La discussione sulla tattica

Da “L'Ordine Nuovo” del 24 febbraio 1922

La discussione preparatoria pel nostro congresso nazionale è stata nelle assemblee federali e sezionali sobria e succinta, risolvendosi in un quasi unanime consenso. Non vogliamo ritenere che la causa di questo fatto sia la scarsezza di interesse alle questioni in esame: essa piuttosto dipende dal fondamentale accordo che regna nel seno del nostro partito per il modo stesso cui si è venuti alla sua formazione, dalla limitata proporzione di intellettuali che abbiamo e dalla somma di compiti di azione quotidiana che incombono su tutti i militanti.

La Centrale del Partito e i relatori hanno certo fatto tutto il lavoro di preparazione necessario ad impostare su di una larga piattaforma l'esame delle questioni e soprattutto di quella fondamentale della tattica. E certo desiderabile che contribuiscano a questo lavoro di preparazione e di studio non solo quei compagni che eventualmente avessero da affacciare dissensi anche limitati ma altresì coloro che pur condividendo lo spirito delle tesi preposte potrebbero utilmente svolgere sempre meglio i vari problemi che esse prospettano. Qui noi per ora vogliamo fare qualche osservazione su alcuni punti toccati qua e là nelle discussioni di cui si ha notizia.

Vi è qualche dubbio attorno ad una nota decisione tattica della Centrale del Partito, quella per la non partecipazione dei comunisti ai cosiddetti "arditi del popolo" e per la indipendenza da questo movimento dall'inquadramento comunista. Oggi che tanto si discute di fronte unico e di atteggiamenti tattici tendenti ad avvicinare il momento in cui le parole d'ordine comuniste avranno eco tra i più larghi strati delle masse, si pensa che un esempio di queste risorse tattiche poteva aversi con la partecipazione ad un organismo unitario di difesa proletaria di lotta contro il fascismo. Ma il fronte unico non è un principio generale da applicare meccanicamente in tutti i campi e la sua applicazione può solo volta per volta essere consigliata da un attento studio della situazione e degli sviluppi che questa presenta.

Noi siamo in un periodo in cui dalla equivoca unità dell'inazione e nella impotenza dovuta alla composizione eterogenea dei partiti popolari, attraverso la rottura tra gli elementi opportunisti e quelli rivoluzionari, si arriva alla unità delle masse nella attiva battaglia contro il regime borghese. Le proposte di unificazione del fronte di lotta possono condurre a questo scopo o si presentano anzi come l'unico mezzo per accelerarne il conseguimento, ma non è preventivamente escluso che le proposte e la pratica dell'unità, se non ispirate dalla attenta sorveglianza dello svolgersi delle situazioni possano segnare, invece di questo passo innanzi, un passo indietro verso vecchi equivoci e vecchie delusioni. Questo avverrebbe di sicuro se si tendesse alla fusione organizzativa di tutti i partiti proletari e danni analoghi a questi si avrebbero, secondo le opinioni sostenute dal nostro partito nel campo internazionale, se si costituisse la piattaforma di azione comune con gli altri partiti sul terreno della politica parlamentare. Invece il bivio a cui si trovano i sindacati sotto le sferzate della offensiva borghese determina la situazione che qualunque movimento di riscossa sul terreno sindacale, anche con obbiettivi immediati e difensivi, segnerebbe un deciso passo innanzi verso la vera unità rivoluzionaria.

Se ci occupiamo del compito e della natura di un organismo di lotta "militare", vedremo che dobbiamo considerarlo, anziché con i criteri che applichiamo nei sindacati, con quelli che applichiamo agli organismi di azione politica e alla organizzazione del partito: la lotta tra tendenze opposte, logica e utile nel sindacato, paralizzatrice nel Partito, diventerebbe inammissibile in un organo di lotta in cui la concordia, la disciplina e l'accentramento devono essere per ragioni evidenti e "tecniche" assicurate al massimo grado.

Questa non è una distinzione aprioristica che abbia senz'altro determinato l'atteggiamento del nostro partito verso gli arditi del popolo. L'esame della situazione e delle prospettive che si presentavano se si fosse applicato un criterio diverso, dimostra invece praticamente la utilità delle considerazioni che precedono e la loro giustezza.

Gli arditi del popolo, secondo le proclamazioni di quelli che ne presero la iniziativa, si proponevano di condurre la lotta contro le squadre fasciste con l'obiettivo di riacquistare al proletariato quella libertà di organizzazione e di azione che esisteva prima dell'apparire del fascismo, si proponevano il ristabilimento di un regime di tranquilla convivenza tra classi e partiti. Scopo illusorio, come si vede di leggerle poiché le cause del fascismo si riconnettono alla necessità dell'acutizzarsi dei conflitti di classe, e nella attuale situazione se il proletariato avesse la libertà di movimento non esiterebbe ad adoperarla per il sovvertimento del regime resosi intollerabile, determinando l'assalto al potere statale e la guerra civile. Il fatto che questo scopo dei capi o iniziatori del movimento degli arditi del popolo fosse illusorio, sembrerebbe giustificare questo ragionamento tattico: seguiamo il movimento in quanto è di lotta effettiva contro il fascismo, la soluzione non potrà essere che quella che noi desideriamo.

Ma che la soluzione poteva essere diversa è facile mostrarlo. La formazione degli arditi del popolo non era l'estrinsecarsi dello stato d'animo di riscossa proletaria contro le provocazioni fasciste: il processo di questo deve essere seguito attraverso altri fattori come gli episodi isolati e il lavoro di inquadramento comunista ed altri ancora. In realtà il movimento degli arditi del popolo era sostenuto dalle correnti politiche e della stampa che erano e sono socialmente pacifiste: Partito socialista, Confederazione del Lavoro, nittiani. Aderivano anarchici e sindacalisti, come si spiega collo scarso grado di sensibilità tattica di questi movimenti e la tradizionale sterilità del loro rivoluzionarismo fatto di gesto e di frasi. Vi è nella borghesia una tendenza antifascista, che ha gli stessi scopi del fascismo (ordine, pace sociale, convivenza pacifica delle classi) ma teme che il fascismo ormai ecceda nel suo compito e determini colle sue brutalità lo scatto offensivo proletario di cui ha voluto estirpare la possibilità. Questa tendenza pensa che non è ancora possibile immobilizzare il proletariato e farlo desistere dall'offensiva rivoluzionaria col mezzo degli inganni democratici e vuole raccogliere i frutti del martellamento fascista già maturi nella rettifica del tiro degli organismi proletari, passati dalla rivoluzione alla collaborazione. Tra questa corrente e il fascismo stesso la confluenza è inevitabile. Nella situazione del luglio scorso (e in parte ancora oggi) le due tendenze erano in concorrenza per il potere parlamentare. Quella democratica intendeva sfruttare il desiderio di pace delle masse col deviarle dall'impegno della propria forza indipendente, alla richiesta di una soluzione ministeriale "di sinistra" e del Governo che restauri il rispetto della legge violata dai fascisti. Gli arditi del popolo sorgevano come un movimento il quale non tendeva a costituire la base di un esercito di lotta della classe proletaria, dell'esercizio rosso dello Stato proletario, ma tendeva ad operare nell'orbita dell'appoggio di un governo parlamentare borghese.

Una prova ne è data dal loro organamento a tipo "fascista", ossia a tipo quasi legale, operante alla luce del sole, colla centrale nel palazzo Venezia, colle squadre pubblicamente costituite; questo poteva dare al superficiale osservatore la sensazione che si fosse in presenza dell'atto magnifico di forza del proletariato alla vigilia del trionfo, ma la verità non era che questa qui esposta, e questo spiegava il consenso di correnti nettamente controrivoluzionarie. Gli "arditi del popolo" sorsero durante la crisi ministeriale successa alla caduta di Giolitti: il loro principale coefficiente era il mutato stato d'animo. . . dei Prefetti che attendevano le istruzioni del nuovo padrone. Si intende che tutte queste per la Centrale del Partito Comunista non erano solo illazioni critiche, ma risultati di concrete informazioni. Che cosa significava una parola d'ordine di sospensione dell'indipendente inquadramento comunista a contenuto nettamente anti-legalitario e a solida preparazione per l'entrata dei comunisti negli "arditi del popolo", nella illusione di prenderne nelle mani la dirigenza, lo si può pensare quando si consideri che la eventualità del passaggio di tal movimento agli ordini di un ministero borghese poteva essere questione di ore se si fosse raggiunta la combinazione Nitti o De Nicola. Da questo sarebbe seguitato: o una campagna di repressione del fascismo, colla parola d'ordine di soffocare ogni movimento extra-legale di partiti, e quindi collo scatenarsi della repressione contro comunisti e anarchici: nelle file degli "arditi del popolo" questi sarebbero rimasti prigionieri di una tale situazione e per giunta impotenti a uscire per riorganizzare su altro terreno le loro forze.

Ma, più probabilmente, si sarebbe avuta una vera alleanza tra Ministero di sinistra e fascismo nella divisione del lavoro controrivoluzionario, definito come difesa dell'ordine e della libertà per tutti.

Il verificarsi della ipotesi opposta non ha che confermare queste considerazioni si ebbe il Ministero Bonomi il quale non tardò a mostrarsi apertamente filo-fascista, e dopo un breve periodo di incertezza le Autorità borghesi locali, seguitando decise sulla linea di sostegno del fascismo, determinarono la liquidazione del movimento degli "arditi del popolo". Il Partito Comunista ha potuto constatare che in qualche località in cui fu frettolosamente seguita la tattica di entrare negli "arditi del popolo", oggi che questi praticamente non esistono, si è molto arretrati nel lavoro di inquadramento comunista, pur essendovene le premesse nelle condizioni locali.

Molte altre risultanze di fatto, come la natura del programma sostenuto dagli "arditi del popolo" nel loro Direttorio che i partiti politici non si immischiassero nel lavoro di difesa proletaria, il giuramento in tal senso chiesto agli aderenti, non solo che ragioni collaterali che suffragano il nostro giudizio della situazione, la nostra tattica e la giustezza dei criteri per cui ci appare diversissimo il caso della unità di fronte sulla base di postulati immediati a seconda che si tratti di Organismi politici (e peggio militari) e di rapporti tra la funzione politica di Governo e le classi in lotta, oppure di Organismi economici sindacali e di rifiuto dei lavoratori alle pretese del padronato. In questo caso l'unità ci mette sulla grande via della rivoluzione ed è il naturale svolgimento del nostro programma; nell'altro caso, procedendo alla leggera, si può essere respinti indietro nelle delusioni purtroppo tante volte provate dal proletariato, sacrificando inutilmente non la purezza teorica, che è una frase fabbricata a scopo polemico, ma il grado di preparazione e di organizzazione del Partito, prezioso risultato raggiunto a prezzo di infinite lotte e tra grandissime difficoltà, e consegnato alla responsabile custodia dei dirigenti.

Nella discussione sulla tattica alla Sezione torinese, è giustamente stato rilevato che l'invito del Partito comunista agli altri Partiti proletari per una azione politica comune e anche per la costituzione di un Governo comune è solo concepibile in una situazione così avanzata che si tratti di fondare non il Governo dello Stato parlamentare, ma quello uscito dai Consigli di lavoratori sorgenti, come antitesi allo Stato borghese democratico, così come fu in un certo momento nella rivoluzione russa e tedesca. Segue a questa considerazione una valutazione della situazione attuale dell'Europa occidentale che si presterebbe a interessanti rilievi e della quale chi scrive non condivide in tutto l'apprezzamento del compito dei "ristretti gruppi reazionari".

Vogliamo qui osservare una cosa sola: che la esperienza della rivoluzione russa e della lotta del principio del 1919 in Germania, divenuta materia programmatica della Terza Internazionale, sta a stabilire che i partiti opportunisti posti a scegliere nel dilemma: Governo proletario sulla base della dittatura, o Governo borghese sulla base parlamentare, sono condotti a sostenere questa seconda soluzione, come dimostra del resto anche il presente collaborazionismo dei partiti a tipo "Internazionale 2 3/4, come il P. S. I. e gli indipendenti tedeschi. Questa fondamentale esperienza consente ai Partiti comunisti di anticipare per quanto è possibile una divisione che nel momento della lotta finale potrebbe essere fatale, e finché la Internazionale Comunista mantiene come sua ragione di essere questa solida piattaforma, è ferma opinione personale dello scrittore che non è ammissibile che i comunisti presentino come possibile l'ipotesi del Governo proletario di coalizione tra vari partiti, dovendo essi costruire quanto più possono questa convinzione: unica forma di Governo proletario è la dittatura, e solo Partito di Governo proletario è quello che ha per suo programma la dittatura e per essa combatte.

Il compagno Presutti ha scritto un articolo di critica alle tesi sulla tattica. Quanto scriviamo sulla quistione degli arditi del popolo, risponde ad alcune sue obiezioni. Per il resto dobbiamo rilevare che egli costruisce tutto il suo ragionamento sulla attribuzione alle tesi di un concetto che non è affatto il loro.

Presutti parla di un concetto meccanico della rivoluzione, secondo cui questa si effettuerebbe solo quando progressivamente tutto il proletariato si fosse inquadrato in organi direttamente controllati dal Partito comunista. Non è difficile mostrare da dove deriva la interpretazione erronea del compagno Presutti. Egli si è fermato sulla prima tesi del paragrafo sulla "azione tattica diretta del Partito comunista", dove è detto che, prendere la iniziativa di un attacco al potere borghese con il solo impiego delle forze direttamente da esso inquadrate, il partito deve essere sicuro che queste forze abbiano raggiunto un certo grado di preparazione sufficiente, e che nel corso delle fasi che la lotta presenterà questo grado di preparazione e di inquadramento (in tutti i campi) della massa debba aumentare e non andar diminuendo. Ma tutto quello che segue sta poi a dimostrare che il fatto rivoluzionario può derivare anche da ben altra via che quella di questa prima ipotesi, e le tesi sulla "tattica indiretta" trattano appunto dei compiti del Partito comunista quando la azione sia svolta dalle masse dirette e inquadrate da altri partiti e movimenti politici. Quindi anche se esiste un dissenso sulla estensione dei criteri tattici coi quali si può utilizzare tutto l'elemento rivoluzionario che sta al di fuori della diretta influenza del Partito, tutti conveniamo che questi coefficienti vanno utilizzati e il concetto contro cui Presutti polemizza non è quello delle tesi.

Nessuna "condizione" pongono queste "alla rivoluzione". Il compagno Presutti consideri anche che una certa interpretazione delle tesi del Terzo Congresso laddove esigono anche secondo Lenin, che il partito abbracci "la maggioranza" del proletariato è dalle nostre tesi esclusa, appunto in quanto si avrebbe una condizione meccanica di organizzazione a cui il movimento rivoluzionario dovrebbe essere subordinato. Non si tratta di avere più o meno fretta di "fare" la rivoluzione, come dicevasi nelle stucchevoli discussioni tra i rivoluzionari di cartapesta del Partito socialista, e talvolta di altre scuole, ma di attrezzarsi in modo come capacità tattica e come allestimento di organi e mezzi, da sviluppare ogni momento della situazione i valori rivoluzionari e le migliori condizioni di vittoria proletaria. Nessuna pregiudiziale vi può essere contro un dato ordine di mezzi: purché si sappiano applicare ad occhi aperti e in modo da non trovarsi dopo averli posti in atto in punto diversissimo da quello dove si calcolava di essere attraverso le manovre della guerra di classe: e con forze inferiori a quelle su cui si faceva assegnamento.

Nella applicazione della situazione italiana le tesi parlano di fase di lavoro preparatorio e questo in relazione alle eventualità di un attacco rivoluzionario frontale del Partito comunista. Ma esse contemporaneamente pongono in chiaro rilievo la tattica da seguire per sollecitare lo sviluppo di una situazione di lotta rivoluzionaria attraverso le influenze e le pressioni su quelle masse che seguono altre correnti politiche che si compendiano appunto nella nostra tattica del fronte unico sindacale.

Vi è in tutto questo un sistema di prospettive legate ad una accurata diagnosi della situazione italiana ed al programma comunista, in modo tale che non ci sembra giustificato il timore che ci si possa da noi stessi precludere la via di possibili successi. Ma il problema è tanto arduo e tremendo che ogni contributo alla sua elucidazione, ogni consenso motivato e ogni ragionato dissenso, non possono essere che utili per il gravoso compito che tocca e toccherà ai dirigenti del partito, quando consensi e dissensi nascono nella magnifica atmosfera di disciplina concorde e di solidale indirizzo di azione, di cui a giusta ragione possono andare orgogliosi i comunisti d'Italia.

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