Convogliare le agitazioni operaie sul terreno della lotta rivoluzionaria

Fino a quando gli operai credono in questo o quel sindacato o nei vari partiti di massa che ne sono i monopolizzatori (un dato obiettivo questo che è espresso dalla situazione generale di deflusso del moto operaio), pensare alla costruzione del sindacato rivoluzionario è lo stesso che acchiappar nuvole; e in queste condizioni la stessa parola d’ordine della distruzione del sindacato è semplicemente una presa di posizione polemica che non va oltre i consueti motivi di propaganda.

Così ci pronunciavamo su Battaglia comunista fin dal 1948, mettendo sotto accusa due astrazioni simmetriche: la prima, di cui sarebbe diventato vessillifero il bordighismo deteriore; la seconda agitata dai Consigliaristi. Tutte e due, comunque, espresse da un’unica matrice di incapacità analitica.

Spetta anzitutto alla crisi insanabile che va spezzando le reni al capitalismo decadente il compito di maturare i motivi che sono alla base della lenta trasformazione della coscienza collettiva delle masse in senso antimperialista. È questa la condizione fondamentale da cui scaturirà la spinta verso la creazione di nuovi organismi di massa atti ad assolvere il compito storico di portare sul piano d’azione del partito di classe e dell’attacco rivoluzionario tutte le forze del lavoro.

Battaglia comunista - 1948

La condizione perché le agitazioni spontanee possano essere convogliate e potenziate sul terreno della lotta rivoluzionaria, è una sola: alla loro direzione dovrà porsi un organismo con forze operaie d’avanguardia, stimolate e guidate dal partito di classe, presenti e operanti nelle fabbriche e nel territorio. La loro azione capillare permetterà alla classe di uscire dallo stallo corporativo-rivendicativo in cui ogni politica sindacale la costringe, e verso la quale sarà in caso contrario destinata a rifluire ogni spinta spontanea isolata.

In una parola:

Dobbiamo fare in modo che la massa operaia non solo ponga rivendicazioni “concrete”, ma che generi dei rivoluzionari professionali sempre più numerosi.

Lenin

Il coagulo della classe attorno al programma rivoluzionario costituirà la condizione fondamentale non solo perché essa ponga una netta linea di demarcazione fra i suoi interessi autonomi e l’aberrante interclassismo che la circonda, ma perché denunci come parimenti nefasto il ruolo di coloro che dietro manovre alla “sinistra sindacale” o alla “democrazia di base”, altro non fanno che mistificare la natura capitalista del sindacato.

Nessuno, a eccezione degli Internazionalisti di Battaglia comunista e di Prometeo, si è mai mosso nella costante preoccupazione di puntualizzare il ruolo storico del sindacato. Nessuno, a eccezione del P.C. Internazionalista, è stato in grado di trarne le conclusioni, proprio per derivarne una strategia e tattica conseguente alle finalità della lotta per il comunismo.

La strada che conduce alla Rivoluzione comunista è lunga e faticosa; solo chi non si stanca di percorrerla nella più assoluta intransigenza - cioè senza nulla concedere all’avversario - può arrivare a capo. Solo chi capisce che questa strada deve essere apertamente seguita può far sì che l’intervento del partito di classe dia un contenuto fermamente rivoluzionario a ogni impulso proletario, destinato altrimenti a rimanere una vuota astrazione.

Anche se il procedere contro corrente può signicare momentaneamente l’isolamento, nel clima di deflusso ancora dominante, si tratta di una condizione necessaria per il perseguimento di un reale e concreto indirizzo autonomo di classe.

Un esempio di mistificazione dell’unità sul terreno economico

I comunisti operano là dove sono presenti i proletari in quanto si considerano - e come tali si organizzano - la forza teorico-politica di classe indispensabile a dare consapevolezza e a spronare il proletariato stesso verso gli obiettivi del comunismo.

Questi sono i “limiti” del nostro lavoro. E lo sono nei confronti del fatto, persino ovvio, che in tutte le sovrastrutture presenti nel capitalismo (politiche, sociali e sindacali) vi è “lievitazione di ideologie, di interessi e di forze miranti al rafforzamento del sistema”. Nella questione in esame, i limiti sono

tra ciò che nel sindacato deve essere elevato sul piano dell’azione e della comprensione di classe e ciò che, anche se contro i propri interessi, gravita verso il polo opposto. Dobbiamo dire chiaro e tondo che le masse operaie e le loro lotte servono alla classe operaia nel suo insieme e al partito della rivoluzione; che l’azione sindacale è uno degli strumenti operanti a questo fine e non è, né può essere, fine a se stessa: qui passa la linea di demarcazione tra l’azione sindacale burocraticamente intesa e l’azione sindacale di classe che ha la coscienza degli obiettivi storici della rivoluzione socialista.

Da i Sindacati integrati al sistema, Battaglia comunista, n. 3 - 1968

Non si fa lotta economico-sindacale a prescindere dalla lotta politica nel suo insieme. Fuori da un contesto politico rivoluzionario, si cade nel riformismo e nell’opportunismo, dando spazio ai tentativi di mediazione tra interessi in una insanabile contrapposizione. Interessi che, per essere innanzitutto economici, implicano una diversa e contrastante caratterizzazione, sia ideologica che politica.

Le lotte economiche degli operai sono certamente un fenomeno oggettivo; manifestano, esternamente ai processi della produzione e distribuzione capitalistica, la conflittualità sociale del rapporto esistente tra Capitale e Lavoro. Ma i risultati generali di questa lotta dipendono sempre dall’azione politica che la classe operaia da una parte e quella borghese dall’altra sono in grado di sviluppare. Questo è uno dei fondamentali insegnamenti di Lenin. In questa realtà, il sindacato, qualunque esso sia, contrattando il prezzo e le condizioni di erogazione della forza-lavoro, rimane prigioniero dei rapporti economici e sociali dominanti. A sua volta diviene una gabbia per i veri interessi della classe operaia.

Da tutto ciò - cioè di fronte al controllo e alla strumentalizzazione delle agitazioni e rivendicazioni sindacali - si deduce esattamente il contrario di quanto sostengono, quale esempio-limite, gli adepti di uno dei gruppi di “sinistra” maggiormente impegnato in una linea di sostanziale collaborazione sindacale: Lotta Comunista. Questo gruppo ripropone ed esalta “l’esigenza primaria per il partito [in questo caso la loro setta autocratica - ndr] di partecipare al processo reale di contrattazione e organizzazione della classe”, all’interno delle strutture ufficiali del sindacato. Nelle stesso tempo reclama, sempre dal medesimo partito-setta, la sua “presenza ancor più costante, accanita, abile contro la direzione borghese all’interno delle organizzazioni economiche del proletariato”, ovvero sempre nei sindacati. (Da Lotta Comunista, aprile 1993)

Questa “unità sul terreno economico” (con “gli operai che spesso hanno torto” e con le Direzioni sindacali che sono “collaborazioniste, corrotte e controrivoluzionarie” - come poi aggiunge il citato giornale) lascia a dir poco perplessi. Vengono allora scomodate superiori “ragioni scientifiche e strategiche” estraendo dal solito cilindro i furbeschi giochini di una “dialettica rivoluzionaria” (unità economica + contraddizioni materiali insanabili = scontro e scissione politica). Ma questi appoggi pratici alle coalizioni del più vieto sindacalismo di regime non producono altro, nella loro sintesi reale e non astratta, che confuse e opportunistiche posizioni e linee politiche.

Lotta economica e lotta politica

L'errata impostazione politica, che deriva dal principio dell'unità sul terreno economico con le strutture sindacali dominanti, converge verso una strategia che ha il suo cardine principale nell’azione sindacale, nelle lotte mediante scioperi.

La lotta per il salario diventa il fondamento della lotta rivoluzionaria...leninista, per la conquista del potere. Metterebbe cioè in crisi l’apparato statale borghese, disorganizzandolo e rendendolo inefficiente. A difesa di una tale tesi viene citato Marx, il quale negli anni 1860/70 difendeva “il sindacato di mestiere in cui il proletariato si addestra”. Ma questa “lettura della lezione marxista” trascura un piccolo particolare storico: i sindacati di cui parlava Marx erano quelle Trade Unions che - all’epoca - compivano “un buon lavoro come centri di resistenza contro gli attacchi del capitale”; e se in parte si mostravano inefficaci, lo erano solo per “un impiego irrazionale della loro forza”. (Marx)

Oggi, in piena epoca imperialistica, come si comportano i nostri novelli “leninisti”? Respingendo - così dichiarano sul loro organo ufficiale:

programmi sindacali illogici, e scioperi proclamati senza seguito, al solo scopo di riaffermare la propria esistenza e di risvegliare le masse addormentate.

E dalla constatazione dei “margini d’azione” offerti dal sindacato, dovrebbe risultare una automatica “crescita materialistica della coscienza”, nell’attesa che l’indagine scientifica del capitalismo permetta di conoscere quali siano “le cose credibili da rivendicare e le cose ottenibili secondo la stessa logica del capitalismo”. (Lotta Comunista, maggio 1994). Ovvero convalidando nella forma e nella sostanza la stessa politica fin qui egregiamente condotta dai sindacati italiani ed europei.

Chi sostiene, a giustificazione del proprio accodarsi al movimento sindacale ufficiale, che la lotta politica segue sempre la lotta economica degli operai, commette però un pericoloso errore.

Vi è politica e politica: è ovvio che noi intendiamo una politica di classe, rivoluzionaria, e non una politica borghese, alla quale la lotta economica degli operai è quasi sempre legata (a scanso di equivoci, non stiamo inventando nulla di nuovo, bensì ripetiamo quello che i marxisti, Lenin in testa, hanno sempre sostenuto).

La lotta economica porta gli operai verso una politica tradunionista, vale a dire

l’aspirazione generale di tutti gli operai a ottenere dallo Stato misure dirette contro i malanni propri della loro condizione, ma mom ancora idonee a sopprimere questa condizione, cioè a distruggere la sottomissione del lavoro al capitale.

Lenin

Lo Stato, dunque, come mediatore dei contrasti di classe; in altri termini, gli operai restano imprigionati fra le spire della ideologia borghese e dei rapporti di produzione capitalistici.

Il movimento operaio spontaneo è tradunionista, è lotta esclusivamente sindacale, e tradunionismo significa appunto asservimento ideologico degli operai da parte della borghesia.

Lenin

Il tradunionismo è la tendenza spontanea del movimento operaio; alle rivendicazioni e alle aspirazioni politiche che crescono fra gli operai deve quindi essere contrapposta la politica rivoluzionaria elaborata in modo autonomo dal Partito di classe. La famosa coscienza politica rivoluzionaria - lo ripetiamo - non cresce spontaneamente fra i lavoratori, nelle lore stesse esperienze di lotta. Per spostare il movimento operaio verso il comunismo rivoluzionario occorre la presenza operante del Partito e l’esistenza di un programma e di una strategia di classe. Il lavoro teorico, politico e organizzativo è indispensabile per portare le parti più avanzate del proletariato ad accettare la guida di un piano tattico-strategico rigorosamente applicato.

La clase non puo quindi da sola - come sostengono ancora i “leninisti” di Lotta Comunista - “stabilire scientificamente il proprio comportamento e la propria strategia” attraverso una autoanalisi delle proprie lotte politiche. Questo significherebbe che la classe operaia diventa cosciente della propria azione rivoluzionaria nel movimento stesso della lotta economica, in base alla semplice affermazione che “ogni lotta economica ha un contenuto politico”...

È invece chiaro, per Lenin e per noi, che gli operai lottano economicamente per ottenere migliori condizioni di vendita della forza-lavoro: è questa la lotta sindacale, condotta per categorie e contrattando coi capitalisti. Il carattere politico dato a queste lotte è appunto quello che, attraverso provvedimenti legislativi e amministrativi, fanno i sindacati. Una politica, cioè, che:

non contiene null’altro che la lotta per le riforme economiche.

Lenin

A questo punto, non è neppure sufficiente che il Partito diffonda tra gli operai “giuste nozioni circa il governo e la causa operaia”, come indicava Lenin. Il quale aggiungeva: bisogna passare alla “lotta di tutta la classe operaia per l’emancipazione di tutti i lavoratori”. Occorre che gli operai coscienti diventino comunisti, diffondano il comunismo fra i lavoratori, insegnando loro tutti i mezzi di lotta contro i loro nemici, costituendo un partito comunista che lotti per l’emancipazione di tutti i lavoratori dal giogo del capitale.

E infatti,

la conoscenza che la classe operaia può avere di sé è legata in modo indissolubile all’assoluta chiarezza delle idee non solo teoriche, anzi non tanto teoriche, quanto piuttosto elaborate nell’esperienza della vita politica, circa i rapporti reciproci di tutte le classi della società contemporanea.

Lenin, Che fare?

Lotte operaie e antagonismo di classe

Sul “problema sindacale” e in generale sull’intervento del Partito e dei suoi militanti fra i lavoratori e nelle fabbriche, occorre la massima chiarezza di posizioni e di intenti.

L’opera di sostegno, propaganda e proselitismo si dovrà basare su una piattaforma minima di critica, di denuncia e di agitazione in grado di affermare le principali e prioritarie linee dell’antagonismo di classe, oltre le compatibilità del capitalismo.

Questa impostazione caratterizza la nostra solidarietà e compartecipazione a episodi di azione spontanea e a tentativi di opposizione organizzata dal basso. Ferma restando la constatazione di principio secondo la quale lo spontaneismo non genera, per sua natura, altro che organizzazioni estemporanee, di breve durata e circoscritte alle situazioni e ai luoghi della agitazione in corso.

Si tratta quindi non di ignorare, ma di partire anche da problemi economici e rivendicativi per sviluppare e indicare soluzioni politiche, superando la ristretta visuale dello scontro-accordo tra operai e padroni. In definitiva, due sono le possibili impostazioni e soluzioni:

  1. o si ritengono evitabili le sconfitte attuali sul piano economico-sociale, e inevitabilmente si indietreggia nel pantano del gradualismo mistificando la natura strutturale della crisi;
  2. oppure si ammette che le avanguardie di classe devono essere politicamente orientate al loro interno, cercando di rendere meno brucianti le sconfitte economiche attraverso il conseguimento di risultati politici.

Battendosi, in questo secondo caso, contro ogni richiesta spontaneistica di un “sano sindacalismo”; di ricostituzione di una organizzazione generale economica apolitica; di organismi autonomi nel senso della indipendenza da ogni adesione a “complesse analisi politiche”... Organismi che si pretenderebbero aperti a tutti, ma alla fin fine “più o meno politicizzati” sulla base della presenza di gruppetti politici più o meno mascherati e comunque attivi nel contrabbandare fra gli operai “proposizioni teorico-politiche” di dubbia provenienza.

In conclusione, ribadiamo:

  1. l’esigenza della polarizzazione politica degli interessi della classe in contrapposizione a quelli della borghesia. Necessità quindi della esistenza di un preciso punto di riferimento proletario: il partito di classe, in grado di portare chiarezza, orientamenti critico-teorici e definizione del programma comunista;
  2. l’autonomia della classe dalla politica imperialista del proprio Stato, qualunque sia la sua forma istituzionale, così come di ogni altro Stato borghese;
  3. il rifiuto di ogni appoggio o corresponsabilità con fazioni della borghesia. Per esempio, verso la sinistra borghese non esiste problema di scelte tattiche fra sdegnati rifiuti od opportunistici appoggi; ma solo la capacità di avvalersi dei dissensi interni alla borghesia e delle mistificazioni pseudo riformiste per rafforzare ed evidenziare i nostri obiettivi anticapitalistici;
  4. l’autonomia più esplicita dagli interessi “generali e prioritari del Paese”, ai quali va contrapposta la realtà del dominio assoluto del capitale, e una piattaforma politica e programmatica di classe contro classe. Le rivendicazioni e le proteste non vanno mai separate da una visione complessiva degli interessi di classe, antagonistici a ogni forma, ideologica e politica, di opportunismo e di interclassismo in funzione dell’interesse statale-nazionale.

La partecipazione attiva a tutte le lotte della classe operaia anche suscitate da interessi parziali e limitati, per incoraggiarne lo sviluppo, ma costantemente apportandovi il fattore del loro raccordamento con gli scopi finali rivoluzionari e presentando le conquiste delle lotte di classe come punti di passaggio alle indispensabili lotte avvenire, denunziando il pericolo di adagiarsi sulle realizzazioni parziali come su posizioni di arrivo, e di barattare con esse le condizioni della attività e della combattività classista del proletariato, come l’autonomia e l’indipendenza della sua ideologia e delle sue organizzazioni.

Dalle Tesi della Sinistra al Terzo Congresso del P.C.d’Italia - Lione, 1926

Dalle tante esperienze lontane e vicine trova la sua conferma uno dei nostri principali “punti fermi”:

Per il Partito la tattica si commisura alla teoria e non inversamente. Solo gli opportunisti possono pensare che un conto è fare della teoria e un altro conto è fare dell’azione, volendo affermare il principio che in sede di pratica politica può essere consentito di comportarsi anche in evidente e aperto contrasto con la teoria. Essere quindi presente come forza di fermento, di orientamento e di guida in tutte le agitazioni operaie; infondere in esse il senso della solidarietà di classe e dell’internazionalismo, significa contribuire a formare nelle masse la coscienza del fine rivoluzionario e rendere chiara in esse la necessità di andare oltre ogni visione particolare, contingente e corporativa delle loro lotte.