Perché non siamo nel baraccone antifascista

Da Battaglia Comunista 10/1973

Dagli anni Venti in poi, solo la “sinistra italiana” (alla direzione del Partito Comunista d'Italia fino a tutto il 1923) mise in evidenza l'imbroglio e i falsi scopi ideologici e politici che si nascondevano dietro il binomio fascismo-antifascismo, e indicò come sola posizione valida la continuazione di una strategia di classe tanto sul fronte della lotta operaia come su quello della guerra imperialista.

L'esperienza fatta in questi ultimi decenni ha dimostrato chiaramente come fascismo e antifascismo altro non sono di fatto che due escrescenze sociali e politiche del capitalismo, venute fuori dalla sua matrice storica, nel quale e per il quale entrambi hanno operato e operano anche se l'uno in senso regressivo di destra e l'altro in senso progressivo di sinistra. Senso regressivo e progressivo che si sono dimostrati, nei momenti più difficili del sistema, i due ingredienti utili e indispensabili ad una saggia politica di conservazione.

Qualche richiamo storico che evidenzi il fenomeno. Nella strategia interimperialistica della Seconda Guerra mondiale, il capitalismo, nella unità mondiale dei suoi interessi di classe, ha potuto sbarrare la strada ad ogni tentativo di soluzione rivoluzionaria, proprio in virtù di questa sua apparente estraneità allo schema tattico imperniato sulla polarizzazione delle masse verso i due poli dello schieramento politico fascismo-antifascismo. Per questo, alla sconfitta del nazismo in Germania e del fascismo in Italia, il capitalismo è stato in grado di ricostruire il tessuto dell'economia e i tradizionali organi di potere dal momento che la dittatura, battuta sul piano militare, era costretta a passare la mano alla democrazia parlamentare, cioè un passaggio di potere dal fascismo all'antifascismo, che avveniva nell'ambito del sistema e non contro di esso.

Come si vede, si tratta di due momenti della dialettica formale al servizio del potere e in nessun caso di contraddizioni fondamentali proprie della dialettica rivoluzionaria.

Ricordiamo che ad onta dei nostri gravi e insanabili dissensi interni, la lotta contro il fascismo condotta dai comunisti di ogni tendenza relegati nei reclusori e nei campi di concentramento, significava per tutti lotta a fondo contro tutto il capitalismo, e tale assunto strategico non era stato ancora contaminato dalla lebbra della "democrazia progressiva" ispirata poi da Mosca.

Sarà questo il compito maggiore e completamente riuscito del "giolittismo" di Togliatti: fin dallo sbarco a Salerno ebbe di mira l'imbrigliamento del Partito comunista, quello di Livorno 1921, per farne un puntello del potere repubblicano; opera un radicale ribaltamento ideologico e politico costringendo a piegare la schiena i vecchi quadri disillusi e invigliacchiti, e immette nel partito giovani e nuovi quadri provenienti dal dissolvimento fascista e dalle più disparate provenienze ideologiche a tinte più o meno libertarie ma obiettivamente piccolo borghesi.

Al ribaltamento della ideologia, da rivoluzionaria a conformista, faceva inevitabilmente seguito una forse meno avvertita (ma non per questo meno grave) dislocazione delle forze, che modificava la natura del partito: da partito di classe a partito genericamente operaio a direzione qualunquista. A Togliatti riconosciamo il merito d'aver portato a compimento l'opera che passerà alla storia come la svolta "rivoluzionaria" entro il sistema per rafforzare il sistema stesso.

E sarà questa la linea di sviluppo, il "corso nuovo" del partito di Togliatti, che nella situazione di apertura alle forze democratico-parlamentari, resa possibile dalla vittoria delle armate anglo-americane, troverà la base sociale e politica per svolgere il suo ruolo di incanalamento e di guida soprattutto dei ceti medi, ora chiamati a continuare negli istituti della democrazia la politica che gli stessi avevano sperimentato nel seno dello Stato corporativo del ventennio fascista.

Sono queste le masse di riserva, che la rivoluzione tecnologica e il neo-capitalismo hanno in questi anni generato e dilatato a dismisura creando le condizioni oggettive e soggettive di una realtà socio-economica di enorme ampiezza e di rilevanza politica tutt'altro che marginale.

La crisi monetaria, la crisi del profitto, l'inflazione e la disoccupazione, hanno poi colpito e ridimensionato in modo particolare il settore vasto e asfittico delle medie e piccole aziende mettendo in movimento strati considerevoli della media e piccola borghesia. Ovvero le categorie sociali situate tra il capitalismo e il proletariato, continuamente sballottate tra questi due poli opposti e perciò instabili e insofferenti, prive di una propria base economica, dedite ad attività di natura prevalentemente parassitarie e disposte quindi ad offrirsi ora alle iniziative più avventate sotto il segno del mito della violenza come negli anni del ventennio, e ora al mito della potenza del numero e dei voti per la conquista di una maggioranza elettorale democratica nel parlamento e nel governo. che ha costituito l'aspirazione limite del partito di Amendola e Berlinguer.

L'accapparamento organizzativo di queste forze sociali è stato l'obiettivo massimo e immediato di tutti i partiti dell'arco cosiddetto costituzionale e delle stesse frange extraparlamentari. E in questa situazione lo spauracchio fascista è stato usato per ramazzare forze vecchie e nuove sul fronte dello schieramento antifascista, utile a legittimare il diritto a fette del potere.

Ma si tratta di un contesto politico del tutto estraneo al marxismo e che si situa, senza possibilità di equivoci, dalla parte opposta della barricata di classe. Il fatto che sulla linea della lotta rivoluzionaria la "sinistra italiana" si trovi ancora sola o quasi, è la prova di una continuità conseguente al marxismo che vuole che la lotta contro il fascismo non sia un espediente tattico di difesa democratica e di conquista di voti, ma colpisca nel cuore il capitalismo che lo ha generato.

Onorato Damen

Il capitalismo è l'unica vera matrice storica del fascismo e dell'antifascismo

In sintesi, queste sono le posizioni critiche e le direttive di lotta caratterizzanti la Sinistra italiana (P.C.d'Italia, 1921) e dal 1943 il Partito Comunista Internazionalista (Battaglia comunista e Prometeo) nei riguardi del fenomeno politico fascista e dell'antifascismo dei partiti democratici.

Il fascismo, in Italia come altrove, non è stata una "triste parentesi" determinata da una "ondata di follia" che avrebbe investito per forza occulta gli italiani, bensì la manifestazione della precisa volontà della borghesia di reprimere ogni manifestazione di vita politica operaia, per avviare l'Italia sulla strada della ricostruzione su base monopolistica; strada che l'avrebbe poi condotta al secondo conflitto mondiale.

Nella fase dell'avvento del fascismo tre cose si imponevano:

  1. reprimere ogni forma di insofferenza operaia alle difficoltà del dopoguerra;
  2. smembrare la organizzazione politica del proletariato (il Partito);
  3. concentrare il potere politico-esecutivo per consentire la concentrazione economica che si imponeva nella crisi del dopoguerra.

Essenziale infatti è ricordare che l'avvento del fascismo segue la violenta ondata operaia degli anni 1919-20. La nascita e il trionfo del nazismo in Germania sono segnati dalla stessa problematica generale. Anche la Germania usciva da una violenta ondata operaia che, se aveva fallito nei suoi obiettivi rivoluzionari, aveva tuttavia impaurito profondamente la borghesia, scuotendo sin dalla fondamenta il logoro sistema democratico.

Era indubbiamente una situazione eccezionale. Dice Lenin che in genere la democrazia borghese è l'involucro politico migliore del capitalismo giunto nella sua fase imperialistica. Ebbene, nel 1920 la classe operaia era sul piede di guerra, non era disposta solo a bere le parole dei democratici e le promesse dei riformisti, non era preda passiva della socialdemocrazia corruttrice. Bisognava quindi riabilitare l'ordine, distruggere l'avanguardia politica del proletariato e forzare le tappe della ricostruzione post-bellica.

Il ritorno della democrazia borghese

La "parentesi" fascista, la guerra e la Resistenza hanno egregiamente servito lo scopo di rinnovare i fasti demoparlamentari e di rimbellettare la democrazia borghese, sufficientemente perché il proletariato tornasse ad accettarla e a farsi abbindolare.

La classe operaia non costituisce certamente oggi una forza in movimento eversivo. La socialdemocrazia ha controllato splendidamente la situazione, mietendo consensi sia fra i ceti medi e sia fra la classe operaia, e non solo in Italia. I colpi e colpacci di Stato qua e là scoppiati (o tentati) non sono stati i portatori di situazioni di tensione fra le classi fondamentali della società capitalista, bensì la manifestazione della volontà di stretto controllo della situazione da parte di centri economici e politici internazionali. Fenomeno che si è verificato soprattutto là dove quei centri non trovano ostacoli ai loro disegni nella borghesia locale, inesistente o, per la propria natura essenzialmente mercantile, estranea ai processi politici interni. Qui da noi invece i grossi papaveri sono fortemente interessati a controllare direttamente i gestori del potere politico. E i nostri grandi industriali e finanzieri hanno, dichiaratamente, scarse simpatie per la dittatura aperta perché:

  1. ha alti costi sia economici che politici;
  2. la politica nazionale, pur con tutte le sue contraddizioni inevitabili e note, è integrata a quella europea.

La soluzione di forza conviene alla borghesia solo in particolari circostanze storiche, quando si presenta come l'unica valida a risolvere determinati problemi. E il problema oggi centrale è la crisi economica che sta attraversando il capitalismo intero nelle sue strutture portanti (il profitto e l'accumulazione). In Italia si pone come urgente necessità una ulteriore ristrutturazione industriale che adegui la nostro economia e i servizi ai livelli concorrenziali del mercato internazionale. Questa esigenza primaria si accompagna alla necessità di manovrare i tassi di inflazione e del costo del denaro, di arginare il debito pubblico, di riciclare nel circuito degli investimenti somme ingenti di denaro, di abbassare i costi del lavoro, eccetera. Per manovrare in queste direzioni, occorre tener buono il proletariato (sul quale si abbattono tutti i costi della crisi: disoccupazione, ribasso dei salari, peggioramento dei servizi sociali e assistenziali) erodendo spazi alle sue possibilità di azione autonoma in difesa dei propri interessi.

Questo è il problema tipico per le forze della conservazione borghese in fase imperialista, e fin qui affrontato con il valido aiuto delle forze politiche e sindacali della socialdemocrazia. Ma oggi la situazione si è ancor più aggravata, e i problemi si sono congestionati a un punto tale che per la borghesia non è più consentito giocare alla trattativa in ampi limiti, né tantomeno concedere alla classe operaia illusioni e speranze eccessive.

Il capitale monopolistico dietro fascismo e riformismo

Con la gestione diretta del potere affidata per più di quarant'anni al Centro democristiano, e con la Sinistra borghese in parte consociativamente all'opposizione e in parte anch'essa al governo, il fascismo democraticamente imbellettato (quello degli Andreotti, Craxi e Co.) ha chiuso gli spazi di manovra e di vita alla classe operaia, e ha risolto con le più sporche manovre certi problemi di amministrazione giudiziaria, di ordine pubblico, di fondi finanziari, ecc.

Il fascismo nasce, dunque, da situazioni storiche particolari, ma si ripropone e si riproporrà sempre e ovunque operi il capitalismo con le sue insanabili contraddizioni. In esse, e nei tentativi di arginare i devastanti effetti sociali e di annullare qualunque risposta di classe, affondano le radici di ogni reazione fascista.

Innanzitutto, esiste un evidente filo conduttore tra manovre fasciste e manovre del riformismo, poiché entrambi costituiscono un momento particolare di quell'unica controffensiva stabilizzatrice con la quale il capitalismo italiano, in difficoltà, tenta di normalizzare lo stato precario delle sue basi amministrative ed economiche in generale. È l'occasione, anche attraverso una massiccia campagna inibitoria e distrattiva, di rivedere gli assetti (e le spartizioni) politico-amministrativi dell'economia del Paese, il cui "rammodernamento" competitivo è indispensabile nel tentativo di far funzionare tutto il sistema nei modi più congeniali agli interessi della borghesia monopolistica.

La crisi in corso, di cui da anni si avvertivano i sintomi, è stata agli inizi affrontata coi tentativi di avviare un processo di apertura al riformistico coinvolgimento dei Sindacati e dei partiti della sinistra costituzionale. Questa operazione però, per le sue caratteristiche di asservimento al capitale monopolistico e per la sua natura di espressione del neo-capitalismo, non può non lasciare scoperti privilegi politici e sociali, estremamente diversi e difficilmente aggregabili al carro dei "superiori interessi" del sistema e della sua conservazione. Tali privilegi, riscontrabili nelle attuali posizioni della rendita, nei ceti parassitari urbani, in certi strati della piccola e media borghesia e soprattutto nelle situazioni particolari in cui versa la piccola e media impresa, creano una rete di clientele insoddisfatte che recepiscono l'insicurezza della loro condizione sociale e si apprestano a tutelarla.

A queste stratificazioni sociali, che costituiscono la materia per una base di massa della cosidetta Destra, vanno aggiunti la precarietà e il malessere di certo sottoproletariato ai limiti della disperazione. È questa la novità del neo-fascismo, una sua versione più aggiornata: la saldatura della componente eversiva su basi populistiche alla gestione conservatrice e reazionaria della lotta. E il neo-fascismo ricerca le sue basi di massa anche tinteggiandosi di democrazia (preferibilmente presidenziale) e sfoggiando slogans demagogici e qualunquistici come quelli della Alleanza nazionale della Destra democratica, dell'Ordine nella Libertà, eccetera.

I fenomeni di dilagante corruzione, le infiltrazioni malavitose inevitabili nel connubio tra affari e politica, la crisi economica, le ambiguità del momento storico che stiamo vivendo e lo stesso difficile ricambio di un ceto politico-amministrativo in balia di indagini giudiziarie, tutto ciò rende difficile stabilire con esattezza quali saranno le nuove forze borghesi incaricate di gestire e amministrare lo Stato.

Le basi economiche e sociali del neo-fascismo

In tal senso, il neo-fascismo (o meglio una prima sterzata politica a destra) rappresenta un modo e un mezzo per tutelare privilegi economici e politici di classe. Lo si può usare (e così è stato) sia come spauracchio contro le tendenze affrettate di una conquista parlamentare delle sinistre, sia servendosi di esso (allo stesso modo di come la borghesia si è servita del fascismo negli anni Venti) qualora la situazione, come allora, dovesse precipitare. In altre parole, costituisce una valvola di sicurezza per la conservazione del dominio borghese di cui il fascismo non rappresenta che l'aspetto più autoritario. E la democrazia quello in apparenza più tollerante.

Il neo-fascismo non è l'espressione delle forze più retrive del capitale. Esso è espressione unitaria, anche se dialettica, di tutta la borghesia; questa affermazione è comprovata dagli interessi molteplici che muovono tutto l'arco dello schieramento borghese. A tutti, per una ragione o per l'altra, il fascismo offre motivi di lotta intestina tra le forze della classe dominante interessate all'incontrastato potere, così come esso potrebbe offrire soluzioni preventive qualora il sistema dovesse mostrare i segni di una sua immediata caduta dal lato della capacità ed efficienza del dominio di classe.

Così il neo-fascismo è legato al processo di concentrazione verso cui è avviato ormai da tempo il capitalismo internazionale. È, anzi, un fenomeno reattivo a tale processo coinvolgente interessi sempre più parziali e che fanno, in ogni caso, capo alle esigenze del capitale monopolistico privato e di Stato. I mezzi di produzione (e le forze produttive) si concentrano nelle mani della grande borghesia che, riducendosi quantitativamente, ingigantisce a dismisura il suo potere economico: gli spazi di intervento e di decisione politica si fanno, in virtù di tale processo, sempre più vasti e la capacità di controllo e di condizionamento sempre più totale.

Ma tale processo che si svolge gradualmente in tutto l'arco dello sviluppo storico del capitalismo (con la legge della concorrenza), sconvolge privilegi che sono legati ai settori intermedi della borghesia stessa. In particolare, oggi, nel momento in cui le concentrazioni - industriali e finanziarie - stanno assumendo toni smisurati, la piccola e media borghesia perde continuamente terreno a favore del capitale monopolistico che assorbe mezzi di produzione dalla rovina verso cui sono avviati i settori più deboli dell'economia capitalistica.

Il capitale monopolistico e finanziario si esprime attraverso una politica economica decisamente insostenibile per la piccola e media borghesia che si vede costretta a chiudere baracca e burattini per consegnare il tutto al vorace, famelico, grande capitale. In questo clima di terrore all'interno dei suddetti settori intermedi borghesi, nasce come strategia difensiva il neo-fascismo (la Destra liberal-democratica) che si articola però in tutte le sfere del capitalismo. Nel senso, cioè, che va considerato come un fenomeno espresso unitariamente dalla classe borghese presa nella sua globalità.

La piccola borghesia, massa d'urto del fascismo

A sostenere il fascismo, negli anni 1920-22, fu in fondo la massa d'urto di quella piccola borghesia che - come diceva Marx nel 1848 - oscilla sempre perché non ha una sua connotazione di classe storica; non ha interessi storici di classe da difendere e su cui arroccarsi; non è una classe. Negli anni caldi del 1919-20 essa non era aliena dal simpatizzare con il movimento operaio e con il PSI; la mancata conclusione rivoluzionaria da parte della classe operaia e il permanere degli stessi motivi di malcontento fra i ceti medi, precipitarono questi ultimi nelle braccia del fascismo, lasciando solo sparuti gruppi nelle file del democraticismo borghese.

Nel periodo attuale, caratterizzato proprio dalla crisi della piccola borghesia oltre che dalla fondamentale crisi strutturale del sistema economico capitalistico, la stessa piccola borghesia si radicalizza nelle estreme forze parlamentari. Non si sposta, né si potrebbe spostare su un piano di classe proletario e rivoluzionario perché a esso è ancora estranea la stessa classe operaia. La protesta, e certi ribellismi della piccola borghesia, sono solo un tipo particolare di risposta conservatrice al processo di proletarizzazione in atto, conseguente alla dinamica di sviluppo del capitalismo monopolistico, sia esso privato che statale.

Ma la differenza sostanziale fra gli anni Venti e oggi è che il capitalismo è più orientato verso la socialdemocrazia che non verso il fascismo. I comunisti, nei loro primi anni di vita di partito indipendente, sostennero che la lotta al fascismo doveva essere lotta contro il capitalismo in difesa degli interessi storici della classe operaia, in difesa della autonomia della linea di classe e dei principi rivoluzionari, e in difesa della organizzazione che di tale autonomia e di tali principi era portatrice: il Partito Comunista d'Italia. Non lotta a una forma di governo a favore di un'altra, quindi, ma lotta allo Stato borghese. Nel corso della sua degenerazione stalinista, il PCI abbandonò queste tesi di classe per giungere poi alla Resistenza, a quell'orgia di democraticismo borghese che condurrà alla vittoria successiva di De Gasperi, alla ricostruzione della economia capitalista distrutta dalla guerra, al rafforzamento dello Stato borghese.

Difesa dell'autonomia di classe

Oggi il tradimento di allora si perpetua con il chiamare a raccolta il proletariato in difesa della cosidetta democrazia, in difesa e sostegno - più precisamente - del moto socialdemocratico e progressista, rispondente agli interessi di conservazione della economia capitalista. Il Pci non è mai uscito, e i suoi successori non usciranno mai dalla logica del dualismo fascismo-antifascismo. I veri comunisti, i rivoluzionari, oggi come ieri, ancora devono opporsi a questa logica. Come durante il fascismo, anche l'anti-fascismo lotta contro l'autonomia di classe del proletariato, ed è questa che deve essere difesa.

Schierarsi sul piano della semplice difesa democratica significava cedere proprio sul piano voluto dal capitalismo e perdere la propria potenza eversiva che aveva mosso la borghesia alla scelta fascista, e quindi votarsi alla sconfitta, ciò che realmente poi avvenne. Si è così convalidata la storica posizione dei rivoluzionari marxisti sullo Stato: fascismo e democrazia sono i due volti del dominio borghese, esercitato all'interno del sistema capitalista di produzione e dello sfruttamento del lavoro salariato. Essi si succedono l'uno all'altro secondo le esigenze di fondo della classe dominante, in base allo stato dei rapporti con la classe sfruttata, in base cioè al tipo di rapporti di forze. Il fascismo è estremo baluardo della borghesia impaurita dalla forza del proletariato, quando questo riesce a sottrarsi alle lusinghe democratiche.

È allora questa forza che va difesa, in piena autonomia di classe. Tutto ciò escluse per i comunisti, ieri, la follia controrivoluzionaria del fronte unico, come la escluderà, domani, se si dovesse ripresentare l'eventualità di un nuovo orientamento della borghesia verso il fascismo. Quello infatti sarebbe il momento in cui la socialdemocrazia non tiene più e non sarà certo compito dei comunisti il sostenerla; recedendo, cioè, dalla lotta all'opportunismo, che l'ha indebolita, per passare al suo salvataggio. I comunisti devono invece spezzare il cerchio infernale della conservazione borghese. Chi queste tesi non accetta, si mette obbiettivamente al di fuori della linea di classe.

La nostra risposta al fascismo e ai suoi costanti rigurgiti, non si esaurisce in un generico appello all'antifascismo democraticistico; non esauriamo le nostre potenzialità di lotta nella semplice dialettica fascismo-democrazia.

Il nostro appello è la lotta al capitalismo condotta sulle prospettive dello scontro di classe, quanto mai necessario per la conquista effettiva del potere, per la costruzione della società socialista, per estirpare il tumore infetto del fascismo, per realizzare la definitiva e totale emancipazione del proletariato e delle masse sfruttate di tutto il mondo.

Ogni sincero militante comunista deve apprestarsi a quest'opera sempre più urgente, e rafforzare l'indispensabile strumento di classe, il partito rivoluzionario, che dovrà guidare il proletariato a chiudere con lo Stato borghese e quindi con la folle altalena di fascismo e antifascismo.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.