx scienziato non c'è più il punto di vista che descrive il capitale come il prodotto di una alienazione operaia vista come un'alienazione di essenza (l'uomo al centro come soggetto di facoltà essenziali che si allontana da sè per oggettivarsi nelle condizioni di esistenza).Una compresenza di empirismo e di spiritualismo umanistico. Nel Marx scienziato, al posto del primato dell'essenza umana, v'è il concetto,il sistema di produzione capitalistico senza la presenza di un presupposto esterno(antropocentrico o antropomorfico) a sè stesso che "si costituisce, appunto, come totalità che genera tutte le proprie determinazioni". La totalità è concepibile come reificazione,feticismo delle potenze sociali che costituiscono il vero soggetto di enti e soggetti obiettivizzati, di natura extralogica.Qui sta il senso delle parole di Bordiga riportate da Reed "di una formulazione stabile dei principi della scienza marxista e delle sue regole d'azione": fare entrare nell'esistenza teorica degli operai, sia pure in forme pratiche,le basi ontologiche del marxismo: quelle di concepire la totalità come produzione di se stessa, e non come alienazione dell'essenza umana. Avere sollevato questi principi sul marxismo è un merito di tutti i partecipanti a questo forum, e anche del giovane Lev a cui auguro una formazione rivoluzionaria di primordine! Saluti. duccio

Reed, sono d'accordo con Engels e Lenin quando dicono che la realtà esiste obiettivamente a prescindere dalla nostra percezione, che, come ogni processo mentale, è totalmente riducibile a "meccanismi" fisici.

I modelli di cui parlo secondo me non sono affatto idealistici, anzi, la consapevolezza che la scienza non conosce la realtà ultima delle cose ma costruisce modelli che ci permettono di spiegarle/fare previsioni è un passo avanti della scienza stessa, che è più libera di evolversi senza dare un valore "di realtà" (che è in realtà un valore "metafisico", quasi religioso) a teorie e formule matematiche. La legge di Newton della gravitazione universale, la sua formuletta, non può essere pensata come "questa è la gravità". Il modello aristotelico di gravità era valido fino a un certo punto, quello di Newton sa spiegarci molto di più quindi l'ha sostituito, la teoria delle stringhe saprà spiegarci cose a cui Newton non arriva e così via... nessuno di questi "momenti" è la realtà, ma una spiegazione sempre più accurata di essa. Se invece si pensasse che la formula di Newton è la realtà, che la gravità è quella cosa lì, come facevano i positivisti, non si capirebbe come teorie successive riuscirebbero a spiegare il reale di più e meglio...la realtà è solo una!

In questa maggiore consapevolezza dello scienziato moderno io non vedo idealismo (anche se ci sono scienziati idealisti, anti-riduzionisti ecc...), ma la possibilità di far progredire la scienza sempre di più senza pregiudizi similreligiosi riguardo ai paradigmi da superare.

Condivido il tuo giudizio sulle citazioni di Bordiga...secondo me quell'atteggiamento è sbagliato, antiscientifico....se si rinuncia a considerare il marxismo scienza, allora ne possiamo discutere, ma altrimenti non mi sembra quella la strada da prendere.

La mia domanda è: il marxismo in che misura è legato al positivismo? l'epistemologia moderna che ho descritto va in qualche modo in contraddizione con la teoria marxista? a me non sembra...ma giro la domanda a voi perchè siete sicuramente più preparati di me.

hai ragione Duccio, io mi sono avvicinato al marxismo da un anno appena e ho ancora molto da studiare.

Confesso che l'umanesimo "idealista" di Marx ha avuto molta influenza nel mio pensiero...ma sono appunto "nel bel mezzo" degli studi e ci vuole ancora un po' di tempo prima di poter tirare le somme e dare un mio giudizio personale in materia...per ora confronto interessanti opinioni contrapposte, come la tua e questa di Preve:

kelebekler.com

scusate, parte del testo precedente era tratto anche da qui kelebekler.com

Differenze tra essere e realtà

Nelle teorie scientifiche non ci sono verità assolute,ma relative. Ma la relatività della conoscenza non ha niente a che vedere con il relativismo filosofico secondo cui la concezione dell'essere obiettivo costringe a vedere le diverse forme di esso come dantesi alla rinfusa ed equivalentesi o relativizzate, nella loro successione storica. Perciò le astrazioni determinate comprese dalle verità relative hanno il loro radicamento nelle leggi obiettive della natura, nel fatto, cioè, di essere qualcosa di distinto e indipendente dai fenomeni,dalle apparenze e dalle rappresentazioni. Senza ammettere l'esistenza di una struttura essenziale delle cose, non si può pervenire alla concezione dialettica della realtà e, quindi, al concetto di sviluppo delle forme fenomeniche.Lenin, in "materialismo ed empiriocriticismo",osserva che la struttura della materia è legata,quanto alla sua conoscenza,all'indagine scientifica che, man mano che avanza,, offre una visione sempre più approfondita della realtà materiale. Questa dinamica conoscitiva non è altro che la Totalità (determinata storicamente) rappresentata dalla successione delle teorie scientifiche, il cui processo di sviluppo è stabilito sulla base delle connessioni intrinsiche,strutturali ed oggettive,ricavate dalla investigazione scientifica. Le verità relative sono allora le singole teorie scientifiche che si succedono lungo il processo di conoscenza. Nei "Quaderni filosofici", Lenin

approfondisce la teoria del riflesso, nel senso che l'essere determina la coscienza, non solo in modo immediato,semplice, ma mediante concetti e leggi che abbracciano,sia pure approssimativamente, le leggi universali della natura eternamente in movimento e sviluppo. Ecco la realtà! Essa è la conoscenza dell'essere nella sua essenza,storica e naturale, senza cui si resta a livello dell'essere immediato,sensibile,intuitivo,e non si perviene alla realtà che è essere+ essenza(concetti,legge..). Così senza il partito,che coglie il concetto, non si comprende la realtà e,quindi, non vi può essere rivoluzione dello stato di cose presenti. Il "reale" dei positivisti ,oltre che scadere nelle astrazioni generiche, non pèrviene al concetto delle cose e rappresenta il mondo così come appare, senza superarlo mai. Saluti duccio.

Sono d'accordo con Reed quando mette in antitesi marxismo e positivismo. Anzi, fu proprio Marx a individuare per primo - nella caduta tendenziale del saggio medio del profitto - il limite fondamentale dell'accumulazione e dello sviluppo delle forze produttive in ambito capitalistico, se non attraverso catastrofiche distruzioni di capitale.

Dovrebbe essere chiaro che, se non si realizzerà il socialismo, allora il futuro non sarà all'insegna di "magnifiche sorti e progressive" ma solo della barbarie. Il socialismo quindi non è una conclusione obbligata dei processi storici, ma richiede uno sforzo soggettivo, in modo da uscire dalla spirale verso la barbarie sociale sui cui binari si sta muovendo l'umanità. Insomma... rimbocchiamoci le maniche! Altrimenti il proletariato, nonostante le sue oggettive condizioni di sfruttamento, non potrà mai rivoluzionare i rapporti di produzione e realizzare una società diversa.

La scientificità del marxismo si deve individuare secondo me nella sua capacità, finora insuperata, di analizzare e interpretare i rapporti sociali, per poterli modificare. Naturalmente questo è valido se utilizziamo il marxismo in maniera intelligente, senza sclerotizzarci alla sua formulazione ottocentesca ma affinando i nostri strumenti per una realtà che è mutata anche profondamente (monopolio, imperialismo, capitalismo di stato, rivoluzione del microprocessore, tv, internet...). Invarianza e scienza mi paiono in antitesi almeno quanto positivismo e marxismo.

Infine, non vorrei avventurarmi su epistemologia, Berkeley e empiriocriticismo, su cui non ho una preparazione adeguata, ma sono convinto che negare l'esistenza di una realtà oggettiva, che trascenda la sua rappresentazione umana, significhi negare le basi stesse di qualsiasi materialismo. Mi pare che su questo siamo tutti d'accordo.

Saluti.

la libera individualità

Bè, mi sembra che Preve non abbia compreso appieno i limiti e le "verità",sia pure parziali della "coupure" althusseriana.Ti invito a rileggere il mio intervento sulla filosofia di Althusser e i suoi limiti nel forum "Il marxismo romantico....."per quanto riguarda il concetto di "libera individualità",Marx si riferiva alla situazione a cui si perviene nella società che ha raggiunto lo stadio del comunismo, ossia: il luogo di una "libera associazione di produttori" in cui l'individuo non è più quello borghese dell'interesse e del tornaconto individualistico, ma l'individuo che ha raggiunto la capacità di connettersi in piena consapevolezza con l'universale sociale.(L'individuo greco della Polis, invece aveva realizzato tale connessione, in modo spontaneo ,incosciente, con le istituzioni della democrazia ,ossia con l'universale politico). Qui si tratta dell' dell'individuo comunista come prodotto di un processo storico generato dal meccanismo di produzione (che automaticamente reifica e feticizza le sue determinazioni oggettive come potenze sociali), e non dell'alienazione del soggetto individuale rispetto al mondo esterno, l'alienazione d'essenza secondo cui il soggetto si allontana da sè per oggettivarsi nelle condizioni di esistenza. Tale alienazione,di tipo antropomorfico, sarebbe comunque una relazione di coscienza tra il soggetto e il mondo che gli appare come fuori di sè,esterno.Mentre ,per Marx,il modo di produzione,anche quello comunista futuro, non ha come presupposto l'uomo come soggetto di facoltà essenziali, ma la totalità concepibile solo come produzione di se stessa. Pertanto ,nella società comunista si realizza l'identità tra coscienza razionale scientifica e reale, senza capovolgere lo schema ontologico materialistico del marxismo. Se non si capisce ciò, non si è marxisti,ma idealisti. Ciao, duccio!

mmmm... allora temo di essere un idealista, perchè non credo di aver capito tutto quello che hai detto :)

io sono comunista perchè amo la libertà, e il comunismo per me è il luogo della libertà più alta, dove gli individui (non più semplici "persone") sono padroni di se stessi e liberi/capaci di realizzarsi pienamente.

il marxismo è il metodo di analisi del reale che ci consente di capire e prevedere lo sviluppo della storia, fatta di lotte di classe all'interno di determinati modi di produzione, dove è l'essere a determinare la coscienza e non viceversa....il materialismo parte dalla "terra" per arrivare al "cielo", il contrario dell'idealismo....quindi non riesco a vedere la contraddizione, la rottura che a te sembra evidente.

Che un proletario sia impossibilitato a realizzarsi pienamente è una condizione reale, con precise cause materiali. Anche il borghese è in una certa misura succube del sistema, del mercato da lui creato e che immediatamente lo trascende.

in tutto ciò io non ci vedo tracce di idealismo.

il pensiero di Marx non può prescindere dal disagio dell'uomo, anzi, è il primo metodo che ne indaga scientificamente le cause materiali e addirittura avanza il proposito di "trasformare il mondo".

la scienza è prodotto dell'uomo ed è al suo servizio, anche se si può astrarre e pensare come totalmente autoreferenziale, al servizio di se stessa.

Il centro del pensiero di Marx è la libertà...la libera associazione di produttori di cui l'egualitarismo è solo la forma, il contenitore...

Ci sarebbe anche da discutere sulla definizione di libertà "come riconoscimento della necessità" data da Engels...

partendo dalla citazione dei grundrisse Preve sostiene che:

si vede bene come sia del

> si vede bene come sia del tutto infondata la classica concezione del marxismo, stabilita da Engels e da Plechanov (e ripresa da Lenin) per cui la libertà coincide con la coscienza della necessità. Lascio qui in sospeso (ma lo riprenderò altrove) se essa si possa o no far risalire a Spinoza (io non lo credo). Per Marx la libertà (attributo indiscutibile della libera individualità) coincideva con l'espansione di tre fattori creativi (le relazioni universali, i bisogni universali e le universali capacità). Non mi raccontino allora che la corretta concezione marxista di libertà è la sua identità con la coscienza della necessità. Si tratta della deformazione positivistica di un originario substrato meccanicistico.

> Secondo, si vede bene come l'ossessione polemica di Bordiga e dei bordighisti contro l'"individualismo" è del tutto infondata, soprattutto poi quando è sostenuta in nome di Marx. Ma Marx, cari bordighisti, diceva esattamente il contrario. Se veramente foste conseguenti con la vostra mania citazionistica, dovreste onestamente ammetterlo, senza credere in modo demonologico che tutto questo sia solo un complotto piccolo-borghese contro il Blocco Sacro.

> Terzo, ed ultimo, chi ha inteso bene la citazione di Marx avrà anche capito che gran parte dell'abituale modo di accostarsi al marxismo è da buttare. Ad esempio Norberto Bobbio, grande creatore di (ingannevoli) dicotomie, sulla base delle due dicotomie Libertà/Eguaglianza e Individualismo/Collettivismo, ha ripetutamente inserito Marx nella doppia casella dell'Eguaglianza e del Collettivismo, in modo da farlo diventare il contrario della Libertà e dell'Individualismo. Curioso, per un signore che ha scritto che la figura antropologica del comunismo è la "libera individualità", e cioè l'esatto contrario.

Bè',caro Lev,non vuoi

Bè',caro Lev,non vuoi uscire dal bòzzolo di una visione antropologica del marxismo...Ci vuole pazienza! Credo che, col tempo, ce la farai studiando intensamente il Capitale di Marx per almeno tre anni. Ti lascio alla cura degli altri..ciao! duccio.

Il PCInt e Bordiga hanno preso strade divergenti fin dal 1952, in pratica subito dopo la costituzione del partito. Non siamo bordighisti.

A riportare citazioni di Bordiga è stato Reed, sottolineando però che "personalmente [le] ritengo scientificamente agghiaccianti". Concordo.

Insomma, Lev, se vuoi criticare il PCInt, non metterci in bocca parole di Bordiga, soprattutto se relative al periodo successivo alla II Guerra Mondiale, e in modo particolare sulla questione marxismo-scienza.

Consiglio l'articolo seguente, che evidenzia in maniera chiarissima alcune delle differenze tra noi e i "bordighisti": [[ibrp.org | Il mito idealistico della specie nella concezione del partito]]

Una rivendicazione

La battaglia contro il mito dell'individuo borghese è sacrosanta.

La milizia rivoluzionaria è fatta di passione e sentimento in primis, che vanno al di la del proprio tornaconto personale ! è l'adesione alla causa del proletariato.

Il pistola che scrive di tesi "scientificamente agghiaccianti" conferma che la scienza non è fredda, fatta di soli numeri, ma è arma di combattimento, a priori ! Altrimenti avrebbe scritto(per essere coerente con se stesso ) "scientificamente errate". Probabilemte a lui le tesi espresse dal Bordiga vanno troppo strette, oppure è molto più intelligente. Oppure il comunismo gli cura dei mali spirituali ( i suoi )

saluti

mic, non si stava parlando di PCint ma di marxismo in generale... di cui bordiga è stato un esponente importante.

non avevo nessuna intenzione di "attaccare" il PCint...

Sono d'accordo con spartaco per quanto dice sulla milizia rivoluzionaria, difendo invece Reed quando afferma che tali tesi sono scientificamente agghiacianti, perchè indubbiamente lo sono.Ce lo dimostra il testo fornitoci da mic.

Bordiga non sapeva più dove sbattere la testa per affermare la sua persona e le tesi sulla specie e il partito "demiurgo" riflettono abbastanza bene come s'immaginava la futura società.Lui il cervello, gli altri gli arti che muovono l'essere.

Bordiga torna molto indietro rispetto a Marx. Le sue considerazioni coincidono talmente poco con una seria prospettiva rivoluzionaria che anche uno alle prime armi col marxismo le riterrebbe fuori dalla logica.

Saluti

Rivolunzio

Esso nega l'individuo, la dittatura del proletariato per subordinare l'insieme degli individui alla dittatura del partito, unica coscienza suprema.

Queste le considerazioni finali dell'autore, Giorgio, che per altro saluto:

E' nostra profonda convinzione che prima o poi la battaglia per il comunismo si riaccenderà; ma siamo altrettanto profondamente convinti che ciò avverrà soltanto se nella sua realizzazione milioni e milioni di donne e di uomini intravederanno uno soluzione reale e moderna agli altrettanto reali problemi della loro esistenza. La prospettiva di essere sussunti in un'altra astratta categoria e sottomessi a qualche gruppo di dittatorelli sedicenti comunisti -- giacché, se attuate, a questo porterebbero queste fantasiose concezioni del comunismo poiché programmi e norme senza gli uomini in carne e ossa che li fanno vivere, li elaborano e li interpretano sono pura fantasia -- potrà anche affascinare qualche intellettuale amante della speculazione filosofica, ma non potrà mai costituire una seria alternativa all'attuale marciume borghese.

Di nuovo,

Rivolunzio

tautologie

Caro Rivolunzio,

volevo reclutarti nel mio partito, quello dei paradossi e degli sfotto, ma tu mi fai delle tautologie e queste non sono ammesse, perchè invece che far passare gli altri come fessi, si passa per fessi: "sono scientificamente agghiacianti, perchè indubbiamente lo sono"

Quindi si ha l'ennesima scissione nella sinistra !

Concordo con te sul fatto sulla brama di potere di Bordiga, lui cervello e gli altri schiavi, Bakunin si fece paladino della lotta contro la dittatura del proletariato. Giustamente !

Difatti la scissione c'è stata. Allora scusami se mi sono fatto fesso, ma certe cose bisogna sottolinearle.Cercherò di migliorare il mio italiano.

Come mai avrei l'onore di far parte del tuo partito?

Rivolunzio

stalin ci insegna che dittatura del proletariato e dittatura del partito sono due cose ben diverse...

immagino che l'accusa di "bakuninismo" l'abbia usata anche lui, a suo tempo...

E' molto diversa la concezione di partito di Stalin rispetto a quella di Bordiga, anche se in un certo senso, grattando il fondo, si avvicina.Bordiga non è meno umano di Stalin.

Dare a Bordiga quel che gli spetta.....

Compagni,mi sembra che si siano affacciate alcune ambiguità nel discorso che si stava costruendo intorno al Marx del concetto rispetto a quello del soggetto di essenza (antropologico). Che Bordiga si preoccupi di fissare delle regole e dei principi invarianti circa la concezione ontologica del marxismo,ciò non ha nulla di "agghiacciante". E neppure lo è il fatto che, anche dopo l'avvento della dittatura proletaria, il partito debba restare il soggetto universale del processo, visto che ancora opereranno le classi e la forma Stato. Su questo Bordiga ha ragione, si muove nella piena coerenza marxista! Finchè non si affaccerà la società comunista,senza classi,il partito ha il compito storico di elevare le coscienze degli operai e delle altre classi sociali al punto di vista della piena identità tra pianificazione cosciente della società e grado di sviluppo delle forze produttive sociali che non hanno ancora superato l'operatività della legge del valore nel processo di costruzione della società socialista.Tutt'altra cosa è il discorso tra individui e specie: nel comunismo pieno,gli individui possiederanno in media una coscienza universale e delle capacità intellettive del livello di un Aristotele, di un Marx, di un Hegel, Lenin, Trotsky etc. Pertanto, gli individui diventano una "parte" che si eleva fino all'universale e, quindi,non presenterebbero uno "scarto" (dècalage) tale da subordinarli al Tutto, o addirittura facendoli scomparire in esso, come si dice, maleinterpretando Bordiga. Se sono soggetti universali,ciò significa ,che essi sono diventati sostanza soggettiva che s' identifica (rispecchia) con quella oggettiva; perciò, in quanto sostanza, non possono sparire.Sarebbe una contraddizione logica! I soggetti, quali individui universali, continuano ad esistere in armonia con la specie,(leggere Helvetius) e, insieme, come sostanza, si autoproducono nell'identità con la totalità sistemica comunista, intesa come unità di natura e storia,e come base ontologica del processo storico (non più preistorico) dell'umana specie.

Sulla concezione organicistica di Bordiga, invece, ci sarebbe da seppellirlo di critiche, in quanto, qui, egli si allontana dalla gnoseologia dialettica del marxismo! Cordialità duccio

"Scientificamente agghiacciante" per me è il voler cristallizzare una teoria al di là dei riscontri oggettivi. Se il marxismo è invariante, se non ammette aggiunte, rivalutazioni e affinamenti, alla luce di dati materiali nuovi, allora semplicemente non è una scienza ma una fede.

Il marxismo è un arma, obietta Spartaco, con Bordiga. Verissimo, il marxismo costituisce l'armamentario scientifico del proletariato. Ma vogliamo forse combatterre con delle armi spuntate contro un nemico di classe che ha affinato nel frattempo i suoi strumenti di sottomissione materiale e ideologica del proletariato?

Le guerre di liberazione nazionale hanno assunto invariabilmente un carattere nazionalista, immischiando il proletariato in contese inter-imperialiste che non sono sue. Questo non importa per la nostra "scienza"? I sindacati sono ormai diventati evidentemente strumenti nelle mani della borghesia. E' un caso? E' solo un tradimento degli organi dirigenti? Non dipende forse anche dai mutamenti avvenuti nei rapporti di produzione? E che dire della atomizzazione e diffusione sul territorio delle attività produttive, o del martellamento ideologico e psicologico sempre più pervasivo? La nostra "scienza" dovrà tener conto delle verifiche storiche e delle nuove esperienze, o no?

Sono d'accordissimo sul fatto che il partito non esaurisce il suo compito con la rivoluzione. Ma questo cosa c'entra con la teorizzazione della dittatura del partito?

"Tutto il potere ai soviet" dev'essere il nostro slogan. Essi soli sono gli organi di potere che il proletariato storicamente s'è dato. Ed essi dovranno certo costituire il principale ambito di intervento del partito, affinchè il proletariato continui ad abbracciare il programma comunista anche dopo la rivoluzione.

Dittatura del proletariato, per la rimozione delle cause della divisione della società in classi. Dittatura della maggioranza sfruttata sulla minoranza sfruttatrice, per privarla dei propri privilegi. Non dittatura del partito!

X rivolunzio

Rinvoluzio, dovresti stare nel mio partito, perchè sei bravo nelle tautologie e nella negazione della dimostrazione, l'ultima è una perla "E' molto diversa la concezione di partito di Stalin rispetto a quella di Bordiga, anche se in un certo senso, grattando il fondo, si avvicina" (dalla teoria degli estremi che si toccano ?)

Chi utilizza il termine "Scientificamente Agghiacciante", dovrebbe passarmi il termine "scientificamente schifoso", oppure "scientificamente noiso" dal repertorio della scienza sentimentale che si dice voler negare....

Armi nuove

Il marxismo è un arma, bene. A volte conviene combattare con una spada spuntata piuttosto che a mani nude. Oppure si rifà la punta alla spada.

Il fatto è che i pretesi "fatti nuovi" si sono già presentanti nel corso della lotta del proletariato. Lenin scrisse l'imperialismo come fase suprema ! I sindacati organi di stato sono cose già apparse nell'ottocento, "Le guerre di liberazione nazionale hanno assunto invariabilmente un carattere nazionalista, immischiando il proletariato in contese inter-imperialiste che non sono sue" anche questo è roba dell'ottocento.

Quello che manca oggi è un proletarito in occidente che lotti per lo meno per rivendicazioni economiche. Di fatto il capitalismo ha stravinto e il peso della controrivoluzione e di due macelli mondiali pesa più che mai.

Se è vero ciò che dico, dimostrabile storicamente, il filo alla spada lo si fa riprendendo le esperienze già fatte e le lezioni che ne sono scaturite.

La polemica di Lenin con il KAPD sembrerebbe attualissima. Basta rileggersi L'estremismo malattia infantile del comunismo, per verificare che solo la sinistra italiana aveva le carte in regola.

Possono variare alcuni atteggimanenti tattici, ma non quelli strategici. Lavorare o meno in questo e quel sindacato, ma non negare a priori la lotta economica. Teorizzando il salto immediato alla coscienza politica del proletarito. Tesi libertaria e consiglista.

Spartaco, prima di passare agli insulti "padani", cerca di capire gli interventi altrui. E cerca di preferire toni conventienti ad una discussione tra compagni (no?), altrimenti le "imprecisioni" che dici diventano "cazzate" da ridere.

ho parlato d'invarianti per

ho parlato d'invarianti per quanto concerne l'aspetto ontologico del marxismo(vedi sopra,compagno mic). Duccio

La dittatura del partito

La dittatura del partito come centralismo e disciplina che guida il processo verso il comunismo: questo ruolo è insostituibile anche sotto la dittatura del proletariato, altrimenti chi è il soggetto universale in una società che ancora si dibatte nell'oggettivismo di ampi strati di operai arretrati e delle altre classi non proletarie alleate degli operai? (Risposta al compagno mic). duccio

  • Compagno Duccio,

trovo*

Compagno Duccio,

trovo molto utile la tua precisazione, quando dici "la dittatura del partito come centralismo e disciplina che guida il processo verso il comunismo";

la questione concerne il rapporto tra partito e proletariato, pena cadere in elitarismo, sostituzionismo e storicismo... Quando sosteniamo che la rivoluzione necessita del partito ecc. ecc., è ovvio intendere (variamente) un rapporto che si determina negli anni e "in giorni che valgono anni" tra avanguardia e proletariato. La rivoluzione la fa il proletariato guidato dal partito. Lo stesso si può intendere per la dittatura (correggimi e fai salve le ovvie differenze), presupponendo un rapporto tra classe e avanguardia, rapporto che ha un'elevata espressione politica nei Consigli Operai, organi del potere proletario. Intendendo correttamente il rapporto tra classe e partito, così come s'intende correttamente nel sostenere il ruolo del partito nella rivoluzione, la questione non si dovrebbe porre, e non avrebbe senso dire "dittatura del partito"... che ne pensi?

Sono d'accordissimo,compagno

Sono d'accordissimo,compagno Reed! E' questo il senso della nozione di "dittatura del partito".Se poi Bordiga concepisce il funzionamento del partito come "centralismo organico" questa è una sua distorsione a-dialettica, però limitatamente al ruolo del partito in rapporto alla societa sovietizzata della dittatura proletaria, Bordiga è dentro i canoni del marxismo e non si può non darne atto! Saluti. duccio

Dittatura in senso marxista è l'esercizio esclusivo del potere da parte di una classe ai danni di un'altra. Mentre ora viviamo il dominio della minoranza privilegiata sulla maggioranza, una rivoluzione proletaria vittoriosa dovrebbe invece mettere tutto il potere nelle mani della classe degli sfruttati, e questa dovrebbe esercitarlo principalmente per togliere alla borghesia il "diritto" alla proprietà privata dei mezzi di produzione, ossia il diritto allo sfruttamento.

E' la classe però che esercita il potere. Dittatura del proletariato, l'espressione sempre usata da Marx, significa questo. Altrimenti torniamo alla concezione della storia come prodotto della volontà dei grandi uomini, ossia facciamo un grosso salto indietro rispetto alla concezione materialistica. L'espressione dittatura del partito è quindi, secondo me, semplicemente idealistica.

Il rapporto dialettico partito/classe sarà fondamentale dopo la rivoluzione come lo è nello stadio precedente. Ma non cerchiamo scorciatoie di sorta. Sarà la classe operaia, attraverso i suoi organismi assembleari (soviet o consigli) e attraverso uno stretto rapporto dialettico col partito, a fare la rivoluzione e prendere in mano tutto il potere, per trasformare la società. Non confondiamoci: una cosa è il semi-stato proletario, altra cosa è il partito.

X Baboeuf

Allora, mi spiego meglio.Concettivamente la funzione del partito bordighiana è molto diversa perchè da attuarsi definitivamente a comunismo compiuto, senza avere poi possibilità di evolversi nella forma.Nella sua essenza invece si.

Quella staliniana non vede il partito come unico essere che nel suo insieme si eleverà, è semplice organo di controllo sulla classe operaia.

Grattando il fondo, guardandoli dal punto di vista umano, hanno la stessa classica brama di potere.Cambia solo il contesto nella quale inserirla.

Capito?

PS:Non dilunghiamoci su questo discorso, che non centra nulla col resto.

Saluti, Rivolunzio

Concordo con l'intervento di mic. La stessa espressione "dittatura del partito" è fuorviante, come dire "rivoluzione del partito": che significa? Come è "rivoluzione proletaria che il partito comunista dirige", così è "dittatura proletaria che il partito comunista dirige"; la "forma politica" di questa dittatura è il Soviet del proletariato. Ovvio che questa direzione da parte del partito è la prospettiva che il partito stesso si prefigge, ma non è scontata né "imponibile" al proletariato svuotando di potere i Soviet o eliminandoli.

Se siamo d'accordo con quanto specificato sopra, dire "dittatura del partito" dovrebbe essere estraneo alla teoria marxista; nutre tra l'altro incomprensioni sulla funzione del partito durante la rivoluzione e dopo, e confonde due concetti: il primo, che se il proletariato, nell'esercizio della sua dittatura di classe, è diretto dal partito comunista, ha una condizione fondamentale e insostituibile per la "vittoria"; il secondo, che il Partito-Messia esercita la sua dittatura per conto della classe, poiché ne rappresenta metafisicamente gli interessi storici. Duccio, non trovi preferibile non utilizzare l'espressione "dittatura del partito", così gravida di (almeno) equivoci?

  • Ciao a tutti, compagni,

non*

Ciao a tutti, compagni,

non ho potuto partecipare per qualche giorno al forum e adesso mi è impossibile ritornare su tutte le problematiche sviluppate.

Qua volevo semplicemente dire che concordo sulla estrema pericolosità, anche concettuale, dell'espressione "dittatura del partito", nonostnate le specificazioni apportate da Duccio. La dittatura del proletariato è sempre i consigli+il partito, tutti e due i termini sono dialetticamente necessari, ma da soli non sufficienti.

Ultima cosa, per Spartaco: ribadisco che per noi un conto sono le lotte economiche, un altro la lotta sindacale. Troppo spesso si confondono le due cose, per una sorta di inconscio pregiudizio, ma in tal modo ci vengono atribuite posizioni che con noi non c'entrano niente.

Ah, dimenticavo, qualcuno, se non ricordo male, mi aveva attribuito una sorta di sottovaluitazione della necessità di "costruire" quadri di partito preparati: evidentemente o mi sono spiegato male o sono stato frainteso, perché la considero una necessità primaria.

Un saluto a tutti,

Smirnov

Pensare dialetticamente

No,reed, perchè i soviet, sotto la dittatura del proletariato, diventano organi di discussione,decisione ed esecuzione degli atti governativi della dittatura proletaria. Qui non esiste la tripartizione dei Poteri di Montesquieu, ma tutte queste distinzioni vengono unificati nei soviet operai e dei lavoratori suoi alleati. Se teniamo conto che la rappresentanza politica degli operai può essere variegata, nel senso che essi possono avere come rappresentanti partiti che facciano capo ad altre tendenze politiche nel seno del movimento proletario (come nella Comune parigina), allora si capisce la necessità di confrontarsi e battagliare con posizioni rivoluzionarie meno congrui alla bisogna di quelle dei bolscevico-leninisti che invece rispondono in pieno al processo di trasformazione rivoluzionaria interna e internazionale. Ora,nelle assemblee dei Soviet,mediante l'esercizio della democrazia operaia, bisogna conquistare il consenso alle proposte dei comunisti conseguenti, i quali "centralizzano" il dibattito riconducendolo nei limiti della politica rivoluzionaria tout court. Dunque, "dittatura" come centralizzazione e disciplina per misure di politica genuinamente comuniste e rispondenti alla realtà concreta del momento storico, per evitare che la democrazia si estenui in dibattiti infiniti e senza definizioni rispondenti agli interessi del proletariato mondiale. Insomma,occorre una democrazia centralizzata! A questo serve la disciplina e la unità di comando del partito(raggiunta non alla maniera di Stalin,cioè come imposizione di un autocrate, ma attraverso ampi dibattiti al'interno e con diritto di tendenza delle minoranze critiche,salvo, dopo avere apparecchiato tale esercizio democratico, pretendere l'unità nell'azione a tutte le tendenze e il diritto di critica dopo che l'esperienza dei fatti si sarà esplicitata,ex post, agli occhi di tutti i membri).Lasciare le cose in mano alle assemblee dei Soviet e all'andamento casuale dei dibattiti, senza l'intervento disciplinato in essi dei comunisti marxisti,si rischia di improvvisare la politica fidando in una sorta di "miracolo" che nasca dal fatto semplice che le assemblee sono dominate dagli operai,capaci col loro istinto di indicare sempre la via giusta. Si scade in una specie di Luxembourghismo che vede nella classe, anzichè nel partito, la direzione da imprimere alla pratica politica.Siamo lontani dal leninismo e dai principi marxisti del rapporto partito/classe. E poi, per finire, nel corso della dittatura proletaria,gli operai devono imparare ad organizzare il lavoro nelle fabbriche,a dirigere grandi masse e ad apprendere le leggi di amministrazione e di management delle imprese e della pianificazione cosciente. Ci vuole un lungo tempo prima che la coscienza operaia, di tipo universale, si diffonda a tutti gli strati, differenti per coscienza, del proletariato. Non è che automaticamente,la presa del potere politico e il controllo operaio riescano immediatamente a fare degli operai dei dirigenti della società e del lavoro sociale. Questo penso e questo dico. duccio

duccio, quindi i dibattiti e la democrazia dei consigli servono in modo che i proletari si allineino al partito.

si è liberi di esprimere opinioni...ma le uniche giuste sono quelle dei vertici del partito, se i lavoratori si adeguano, bene, altrimenti si adeguano lo stesso.

Io ci andrei piano con la convinzione assoluta di essere nel giusto, un atteggiamento poco scientifico oltre che pericoloso.

Chi saranno gli uomini inevitabilmente infallibili che guideranno il partito e quindi tutto il mondo? Il rischio di degenerazione "staliniana" mi sembra elevato.

D'altra parte nel corso del dibattito mi sembra che tu non ti poni nemmeno il dubbio di non aver ragione, anzi, bordighianamente tu non esprimi le "tue opinioni", ma la verità, come se incarnassi L'Unico Vero Marxismo. Che 2+2 faccia 4 non è un opinione discutibile. Così come un cristiano non discute la resurrezione di cristo. E' questa la "scienza sociale" detta "marxismo"?

La storia ci ha dimostrato come questa presunzione para-religiosa

possa far sì che il partito un bel giorno sostenga che 2+2 faccia 5, e se dei controrivoluzionari idealisti piccolo-borghesi osano dissentire, peggio per loro.

il partito deve cercare di conquistare la maggioranza nei consigli che comunque escluderanno gli appartenenti alle classi sfruttatrici

  • Dice bene Raes!

Duccio, non*

Dice bene Raes!

Duccio, non capisco un passaggio (insisto perché trovo molto interessanti i tuoi interventi):

  1. nei soviet ci sono varie tendenze del movimento proletario, tra le quali quella "autenticamente" marxista
  2. nei soviet i marxisti avranno "la necessità di confrontarsi e battagliare" con altre correnti, per "conquistare il consenso alle proposte dei comunisti conseguenti".
  3. i comunisti conseguenti "centralizzano" il dibattito: come? dopo aver conquistato la maggioranza nei consigli? quindi non è dittatura del partito. Per diritto a priori? quindi i Soviet non servono. I comunisti conseguenti controllano che la democrazia sovietica non esca dai confini degli interessi del proletariato mondiale? vale come per sopra. E chi stabilisce chi sono i comunisti conseguenti? Forse tutti i partiti nei Soviet si chiameranno comunisti... chi è più forte, supponiamo, quindi non necessariamente chi ha ragione. Mi sembra che a difendere la "dittatura del partito" non se ne esca...

reed, un religioso alla N+1 ti risponderebbe che chi ha ragione (?) sarà inevitabilmente il più forte e avrà il consenso.

Amen.

In realtà sarà il contrario: il più forte avrà "ragione" e incarnerà l'unico vero marxismo.

Se ad esempio domani si facesse la rivoluzione in italia, LC avrà "ragione", con buona pace degli internazionalisti che la pensano diversamente (in minoranza quindi "in torto").

Secondo me lo stesso concetto di "centralismo democratico" è antiscientifico, perchè la scienza non procede a colpi di maggioranza. Detto questo, il centralismo democratico è probabilmente il miglior modo per mantenere la disciplina e l'unità necessarie per portare a compimento una rivoluzione.

Ma per governare lo stato proletatario fino alla sua estinzione?

La forza dello stato borghese è la sua elasticità, la democrazia che consente una pluralità di opinioni (ovviamente interne all'ideologia dominante). Uno stato proletario dovrebbe, attraverso i soviet, creare qualcosa di analogo, dove all'interno dello spazio definito dal nuovo modo di produzione i lavoratori, la famosa "associazione di liberi produttori", si autogovernano.

Come si raggiunge il momento

Come si raggiunge il momento della "centralizzazione",cioè del punto di vista razionale scientifico della realtà sulla quale si vuole intervenire per trasformarla secondo le leggi economiche-storiche obiettive scoperte in essa dal soggetto

che s'impossessa del concetto,ossia il partito? L'ho già detto: mediante la democrazia cosciente nel partito e la democrazia mediante cui funzionano i Soviet. I Bolscevico-leninisti del partito useranno argomenti scientifici appellandosi all'esperienza che le avanguardie operaie nei Soviet non mancheranno di recepire, dato che essi costruiscono i loro sillogismi per pratica e non per teoresi. E l'esperienza è la migliore arma di convinzione quale nessun Demostene potrebbe rimpiazzare per apprendere la struttura essenziale del reale. O no? Chi ha stabilito che i bolscevichi di Lenin dovevano guidare il movimento operaio russo? La verifica nel processo storico della giustezza della loro linea politica e delle loro parole d'ordine. Vabbè il giovane Lev che, poveretto, si contorce ancora nelle visioni borghesi della libertà....ma dal compagno Reed proprio non riesco a credere che, nel rapporto partito/classe, esistano titubanze su come la teoria rivoluzionaria si trasformi in "forza storica materiale"!!!!! Saluti a tutti. duccio

Ti si obietterà che la rivoluzione non ci sarebbe senza la direzione di comunisti conseguenti. Il che, essendo vero, esclude che si possa pansare il marxismo come qualcosa di "cristallizzato" al fine di averne una riduzione politica di massima. E' vero il contrario: se il partito è capace di una visione scientifica del mondo, quindi di una visione marxista non-ideologica, sarà "comunista conseguente" e potrà dirigere la rivoluzione.

Vero quello che dici del centralismo democratico, anche se si è abituati a pensarlo come un parlamentino del partito mentre dovrebbe essere radicalmente altro (tra l'altro, selezione di ipotesi scientifiche) [ed altro certamente è per gli internazionalisti che lo praticano].

Tra democrazia borghese e democrazia sovietica c'è però una differenza di fondo: la democrazia borghese centralizza una pluralità di interessi (prima che di opionioni) delle varie frazioni borghesi; il suo scopo è di autopreservazione e conservazione del capitalismo (con tutto ciò che ne consegue), e questo è il terreno di possibile mediazione. La democrazia sovietica più che mediare interessi differenti di frazioni della classe dovrebbe esprimere politicamente gli interessi generali di una classe rivoluzionaria, verso una direzione coscientemente individuata (come diceva trotsky la dittatura proletaria richiede una progettualità cosciente che non è necessaria allo stesso modo a quella borghese). Cosa che il Partito dovrebbe garantire: il problema è come, al limite; e così come il centralismo democratico è la forma organizzativa più adeguata per il partito rivoluzionario (pur non essendo garanzia della sua preservazione in quanto organizzazione rivoluzionaria e non essendo "scientifico"), così è per la democrazia proletaria. COsì come non esiste un Centro del Partito depositario sempiterno della "ortodossia", così non può valere l'idea di un Partito-traghettatore verso il socialismo. E' metafisica.

Sopra scrivevo sotto forma di risposta a Lev; preciso altrimenti non si capiva niente, scusate.

Reed, concordo con la tua opinione sul "partito metafisico" depositario del Verbo.

che la rivoluzione comunista la debba fare un partito "comunista" è ovvio...ma la storia è piena di rivoluzioni "comuniste" senza un vero partito comunista conseguente. Se bastasse la giustezza delle proprie idee per determinare la propria forza e guidare la rivoluzione, non ci sarebbe stato lo stalinismo, il maoismo ecc...

Duccio, dici che i bolscevichi hanno "vinto" perchè le loro idee erano quelle giuste... quindi si può dire lo stesso anche di Mao, kim il sung, Castro, Pol Pot...

mi sembra evidente che queste dimostrazioni "a posteriori", tipiche della pseudoscienza, non dimostrano nulla....e sono ridicole proprio in quanto travestite da scienza.

Duccio, il mio pensiero "borghese" (derivato dalla cattiva influenza di Marx, un borghese idealista che nel '58 blatera di libertà...eresia piccolo-borghese fortunatamente smascherata da duccio) mi rende difficile discutere con un prete... sia che esso sostenga che la sua religione è giusta perchè "cristo è risorto" sia che creda nell'infallibilità del partito che porta avanti la rivoluzione (cosa ampiamente smentita dalla storia, anche quella del partito bolscevico-leninista).

I preti cristiani/islamici di solito ti apostrofano con "senza dio!", "infedele"...quelli comunisti invece sferrano terribili colpi di "borghese!", "idealista!", "libertario!".

I primi li posso comprendere e li giustifico...ammettono esplicitamente che la loro è "fede". I secondi invece pretendono che la loro religione sia "scienza"... e la discussione diventa grottesca.

saluti, Lev (ereticomiscredenteborghese)

  • Ciao a tutti,

volevo, se me*

Ciao a tutti,

volevo, se me lo consentite, rivolgere un invito a non ritornare alle polemiche sarcastiche che, dal mio punto di vista, non giovano al dibattito e inaspriscono solo gli animi.

Sinceramente faccio un po' fatica a seguire questa discussione, perché - e mi rivolgo in partciolare a Lev -non esiste niente che possa garantire in assoluto che un partito degeneri, visto che, essendo composto da persone, è soggetto alle influenze della vita reale: né una presunta "scienza" né altro. E' ovvio, almeno secondo me, che più i presuppoosti teorico-metodologici del partito sono ancorati a un marxismo vivente, meno c'è questa possibilità. Il centralismo democratico è una formula organizzativa che preserva, più di altre, la democrazia interna la partito, ma poi, giuste le osservazioni di Reed.

Ciao a tutti,

Smirnov

Smirnov, concordo con te quando dici che non esiste nessuna garanzia di non degenerazione....non esiste il partito infallibile...è ovvio.

ma non è ovvio per chi dice cose come questa: "Chi ha stabilito che i bolscevichi di Lenin dovevano guidare il movimento operaio russo? La verifica nel processo storico della giustezza della loro linea politica e delle loro parole d'ordine." Per di più spacciandosi per scienziato, perchè duccio non esprime opinioni personali, ma incarna Il Marxismo. I preti almeno hanno l'onestà intellettuale e il buon gusto di non definirsi scienziati.

Multipartitismo sovietico e dittatura de "Il Partito"

Duccio, io trovo scorretta l'espressione "dittatura del partito" in generale, ma anche all'interno del quadro concettuale in cui tu stesso la poni. A differenza dei bordighisti mi sembra di capire che tu sostieni la possibilità/legittimità del multipartitismo sovietico ("la rappresentanza politica degli operai può essere variegata, nel senso che essi possono avere come rappresentanti partiti che facciano capo ad altre tendenze politiche nel seno del movimento proletario"); quindi se nei Soviet i bolscevichi avranno la maggioranza, bene, altrimenti l'avrà un'altra organizzazione, che essendo nei Soviet non è stata ritenuta controrivoluzionaria e non-proletaria. Negli interventi che fai sopra lasci intuire che reputi estremamente probabile che questa maggioranza l'ottenga il partito risultato in grado di condurre a vittoria la rivoluzione per una serie di ragioni che condivido e che lascio per scontate. Ma questa è la dittatura del proletariato, esercitata attraverso la democrazia sovietica quale "forma politica". Non sostenendo nei tuoi interventi il "monopartitismo costituzionale", la "dittatura del partito" come si eseguirebbe? Scrivi "mediante la democrazia cosciente nel partito e la democrazia mediante cui funzionano i Soviet. I Bolscevico-leninisti del partito useranno argomenti scientifici appellandosi all'esperienza che le avanguardie operaie nei Soviet non mancheranno di recepire, dato che essi costruiscono i loro sillogismi per pratica e non per teoresi. E l'esperienza è la migliore arma di convinzione quale nessun Demostene potrebbe rimpiazzare per apprendere la struttura essenziale del reale": perfetto, descrivi la dittatura di classe, con convinzione della capacità di influenza dei b-l sulle avanguardie operaie (convinzione che è anche mia). Perché usare dunque una formula così idealista in vece di quella classica e classista?

Dittatura proletaria e dittatura del partito

Perchè allora usare la terminologia dittatura del proletariato pur sapendo che tale dittatura è l'espressione della democrazia (quella vera, non manipolata) della maggioranza sulla minoranza borghese spodestata e sfruttatrice?

E' evidente allora che si tratta della dittatura di ferro esercitata dalla popolazione lavoratrice guidata dalla classe operaia sulla classe borghese (mediante i suoi partiti operai). per impedirle il ritorno al potere. Ora ,la dittatura del partito è tale verso le classi sfruttatrici spodestate, ma all'interno del partito proprio per saldare disciplina e centralismo verrà esercitata la più ampia democrazia,come fu dal !917 fino al 1921 in quello bolscevico,che conobbe le più accanite e libere discussioni, presente Lenin, tra i quadri dirigenti del partito e tra i militanti di base. Maggiore sarà il centralismo raggiunto attraverso il metodo della democrazia cosciente,nel partito, più efficace sarà la guida del partito nell'influenzare l'assemblea dei Soviet e guadagnare consensi alla sua linea politica rispetto ad altri raggruppamenti politici espressione di particolari strati operai che si riconoscono in direzioni politiche diverse da quella bolscevico-leninista (e che avranno la possibilità di esprimersi anche in giornali propri e presso una variegata stampa operaia che rifletta tutte le posizioni politiche presenti nel proletariato). Quando si parla di dittatura del partito è evidente che si fa riferimento a una dittatura esercitata in seno alla classe operaia mediante la democrazia centralizzata e come guida per combattere tutti i tentativi di rivincita della classe borghese spodestata, applicando su quest'ultima il metodo della forza e della violenza rivoluzionaria. E se la dittatura proletaria dovesse essere messa in pericolo da elementi operai arretrati,come a Kronstad nel'21, allora si eserciterà la dittatura anche contro questo milieu operaio.Vale il principio: " Rivoluzione suprema lex!" O no? O pensate,come Lev, che la rivoluzione si faccia "con il rosario in mano"?

Saluti comunisti, duccio!

purtroppo è probabile che sarà necessario usare la forza anche contro il proletariato ma non è detto che succeda dipenderà dalle situazioni concrete che non possiamo sapere ora altrimenti potremo giocare all enalotto perchè vedremo il futuro

duccio, chiedo la tua intercessione, che Marx mi perdoni e mi assolva dai miei peccati piccolo-borghesi.

il rosario non credo serva per questo rito...è sufficiente ripetere 10 volte "Stalin ha preso la guida della rivoluzione grazie alla giustezza della sua linea politica e delle sue parole d'ordine nel processo storico"....o forse era Lenin? la formula sembra non funzionare se si cambia il soggetto...

cos'ha di scientifico il metodo deduttivo applicato a posteriori a una selezione di casi favorevoli?

il partito "giusto" vincerà o il partito che vincerà sarà quello "giusto"? qui si sconfina pericolosamente nel terreno della religione-scientista

Duccio, mi pare che la confusione sia prima di tutto nei termini, una questione di parole. Mi pare che tu chiami "dittatura del partito" quella che noi definiamo "dittatura del proletariato". La questione di fondo è che il potere è nelle mani della classe, dei soviet, e non del partito. Se no, ripeto, teorizziamo la rivoluzione operata dall'elite, da un partito-demiurgo...

La questione di Kronstadt è sempre dolorosa, ma al proposito abbiamo scritto, tra le altre cose:

> Il vero problema risiedeva nel fatto che partito e stato fossero diventati una cosa sola. [1]

Preciso che questa saldatura non è da noi attribuita tanto ad errori strategici o tattici dei bolscevichi, quanto piuttosto alle condizioni materiali estrememente arretrate della Russia del 1921.

[1] [[ibrp.org | 1921: l'inizio della controrivoluzione?]]

Centralismo e democrazia

Il partito non fa la rivoluzione ,ma la dirige. Il cattere socialista della rivoluzione lo dà la partecipazione,la mobilitazione e l'azione rivoluzionaria della classe operaia alla testa del movimento rivoluzionario:su questo non ci piove! Ma la garanzia del successo rivoluzionario, sia per la presa del potere che per la sua conservazione, la dànno il partito della classe operaia e i suoi dirigenti. Direzione del processo rivoluzionario e masse operaie rivoluzionarie che lo realizzano praticamente non vanno separati,come giustamente ha scritto il compagno Smirnov. Ma ,se si dovesse scegliere tra momento" democratico" e "centralizzazione",sia in seno al partito che in seno allo stato socialista, il punto dominante che dà garanzia al "progetto cosciente" dell'avanguardia comunista, è il secondo. Senza teoria e..senza partito, rivoluzionari entrambi, non v'è movimento rivoluzionario, non v'è l'oltrepassamento nella società socialista.Ma su questo, siamo d'accordo. Ciao mic! duccio

Credo che, in seno al partito di classe come nel funzionamento del futuro potere proletario, non si debba mai scegliere fra "momento democratico e centralizzazione": democrazia e centralismo sono le due anime inscindibili che devono salvaguardare (per quanto è possibile) la rivoluzione tanto dal caos quanto dall'autoritarismo.

Centralismo democratico, appunto.

Concordo con Gek: centralismo e democrazia devono essere legate da un tratto dialettico non recidibile.

Non è sempre vero: in

Non è sempre vero: in situazioni di estremo pericolo per la dittatura del proletariato, al X Congresso del 1921, fu lo stesso Lenin ad osservare:"...L'atmosfera delle controversie sta diventando molto pericolosa, sta diventando una vera minaccia per la dittatura del proletariato" (momento di condanna dell'opposizione operaia).Aggiungendo subito dopo;"...Anche se noi perissimo, è importantissimo conservare la nostra linea ideologica e dare una lezione ai nostri successori.Non dobbiamo dimenticarlo mai neppure nelle circostanze più disperate.".Nei momenti più drammatici della Storia di Roma(Vedi la battaglia di Canne), le funzioni assembleari e di comando della Repubblica venivano sospese e l'amministrazione dello Stato era affidata a un " dictator" (il console che fungeva da comandante assoluto dello Stato). Mai dire mai,nel rapporto tra "centralismo" e "democrazia": in casi davvero eccezionali, il primato spetta al primo termine della coppia. Saluto tutti. duccio

Lenin infatti, secondo noi di BC, nel 1921 sbagliò nel ridurre la democrazia in seno al partito bolscevico. Di fronte all'arrestarsi del processo rivoluzionario dovuto alla durissima guerra civile trascorsa e all'isolamento internazionale, meglio avrebbe fatto (ma questo è un parere del tutto personale, oltre al fatto che la storia non si fa con i "se") a riporre tutto il potere nelle mani dei soviet. Forse i bolscevichi sarebbero stati messi ai margini, ma la rivoluzione sarebbe morta in piedi, invece di trasformarsi nel suo contrario.

Per approfondire la posizione ufficiale del partito su quegli anni, vedi [[ibrp.org | 1921: l'inizio della controrivoluzione?]], su Prometeo 5, VI serie, giugno 2002

Ciao Gek e ciao a tutti,

secondo me i bolscevichi sarebbero stati messi al muro (o magari bolliti in un calderone, come successe veramente durante la guerra civile) più che messi ai margini. Certo, in tal modo invece di essere fatti fuori da Stalin sarebbero stati fatti fuori dai democratici menscevichi, cadetti, monarchici e spazzatura cantante, ma in tal modo probabilmente "l'idea" di comunismo non sarebbe stata così depravata da sessant'anni di controrivoluzione. Ma, come ha detto giustamente Gek, la storia non si fa con i se. Il fatto è che senza rivoluzione in occidente la rivoluzione in Russia era spacciata e, col senno di poi, non le rimaneva al massimo che cadere in piedi: come aveva giustamente sottolineato Rosa Luxemburg ne "La rivoluzione russa", la colpa degli errori, anche non lievi, compiuti dai bolscevichi non era dei bolscevichi stessi, ma del proletariato occidentale che aveva lasciato solo il proletariato rivoluzionario russo...

In ogni caso, sottoscrivo, ovviamente, l'articolo suggerito da Gek e aggiungo il libro da noi pubblicato "I nodi irrisolti dello stalinismo..."

Ciao ancora,

Smirnov

comunque l abolizione delle discussioni interne era misura temporanea o meglio avrebbe dovuto esserla.

Opportuna osservazione di

Opportuna osservazione di raes e lucido intervento,che sottoscrivo integralmente, di Smirnov. Con tutto questo, rispetto l'opinione del compagno Gek, anche se non la condivido: nessuno meglio di Lenin,che aveva teorizzato il "centralismo democratico" e con la sua esperienza unica di capo indiscutibile della dittatura proletaria in Russia, può paragonarsi al giudizio storico da lui espresso sul rapporto centralismo/democrazia. Resto a fianco di Lenin, fino a prova contraria! Saluti comunisti, duccio.

aggiungo, in polemica soave con il compagno Smirnov, che la colpa della mancata rivoluzione in Occidente non sia da attribuire al proletariato di questa area,bensì al tradimento dei capi della socialdemocrazia europea. Il proletariato non ha colpe, è una componente oggettiva del processo rivoluzionario che diventa soggettiva con l'aiuto e l'intervento del partito.Ora la socialdemocrazia è espressione,seppure inadeguata e reazionaria, del movimento operaio, fa parte della testa (anche se essa è malata) del movimento. Far capire che si tratta di una testa malata, agli operai,è compito dei rivoluzionari che debbono sapere trovare le forme e i modi giusti per sottrarli all'influenza infausta di questa genìa pestifera del movimento operaio. Una precisazione, per introdurre la dimensione della responsabilità soggettiva nel processo storico-rivoluzionario. Saluti,Smirnov. duccio

Ciao Duccio e ciao a tutti,

sì, ho semplificato: ovviamente la responsabilità di tutto quanto è da ascrivere alla socialdemocrazia e al suo tradimento, anche se, a mio modo di vedere, si potrebbe aprire una discussione - che però ci porterebbe lontanto - su fino a che punto si sia trattato di tradimento vero e proprio o non, invece, una perfetta continuità con la prassi politica seguita fino ad allora e mascherata da una "ortodossia" formale al marxismo. Insomma, secondo me sono tutte e due le cose assieme. Questo, volendo, potrebbe aprire un altro discorso sul ruolo delle minoranze rivoluzionarie dentro il putridume socialdemocratico - come gli Spartachisti - che esitarono troppo, anzi, fino all'ultimo, prima di staccarsi e formare il partito rivoluzionario. In un certo qual senso, anche su di loro ricade - benché del tutto involontariamente - la responsabilità della mancata rivoluzione. Sia chiaro, non si tratta di fare processi a compagni eroici, veri giganti della rivoluzione - noi, in quelle condizioni storiche, probabilmente avremmo fatto lo stesso - ma di rilevare l'importanza enorme della presenza attiva del partito rivoluzionario PRIMA che le cose precipitino, checché ne pensino bordighisti e ciccisti.

Un saluto a tutti,

Smirnov

Sono d'accordo che la storia non si fa con i se. Ma ragionare con il "senno di poi" è legittimo, anzi fa parte della scientificità del marxismo. Inoltre rendere le lezioni della storia patrimonio della classe è uno dei compiti fondamentali del partito.

Si può senz'altro capire che l'esautorazione dei soviet, ed altre misure come la NEP, furono scelte disperate e quasi forzate, adottate in un momento altrettanto disperato per le sorti della rivoluzione. Non si tratta di attribuire "colpe" o giudizi morali, ma di ribadire e sottolineare che comunque furono scelte non in linea con lo sviluppo del socialismo, ma passi in direzione della controrivoluzione, nell'attesa che qualche nuova speranza arrivasse dal proletariato occidentale.

Alla fine però, il fatto che proprio il partito bolscevico, guida e faro della rivoluzione nelle sue fasi iniziali, abbia "accompagnato", in una posizione di potere, la Russia nella sua discesa controrivoluzionaria è stato gravido di negative conseguenze non solo per il proletariato russo, ma per l'intero proletariato mondiale, prima di tutto dal punto di vista ideologico.

Teorizzare o ipotizzare oggi la rottura del legame dialettico partito/classe secondo me non ha senso. Non ha portato niente di buono in passato (oggi possiamo e dobbiamo dirlo) e non c'è niente che ci possa far pensare diversamente per il futuro.

Sono d'accordo con te, mic.

Saluti Rivolunzio

"Reculier pour mieux

"Reculier pour mieux sauter", mic, è un principio tattico che vale sia nella prassi militare che in quella politica. Che ne potevano sapere i bolscevichi-leninisti che la rivoluzione tedesca del '23 sarebbe fallita per gli errori madornali degli zinovievisti e di Brandler? L'importante era mantenere il potere fino a quando non fosse arrivato il rinforzo dalla rivoluzione vittoriosa del proletariato mondiale in uno dei Paesi imperialisici d'Occidente. La strategia era giusta e anche la tattica. Sono mancati i fattori soggettivi al momento della conquista statale della Germania da parte del proletariato influenzato prevalentemente dalla socialdemocrazia di Kautsky e Otto Bauer, oltre che dall' indecisionismo del centrismo zinovieviano e della sua appendice tedesca: il comunista Brandler! Ma i fattori soggettivi dipendono dall'essere possibile su cui nessuno, neanche Marx Engels o Lenin potevano farci nulla,appunto perchè impredicibili...Yours Truly...duccio!

Gek, grazie per l'indicazione dell'articolo sul 1921, l'ho trovato molto interessante... vale la pena approfondire questa questione. Devo dire che vale la pena spulciare l'archivio di Prometeo; ero un lettore occasionale, cambierò abitudini...

il marxismo è scienza ma l' attività dei comunisti deve essere anche passione e sentimento

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