Il neo-kautskismo

Ritorniamo sulla questione della possibilità del passaggio dal capitalismo al socialismo per via pacifica, nell'ambito di uno sviluppo "progressivo" della democrazia parlamentare borghese, non certamente perchè consideriamo tuttora aperto teoricamente e politicamente questo problema - per noi definitivamente "risolto" in sede di affermazione di principio e di strategia in "Stato e Rivoluzione" di Lenin, con la soluzione storica della rottura rivoluzionaria dello Stato borghese e dei suoi istituti politici - quanto perchè la insistenza nella ricerca di una giustificazione ideologca a tale assunto è giunta, da parte dello Stato maggiore intellettuale del social-opportunismo, ormai apertamente fino all'adesione completa e incondizionata alle teorie e alle tesi politiche dei più emeriti traditori del marxismo e rinnegatori del suo spirito rivoluzionario.

I dirigenti del P.C.I. sono soliti respingere le nostre accuse critiche e il nostro riferimento ai principi e ai testi di una dottrina per noi immutabile, fino alla conclusione ancora lontana di una intera epoca storica, con la contro-accusa di dogmatismo e di settarismo ideologico, di attaccamento a posizioni politiche sorpassate storicamente ed inadatte alle nuove condizioni economiche e sociali derivate dallo sviluppo stesso del capitalismo e dei rapporti fra le classi.

Ma se noi possiamo accettare con pieno diritto l'accusa di dogmatismo marxista, di cui ci vantiamo come se ne vantò a suo tempo Lenin, essi, i rinnovatori creativi del marxismo-leninismo, non sono altro all'opposto che i "dogmatici" del revisionismo kautskiano; i banali ripetitori di una "correzione ideologica" del marxismo a cui oggi andrebbe assegnata una superiore validità su quella dottrina che già li ha inchiodati, nella teoria come nell'azione politica e nella realtà storica, sulla gogna del più infame tradimento piccolo-borghese.

Gli sviluppi della recente crisi governativa e il varo della nuova formazione ministeriale di "centro-sinistra" nella quale appare per la seconda volta in questo dopoguerra la presenza al governo dello Stato borghese del partito socialista, hanno posto lo stesso P.C.I. nella tanto desiderata posizione di "legale opposizione al governo di sua Maestà". Da qui, le prospettive che si vanno ora aprendo al "partito nuovo" di Togliatti, perfettamente integrato nel sistema parlamentare delle maggioranze e minoranze legali e costituzionali, esigono la completa abiura dell'essenza rivoluzionaria (anticostituzionale, antilegale, antiparlamentare) del marximo- leninismo e l'accettazione e la difesa del più reazionario revisionismo (liberale, democratico e pacifista), opposto dagli ideologi borghesi al socialismo scientifico fin dalle sue prme origini e formulazioni.

Questo spiega anche la costante pressione, interna ed esterna al P.C.I., contro ogni possibile forma di opposizione estremizzante o di "tentazioni settarie" che la polemica russo-cinese e l'esistenza in Italia di gruppi politici di minoranza rivoluzionaria operanti contro il carrozzone elettorale di Togliatti e compagni, hanno più che mai accentuata.

Abbiamo fatto riferimento a Kautsky perchè a lui, più che ad altri quali lo stesso Bernstein, risale storicamente il più sottile, abile tentativo di snaturamento del marxismo. La stessa paternità delle "originali" posizioni teoriche e politiche del nuovo "comunismo nazionale" risale a Kautsky; trova ancor oggi in lui le giustificazioni e le premesse più idonee a puntellare l'inganno piccolo-borghese, a perpetuare il tradimento opportunista ai danni del proletariato e della sua rivoluzione.

Il merito particolare dei social-comunisti italiani è stato per l'apppunto quello di aver riproposto in tutta la sua interezza e concretezza il problema che fu già affrontato da Lenin: o con Kautsky o con Marx; o con il pacifismo democratico e liberale o con la rivoluzione e la dittatura proletaria.

Ciò che va denunciato dunque nuovamente con tutto il vigore e la tenacia dimostrati da Lenin, non è soltanto il profondo contrasto tra le concezioni e le posizioni del marxismo-leninismo e quelle dei "comunisti democratici" figliati del centro moscovita, quanto il chiaro ritorno nelle posizioni di quest'ultimi della teoria kautskiana sullo sviluppo pacifico e democratico del socialismo, in contrapposizione alle riaffermazioni leniniste sul contenuto e sulla forma rivoluzionaria, violenta e dittatoriale del comunismo nella sua prima fase.

Basterebbe rileggere l'opuscolo di Kautsky sulla "Dittatura del proletariato" per avere le prove più lampanti di come lo stesso metodo e le stesse obiezioni teoriche applicate allora dal capo ideologico della II Internazionale nell'analisi critica sulla "scelta" dittatoriale e violenta praticata da Lenin e dai bolscevichi russi per la conquista del potere, vengano ora integralmente riproposte con la negazione di ogni soluzione strategica rivoluzionaria di classe alla questione della presa del potere e della realizzazione del socialismo.

E come per il "rinnegato tedesco", così anche per i contemporanei fautori della "strategia dell'avanzata democratica e pacifica verso il socialismo", ciò che contraddistingue tutte le loro analisi e le loro conclusioni sulla condizio- ne politico-storica che precede la conquista proletaria del potere, è la concezione idealistica ed eclettica della democrazia "in generale" o della democrazia borghese in particolare.

Per Kautsky non vi è socialismo senza "democrazia", ma può esistere benissimo la democrazia senza il socialismo. Perché dunque il proletariato non dovrebbe ritenere la democrazia come mezzo adatto per la conquista del potere? L'obiezione principale, scrive il teorico tedesco, è che le classi dominanti non permetterebbero mai alla classe operaia l'esercizio e l'utilizzazione della democrazia. Ma se le classi dominanti dovessero ricorrere all'uso della forza, questo significherebbe che essi temono le conseguenze della democrazia per cui il proletariato ha tutto l'interesse a "difendere la democrazia fino all'estremo, con le unghie e coi denti". Non solo, ma:

quanto più lo stato è democratico, tanto più i mezzi di potenza della forza statale, anche quelli militari, dipendono dall'opinione pubblica e difficilmente potranno essere impiegati dalla "dittatura capitalistica" per reprimere la democrazia, se il proletariato è abbastanza numeroso e forte per conquistare il potere.
Nelle lotte per i diritti politici - prosegue Kautsky - sorge la democrazia moderna e matura il proletariato. Ma con essi sorge anche un nuovo fattore: la difesa delle minoranze e dell'opposizione nello stato. Democrazia significa dominio della maggioranza: ma non meno significa protezione della minoranza... La difesa delle minoranze è condizione ineluttabile dello sviluppo democratico, non meno importante che il dominio della maggioranza.

Sono più che evidenti in queste brevi citazioni che sintetizzano fedelmente il pensiero di Kautsky, le deformazioni più salienti della dottrina di Marx sullo Stato e sulla dittatura del proletariato, che riprese dai suoi ultimi discepoli, costituiscono la base di tutto il castello ideologico innalzato dai teorici delle vie democratiche e pacifiche al socialismo.

Come rispose Lenin alle argomentazioni di Kautsky?

Lenin stabilì innanzitutto a chiare lettere questo primo fondamentale punto: chiunque parla di "democrazia" in generale non è altro che un liberale.

Un marxista non dimenticherà mai di porre la domanda: “Per quale classe?”.

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La storia - per Lenin - conosce la democrazia borghese, che prese il posto del feudalesimo, e la democrazia proletaria che prende il posto di quella borghese.

Per i neo-kautskyani, l'idealizzazione e la ricerca della "democrazia pura" porta alla distinzione fra tutta una serie di momenti di sviluppo del proceso "democratico", in cui trova posto come scrive ad esempio il "rinnovatore" Galvano della Volpe:

una democrazia sociale post-borghese che non è più la democrazia puramente politica, borghese storica, ed è certo ben lontana dalla democrazia propria di uno Stato a legalità socialista... ma che ha nondimeno in sè le virtualità di una democrazia socialista... ecc. ecc.

Il che, avrebbe detto Lenin, significa ragionare come un liberale, che sfugge da un concetto esatto classista della democrazia, e...

cerca di parlare di democrazia “presocialista”... con una cicalata assai gradita alla borghesia perchè equivale ad un abbellimento della democrazia borghese e vela la questione della rivoluzione proletaria.

Ma ecco ancora Galvano della Volpe liquidare il Lenin di "Stato e Rivoluzione" come il sostenitore di una...

concezione rivoluzionaria ma non funzionale della democrazia... la quale non può essere un criterio teorico-pratico per chi combatte oggi per la democrazia e il socialismo in paesi capitalistici forti!

E quindi liberarsi "con onore da una “impasse” come quella costituita dalla suddetta concezione" con la nuova enunciazione ideologica secondo cui:

... la democrazia non esce dal quadro della società borghese soltanto con la dittatura del proletariato, ma ne esce già dai limiti storicamente rigorosi del quadro istituzionale borghese allorchè si realizzi una società in cui il criterio dei diritti del lavoro contrasti dinamicamente - tramite riforme di struttura - come criterio dell'ordine sociale il criterio dei diritti della proprietà, e venga così ristorato quel principio dei meriti personali... ecc. ecc.

"Rinascita", settembre 1962

Idealizzati dunque la sostanza e il contenuto della democrazia, non più come forma statale di governo legata al predominio di una classe sull'altra ("la democrazia borghese rimane sempre - e sotto il capitalismo non può non rimanere - strettamente limitata, monca, falsa, ipocrita, un paradiso per i ricchi, una trappola e una frode per gli sfruttati, i poveri" - Lenin), ma come forma politica di governo dello Stato, aperta a possibilità di sviluppo in senso socialista secondo il prevalere di una maggioranza in lotta per la costruzione di una nuova società fondata sui diritti del lavoro (un vero trionfo dell'eclettismo!), è facile notare come nelle argomentazioni dei neo-opportunisti - giusto l'insegnamento del maestro - al rapporto tra sfruttatori e sfruttati venga sostituito il rapporto fra maggioranza e minoranza, "prendendo l'eguaglianza formale (profondamente menzognera e ipocrita in regime capitalista) per uguaglianza effettiva !"

È questo il secondo punto fondamentale sul quale Lenin si soffermò ripetutamente: vi può essere uguaglianza tra sfruttatori e sfruttati? E Lenin rispose:

nello Stato borghese (e quindi nella democrazia che è una delle forme statali) la classe degli sfruttatori esercita il suo dominio sulla classe degli sfruttati. Lo sfruttato non può essere uguale allo sfruttatore.

Ammettere perciò il concetto della conquista pacifica del potere attraverso la democrazia borghese, il passaggio al socialismo nella democrazia borghese spinta magari, secondo i sogni dei social-opportunisti, a forme di democrazia sempre più "purificate", significa ammettere sul piano del più dichiarato idealismo che la società capitalista, lo Stato borghese concedono sia allo sfruttatore che allo sfruttato le stesse possibilità. Significa ammettere cioè una assurdità vera e propria; significa accettare e rivalutare il pensiero di Kautsky, per il quale se...

la democrazia non può eliminare i contrasti di classe nella società capitalistica, nè sopprimere il compito finale e necessario di quelli, cioè l'abbattimento di tale società... può però assicurare un cammino più costante, più tranquillo a questa sua tendenza di sviluppo. Soltanto una massa di “begli spiriti” che fa del socialismo uno sport potrebbe rifiutare questo cosidetto metodo pacifico della lotta di classe, che si limita a mezzi non militari, al parlamentarismo, allo sciopero, alle dimostrazioni, alla stampa e a simili mezzi di pressione...

Che si limita insomma a tutto ciò che può essere controllato e quindi tollerato dalla borghesia; a tutto ciò che può essere accettato da qualunque liberale, al quale fa comodo ammettere anche uno sviluppo progressivo della democrazia, purchè non si faccia accenno al capovolgimento rivoluzionario e violento, della democrazia borghese.

E là dove Lenin irride ripetutamente alla affermazione falsa e assurda sulla possibilità della "conquista pacifica della maggioranza in regime di democrazia, notate questo!, borghese i nuovi Kautsky del P.C.I. assegnano al proletariato la possibilità, in virtù delle particolarità costituzionali ottenute da un "movimento rivoluzionario" del popolo, oltre che dalle nuove possibilità di alleanze con larghi strati di piccola e media borghesia, di intellettuali, di piccoli e medi proprietari contadini, di conquistare la maggioranza in Parlamento e quindi di accedere alla direzione dello Stato borghese, con obbiettivi non solo democratici, ma - bontà loro! - di trasformazione "strutturale" della società.

Ed a questo punto, nulla può più fermare chi ha calpestato e rinnegato ogni pur minima traccia del marxismo, della sua essenza dialettica e rivoluzionaria; ed i discepoli superano lo stesso loro maestro, fino alla...

costruzione di una società nuova alla quale partecipino strati sociali diversi e lontani dal proletariato, diversi partiti politici, ciascuno secondo i propri indirizzi, ideali. A questa impostazione si riconduce tutta una serie di affermazioni di grande interesse politico e teorico: il contenuto diverso e nuovo che potrà assumere lo stesso termine di dittatura proletaria, la soluzione della questione delle garanzie - e cioè che la conquista e la costruzione del socialismo sarà un processo democrato e uno sviluppo della democrazia ecc. ecc.

Abbiamo parlato di "dogmatismo" kautskyano: ebbene, eccolo il dogma del tradimento e del rinnegamento marxista, ritornato alla luce dopo quasi cinquant'anni nella nuova teoria dei "nazional-comunisti"! Lasciamo la parola a Kautsky:

La democrazia e il metodo democratico costituiscono le basi invitabili ed indispensabili per la realizzazione del socialismo. Ma fra la fase della preparazione del socialismo e quella della sua realizzazione vi è una terza fase, quella del passaggio dall'una all'altra: in questa fase la democrazia sarebbe inutile e dannosa? No, perchè il proletariato giungerà al potere soltanto dove rappresenta la maggioranza della popolazione, ed un regime che ha così profonde radici nelle masse non ha alcun motivo di attentare alla democrazia. Esso non potrà sempre fare a meno della violenza, nel caso in cui ne venga fatto uso per reprimere la democrazia. Alla violenza si può rispondere unicamente con la violenza. Ma un regime che sa di avere con sè le masse, farà uso della violenza unicamente per tutelare la democrazia, e non per sopprimerla. Esso commetterebbe un vero suicidio se volesse sopprimere la sua base più sicura, il suffragio universale, fonte profonda di una potente autorità morale.

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La dittatura - conclude Kautsky - non è il necessario risultato di una rivoluzione proletaria, quando il proletariato forma la maggioranza della nazione e questa è organizzata democraticamente... Per dittatura del proletariato non possiamo intendere niente altro che il governo del proletariato su basi democratiche.

E i Kautsky di ieri e quelli, certo più pericolosi e agguerriti, di oggi, hanno concluso così il loro compito più importante: eludere la questione principale e fondamentale connessa al problema della conquista del potere e alla realizzazione dello Stato proletario, cioè la repressione violenta della borghesia, prima, durante e dopo la conquista stessa del potere. Questo è il cardine della teoria e della politica rivoluzionaria del marxismo-leninismo.

E questo è il terzo punto fondamentale sul quale Lenin liquidò per sempre Kautsky ed ogni traditore del marxismo, ristabilendo quella "semplice verità" che l'opportunismo piccolo-borghese e conservatore non potrà mai riconoscere: "La dittatura rivoluzionaria del proletariato è un potere conquistato e sostenuto dalla violenza del proletariato contro la borghesia, un potere non vincolato da nessuna legge".

Ai "democratici" e ai "liberali" d'ogni risma, che costituiscono la clientela più numerosa del social-opportunismo d'ogni tempo, Lenin gettò sul viso l'unica soluzione marxista della "questione delle garanzie". L'abisso che divide i rivoluzionari dai "democratici costruttori del socialismo" comincia proprio da lì.

Voi, sfruttatori e ipocriti, parlate di democrazia mentre a ogni passo frapponete mille ostacoli alla partecipazione delle masse oppresse alla politica. Noi vi prendiamo in parola, e per preparare le masse alla rivoluzione, per rovesciarvi, voi sfruttatori, nell'interesse di queste masse esigiamo l'allargamento della vostra democrazia. E se voi, sfruttatori, farete il minimo tentativo di resistere alla rivoluzione proletaria, vi schiacceremo senza pietà, vi priveremo dei diritti; peggio ancora: vi rifiuteremo il pane, perchè nella nostra repubblica proletaria gli sfruttatori non avranno diritti, saranno privati dell'acqua e del fuoco, perchè noi siamo socialisti sul serio e non dei socialisti alla manera di Scheidemann e di Kautsky.

Davide

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.