Scontri politici e scontri strategici

Dietro il caos di scontri politici e guerre guerreggiate una duplice costante: la crisi e le risposte imperialiste ad essa

La crisi del ciclo di accumulazione capitalista, la crisi cioè dei processi di valorizzazione del capitale sui quali si fonda la società borghese induce - come è naturale - accentuati fenomeni di decadenza della formazione sociale cioè della società stessa.

Non siamo certo - ancora - alla rottura del rapporto fra le classi determinanti della società: borghesia e proletariato. Piuttosto assistiamo al progressivo esacerbarsi delle tensioni interne alla classe dominante, in tutti i loro aspetti e forme. E dicevano che la fine della guerra fredda avrebbe aperto un'epoca di pace e prosperità per il mondo intero... Guardiamo gli eventi alla ribalta.

L'approssimarsi delle elezioni presidenziali in Russia e negli Usa scatena le bande antagoniste mentre lo scontro Usa-resto del mondo per il controllo della rendita, determinato oggi dal controllo del petrolio si focalizza sullo scontro per il controllo del petrolio delle regioni caspio-carpatiche. Risultati: scoppia lo scandalo delle ruberie sui prestiti del Fondo Monetario Internazionale e scoppia la crisi del Dagestan - subito dopo quella del Kossovo.

Due scenari apparentemente diversi ma col medesimo sfondo del corso capitalistico-borghese alla guerra.

Più di un osservatore di parte borghese ha notato che la misura delle ruberie dell'establishment e la portata dei flussi di dollari che hanno comportato è tale che non è pensabile non fosse conosciuta da... chi di dovere. Perché allora lo scandalo scoppia ora? Lasciando da parte le sciocchezze sulla giustizia e l'etica, è perché qualcuno ha deciso adesso di rendere noto agli altri ciò che da sempre sapeva. Ora, che l'operazione "emersione" sia stata avviata in Russia piuttosto che negli Usa, dagli avversari russi di Eltsin piuttosto che da alcuni ambienti della CIA americana, è di scarsa rilevanza. Più importante è ciò che sta sotto gli occhi di tutti: la convergenza triangolare fra ambienti Russi, americani ed Europei verso l'affossamento di Eltsin.

Le regole auree dell'arte politica vorrebbero che l'attacco liquidatorio a un governo in disgrazia avvenga quando è pronta l'alternativa. Ma qui di alternative non diciamo sicure, ma anche fortemente probabili, non se ne vedono proprio. Il "rischio", che abbiamo da tempo evidenziato, sebbene per noi non sia peggiore di altri, è che nel caos politico regnante in Russia e sicuramente aggravato dalla giubilazione di Eltsin, prenda il sopravvento una coalizione fra gli stalinisti di Zjuganov e i generali, che riscatterebbe l'orgoglio ferito con una svolta di tipo "autarchico" e comunque fortemente anti-occidentale: esattamente l'opposto dell'interesse tanto degli americani quanto degli europei, quantunque poi diversificantisi.

In Russia l'acutezza dello scontro fra le diverse fazioni della borghesia è in grado di spiegare la determinazione di alcuni (tanti) contro il presidente: egli si erge tuttora, sebbene barcollante, a ostacolare l'ascesa di altri, da una parte, e a coprire una banda di saccheggiatori e di speculatori dall'altra. Primakov vorrebbe per sé la presidenza, per affermare la sua banda, mentre i cosiddetti comunisti, i nazionalisti e una parte non sappiamo quanto estesa di generali vorrebbe che fosse lo stato (loro) a riprendere in mano produzione e finanze, abbandonando o quantomeno rallentando molto la cosiddetta apertura ai mercati occidentali. Uno specchietto pubblicato dall'Economist riassuntivo delle disponibilità finanziarie, della consistenza organizzativa, degli "scheletri nell'armadio" e della capacità di fuoco in dossier sugli avversari, di ciascuna fazione politica è significativo del dispiegamento delle forze di una vera e propria guerra politica interna. Ma negli Usa e in Europa? Ebbene, questa ostinazione nell'alimentare il polverone dello scandalo, questa "avventatezza" dell'attacco senza precisione dell'obbiettivo è a sua volta il segno di una divisione profonda delle borghesie occidentali. È lo Stato nella sua stabilità e nella solidità del suo rappresentare la classe dominante che può definire la politica estera e determinare tutto quanto vi attiene, compresi gli attacchi politici ad altri governi, con lucidità sugli obiettivi e un minimo di lungimiranza. Se simili attacchi e con tale risonanza sui media avvengono, cogliendo di sorpresa gli stessi governi e le sacre istituzioni (come il FMI o la Banca Mondiale) e senza obiettivi strategici definiti o definibili, ciò significa che sono in azione potenti centri di interesse economico e politico "privati", fazioni indipendenti della borghesia che autonomamente operano, alimentando gli scontri interni e la complicazione degli intrecci. Ad alimentare gli scontri e gli intrecci di briganteschi interessi negli Usa, ci sono le imminenti elezioni presidenziali, le diverse e opposte visioni della borghesia su come rispondere alla crisi e le diverse e opposte visioni della politica estera (chiusura a riccio o proiezione in fuori). Ed è da questi intrecci che sono nate le fetenti alleanze, magari provvisorie, fra ambienti CIA, circoli repubblicani e magnati dei mass media che tanto contribuisce a sventolar lo scandalo - non importa quante vittime ciò faccia negli stessi Usa.

È la situazione in cui diverse svolte precipitose si possono dare, compreso il polarizzarsi degli interessi in fronti bellici.

Il darsi e il crescere di questa condizione è possibile perché la contraddizione essenziale fra le classi è solo allo stato latente e non si manifesta, ovvero perché il proletariato è ancora assente. Lo si tenga sempre presente e siano i proletari a trarne le conclusioni.

Lo scontro fra le fazioni avverse della borghesia interessa ormai molte delle metropoli imperialiste, sebbene non tutte, in virtù delle diverse composizioni delle borghesie stesse e dei diversi assetti economico-istituzionali. Comunque non sostituisce né si sovrappone del tutto allo scontro fra gli interessi generali degli stati. Così è la stessa crisi del presente ciclo di accumulazione che aggrava le divergenze e gli antagonismi strategici.

La guerra vera e propria nel Kosovo si è chiusa con risultati dubbi per chi l'ha propugnata e scatenata: gli Usa. Al risultato certo di affermare "stabilmente" la sua presenza militare nei Balcani si accompagna il mancato isolamento definitivo della Russia e lo scarso indebolimento del fronte europeo. Non piace certamente moltissimo all'amministrazione americana che la Kfor, per molti versi una sua creatura, abbia sancito il marco tedesco come moneta di pagamento nel Kossovo. E comunque l'intervento nel Kossovo era un primo passo nella marcia verso l'accaparramento del petrolio del Caucaso.

Il secondo e più determinante passo, coerentemente con uno degli obiettivi dell'intervento nei Balcani, dovrebbe consistere nell'evitare che l'oleodotto che porterà il petrolio del Caspio verso i porti europei passi attraverso i territori Russi.

Il Daghestan è una delle Repubbliche della Federazione russa che si affaccia sulle coste occidentali del Caspio e confina a Sud con l'Azebargian da dove partirà l'oleodotto.

Nessuna meraviglia allora che anche là si cominci a guerreggiare duramente. (vedi sheda) Ancora la condizione di tutto ciò è che la contraddizione di classe, rimanga silente, di fronte al vociare dei nazionalismi più o meno artificiali, biecamente gonfiati, pagati e armati dalle grandi potenze.

Ma ancora la conferma, per chi vuol vederci chiaro e non rimanere preda inerme della disinformazione e delle campagne ideologiche della borghesia, che dietro i conflitti dietro il caos di guerre e guerricciole apparentemente slegate fra loro e diversamente motivate, si cela lo scontro fra le potenze e che questo scontro si focalizza sulla questione chiave del contemporaneo imperialismo: la gestione della rendita e dei suoi strumenti essenziali.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.