Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe

1. Violenza effettuale e virtuale

Nella storia degli aggregati sociali si riconosce l'impiego in forma manifesta della forza materiale e della violenza quando tra individui e individui, tra gruppi e gruppi si constatano urti e scontri che in mille forme si risolvono con la materiale lesione e distruzione degli individui fisici.

Quando tale aspetto degli sviluppi sociali viene in superficie, esso dà luogo alle più varie manifestazioni di esecrazione o di esaltazione che offrono la più banale sostanza alle successive multiformi mistiche che riempiono ed ingombrano il pensiero delle collettività.

È pacifico, tra le più opposte valutazioni, che la violenza tra uomo e uomo sia non solo un dato importantissimo dell'energetica sociale, ma un fattore integrante, se non sempre decisivo, di tutte le mutazioni delle forme storiche.

Per non cadere nella retorica e nella metafisica, aggirandosi tra le tante confessioni e filosofie che oscillano fra gli apriorismi del culto della forza, del superuomo, del superpopolo, e quelli della rassegnazione, della non-resistenza e del pacifismo, occorre risalire alle basi di quel rapporto materiale che costituisce la violenza fisica, e riconoscerne il gioco fondamentale, in tutte le forme di organizzazione sociale, anche quando essa agisce allo stato latente, di pressione, di minaccia, di preparazione armata, determinando amplissimi effetti storici anche prima, anche al di là, anche sine effusione sanguinis.


L'aprirsi dell'epoca moderna, che socialmente è caratterizzata dal gigantesco sviluppo della tecnica produttiva e dell'economia capitalistica, si accompagnò ad una fondamentale conquista della conoscenza scientifica del mondo fisico che risale ai nomi di Galileo e di Newton.

Fu chiaro che due campi di fenomeni, assolutamente separati ed anzi meta-fisicamente opposti nella fisica aristotelica e scolastica, in realtà si identificavano ed andavano indagati e rappresentati con lo stesso schema teoretico: il campo della meccanica terrestre e quello della meccanica celeste.

Si comprese cioè, per la prima volta, che la forza per la quale un corpo poggiato al suolo preme su di esso, o sulla nostra mano che lo sorregge, non solo è la medesima che provoca il moto del corpo quando è lasciato libero di cadere, ma è anche la medesima che lega tra loro i movimenti degli astri nello spazio, il loro aggirarsi su orbite apparentemente immutabili ed il loro possibile precipitare gli uni contro gli altri.

Si trattava non di una identità puramente qualitativa e filosofica, ma di una identità scientifica e pratica, poiché misurazioni della stessa natura possono condurre a dimensionare il volano di una macchina e a determinare, ad esempio, il peso e la velocità della luna.

Le grandi conquiste della conoscenza - come potrà dimostrare uno studio sulla gnoseologia condotto col metodo marxistico - non consistono nel fissare con scoperte rivelatrici nuovi veri eterni ed irrevocabili, in quanto resta sempre la via aperta a più ampi sviluppi e a più ricche rappresentazioni scientifiche e matematiche dei fenomeni di un dato campo, ma consistono essenzialmente nell'avere spezzato senza rimedio i termini di antichi errori tra cui la forza oscurante della tradizione che impediva alla nostra conoscenza di rappresentarsi i rapporti reali delle cose.

Ed infatti anche in questo solo campo della meccanica la scienza ha fatto e farà scoperte che trascendono i limiti delle enunciazioni e delle formule di Galileo e di Newton, ma resta il fatto storico della demolizione dell'ostacolo costituito dalla tesi aristotelica secondo cui una sfera ideale concentrica alla terra separava due mondi incompatibili tra loro: il nostro, terreno, della corruzione e della grama vita mortale, l'altro celeste, della incorruttibilità e della immutabilità gelida e splendente, concezione bene utilizzata nelle costruzioni etiche e mistiche del cristianesimo e bene adatta a riflettersi socialmente nei rapporti di un mondo umano fondato sui privilegi delle aristocrazie.

L'identificazione del quadro dei fatti meccanici della nostra sfera di esperienza immediata con quello dei fatti cosmici permise di pari passo di stabilire l'identità sostanziale dell'energia posseduta da un corpo, tanto allorché il movimento di esso rispetto a noi e all'immediato ambiente ne fa una empirica evidenza, come quando il corpo stesso apparentemente trovasi in riposo.

I due concetti di energia potenziale o di posizione e di energia cinetica o di movimento, riferiti ai corpi materiali, subiranno e subiscono interpretazioni sempre più complesse fino a rendere a loro volta trasmutabili, per scambi incessanti il cui raggio di azione si estende all'intero cosmo, le quantità di materia e di energia che apparivano invariabili nelle formule dei testi di fisica classica, le quali sono tuttora sufficienti a calcolare e attuare strutture e macchine a scala umana e con gioco di forme di energia non intra-atomica.

Ma resta un passo storicamente decisivo nella formazione della conoscenza scientifica l'aver assimilato, nella loro azione, le riserve potenziali e le manifestazioni cinetiche di energia.

Il concetto scientifico è divenuto ormai familiare ad ogni uomo che viva nel moderno ambiente. L'acqua contenuta in un serbatoio posto in alto sta ferma ed appare priva di moto e di vita. Apriamo le comunicazioni dei condotti con una turbina posta a valle e questa si pone in moto e ci somministra forza motrice. Conoscevamo l'entità di questa forza anche prima di aprire le saracinesche, in quanto essa dipende dalla massa dell'acqua e dalla sua altezza: energia quindi di posizione.

Quando l'acqua fluisce e si muove, l'energia medesima si manifesta come energia di movimento: cinetica.

Così pure anche un bambino sa oggi che fra i due fili del circuito elettrico, fermi e freddi, non avviene alcuno scambio finché non li tocchiamo; avvicinando un conduttore abbiamo lo sprigionamento di scintille, calore, luce, violenti effetti sui muscoli e i nervi se il conduttore è il nostro corpo.

I due fili inoffensivi erano ad un certo potenziale; guai a far diventare cinetica quell'energia. Oggi tutto questo lo sa anche l'analfabeta, ma la faccenda avrebbe enormemente confuso i sette savi della Grecia e i dottori della chiesa.


Passando dal campo dei fenomeni meccanici a quello della vita degli organismi, troviamo, tra le molto più ricche manifestazioni e trasformazioni della biofisica e del biochimismo, per cui l'animale nasce, si alimenta, cresce, si muove, si riproduce, anche l'impiego della forza muscolare nella lotta sia contro l'ambiente fisico che contro altri esseri animati della stessa specie e di specie diverse.

In questi contatti materiali e in questi urti brutali le parti e i tessuti dell'animale si ledono, si lacerano, e nei casi di più grave ingiuria l'animale muore.

Si considera comunemente che il fattore della violenza faccia la sua apparizione allorché la lesione organica sorge dall'impiego della forza muscolare di un animale sull'altro. Non vediamo violenza, nel comune linguaggio, quando la frana o l'uragano uccidono gli animali, ma solo quando il classico lupo divora l'agnello o si azzuffa con l'altro lupo che ne brama una parte.

Piano piano l'accezione comune di questi fatti così generali scivola negli inganni delle etiche e delle mistiche. Si odia il lupo, si piange sull'agnellino. Più oltre si giungerà a legittimare pacificamente che si ammazzi e si prepari lo stesso agnello come pasto degli uomini, ma si griderà con orrore contro i cannibali; si condannerà l'assassino, mentre si esalterà il combattente; tutti casi - sia pure in una gamma infinita di toni fecondissima per letterarie variazioni - di tagli e strappi nella carne vivente, tra i quali potremmo inscrivere, per consultare i nostri giudici di azioni armati delle varie etiche, l'intervento del bisturi chirurgico sul bubbone cancrenoso.

L'inadeguatezza delle prime rappresentazioni umane aveva processato gli stessi fenomeni della natura meccanica ed aveva applicato ad essi, per infantile antropomorfismo, i criteri morali.

La terra andava in giù e l'acqua al mare, l'aria e il fuoco in su, perché ogni elemento cerca il proprio simile e la propria sede e sfugge il proprio contrario, essendo amore ed odio i motori primi delle cose.

Se l'acqua o il mercurio non discendevano dal tubo capovolto era perché la natura aveva orrore del vuoto. Quando Torricelli realizzò il vuoto barometrico si poté determinare il peso dell'aria, che è anch'essa un grave, e tende in giù con tale violenza che, se non ne fossimo tutti circondati e penetrati, ci stritolerebbe al suolo. Ama quindi evidentemente il suo contrario ed andrebbe condannata per infrazione adultera ai suoi doveri.

Più o meno, in tutti i campi, volontarismo ed eticismo conducono l'uomo a credere nelle stesse corbellerie.

Tornando all'animale in lotta violenta con le avversità o per la soddisfazione dei suoi bisogni a mezzo della forza dei suoi muscoli, senza far suonare il disco borghese darwinistico della lotta per la vita, selezione naturale ed altri abituali ritornelli, vogliamo porre in rilievo che anche qui lo stesso movente ed effetto dell'impiego della forza può presentarsi come potenziale o virtuale da un lato, come cinetico ed attuale dall'altro.

Non solo l'animale che ha provato i pericoli del fuoco, del gelo, dell'inondazione apprenderà a fuggire prima di affrontarne il cimento quando avvertirà segni premonitori, ma la stessa violenza tra due esseri animati potrà molte volte avere effetto senza essere fisicamente consumata.

Il cane selvatico non contenderà al leone il capriolo ucciso, ben sapendo che seguirebbe la sorte della vittima. Molte volte la preda soccombe per il terrore prima del morso del carnivoro, talvolta basta lo sguardo di quello a immobilizzarla e toglierle la possibilità non della lotta ma della stessa fuga.

In tutti questi casi il prevalere della forza ha effetto potenziale senza bisogno di esplicarsi materialmente.

Se il nostro indagatore etico dovesse sentenziare non crediamo che assolverebbe il carnivoro per il solo fatto di una libera elezione della sua preda ad essere divorata.


Nelle aggregazioni primitive degli uomini si arricchisce progressivamente l'intreccio dei rapporti tra individuo e individuo. La più grande varietà dei bisogni e dei mezzi per soddisfarli, la possibilità di comunicazioni tra un essere e l'altro per il differenziarsi del linguaggio danno luogo a una sfera di relazioni e di influenze che erano nel mondo animale appena in abbozzo.

Anche prima che si possa parlare di una vera produzione di oggetti di uso suscettibili di essere adoperati per placare le necessità e i bisogni della vita, si determina una divisione di funzioni e di attitudini a compierle tra i componenti dei primi gruppi, che si adibiscono alla raccolta dei vegetali spontanei, alla pesca, alla caccia, alle prime rudimentali attività nel preparare e conservare i ricoveri ed allestire i cibi.

Comincia ad apparire la società organizzata e sorge il principio di ordine e di autorità.

Non è più soltanto con la forza muscolare che gli individui più attrezzati fisicamente ed anche per energia nervosa piegano gli altri a dati limiti nel fare impiego del loro tempo e della loro fatica e nel fruire dei beni utili acquisiti. Cominciano ad essere dettate regole cui la comunità si adatta, che vengono fatte rispettare senza bisogno di impiegare ogni volta una coazione fisica, ma con la sola minaccia che il trasgressore verrebbe fieramente punito e, nei casi estremi, soppresso.

L'individuo che, sospinto dalla primigenia animalità, volesse sottrarsi a tali imposizioni deve o ingaggiare la lotta corpo a corpo col capo e probabilmente con gli altri sudditi cui questi comanderebbe di sostenerlo nella sanzione, o fuggire dalla

collettività, ma in tal caso si troverebbe costretto a soddisfare le sue esigenze materiali meno copiosamente, e attraverso rischi assai maggiori, di quanto può fare per i vantaggi che offre l'attività collettiva organizzata sia pure in modo primordiale.

L'animale uomo comincia a descrivere il suo ciclo non certo uniforme e continuo né privo di crisi e di ritorni, ma nel senso generale inarrestabile, dal primo stato di libertà individuale illimitata, di autonomia totale del singolo, alla soggezione sempre più estesa ad una rete sempre più fitta di vincoli che prendono il carattere e il nome di ordine, di autorità, di diritto.

Il senso generale dell'evoluzione è quello di rendere statisticamente meno frequenti i casi in cui la violenza tra uomo e uomo viene consumata nella forma cinetica, con la lotta, la sanzione corporale, l'esecuzione capitale, ma nello stesso tempo di rendere più frequenti in raddoppiata ragione i casi in cui la disposizione autoritaria viene eseguita senza resistenza poiché l'oggetto di essa sa, per esperienza, che non gli conviene sottrarvisi.

La facile schematizzazione ed idealizzazione di questo processo conduce ad una astratta elaborazione col giuoco di queste due sole entità: il singolo e l'associazione, ipotizzando arbitrariamente che tutti i rapporti di ciascun singolo all'organizzazione si equivalgono, prospettiva illusoria del «contratto sociale». Si teorizza cioè un cammino delle collettività umane, guidato da un compiacente iddio regista del dramma a lieto fine, oppure da un meno comprensibile affiato redentore collocato chi sa come nella testa di ciascun uomo ed immanente al suo modo di ideare, di sentire e di comportarsi, che sfocia in un arcadico equilibrio per cui un ordine egualitario permette a tutti di godere i ricchi benefizi dell'alto rendimento dell'opera associata, mentre le decisioni di ciascun singolo sono libere e liberamente volute.

L'importanza invece del fattore della forza e il peso del suo gioco sia in quanto si manifesti palese nelle guerre dei popoli e delle classi, sia in quanto resti applicato allo stato potenziale per il funzionamento dell'ingranaggio dell'autorità, del diritto, dell'ordine costituito, del potere armato, viene messa scientificamente in rilievo dal materialismo dialettico col farne risalire le causali e l'estensione di impiego ai rapporti in cui sono messi i singoli dalla tendenza e possibilità di soddisfare i loro bisogni.

Un'analisi delle disposizioni anche preistoriche con le quali i gruppi associati si procurano i mezzi di vita, e delle prime rudimentali risorse, armi, strumenti di cui si arricchisce l'arto dell'animale uomo per agire sui corpi esterni, conduce a definire svariatissime relazioni e posizioni intermedie tra il singolo e la totalità aggregata, che frazionano questa in gruppi diversi per attribuzioni, funzioni e soddisfazioni; e questa indagine fornisce la chiave del problema della forza.

L'elemento essenziale di quella che si è soliti chiamare civiltà è questo: l'individuo più forte consuma più di quello debole; e fin qui si resta nel campo dei rapporti della vita animale e, se vogliamo, la cosiddetta natura, pensata dalle teorie borghesi come una bravissima regista, ha ben provveduto perché più muscoli comportano più stomaco e più cibi; ma inoltre il più forte dispone le cose in modo che gli sforzi lavorativi siano forniti in maggiore misura dal più debole e in misura minore da lui. Se il più debole si rifiuta tanto a vedere mangiare il pasto più lauto che a veder compiere l'opera più lieve, e magari nessuna opera, la superiorità muscolare lo piega e lo costringe alla terza menomazione di venire percosso.

L'elemento discriminante della civiltà sociale, dicevamo, è dunque quello che tale semplice rapporto si attua infinite volte in tutti gli atti della vita in comune senza bisogno che la forza costrittiva venga impiegata in modo attuale e cinetico.

Alla base dello schieramento degli uomini nei gruppi posti in così dissimile situazione di vita materiale sta inizialmente una ripartizione di compiti che, nella grandissima complessità delle manifestazioni, assicura al soggetto, alla famiglia, al gruppo, alla classe privilegiata, un riconoscimento che, dalla constatazione reale della iniziale utilità, conduce al formarsi di una attitudine di soggezione degli elementi e gruppi sacrificati. Questa attitudine si tramanda nel tempo e si inserisce nella tradizione in quanto le forme sociali hanno una loro inerzia analoga a quella del mondo fisico per cui, fino a superiori cause perturbatrici, tendono a descrivere le stesse orbite, a perpetuare le medesime relazioni.

Quando - per continuare in quella che ogni lettore anche non adusato alla indagine marxista comprende essere una esposizione a rilievi schematici per fine di brevità - per la prima volta il minus habens non solo non ha costretto il suo sfruttatore ad impiegare la forza per eseguire gli ordini, ma ha imparato a ripetere che ribellarsi sarebbe stato una grande infamia perché avrebbe compromesso le regole e gli ordini da cui dipendeva la salvezza di tutti, allora - giù il cappello! - è nato il Diritto.

Se il primo re è stato un bravo cacciatore, un gran guerriero, che aveva più volte esposta la vita e versato il sangue in difesa della tribù, se il primo stregone sacerdote è stato un intelligente indagatore di segreti della natura utili alla cura delle malattie ed al benessere, se il primo padrone di schiavi o di salariati è stato un capace organizzatore di sforzi produttivi in modo che si traesse maggior rendimento dalla coltivazione della terra o dalle prime tecnologie, l'iniziale constatazione di questo compito utile ha permesso di costruire le impalcature dell'autorità e del potere, permettendo a quelli che stavano al vertice di quelle nuove e più redditizie forme di vita associata, di prelevare - per proprio comodo - una larga parte dell'incremento di prodotto realizzato.

L'uomo ha assoggettato a un tale rapporto in primo luogo l'animale di altra specie. Il bue selvatico solo con dure lotte e con sacrificio dei più audaci domatori fu sottoposto le prime volte al giogo. In seguito non occorre più violenza in atto perché la bestia pieghi la sua cervice. Il suo poderoso sforzo decuplica la quantità di cereale a disposizione del padrone, ed il bue per nutrirsi e conservare la sua efficienza muscolare riceve una frazione della biada.

L'evoluto homo sapiens non tarda ad applicare questo rapporto al proprio simile col sorgere della schiavitù. L'avversario in una contesa personale o collettiva, il prigioniero di guerra pesto e ferito viene ridotto con ulteriori violenze a lavorare con gli stessi patti sindacali del bue; egli all'inizio si rivolta, raramente può sopraffare l'oppressore e sfuggirgli; a lungo andare il fatto normale è che lo schiavo, anche sopravanzando di muscoli il padrone quanto il bue, subisce la sua soggezione e funziona come la bestia, offrendo soltanto una gamma molto più ricca di servigi.

Passano i secoli e questo sistema costruisce la propria ideologia, viene teorizzato, il sacerdote lo giustifica in nome degli dei, il giudice vieta con le sue sanzioni che possa essere violato. Vi è una differenza e una superiorità dell'uomo della classe oppressa sul bue: è quella che non si potrà mai insegnare al bue a recitare, del tutto spontaneamente, una dottrinetta secondo la quale la trazione dell'aratro è per lui un vantaggio grandissimo, una sana e civile gioia, un adempimento della volontà di Dio e della santità delle leggi, né mai avverrà che il bue ne dia atto nel deporre una scheda.

Tutto il nostro discorso su questa elementare materia vuole condurre a questo risultato: mettere sul conto del fondamentale fattore della forza tutta la somma degli effetti che da esso derivano, non solo quando la forza è impiegata allo stato attuale, con violenza sulle persone fisiche, ma anche e soprattutto quando esso fattore forza agisce allo stato potenziale e virtuale senza i rumori della lotta e lo spargimento del sangue.

Travalicando i millenni ed evitando di ripetere l'esame delle successive forme storiche di rapporti produttivi, di privilegi di classe, di potere politico, si deve giungere ad applicare tale risultato e criterio alla presente società capitalistica.

È così possibile battere la tremenda contemporanea mobilitazione dell'inganno, l'universale regia che costruisce la soggezione ideologica delle masse ai sinistri dettami delle minoranze predominanti, il cui trucco fondamentale è quello dell'atrocismo, ossia, della messa in evidenza (corroborata inoltre da potenti falsificazioni di fatto) di tutti gli episodi di sopraffazione materiale in cui, per effetto dei rapporti di forza, la violenza sociale si è resa palese e si è consumata colpendo, sparando, uccidendo e - cosa che dovrebbe apparire la più infame, se la regia non avesse avuto tremendi successi nell'incretinimento del mondo - atomizzando. Sarà così possibile riportare al loro giusto, preponderante valore qualitativo e quantitativo, i casi innumerevoli in cui la sopraffazione, sempre risolvendosi in miseria, sofferenza, distruzione a volumi imponenti di vite umane, si consuma senza resistenza, senza urti, e - come dicevamo all'inizio - sine effusione sanguinis. anche nei luoghi e nei tempi in cui sembra dominare la pace sociale e la tranquillità, vantata dai ruffiani professionali della propaganda scritta e parlata come l'attuazione piena della civiltà, dell'ordine, della libertà.

Il confronto tra il peso dei due fattori - violenza in atto e violenza in potenza - mostrerà che, malgrado tutte le ipocrisie e gli scandalismi, il secondo è quello predominante, e solamente su di una tale base si può costruire una dottrina e una lotta capaci di spezzare i limiti dell'attuale mondo di sfruttamento e di oppressione.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.