Dove sono i comitati di azione

Il dopo Maggio esaminato dai compagni francesi di «Pouvoir ouvrier»

Comitati di base, comitati d'azione di impresa o di quartiere, comitati di studenti-lavoratori, tutti hanno espresso in maggio-giugno uno stesso bisogno fondamentale: liberarsi dalle pastoie delle burocrazie sindacali e politiche, per agire e per comprendere il senso della lotta. Il fatto che questi tentativi di organizzazione autonoma abbiano potuto esistere, che essi abbiano trovato una certo eco a dispetto dell'opposizione dei Sindacati e dei Partiti tradizionali, prova che il movimento di maggio segna ama tappa nella storia del proletariato francese: per la prima volta in Francia, è apparsa in maniera significativa tramite una attività effettiva nel corso di un grande movimento sociale, una tendenza verso l'organizzazione (dalla lotta da parte dei lavoratori stessi e verso gli obiettivi atti a mettere sin causa .le strutture capitalistiche della società.

Ciò che fino ad allora non erano state che «teorie» tacciate di utopia è passato nel dominio della pratica. Ma quel che prende vita nel corso del movimento può essere mantenuto in una fase di riflusso? I comitati di maggio-giugno sono stati una «esperienza acquisita» oppure si è trattato solo di una creazione effimera -destinata a sparire allorchè il movimento ricade? Il significato e il ruolo dei comitati furono compresi in modi differenti dagli stessi partecipanti. Oggi, tutti i militanti cli maggio se lo chiedono. Per alcuni, si tratta di trasformare i comitati, e in particolare i comitati d'azione, in un movimento che miri a ricoprire le funzioni di una organizzazione politica, si tratterebbe del «superamento dei gruppetti». Per altri si tratterebbe di organismi embrionali di duplice potere destinati a trasformarsi in Soviet nel corso di una prossima crisi rivoluzionaria e -che dovrebbero ricoprire, nell'attesa, il ruolo di vivaio di militanti. Vi sono infine coloro che pensano che i C.A. debbano rimpiazzare d'ora in avanti, nella lotta quotidiana, i Sindacati «integrati», e costituire di fatto, poiché fondati sulla democrazia diretta, una sorta cli prefigurazione del Socialismo.

I comitati di maggio si trovano pertanto in una situazione difficile: assai spesso sono semplicemente spariti, altrove i loro membri si sono squagliati rapidamente; nei casi in cui sono rimasti, è soprattutto grazie alla tenacia cli alcuni militanti, organizzati o no, e la loro influenza è ridotta.

Questa situazione era prevedibile. In effetti, i limiti stessi dell'attività dei comitati durante lo sciopero indicavano già non solo che non tutto era possibile in maggio-giugno, ma che, soprattutto, le nuove forme d'organizzazione erano dei tentativi ad opera di una minoranza rivoluzionaria e non organi di lotta - e tanto meno di potere - messi in atto da un movimento di fondo della classe operaia.

Tentativi di organizzazione autonoma in maggio-giugno

Nel corso dello sciopero, i comitati non sano esistiti che in un numero assai limitato di imprese. Quanto ai C.A. d'impresa, creati essenzialmente nel territorio parigino, non sono stati più numerosi e non hanno raggruppato che una esigua minoranza di lavoratori; nell'insieme, esposti all'ostilità dei quadri sindacali, essi non hanno potuto agire che all'esterno delle imprese, spesso grazie all'aiuto dei comitati studenti-lavoratori della Sorbona e di Ceusier o idei C.A. di quartiere.

Per ciò che concerne quest'ultimi, essi hanno talvolta aiutato, o sostenuto, alla esplosione del movimento, alcune imprese in sciopero. Anche se su scala ridotta, i C.A. di quartiere hanno permesso di stabilire quei collegamenti «orizzontali» tra salariati di differenti categorie che le attuali strutture sociali - ivi comprese quelle dei partiti e dei Sindacati - escludono -praticamente e di cui i lavoratori avvertono profondamente il bisogna. A cm certo momento intanto, essi sono diventati dei poli di raggruppamento dei salariati del quartiere. Composti in buona parte da militanti o da ex-militanti, da sindacalisti all'opposizione, hanno soprattutto giocato un molo politico, attaccando attraverso fogli volanti, affissi, slogan nella strada, tanto il governo e i suoi metodi repressivi quanto le burocrazie .sindacali e patiti che; spiegando il senso della lotta studentesca, divulgando talvolta le idee di auto-organizzazione e di autogestione. Sul medesimo terreno politico tuttavia, i C.A. di quartiere non hanno potuto oltrepassare nel migliore dei casi - e la loro stessa natura impediva di superarlo - il livello delle parole d'ordine di carattere generale: per esempio «Il potere ai lavoratori» oppure «Siamo nelle officine; restiamoci».

Infatti, solo le forme di organizzazione e di rappresentanza esistenti nelle imprese - i comitati di sciopero - potevano permettere il controllo del movimento da parte della base, la definizione degli obiettivi e delle modalità della lotta da parte dei lavoratori stessi. Ora, questi organismi hanno subito l'influenza determinante dei meccanismi burocratici. Eletti su proposta dei Sindacati e composti in maggioranza da militanti sindacali - comprendenti, a volte, perfino degli «attivisti sindacali» i comitati di sciopero non hanno potuto agire in modo autonomo in confronto alle «centrali», non hanno mai tentato di organizzarsi, di stabilire in comune - sia pur su scala locale o regionale - una piattaforma di lotta; di esaminare insieme le prospettive che lo sciopero generale apriva. Se essi si sono opposti nell'insieme, sotto la pressione della base, alla capitolazione degli accordi di Grenelle, sono stati incapaci di operare sia pure un tentativo di rottura con le direzioni sindacali nazionali, di porsi di fronte ad esse, al .padronato e al governo, come i soli autentici rappresentanti degli scioperanti.

L'opposizione tra una parte dei lavoratori e gli apparati sindacali anche se si è espressa apertamente a più riprese in maggio-giugno, non è stata sufficientemente forte da permettere la creazione di organismi autonomi di lotta. Questa impotenza relativa non risulta semplicemente, come taluni affermano, dalla mancanza di un partito rivoluzionario. È vero che un tale partito avrebbe potuto giocare un molo enorme nel dare impulso allo sviluppo di forme autonome di organizzazione e di rivendicazioni rivoluzionarie. Ma questa stessa assenza - che non è una caratteristica della Francia - indica chiaramente che la critica che una parte dei lavoratori faceva tanto della società quanto dei Sindacati e dei partiti burocratizzati, era molto sommaria e frammentaria, e che, per conseguenza, il movimento non rappresentava in realtà, che «un esordio», il primo, grande assalto sociale nella nuova fase in cui si è impegnato il capitalismo.

Se forme di organizzazione autonoma non si sono sviluppate in maggio-giugno, ciò vuol dire, di primo acchito, che la politica delle burocrazie sindacali non è stata semplicemente imposta alla classe operaia, ma che una buona parte dei salariati era disposta ad accettarla. Ciò significa quindi che perfino nei punti più caldi della lotta - Flins, Peugeot, Loire-Atlantique, tra le altre - le condizioni non esistevano affinché la combattività si accompagnasse ad una coscienza politica tale che i lavoratori di questi settori potessero giocare - per ciò che concerne le forme di organizzazione e gli obiettivi del movimento - un ruolo di guida di fronte all'insieme della classe operaia.

Certo, lo sciopero cli maggio-giugno, non può essere ridotto alle dimensioni di un movimento di grande ampiezza, come pretendono i Séguy e C. Ma sarebbe inutile negare che i tentativi di organizzazione autonoma dei lavoratori sono rimasti appannaggio di una esigua minoranza.

È vero che partendo da questo si può giungere a conclusioni estremamente differenziate e perfino opposte. Questa questione, effettivamente, serve a certuni (i trotzkisti dell'ex-O.C.I.) da punto d'appoggio per riaffermare le loro posizioni di sempre: non solamente l'inquadramento sindacale è il solo che consente l'organizzazione della massa dei lavoratori necessaria per resistere allo sfruttamento, ma una estensione delle lotte - la «fase montante Rivoluzionaria» - dovrebbe portare con se, presto o tardi, la trasformazione dei Sindacati in organi che agiscono per l'abbattimento del capitalismo. Il compita dei rivoluzionari è dunque quello di conquistare la direzione delle centrali sindacali e di applicare una strategia e una tattica in funzione di questi obiettivi. Si tratta insomma della concezione secondo la quale l'essenziale è già stato detto una volta per tutte: analisi della società, ruolo del partito e del sindacato, definizione del Socialismo, tutto, o quasi, si trova già nelle Tesi e nelle Risoluzioni dei quattro primi congressi dell'Internazionale Comunista, elaborate soprattutto a partire dall'esperienza della Rivoluzione d'Ottobre. In questo caso, perché rompersi la testa su dei comitati d'azione che non erano né dei consigli operai ne dei Soviet? Una tale concezione, tuttavia, non soltanto impedisce di scorgere uno degli aspetti più positivi di maggio - i comitati - ma non permette di comprendere la reale funzione delle organizzazioni sindacali. Ora, senza una corretta analisi di questa funzione, da critica degli apparati sindacali, lo si voglia o no, non può che sboccare in una sterile proposizione. Rimpiazzare i «cattivi» dirigenti con dirigenti «buoni».

Nei paesi avanzati, i Sindacati di massa non hanno mai giocato un ruolo rivoluzionario. Nel mondo attuale, la tendenza alla concentrazione del potere politico ed economico nelle mani dello Stato, pone la burocrazia sindacale nell'obbligo ,di accentuare ulteriormente la sua politica di collaborazione, in quanto lo Stato appare, in ultima istanza, come il solo «interlocutore valido».

A sua volta, la classe dominante riconosce ormai l'interesse vitale di una tale collaborazione, poiché le permette di esercitare un controllo, sia pure indiretto, sul proletariato.

Tuttavia, la tendenza all'integrazione dei Sindacati nello Stato, non è l'integrazione pura e ,semplice. Per svolgere efficacemente il suo ruolo di ingabbiamento, la burocrazia sindacale è costretta ad esprimere in una certa misura le rivendicazioni dei lavoratori. La burocrazia sindacale, se mira ad allargare la sua base nelle istituzioni della società, non può tuttavia attuare una politica identica a quella della borghesia, almeno nei paesi avanzati detti democratici. Certo, la forza dei burocrati dei Sindacati deriva in parte dal fatto che sono riconosciuti di «pubblica utilità» dallo Stato. Ma essa proviene anche e soprattutto dal fatto che essi rappresentano i lavoratori i cui interessi sono opposti a quelli dei capitalisti. È grazie all'esistenza di questa ,opposizione che hanno un ruolo da svolgere. Se non ne tenessero conto, essi non rappresenterebbero più che se stessi.

L'attuale funzione del Sindacato è perciò duplice:

  1. difendere contro il padronato e lo Stato, fino ad un certo punto, gli interessi immediati dei salariati.
  2. difendere la società capitalista, di cui accettano le basi, contro tutte le iniziative operaie che possono metterla in difficoltà.

Tuttavia, i limiti che la politica dirigista e pianificatrice dello Stato praticamente impone alla azione riformista dei Sindacati sono ormai assai angusti. Ogni azione rivendicativa rischia di porre rapidamente problemi politici e, se essa si estende, di trasformarsi in prova di forza. Di fronte alla «avventura», alla «anarchia», che potrebbero farle perdere a volte le sue funzioni rappresentative e il suo posto nella società, la burocrazia sindacale - come maggio ha dimostrato - utilizza allora il congegno dei Sindacati per tentare di spezzare il movimento e isolare gli elementi rivoluzionari,

In queste condizioni è difficile prevedere che l'approfondimento della lotta di classe possa dar luogo a una rigenerazione del Sindacato, alla sua trasformazione in strumento agente per il rovesciamento del capitalismo. L'ipotesi più probabile è che una tale radicalizzazione, per i problemi politici che porrebbe rapidamente, rigetterebbe la burocrazia sindacale nelle braccia dello Stato e che si assisterebbe allora non alla conquista delle centrali da parte del partito rivoluzionario, ma allo scardinamento del Sindacati alla base e alla apparizione di organismi di latta sul tipo dei comitati.

La politica di una organizzazione rivoluzionaria non può, in ogni caso, consistere nel difendere., per principio - in base ad analisi stabilite mezzo secolo prima - questa o quella forma di organizzazione della classe operaia senza tener conto dalle trasformazioni che sono intervenute e rifiutando di vedere la funzione che i Sindacati attuali esercitano realmente. La sua politica deve viceversa mettere in luce queste trasformazioni e aiutare lo sviluppo di tutte le iniziative che, indebolendo l'egemonia degli apparati sindacali, possono permettere alle lotte di approfondirsi e alla coscienza dei lavoratori di progredire.

Questo non significa evidentemente che noi preconizziamo di abbandonare i Sindacati e di rimpiazzarli allo stato attuale tramite dei comitati il cui carattere rappresentativo sarebbe puramente immaginario. Non è sufficiente tacciare i Sindacati di «poliziotti del capitale» ,perché l'«ostacolo» sparisca e la potenza rivoluzionaria del proletariato spieghi le vele e spazzi via la società borghese. Le centrali sindacali non si compongono unicamente di burocrati. I tre milioni di lavoratori attualmente iscritti al sindacato in Francia, perché vi hanno aderito? Perché sono particolarmente arretrati? In questo caso come si spiega che i più arretrati provino il bisogno di organizzarsi - cosa a cui nessuno li obbliga - mentre gli altri, supposti meno arretrati, non lo fanno? Oppure allora bisognerà concludere che la spontaneità basta a risolvere tutto e che la coscienza di classe si manifesta correttamente attraverso la non-organizzazione?

La burocrazia sindacale ha fatto abortire l'ondata di sciopero di maggio-giugno. Ciononostante, centinaia di migliaia di lavoratori hanno aderito per la prima volta a un Sindacato, e tra essi un gran numero di giovani.

Quella che gli «spontaneisti» non arrivano a capire è che la classe operaia ha bisogno di una organizzazione di massa permanente per difendersi ogni giorno. Finché essi non sono realmente integrati nello Stato - e questo non è il caso della Francia - i Sindacati appaiono alla maggior parte dei salariati come degli organismi in grado di assicurare bene o male questa difesa quotidiana.

Poiché essi non sono composti solamente di burocrati, i Sindacati si trovano subordinati alla pressione dei lavoratori ed alla base sono permeabili alle idee rivoluzionarie. I lavoratori iscritti al Sindacato, ivi compresi i delegati, annoverano spesso, se non sempre, elementi tra i più attivi e coscienti. Ora, noi tutti sappiamo che in maggio e giugno, nella maggioranza delle sezioni sindacali - ivi comprese quelle della C.G.T. - la politica delle direzioni confederali è stata severamente giudicata da numerosi iscritti, e tra essi persone che erano state fino ad allora «in linea». Questo malcontento non è scomparso in seguito. I giovani aderenti in particolare, se non giungono ancora a fare una critica globale della direzione, cercano nondimeno le vie che consentano di condurre efficacemente una lotta di classe.

Comitati d'azione d'impresa

È sulla base di queste constatazioni che dovrebbe essere esaminato il rafforzamento e l'estensione dei C.A. d'impresa.

I C.A. d'impresa potevano effettivamente giocare un ruolo enorme per far progredire la coscienza e il livello delle lotte.

Riuniti all'inizio i militanti dei gruppi rivoluzionari, i sindacalisti all'opposizione, i giovani lavoratori che avevano partecipato attivamente allo sciopero di maggio-giugno, essi raggruppano insomma tutti coloro che, disapprovando l'orientamento delle direzioni sindacali, cercano come condurre un combattimento di classe.

I C.A. d'impresa devono sforzarsi di stimolare la creazione di forme di organizzazione di massa democratiche al di là dei limiti angusti dell'inquadramento sindacale. Ma essi non possono in alcun caso porsi come organizzazione rivale dei Sindacati. In effetti, la loro attività dovrebbe essere orientata in modo tale da assicurarsi la partecipazione dei militanti sindacali e degli stessi attivisti sindacali, cosa che del resto avviene già attualmente in certe officine (alla Renault, per esempio).

Comitati d'azione di quartiere o di località

I C.A. di quartiere o di località (in provincia, soprattutto comitati studenti. lavoratori) non possono svolgere attualmente la stessa attività della primavera scorsa. La diffusione dei bollettini, gli affissi, gli slogan, ecc. non possono dare dei risultati se non nella misura in cui il C.A. di quartiere ha egli stesso una propria esistenza, vale a dire nella misura in cui coloro che ne fanno parte vi militano poiché hanno compreso realmente il ruolo che può svolgere. I C.A. di quartiere possono diventare in effetti, il luogo d'incontro dei militanti organizzati e no, facilitare il collegamento tra lavoratori manuali e intellettuali, fra studenti e operai. Essi avrebbero così una funzione di «togliere delle barriere» estremamente importante in quanto corrisponde a cm bisogno reale. L'attività dei C.A. di quartiere dovrebbe svilupparsi in più direzioni: collegamenti con le imprese del quartiere, aiuto ai lavoratori in lotta sotto forma di collette, bollettini, affissi, ecc.; denuncia delle repressioni nelle imprese e nelle amministrazioni; organizzazione di azioni politiche su punti precisi della politica governativa (formazione professionale, disoccupazione, educazione, abitazioni, tempo libero); solidarizzare con le lotte dei lavoratori e degli studenti di altri Paesi. Tramite l'organizzazione di circoli di formazione, di dibattiti, di riunioni, i C.A. di quartiere sarebbero al tempo stesso centri di formazione politica, di confronto, di scambio di informazioni.

I C.A. di quartiere dovrebbero cercare di divenire nello stesso tempo i luoghi in cui si stabilirebbe il legame fra i differenti comitati in funzione nel quartiere, per esempio: C.A. d'impresa, C.A. liceali, C.A. studenteschi, comitati di insegnamento tecnico, ecc.

Bisogna trasformare i C.A. in una organizzazione politica di più?

Parecchi militanti di maggio sentono il bisogno di approfondire i problemi della lotta per il Socialismo e di agire in un ambito organizzativo più coerente. Al tempo stesso, di fronte al mosaico di gruppi rivoluzionari, sono restii a impegnarsi nel. l'uno o nell'altro.

È così che alcuni compagni vedono nei C.A. l'ambito organizzativo che permetterebbe giustamente di «superare i gruppetti». Essi propongono dunque a loro volta una migliore strutturazione dei C.A. e l'elaborazione di una piattaforma politica. Vi è M ciò incontestabilmente l'idea, più o meno esplicita, che un «movimento di C.A.» costituito sulla base di tale piattaforma sarebbe il sostituto del partito rivoluzionario che manca, e che questo «Movimento» potrebbe da adesso o a breve scadenza «organizzare la lotta delle masse».

Se il bisogno di approfondire i problemi della lotta per il Socialismo, di superare lo stadio dei «gruppetti» è senz'altro positivo, la via indicata non può, secondo noi, condurre alla realizzazione di questi obbiettivi.

L'atomizzazione dell'avanguardia non è, in sostanza, il risultato del famoso settarismo dei gruppi attuali. Essa è soprattutto la conseguenza dei lunghi anni di immobilismo del proletariato sul terreno politico, della crisi del movimento operaio internazionale. Le condizioni in grado di permettere una presa di coscienza rivoluzionaria, la ricostruzione di una avanguardia organizzata in partito, appaiono di nuovo nel mondo moderno e il contenuto stesso di questa coscienza tende ad essere più vasto e più profondo.

Ma la formazione di questa organizzazione di avanguardia non può essere accelerata dalla sola volontà dei militanti. Essa dipende, innanzitutto, dall'intensificazione della lotta delle classi, ma essa è anche strettamente legata alla capacità dei gruppi e dei militanti di imparare dai lavoratori quali rivendicazioni, quali forme di lotta e di organizzazione costituiscono la risposta ai sistemi di sfruttamento e di oppressione moderni. Essa è ugualmente condizionata dallo sviluppo della critica ai regimi burocratici e dalla definizione dei contenuti del Socialismo, dall'approfondimento dell'elaborazione teorica tendente a mettere in luce le contraddizioni del mondo capitalista e burocratico e ad edificare la prospettiva rivoluzionaria.

Evidentemente, i compiti dei C.A. che abbiamo tentato di definire non costituiscono un programma di azione senza rapporto col processo di formazione di un partito rivoluzionario. Ma l'eterogeneità politica dei C.A. è essa pure una evidenza e ci sembra che, per la loro stessa natura, non possa essere altrimenti. Contatti tra i differenti C.A., riunioni di informazione e di discussione su scala locale e regionale dapprima, nazionale in seguito, sono certamente utili e necessari. A condizione comunque di scartare a priori ogni progetto di omogeneizzazione politica, perché attualmente non potrebbe sboccare che nello scardinamento dei comitati. Nella fase attuale i C.A. non possono vivere e rinforzarsi che nella misura in cui agiscono in maniera autonoma sforzandosi di esprimere soprattutto, quali che siano le loro carenze, i bisogni che i lavoratori e i militanti «di base» avvertono e si pongono.

Sembra in ogni modo escluso che le differenti organizzazioni rivoluzionarie accettino attualmente di «fondersi» in un «Movimento di C.A.» In queste condizioni la costituzione di un tale Movimento si ricondurrebbe praticamente a quella di una organizzazione politica in più, risultato come minimo irrisorio.

I C.A. non sono stati, non sono e non diventeranno né dei consigli operai né dei Soviet. Non figurando nell'arsenale delle armi classiche del proletariato descritte dai grandi rivoluzionari del passato è molto probabile che gli attuali gruppi rivoluzionari attuali non ne comprendano la necessità oppure, comprendendola apparentemente, essi considerino questi organismi soprattutto come vivai di futuri adepti, in altre parole come luoghi di pesca alla... linea. Se tale è il caso, ciò dimostrerebbe che essi non hanno appreso molto dal maggio '68 e porterebbero la responsabilità di aver soffocato, almeno per ora, lo sviluppo di uno degli strumenti più efficaci, nella fase attuale, per far progredire la coscienza ed elevare il livello delle lotte.

Da «Pouvoir Ouvrier» n. 94

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.