Piattaforma dei Gruppi Sindacali Comunisti Internazionalisti

Da Battaglia Comunista n.11, 1963

Al lettore operaio

Quanti sono i comunisti internazionalisti? Pochi, per l’insurrezione, abbastanza, per la vita del vero marxismo. Anche i più grandi fiumi sono costretti, in qualche tratto del loro corso, a restringere l’alveo e impoverirsi di acque.

Accade oggi lo stesso al partito rivoluzionario, che agli opportunisti appare disseccato, mentre in realtà esso viene da lontano e va verso una meta sicura.

Si siamo pochi e gli ostacoli numerosi. Ma le nostre sorgenti sono il socialismo scientifico, il marxismo, l’eredità indistruttibile della Comune di Parigi e della Rivoluzione d’Ottobre, che la socialdemocrazia respinge e lo stalino-kruscevismo rinnega.

Una teoria e un movimento che hanno fatto una rivoluzione, sono capaci di farne altre. Una classe che ha saputo alzarsi in piedi, non può rimanere piegata per sempre.

Ma per diventare un soldato della propria classe, l’operaio deve capire la teoria marxista e può farlo solo leggendo la stampa rivoluzionaria: Battaglia comunista, Prometeo, Lotta di Classe, gli opuscoli di cui il presente volumetto è un esempio.

Febbraio 1963

Considerazioni generali

La posizione del partito di fronte al problema sindacale e al rapporto fra partito e masse operaie, non sono sostanzialmente cambiate, e trovano ogni giorno più conferma della loro esattezza e validità nello svolgimento concreto delle lotte dei lavoratori. Richiamarsi, ancora una volta, a tali posizioni non vuole essere da parte nostra solo conferma teorica, ma decisa volontà di renderle piattaforma pratica di lavoro, data l’ampiezza e la violenza assunta dalle lotte rivendicative e la prospettiva del loro rincrudirsi sotto la spinta delle trasformazioni strutturali dell’economia monopolistica.

La natura del sindacato non è affatto cambiata e non cambia, anche se il fronte operaio è in movimento e si allarga e si approfondisce la lotta rivendicativa.

L’esperienza fatta dalla “guerra di liberazione” a oggi ha posto in evidenza come gli operai, se hanno sempre e generosamente risposto alle lotte, non hanno saputo tuttavia vedere né rompere il cerchio dell’opportunismo che attraverso un insostituibile apparato burocratico esercitano un potere incontrastato nelle organizzazioni sindacali e di fabbrica che inchioda gli operai in uno stato di impotenza politica e li svia da ogni vera azione di classe e li immobilizza e li avvilisce con una condotta tattica che ha sistematicamente come fine il compromesso, la tendenza a conciliare le rivendicazioni operaie con l’interesse fondamentale del padronato. Ne consegue per noi comunisti internazionalisti che se siamo in ogni caso e senza riserva alcuna con gli operai in tutte le loro battaglie, siamo invece duramente e irriducibilmente avversari dei partiti che nel sindacato fanno il buono e il cattivo tempo e portano la grave responsabilità di aver spostato i termini della lotta operaia dal piano di classe a quello degli interessi del capitalismo monopolistico.

Riteniamo che l’attuale sindacato, perla sua funzione di organo indispensabile alla strategia degli opposti imperialismi, sia destinato a vivere fino in fondo le vicissitudini economiche, sociali e politiche del capitalismo e perirà con la dissoluzione dello Stato capitalista sotto i colpi del proletariato rivoluzionario.

Allo stato attuale i sindacati interessano il partito rivoluzionario non per la considerazione che sono organismi proletari, sotto la dittatura borghese, come pensano per esempio i bordighisti, ma per le masse di lavoratori che vi sono dentro, le quali, se da un lato sono incapaci di muoversi per forza propria sul piano rivoluzionario di classe, sono dall’altro costantemente soggette a farsi rimorchiare sul piano dell’interesse padronale e su quello delle competizioni imperialiste.

Da qui l’assunto della strategia rivoluzionaria che “senza organismi intermedi fra Partito e classe, non vi è possibilità rivoluzionaria; il partito non abbandona tali organismi per il solo fatto di essere in minoranza”.

Precisata la vera natura e gli obbiettivi del sindacato nella fase più acuta della competizione imperialista è condannabile ogni politica mirante al boicottaggio del sindacato e delle agitazioni operaie, così come è condannabile qualunque politica che presuma di conquistare la direzione del sindacato dal di dentro su basi maggioritarie.

Ma non è meno condannabile la politica di schietta marca sindacalista che sedimenta nel fondo operaistico e intellettualisticamente libertario della tradizione italiana, che vorrebbe vedere nel sindacato lo strumento dell’azione diretta delle masse e della conquista rivoluzionaria senza la necessità del partito, così come è concepito e realizzato nel solco della tradizione leninista.

L’enorme potere concentrato oggi nei sindacati è il riflesso della vasta proletarizzazione operata dalla profonda trasformazione dell’apparato industriale sotto la spinta delle trasformazioni tecnologiche dell’epoca nucleare apertasi con la seconda guerra mondiale. L’aggressione del capitalismo monopolistico portata alle zone dell’economia arretrata, approfondisce gli squilibri di queste colonie interne, con la conseguente fuga della manodopera giovane e non qualificata verso i grandi centri industriali, ingigantendo l’esercito del lavoro che il sindacato irreggimenta e irretisce in agitazioni di categoria condotte al contagocce, che finiscono ogni volta per stancarle e disilluderle.

Ed è questo il terreno fertile per inserirvi una nostra iniziativa sindacale con una salda rete di gruppi attraverso le fabbriche, i cantieri e le cascine avente per mira l’allargamento della nostra influenza tra le masse presenti nelle organizzazioni sindacali.

Dobbiamo, in una parola, tener conto del sindacato che inquadra la parte più sensibile e politicizzata delle masse operaie, ma non dobbiamo trascurare o sottovalutare l’azione delle masse operaie non organizzate e la spontaneità delle loro lotte rivendicative, aspetto questo di non scarso rilievo facilmente rintracciabiole nelle più recenti prassi delle lotte operaie nei paesi del più avanzato capitalismo, dove il sindacato è finito per divenire una delle forze fondamentali della conservazione dello stato.

Limiti della politica sindacale

Le Tesi di Roma (1922) così precisavano i compiti assegnati ai gruppi sindacali comunisti: ”Essi tendono a conquistare nella loro organizzazione il “seguito della maggioranza” e le “cariche direttive” divenendo così il naturale veicolo di trasmissione di parole d’ordine del partito”. Oggi lo stesso problema deve essere formulato in termini più aderenti alla realtà, riaffermando il compito dei gruppi sindacali comunisti internazionalisti di operare sempre come veicolo di trasmissione delle parole d’ordine del partito senza che questo compito sia subordinato alla tattica della conquista del seguito della maggioranza delle masse organizzate nel sindacato e delle cariche direttive, tattica questa che condurrebbe inevitabilmente i gruppi sindacali comunisti, e quindi la politica generale del partito, al compromesso con la direzione del sindacato e alla loro capitolazione di fronte alla politica dominante dell’imperialismo.

Oggi la parola d’ordine della conquista dei sindacati dall’interno, con i metodi della democrazia, è storicamente assurda, o quantomeno mistificatrice perché tende a ingannare le masse sulla reale natura del sindacato, oggi più che mai asservito dai partiti della democrazia parlamentare alla politica dei rispettivi blocchi che si contendono il dominio del mondo.

È invece su questa realtà politica che deve far leva una concreta politica di opposizione rivoluzionaria nell’ambito del sindacato, per strappare le masse alla politica del parlamentarismo e della guerra.

Sarebbe imperdonabile cecità credere e far credere che possa essere possibile al capitalismo realizzare gli obbiettivi della trasformazione monopolistica della sua economia senza la collaborazione dei sindacati con una politica salariale che concili le esigenze degli operai con quelle della grande industria di vincere la concorrenza con altri complessi monopolistici su scala internazionale se i sindacati non realizzano una politica di pace sociale e di contenimento delle “pretese” operaie; di condurre infine vittoriosamente la guerra di supremazia imperialista se non ci fossero i sindacati a garantire la solidarietà concreta, non importa se coatta, delle masse lavoratrici.

Questi imperativi del nostro tempo e non parlarne, non metterli innanzi in una analisi delle prospettive della lotta operaia, obbedisce alla inconfessata determinazione di considerare come fatto storicamente necessario che le masse operaie siano ancora una volta legate al carro della guerra perché sulle macerie del capitalismo americano, il capitalismo di stato della Russia, vittorioso possa portare a fondo la sua esperienza che si ritiene indispensabile per la vittoria del socialismo.

Quanto affermiamo è confermato, senza possibilità di equivoco, dalle vicende delle lotte condotte dalla nostra opposizione di sinistra nei sindacati di categoria e nella stessa Confederazione Generale del Lavoro. Al congresso di Livorno della confederazione, avvenuto poco dopo quello del partito (1921), noi comunisti disponevamo già di una vasta base organizzativa sia nelle fabbriche che nei sindacati di categoria e pur avendo il controllo e la direzione (negli anni che seguirono la grande e disgraziata prova della occupazione delle fabbriche) di numerose Commissioni interne nelle zone di maggior sviluppo industriale, tuttavia mai, diciamo mai, è stato possibile alla nostra organizzazione sindacale di spezzare il cordone sanitario della “legalità” corporativa e riformista che assicurava con tutti i mezzi l’incolumità più assoluta alla politica dei Rigola, dei D’Aragona e dei Buozzi.

Solo lo schieramento della Russia nella seconda guerra mondiale a fianco delle democrazie occidentali doveva permettere al Partito Comunista Italiano, passato armi e bagagli alla ideologia e alla prassi della guerra democratica, di disporre dispoticamente dei sindacati e della ricostituita Confederazione del Lavoro, pendendo i posti che erano stati dei dell’apparato socialdemocratico, spezzato e prostrato dalla guerra.

Tutta l’esperienza del secondo dopoguerra, che vede scissa a un momento dato della rottura del fronte politico tra le potenze vittoriose, nelle rispettive zone d’influenza, anche l’organizzazione unitaria dei lavoratori in una pluralità di sindacati in obbedienza al diverso schieramento di queste potenze, non ha punto significato che tale rottura abbia conferito alla CGIL un ruolo più dichiaratamente di classe e maggiore aderenza, in confronto alle altre Confederazioni minori, agli interessi dei lavoratori.

La CGIL ha visto, sì, il cambio della guardia alla sua direzione, ma è rimasta il baluardo di sempre, della solita politica accattona, del solito sciopero addomesticato di fronte al padronato, ma si è fatta anche e soprattutto baluardo agguerrito di lotta senza scrupoli quando si è trattato di favorire una “certa” politica che i social-comunisti conducono in Parlamento e nel paese, in accordo con la strategia dell’imperialismo russo.

Sotto questo rapporto, e contro quella politica sindacale che voglia operare dall’interno la conquista della maggioranza e degli stessi vertici del sindacato, il cordone sanitario della legalità corporativa ora in mano all’apparato del partito di Togliatti, non soltanto è più saldo e agguerrito di quello dei tempi di D’Aragona e di Buozzi, ma per evitare che si verifichino dei cedimenti anche parziali e di settore, i dirigenti d quell’apparato arriverebbero fino alla denuncia dei “sovversivi” alla polizia e allo stato repubblicano e all’uso del ricatto morale e della violenza.

I comunisti internazionalisti della federazione milanese della FIOM sanno per diretta esperienza a quali espedienti ricorse nel 1947, e a quali minacce di rappresaglia la direzione di quel sindacato per impedire che fosse loro assegnato un seggio conquistato attraverso il dispositivo della rappresentanza su base... democratica.

Ultima, non lontana esperienza della nostra attività sindacale, quella condotta dal nostro gruppo poligrafico, la cui opera di critica e di sprone, giunta al consiglio nazionale della categoria, si meritò l’onore di una particolare attenzione da parte del direttivo che la tacciò di provocatoria e la ritenne degna di essere combattuta anche con i metodi più drastici.

Indicazioni organizzative

  1. I comunisti internazionalisti sono sul posto di lavoro e nel sindacato, non importa il loro numero, il quadro del Partito a cui è delegato il conmpito di propagandare e di difendere le posizioni politiche del partito su tutti i problemi che scaturiscono dalla vita di fabbrica, nell’interesse dei lavoratori.
  2. I comunisti internazionalisti sono perciò il nucleo fondamentale del gruppo sindacale che irradia la sua attività attraverso una rete di operai simpatizzanti che solidarizzano con le parole d’ordine del partito e creano attorno a loro una zona di influenza politica fra gli operai indispensabile per l’esercizio di una costante attività di persuasione, di critica e di sprone tanto nella fase preparatoria della lotta rivendicativa che nella partecipazione attiva a quella lotta, dimostrando fattivamente che le lotte stesse avranno efficacia per il proletariato se saranno condotte con metodi e obbiettivi di classe.
  3. I comunisti internazionalisti si avvarranno della influenza conquistata tra le masse operaie per operare con esse e per esse nel sindacato perché la difesa dei loro interessi non si esaurisca nelle rivendicazioni salariali e nel sostegno a una politica parlamentare a esclusivo vantaggio dei partiti che se ne fanno sgabello nella lotta di supremazia; non si esaurisca nel compromesso sistematico all’ombra delle prefetture o del ministero.
  4. Nel caso che i comunisti internazionalisti fossero chiamati dagli operai ad assumere cariche di responsabilità sindacali accetteranno tutte quelle che provengono da decisioni della base operaia per le elezioni di organismi che riscuotano la fiducia delle masse, all’infuori di ogni burocrazia sindacale. Va da sé che tanto la presentazione di candidature per le elezioni delle C.I. come la partecipazione attiva agli organi direttivi eletti dalla massa, saranno accompagnate da una aperta e chiara presa di posizione programmatica informata ai principi e alla tattica del partito.
  5. Il partito rivoluzionario non pone fra i suoi compiti quello di raddrizzare la linea riformista e corporativa del sindacato né quello della sua conquista operata dal di dentro con sistema maggioritario, e ciò per l’ovvia ragione, ovvia per i marxisti rivoluzionari, che gli organismi saldati direttamente e indirettamente agli interessi dello schieramento imperialista dovranno essere conquistati dalla forza di classe, non con le elezioni, ma con gli strumenti dell’assalto rivoluzionario che li distruggerà in quanto incrostazione di interessi in aperto antagonismo a quelli della rivoluzione socialista. La natura trade-unionista propria del sindacato e il suo asservimento alla politica imperialista degli uni verso l’America e degli altri verso la Russia, impediscono ogni soluzione legalitaria di conquista dei vertici dell’organizzazione.
  6. Compito dei gruppi sindacali comunisti internazionalisti è di strappare la parte più cosciente e più attiva degli operai all’influenza del riformismo corporativo e alla tattica del compromesso di cui si avvalgono i grandi partiti di massa per guadagnare voti e conquistare seggi parlamentari, ma soprattutto sottrarre le masse alla influenza addormentatrice di quella propaganda che esalta il ruolo di potenza degli stati retti a democrazia o a quelli retti a regime autoritario, che, in ogni caso, condurrebbe alla solidarietà con la politica dell’imperialismo e della terza guerra mondiale.
  7. Ecco come i comunisti internazionalisti intendono il lavoro sindacale: elevare gli interessi particolari e contingenti delle lotte rivendicative delle masse operaie all’insieme della classe e proiettarli in avanti verso la soluzione storica della rivoluzione socialisti.
  8. La partecipazione dei comunisti internazionalisti agli scioperi e alla loro condotta pratica deve essere totale ma ciò non vuol dire che essi si lasceranno rimorchiare su posizioni di manovra politica parlamentare o di sostegno a una politica di potenza a favore di chiunque operi per un obiettivo di dominio imperialista. Tale partecipazione sarà ogni volta accompagnata da una chiara e circostanziata presa di posizione del partito attraverso volantini, parole d’ordine, con interventi diretti che distingueranno i metodi e gli obiettivi dei comunisti internazionalisti dalla paccottiglia riformista-corporativa delle altre formazioni politico-sindacali che detengono il monopolio degli organismi confederali.
  9. I comunisti internazionalisti, nel rendere operante la rete dei loro gruppi sindacali già esistenti e in via di formazione nelle fabbriche, nei cantieri e nelle cascine e nell’azione di questi gruppi nell’interno della sindacato, si atterranno ai criteri cui si informa la presente piattaforma sindacale del Partito.
Il Comitato Centrale dei Gruppi Sindacali Comunisti Internazionalisti