Gli ultimi sviluppi dei sindacati e le nostre posizioni conseguenti

Sindacati e partito

L'aspetto fondamentale dei sindacati oggi, sul quale va focalizzata l'analisi politica, è quello di essere compartecipi al potere economico dello Stato.

Nella Piattaforma del partito del 1945 (il primo programma del partito nell'incandescente dopoguerra) si legge:

Deve essere combattuto il criterio, oramai comune alla politica sindacale sia fascista che democratica, di attrarre il sindacato operaio tra gli organismi statali, sotto le varie forme del suo disciplinamento con impalcature giuridiche. (1)

Naturalmente all'epoca in cui fu redatto il documento il partito aspirava...

alla ricostruzione della Confederazione sindacale unitaria, autonoma dalla direzione di Uffici di Stato, agente coi metodi della lotta di classe e dell'azione diretta contro il padronato, dalle singole rivendicazioni locali di categoria a quelle generali di classe. (2)

Sullo stesso documento, più oltre, si legge:

La soluzione data in Italia alla formazione della centrale sindacale con un compromesso non già fra tre partiti proletari di massa, che non esistono, ma fra tre gruppi di gerarchie di cricche extraproletarie pretendenti alla successione del regime fascista, va combattuta incitando i lavoratori a rovesciare tale opportunistica impalcatura di controrivoluzioni di professione. (3)

Questi erano i nostri programmi immediati in una situazione caratterizzata dal fuoco della lotta antifascista appena finita, quando tutto era ancora in giuoco. Si trattava allora di ricostruire il sindacato e gli internazionalisti lottavano perché fosse ricostruito su basi classiche. I risultati della lotta non erano affatto scontati. Si usciva allora dal periodo più acceso della Resistenza e i partiti del CLN, dato il loro unanime schieramento sul fronte della guerra nell'ala “democratica”, con il conseguente appoggio politico ed economico delle potenze vittoriose del conflitto, ne uscivano rafforzati.

Dall'esame dei documenti, inquadrato nella situazione storica in cui essi erano di guida all'azione del partito, risulta che era chiaro in noi il fatto che, nel caso di una nostra sconfitta, i sindacati, sotto l'influenza dei partiti della esarchia, sarebbero stati ricostruiti come organismi di conciliazione fra proletariato e borghesia e che lo sviluppo dello stesso capitalismo su un piano di progressivo accentramento avrebbe presto posto il problema di un loro inserimento nella amministrazione economica quali veri e propri organi di Stato, garanti di pace sociale. In tal caso era chiaro che la direttiva della costruzione del “sindacato di classe” avrebbe perso ogni validità rivoluzionaria.

Quando il sindacato viene disciplinato con impalcature giuridiche e si avvia ad essere un vero e proprio organismo statale, non solo si attua uno degli aspetti programmatici del fascismo su un piano sociale (il corporativismo) - e questo vada ai cantori delle beltà antifasciste della fase democratica - ma ogni altro sindacato si rende impossibile. Il sindacato infatti deve trattare con i padroni, quando non direttamente con lo Stato, ed essi trattano solo con i sindacati legalmente riconosciuti. I sindacati inoltre, in quanto forza economica, hanno mezzi e capacità per tenere avvinghiata a sé la massa dei proletari, il che è punto di forza del padrone per rifiutare lo scontro con un ipotetico sindacato di classe minoritario.

D'altro canto, quando il sindacato democratico perderà l'influenza sulla maggioranza del proletariato non sarà il momento per pensare a ricostruirne uno nuovo, perché significherà che le contraddizioni del capitalismo sono giunte al momento di rottura e ben altri problemi si porranno ai rivoluzionari. Il sindacato, proprio perché è una forza economica integrata al potere economico dello Stato, dispone di un apparato burocratico enorme, gerarchizzato al massimo e tale da non consentire impennate a sinistra e tanto meno la conquista democratico-elettorale di posti di comando da parte dei rivoluzionari. E non mancano episodi significativi a comprovarlo (l'espulsione dei compagni di Roma che avevano conquistato la maggioranza nelle elezioni di C.I. dei ferrovieri della Stazione Termini, è un esempio).

Unificazione ed autonomia dei sindacati e stato capistalista

La manovra di ampio respiro attualmente in atto in tutte le manifestazioni della vita politica del paese, avvalora la nostra tesi. Dissidi profondi di natura politica (una politica tutta impostata sul piano del dominio imperialista) avevano portato alla suddivisione delle correnti sindacali nei diversi schieramenti del fronte imperialista (e per ciò stesso antiproletario). Le diverse Confederazioni si sono così trovate per un certo periodo in concorrenza, quando non in lotta aperta tra di loro. Ma tutto ciò ha caratterizzato una fase ben definita, ma già nel periodo in cui era in atto, ne prevedevamo la fine e i termini nella quale sarebbe finita. Già allora noi affermavamo che le esigenze dello Stato capitalista, in via di accentrare su di sé i nodi vitali dell'economia italiana sì da esserne gerente ed arbitro determinante, avrebbero posto il problema di una riunificazione dei sindacati in un unico organismo agli ordini dei supremi interessi dell'economia nazionale. In cambio si sarebbe concessa loro una larga fetta di potere nella gestione di quella economia stessa. Gli eventi hanno confermato la nostra previsione. Tutti i sindacati rivendicano la propria autonomia dandoci modo di assistere alla farsa di un... Novella che rinuncia all'incarico di membro dell'Ufficio politico del PCI. Contemporaneamente i partiti parlamentari, indistintamente, applaudono e incoraggiano i sindacati, consci come sono della necessità di una loro tempestiva “responsabilizzazione” nel garantire pace a questa nostra economia stracciona. Gli stessi partiti intanto vivono il periodo di crisi che prelude alla alternativa fra profonda crisi politica o “allargamento della maggioranza” (leggi inserimento più o meno diretto del PCI nelle responsabilità governative). Ora, è in questo contesto che si deve valutare il sindacato e da un simile quadro non può risultare che una cosa: quando il sindacato entrerà in crisi sarà lo Stato a risentirne per primo i tragici effetti, lo Stato dei padroni (potere politico) e lo Stato Padrone (potere economico) del capitalismo.

“L'aspetto operaio” dei sindacati

I sindacati poggiano la loro “forza contrattuale con lo Stato dei padroni” sul fatto che racchiudono nel loro seno la maggioranza del proletariato, non solo, ma la parte più attiva di esso, anche se non mancano coloro i quali preferiscono non aderirvi, perché non ne accettano la politica riformista e corporativa. Ed è questa massa operaia che ci interessa poiché sulla sua esistenza poggia la ragion d'essere del marxismo rivoluzionario, perché in essa è la forza d'urto della Rivoluzione e infine perché ad essa deve rimanere saldamente ancorato il partito di classe. Con tale massa il partito della rivoluzione deve mantenere i più stretti legami politici ed organizzativi che la situazione consente. Da questa realtà nasce il problema del lavoro di critica e di organizzazione politica all'interno (e all'esterno) dei sindacati. Qualche ingenuo potrebbe operare la stupida analogia fra entrismo in un partito politico (quale quello tristemente noto dei trotzkisti nel PCI) e lavoro all'interno dei sindacati. Le due cose avrebbero a che fare se il lavoro nei sindacati fosse inteso a cambiarne l'indirizzo, a farli diventare, cioè, sindacati di classe (come pretendono i “programmisti”). Ma per noi è ben diverso: non pretendiamo di convertire i Novella, i Lama etc. ad una politica di classe e rivoluzionaria, né tanto meno vogliamo conquistare la dirigenza dei sindacati, perché abbiamo visto che è impossibile, se si vuol mantenere la propria fedeltà alla ideologia e alla prassi rivoluzionaria. Il problema sta invece nell'operare alla loro base e cioè fra le masse operaie, per salvaguardare e rafforzare una linea politica di classe, per saldare ad essa i quadri migliori del proletariato, per fare di essa la guida politica della classe operaia e minare così le sbarre che racchiudono il proletariato nella gabbia riformista e corporativa dei sindacati. Non a caso uso il termine “minare”: intendo con ciò porre al loro posto i detonatori della futura esplosione rivoluzionaria. Non è pensabile una rivoluzione proletaria senza un partito che abbia saputo in precedenza porre le basi per una azione tesa ad indirizzare nel giusto verso rivoluzionario l'esplosione insurrezionale. Senza ciò il colpo farebbe cilecca, una tragica cilecca.

Il problema è unico: politico e sindacale

Tutto quanto precede significa necessità di un lavoro politico all'interno dei sindacati. Non ha quindi nessun senso, su un piano rivoluzionario, una critica, per quanto serrata, al sindacato su un piano puramente... sindacale. Non ha senso, voglio dire, gridare al tradimento dei sindacati e contrapporre - come fanno taluni furbastri del tipo Avanguardia Operaia, o avventurieri come certi sedicenti internazionalisti - richieste più spinte e fraseologie più rosse di quelle dei sindacati. Essendo dato per acquisito ad un marxista che l'agitazione sindacale in sé è destinata a finire quando si siano raggiunti gli obiettivi rivendicativi, non si farebbe altro che copiare in senso demagogico il lavoro dei sindacati incorrendo nel loro stesso destino: di essere obiettivamente controrivoluzionari. Non siamo quindi per un lavoro sindacale fine a se stesso, che cioè non vada oltre le ragioni immediate della lotta rivendicativa.

D'altronde non siamo per il “politicismo” isolato. Non siamo cioè per l'assurdo rifiuto delle lotte sindacali a favore di una esclusiva propaganda “politica” che rimanga astrattamente legata all' “aspetto intellettuale del marxismo” (usiamo le virgolette perché già riconoscere un aspetto intellettuale del marxismo significa snaturarne la validità stessa).

Non ha alcun senso il rifiutare l'interessamento ai problemi sindacali e alla lotta quotidiana del proletariato, per rifugiarsi su alte e ridicole torri d'avorio di “pura” elaborazione politica e lancio di parole d'ordine politiche generali ed astratte.

Così facendo verrebbe a mancare qualunque possibilità concreta di legame con la classe operaia e ciò sarebbe contrario al processo di consolidamento del partito di classe. Concretamente non è ragionevole pensare ad un lavoro di propaganda politica e al lancio di parole d'ordine di carattere generale (quale “lotta al riformismo e all'imperialismo” e “Rivoluzione proletaria internazionale”) se non si dà alle masse operaie la possibilità di capirle attraverso l'esperienza della lotta quotidiana elevando i temi di questa lotta dal piano puramente rivendicativo e corporativo al piano di classe. I riformisti e i servi dell'imperialismo di ogni tipo non fanno altro che separare ad arte le rivendicazioni sindacali dai temi politici generali. Alle une si pensa quando i sindacati dichiarano lo sciopero, alle altre ogni cinque anni, quando c'è da votare, oppure quando c'è da scendere in piazza a gridare “HO CI MIN” o “Basta col centro sinistra; vogliamo il PCI!”. Per i rivoluzionari internazionalisti si tratta invece di far proprie le lotte rivendicative e parziali del proletariato operando per elevarne l'istinto di lotta su un piano di coscienza politica di classe. Il problema sta tutto qui ed è nel modo in cui lo imposta che la Sinistra Comunista Italiana si differenzia da tutte le correnti più o meno opportuniste.

Per gli internazionalisti, dunque, il problema è unico: sindacale e politico insieme. La risoluzione di esso sul piano della prassi politica e della concretezza organizzativa il partito l'ha indicata nella creazione dei Gruppi Sindacali Comunisti Internazionalisti.

I comunisti internazionalisti sono il nucleo fondamentale del gruppo sindacale che irradia la sua attività attraverso una rete di operai simpatizzanti che solidarizzano con le parole d'ordine del partito e creano attorno a loro una zona di influenza politica tra gli operai, indispensabile per l'esercizio di una costante attività di persuasione, di critica e di sprone tanto nella fase preparatoria della lotta rivendicativa che nella partecipazione attiva a quella lotta, dimostrando fattivamente che le lotte stesse avranno efficacia per il proletariato se saranno condotte con metodo ed obiettivi di classe. (4)

Come si vede si impegnano i militanti a rimanere sempre in prima fila nelle lotte sindacali perché solo così è possibile acquisire la fiducia dei lavoratori, necessaria alla conduzione di una critica serrata alla politica del sindacato. Tale critica, quando accolta dai proletari, sarà la base per la persuasione degli stessi proletari della dirittura di classe della linea politica più generale del partito.

L'impostazione dell'attività del partito di classe è sempre di natura dialettica. Il partito concretizza le esperienze teoriche e politiche di tutta la classe operaia; è la somma di tutte le esperienze del proletariato, positive e negative. Di tale somma di esperienze, di tale dottrina generale, il partito e i suoi quadri si servono per esaminare tutti i problemi del proletariato, anche i più particolari; e per trovare la soluzione più positiva per la classe lavoratrice. Anche l'azione “minima” del quadro politico di fabbrica sul piano della lotta rivendicativa sarà quindi illuminata dalla dottrina e dalla metodologia marxista e leninista, perché da quella “minima” azione il militante comunista si servirà per operare sulla massa operaia di cui è parte, nel senso di elevarne la coscienza fino all'acquisizione delle indicazioni politiche generali che sono parte integrante della dottrina del partito di classe. Risulta ora evidente la funzione insostituibile del gruppo sindacale, quale mezzo di collegamento fra il partito e la classe. Volendo usare un termine anatomico i gruppi sindacali devono essere il sistema nervoso nel corpo dell'organismo rivoluzionario, i mezzi di cui la testa (il partito) si servirà per coordinare i movimenti del resto del corpo (le masse proletarie).

Non vedere questo significa non vedere il rapporto dialettico fra partito e massa. Significa cadere nell'operaismo da una parte, o nel blanquismo dall'altra. I bordighisti commettono invece un altro errore: essi continuano a vedere il rapporto partito-classe mediato dai sindacati tradizionali. Giudicano cioè possibile “strumentalizzare” il sindacato come veicolo delle parole d'ordine rivoluzionarie emananti dal partito. Non si sono accorti che la struttura elefantiaca e la politica attuale dei sindacati, prodotto di tutta una evoluzione precedente che andava seguita in modo critico nei suoi sviluppi, non permettono una loro utilizzazione nel senso voluto dai programmisti, ma schiacciano invece qualunque iniziativa che non curasse nel momento stesso in cui opera la critica, l'organizzazione autonoma dei rivoluzionari. Non è raro il caso che i compagni di “Programma” operino una loro critica, anche severa, all'interno e nei confronti del sindacato, ma non hanno alcuna possibilità di successo, né in loro favore né in favore di una linea rivoluzionaria, perché non si preoccupano di organizzare i proletari coscienti in organismi autonomi dalla politica sindacale, che impostino la loro critica e agiscano di conseguenza all'interno come all'esterno dei sindacati. La loro azione serve così solo a gettare confusione con il lancio di parole d'ordine del tipo “sindacato rosso”, “conquista del sindacato”, sviando così quelle forze proletarie sulle quali operano dalla visione reale del problema e dalla sua soluzione in senso rivoluzionario. I programmisti così facendo, non fanno altro che ritardare il tempo del coagulo fra le forze rivoluzionarie.

Mauro Jr.

(1) Piattaforma politica del P.C. Int., pag. 8.

(2) Piattaforma politica del P.C. Int., pag. 8.

(3)Piattaforma politica del P.C. Int., pag. 9.

(4) Piattaforma politica del P.C. Int., pag. 9.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.