La guerra delle banane: un altro capitolo dello scontro imperialistico tra USA e Unione europea

Nel corso degli ultimi mesi si sono ulteriormente aggravate le tensioni commerciali tra i paesi dell'Unione Europea e gli Stati Uniti. Alle prese con una crisi economica che si protrae senza soluzione di contunità da quasi un trentennio, con intervalli di brevi quanto effimeri segnali di ripresa, le centrali dell'imperialismo si combattono a colpi di ritorsioni la spartizione del mercato mondiale. La globalizzazione dell'economia, che secondo la propaganda dei corifei del capitale doveva portare ad un'armonizzazione dei rapporti tra le varie aree del pianeta, in realtà ha accentuato i conflitti commerciali e bellici su scala internazionale. Compatti, almeno in questa fase, nel bombardare la Serbia, i due giganti dell'economia mondiale si lanciano reciproche accuse di violazione della libera circolazione delle merci e di bloccare in tal modo lo stesso sviluppo del commercio internazionale.

L'ennesima disputa è scoppiata agli inizi del mese scorso quando gli Stati Uniti hanno messo, unilateralmente, in atto una ritorsione commerciale con super dazi del 100% su molti prodotti europei che secondo le previsioni degli esperti contrarranno le esportazioni del vecchio continente per un ammontare di 521 milioni di dollari. La guerra delle banane, così come è stata definita dai media borghesi, che vede scontrarsi in prima linea le grandi multinazionali del settore come la Chiquita, la Del Monte e la Dole Food Company, è soltanto la punta di un iceberg di un conflitto che vede gli interessi economici dei paesi europei in rotta di collisione con quelli statunitensi. Un conflitto d'interesse che è rimasto finora latente soltanto grazie alla strapotenza politica e soprattutto militare degli Stati Unti, i quali hanno imposto ai paesi europei di fare buon viso a cattivo gioco e accettare supinamente anche quelle scelte che cozzano con i propri immediati interessi imperialistici.

L'attuale guerra delle banane giunge a conclusione di un contenzioso che trova la propria origine nelle due convezioni di Lomé, stipulate nella seconda metà degli anni settanta da numerosi stati e che dovevano garantire al capitalismo internazionale una regolamentazione degli scambi commerciali tra le diverse aree del pianeta. Nel capitolo dedicato alla commercializzazione delle banane, le due convenzioni stabilivano di fatto tre diversi regimi di importazione. In base al primo regime i paesi europei importavano le banane non applicando nessun dazio; tale regime si applicava soltanto per i prodotti provenienti da paesi dell'ACP (ossia dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico). Un secondo regime prevedeva un dazio preferenziale pari a centocinquantamila lire a tonnellata per l'import da alcuni paesi latino-americani, ed infine un terzo regime con dazi proibitivi oltre il milione e mezzo di lire per tonnellata.

Pur avendo regolamentato in maniera tassativa i diversi regimi, non c'è stata pace perché la disputa fra Stati Uniti e paesi europei si è immediatamente spostata sui livelli quantitativi da importare dalle diverse aree. Secondo le accuse lanciate dal governo statunitense, i paesi europei, attraverso la concessione di licenze, hanno favorito l'importazione di banane dalle ex colonie dei paesi dell'ACP, danneggiando oltre misura le multinazionali americane. Il governo statunitense ha impugnato la questione in sede Gatt (la vecchia istituzione internazionale nata nell'immediato dopoguerra per regolamentare gli scambi internazionali e risolvere eventuali controversie, sostituita nel 1995 dal W.T.O.) ottenendo per ben due volte la condanna del comportamento europeo.

Con l'applicazione unilaterale dei super dazi da parte del governo americano su una serie di prodotti europei, è scoppiata una vera e propria guerra commerciale. Alla guerra delle banane è subito seguita quella della carne; infatti gli Stati uniti in questi giorni hanno aperto un nuovo contenzioso contro l'Europa rea di ostacolare la commercializzazione della carne statunitense contenente massicce dosi di ormoni, come il testosterone e il progesterone. In risposta al rifiuto europeo di acquistare carne statunitense trattata con ormoni, il governo di Washington ha allungato la lista dei prodotti ai quali applicare il dazio del 100%, colpendo le esportazioni europee per un valore che dovrebbe sfiorare un miliardo di dollari.

Pur se è vero che l'interscambio di carne tra gli Stati Uniti e l'Unione europea rappresenta solo l'un per cento del totale, la cosiddetta "guerra delle banane" e della "carne" segna un nuovo capitolo nello scontro interimperialistico ed è destinata a produrre conseguenze ben più gravi di quelle che lasciano intravedere i meri dati statistici perché si inserisce in un quadro economico di profonda crisi. Se da un lato il capitalismo europeo non riesce a venir fuori dalle secche della stagnazione economica, alimentata anche dalla politica restrittiva imposta dai parametri di Maastricht, gli Stati Uniti sono alle prese con una crescita a dismisura del loro deficit commerciale. Gli ultimi dati disponibili mostrano che nel solo mese di gennaio il deficit della bilancia commerciale statunitense ha sfiorato la cifra record dei 17 miliardi di dollari, cifra insostenibile anche per una superpotenza come gli USA. Le continue svalutazioni valutarie che negli ultimi tempi hanno sconvolto il sistema monetario internazionale, se in definitiva accrescono la centralità del dollaro nel panorama mondiale, nello stesso tempo stanno ulteriormente abbassando la competitività delle merci statunitensi.

Secondo gli stessi osservatori borghesi, più attenti alle dinamiche reali del capitale, la guerra commerciale lanciata dagli Stati Uniti rappresenta una prova di forza in vista del negoziato del 2000 con il quale si dovrebbe arrivare alla completa liberalizzazione del settore dei servizi e dell'agricoltura. Lo scontro commerciale in atto è l'aspetto forse più visibile di un contrasto di fondo tra l'imperialismo americano, pronto a giocare fino in fondo il proprio ruolo di unica superpotenza rimasta in vita dopo il collasso dell'Unione Sovietica, e l'imperialismo europeo che dopo aver dato vita ad una moneta forte come l'euro aspira a giocare un ruolo politico-militare di primo piano nel contesto internazionale. Non è un caso che l'aggressività statunitense sia aumentata proprio in concomitanza con la nascita dell'euro, una moneta che in prospettiva può mettere in discussione il ruolo del dollaro sui mercati valutari internazionali e scalfire in tal modo lo strumento più importante del dominio imperialistico statunitense. Anche se lo strapotere politico - militare del capitalismo statunitense ha finora imposto ai paesi europei di accodarsi alle scelte americane, e l'attuale guerra nel Kosovo come tutte quelle precedenti (gli Stati Uniti dal crollo dell'URSS sono stati impegnati ininterrottamente in conflitti in ogni angolo del pianeta) sono una testimonianza più che lampante, le dinamiche contraddittorie del capitale stanno inesorabilmente preparando il terreno alla formazione di nuovi blocchi pronti a scontrarsi nel prossimo futuro anche su un terreno diverso da quello commerciale.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.