Riassumendo sul sindacato

Punti fermi - caratteristiche generali

Partiamo da alcuni punti fermi e che tali dovrebbero essere per tutti quanti si ritengano marxisti e dunque rivoluzionari.

Il sindacato è nato come strumento di contrattazione del prezzo e delle condizioni di vendita della forza lavoro.

La sua funzione originale non è stata modificata nel corso della esistenza del modo di produzione capitalistico, fondato sul rapporto di subordinazione fra capitale e lavoro, che terminerà solo con la rivoluzione comunista. È infatti la rivoluzione comunista che libererà appunto il lavoro dalla schiavitù del rapporto salariale.

Queste generali caratterizzazioni del sindacato implicano di per se, che le forme e i modi in cui il sindacato svolge la sua funzione variano col variare delle condizioni o fasi di ciclo del modo di produzione capitalistico.

Le caratteristiche generali del sindacato implicano altresì che esso, in linea generale e sempre, non possa essere uno strumento utile al processo di emancipazione proletaria. Infatti il suo esistere è legato alla contrattazione di vendita della forza lavoro e dunque è condizionato dalla esistenza, o permanenza, del rapporto di contrattazione medesimo, del capitale in quanto rapporto di produzione.

La rivoluzione comunista rompe invece necessariamente il rapporto di contrattazione: la rottura delle catene del lavoro salariato è la rottura e l'abolizione del rapporto di subordinazione del lavoro al capitale, è l'abolizione del capitalismo.

Il sindacato deve necessariamente difendere il terreno di contrattazione contro il quale la rivoluzione si erge e si afferma.

Il sindacato può dunque apparire in modo diverso nei diversi periodi e fasi del capitale, ma mantiene sempre le sue caratteristiche fondamentalmente anti-rivoluzionarie.

La diversità dei modi comportamentali del sindacato nei diversi periodi è facilmente riscontrabile: basti il sindacato di trent'anni fa e quello attuale. Ma diversità, solo apparentemente sostanziali, esistono anche fra il sindacato poniamo dei primi anni del secolo e il sindacato del 1920-21. Prima organizza gli operai per la lotta di difesa contro la rapacità capitalista dei borghesi in panciotto, poi - con la classe in armi nelle fabbriche del Nord - frena lo slancio, corre a trattare e affossa - insieme al PSI - il movimento. Apparentemente, si diceva, si tratta di due comportamenti divergenti, in realtà invece sono intimamente coerenti: il sindacato si rafforza come strumento di contrattazione e difende a oltranza - contro il movimento reale di classe - il terreno della contrattazione, il capitalismo.

Oppure: trent'anni fa il sindacato si batteva contro le gabbie salariali, per gli aumenti, per i diritti dei lavoratori in fabbrica; oggi quello stesso sindacato collabora con lo stato e con i capitalisti allo smantellamento dei "diritti acquisiti", alla ristrutturazione produttiva con i massivi licenziamenti che ne conseguono, alla compressione dei salari particolari e del salario totale secondo le richiesta di Confindustria (in Italia) o di qualunque altra organizzazione padronale, giacché il fenomeno è internazionale.

Trent'anni fa eravamo al culmine della fase espansiva del ciclo di accumulazione del capitale e spazi di contrattazione esistevano. Oggi che il capitale è da tempo alla fine del ciclo di accumulazione e soffre pesantemente della difficoltà di valorizzazione, l'unico modo conosciuto di impedire o frenare la caduta del saggio di profitto è diminuire drammaticamente il salario: pena il collasso e la capitolazione magari ai capitali stranieri. E il sindacato non può far altro che piegarsi a queste vitali necessità del capitale e prestarsi dunque alla mediazione dell'attacco capitalista nei confronti della forza lavoro.

Un punto da chiarire

È abbastanza corrente e si è presentata nel passato anche nei dibattiti interni al Partito, in modo particolare prima della storica scissione del 1952, una interpretazione che potremmo definire formale della natura del sindacato e che si è rivelata e si rivela fuorviante. Essa si riassume nella considerazione seguente, espressa nel 1945 in seno al nostro partito e che parte dalla ovvia constatazione che l'origine dello stato e quella del sindacato sono profondamente diverse.

L'apparato statale capitalista è costituito per assicurare la difesa degli interessi della classe borghese contro il proletariato: esso rappresenta il potere politico della società nelle mani della borghesia. Invece il sindacato sorge come forma di organizzazione della classe operaia che le permette di difendersi sul terreno economico contro lo sfruttamento capitalista. Dal punto di vista storico, stato capitalista e sindacato operaio sono stati due termini opposti dell'antagonismo capitale-lavoro.

Un primo errore qui sta nel rapporto di consequenzialità fra le due parti del discorso: il fatto che lo stato sia strumento di dominio della borghesia e il sindacato difenda (almeno come funzione originale) gli interessi immediati del proletariato non implica affatto che il sindacato esprima necessariamente antagonismo rispetto al capitale. Il secondo errore, implicito nel primo è il non considerare che la difesa degli interessi immediati del proletariato avviene, qui invece necessariamente, nell'ambito della contrattazione, ovvero della mediazione, e dunque sul terreno della conservazione capitalista.

Il formalismo è nemico della dialettica. Nella realtà appunto storica, alla quale pure l'intervento citato si riferisce, organismi concreti fatti di uomini e di organizzazione dediti costituzionalmente alla difesa degli interessi immediati, economici, normativi o anche più generalmente politici, della classe operaia si concretano inevitabilmente in organismi di mediazione all'interno dei più generali processi di mediazione politica con e dentro lo stato borghese.

Il medesimo formalismo a-dialettico è insito nelle posizioni di chi distingue la funzione dei sindacati in un prima e dopo la "svolta imperialista", fra la fase ascendente e la fase decadente del capitale, per insistere su una non meglio precisata natura di classe dei sindacati del secolo scorso e di inizio XX secolo.

Ricordiamo allora la storia vera del maggior sindacato italiano (che è anche uno dei maggiori europei).

Punti fermi - caratteristiche accessorie

Coerentemente con la sua natura e funzione generale, il sindacato dunque tende a ergersi a cogestore del sistema capitalista e dei suoi rapporti di produzione. La tendenza a entrare nella "stanza dei bottoni", naturalmente in rappresentanza e in favore dei lavoratori, è antica nel sindacato italiano, e più in generale europeo quanto il sindacato stesso.

Nel pieno della Occupazione delle Fabbriche, nel mentre stesso la CGdL lavora in tandem con il PSI per "raggiungere un accordo sulla vertenza dei metallurgici" ovvero per trovare una soluzione che escluda l'allargamento della lotta per l'assalto rivoluzionario, ritenute non a caso impraticabili e dannose, il sindacato presenta al Governo di Giolitti un documento in cui si chiede esplicitamente di...

modificare i rapporti fino ad ora intercorsi fra datori di lavoro e operai in modo che questi ultimi - attraverso i loro sindacati - siano investiti della possibilità di conoscere il vero stato delle industrie, il loro funzionamento tecnico e finanziario e che possano a mezzo delle loro rappresentanza di fabbrica - emanazione dei sindacati - contribuire alla applicazione dei regolamenti, controllare i licenziamenti e l'assunzione del personale e favorire così il normale svolgersi della vita d'officina con la disciplina necessaria.

Come si vede già nel 1920 i sindacati, diretti dai celebrati D'Aragona e Buozzi si preoccupano di integrarsi in qualche forma di cogestione delle imprese capitalistiche in forza di una presa in carico dei problemi della economia nazionale.

E con che chiarezza!

La CGdL, presa in esame la questione della produzione in Italia ha constatato che, per aver un maggiore gettito di prodotti, assolutamente necessario a ristabilire l'equilibrio fra consumo, assai accresciuto per i maggiori bisogni e per le nuove condizioni di vita, e produzione, assai diminuita per i vari coefficienti procurati dalla guerra; per ridurre le importazioni e conseguentemente agevolare il corso normale dei cambi, nonché per evitare che una imperfetta conoscenza delle condizioni dell'industria permetta agli industriali asserzioni incontrollabili ed agli operai richieste di miglioramento che potrebbero anche non essere consentite, occorre modificare i rapporti fino a ora intercorsi fra datori di lavoro e operai... [sottolineature nostre]

Non par di sentire i sindacalisti attuali (da quelli europei a quelli americani, da quelli australiani a quelli giapponesi) che chiedono "maggiore informazione" e sentenziano sulle necessità "dell'economia nazionale" per chiamare i propri operai ai sacrifici?

Nei giorni 29 e 30 settembre e 1 Ottobre 1906 si svolge a Milano il primo Congresso costitutivo della Confederazione Generale del Lavoro. Dal dibattito fra la componente socialista (a proposito non dovevano essere anche i socialisti classisti e rivoluzionari, allora a differenza di oggi?) e la componente "sindacalista" esce maggioritario e a scorno di questi ultimi uno statuto di per sé significativo. Ne riportiamo alcuni brani:

Scopi. - Art. 3 La Confederazione curerà [...]
b) la diretta trasmissione ai delegati del proletariato nei consessi rappresentativi delle riforme sociali e dei conseguenti provvedimenti amministrativi, reclamati dai Congressi proletari; [...]
e) di prendere le necessarie e opportune intese con i Partiti che nel campo politico esercitano la tutela degli interessi dei lavoratori, perché ogni attrito parziale fra capitale e lavoro venga definito secondo giustizia ed ogni movimento generale determinato dalle acutizzazioni della lotta di classe, venga indirizzato a scopi pratici [sic! - ndr]. [...]
g) di rendere intensa e permanente la propaganda in mezzo alle classi lavoratrici per sospingerle verso il loro miglioramento economico, morale e intellettuale. [...]
l) di esercitare la necessaria azione di controllo e di sprone verso l'Ufficio del lavoro per l'applicazione e l'osservanza scrupolosa delle leggi sociali...

Si rileggano con attenzione quei punti programmatici e si constaterà, chi vuol constatare il reale, che la tendenza, di per sé anti-rivoluzionaria alla mediazione e integrazione nelle strutture di gestione del capitale è connaturata al sindacato stesso, così come gli è connaturata la collaborazione e interazione con i "Partiti che nel campo politico esercitano la tutela degli interessi dei lavoratori", vera o presunta che sia tale tutela.

Ora la crisi e l'implosione di quella storica bufala che fu la "patria del socialismo" sovietica hanno trascinato quei partiti fuori dal terreno di qualsiasi tutela della classe operaia, foss'anche al livello più elementare, e li ha portati (è il caso dell'Italia e della Francia) al governo dello stato.

Il sindacato si presenta dunque nelle sembianze di unico mezzo di tutela del proletariato. Così, in forza di tale apparenza, per il sindacato è ancora più agevole svolgere il ruolo che oggi gli compete di mediatore presso la classe operaia degli interessi del capitale e garante delle stangate che questo porta al proletariato.

Ecco allora che anche la vecchia contrattazione cambia nome: ora si chiama concertazione. Ed ecco che le vecchie divisioni dei sindacati sui fronti contrapposti dell'imperialismo, si caratterizzano più direttamente come divisioni di schieramento "politico" fra le diverse bande in cui si divide il ceto politico della borghesia (partiti).

Conseguente linea rivoluzionaria

Quanto precede attiene la definizione della natura e della dinamica del sindacato che deve essere alla base della linea politica che i rivoluzionari seguono o devono seguire nei confronti del sindacato.

Una posizione di sempre del nostro partito è che lavorare dentro o fuori il sindacato è questione puramente pratica come lo sarebbe, indipendentemente dalla diversa portata del lavoro stesso, il decidere se è utile o no intervenire in una manifestazione. Vediamone il perché.

È immediatamente evidente che esiste una incompatibilità di fondo fra politica rivoluzionaria e i sindacati. In altri termini, è esclusa in linea di principio ogni utilizzazione dei sindacati quali strumenti di politica rivoluzionaria. Ma c'è una differenza sostanziale fra strumenti di politica rivoluzionaria e ambiti in cui è più o meno possibile l'esercizio di una politica rivoluzionaria. Non a caso diciamo: "più o meno possibile".

Ferma restando la posizione di fondo da noi sempre espressa con la "formula" che la rivoluzione passerà sul cadavere dei sindacati - la valutazione di questa possibilità di utilizzare le strutture di base del sindacato come ambito di intervento e di propaganda del programma rivoluzionario non deriva immediatamente dal giudizio sulla natura e funzione del sindacato stesso.

La denuncia di quella natura e funzione è fondamentalmente il tema e l'oggetto dell'intervento.

Le strutture di base del sindacato (assemblee degli iscritti, assemblee dei lavoratori del posto di lavoro in questione, eventuale consiglio dei delegati aziendali) sono gli ambiti in cui l'intervento è talvolta possibile e doveroso.

La sua possibilità è dunque contingente e dipende da un insieme di fattori che sta al partito e ai suoi militanti di valutare. Elenchiamo i principali fra questi fattori da prendere in considerazione:

  • quanto raccolgono della base operaia le strutture di base dei sindacati;
  • quale è la composizione politica delle due parti, interna ed esterna alle strutture di base sindacale;
  • quanto è matura nella base operaia la sfiducia nei confronti del sindacato.

Ovviamente la possibilità di utilizzo della base sindacale è legata alle fasi che la dinamica del sindacato attraversa in sincronia con le fasi del ciclo di accumulazione capitalista.

Così quando il sindacato accentua le sue caratteristiche di istituzione fino a farne le sue uniche ed esercita esplicitamente la sua funzione direttamente antioperaia in modo esplicito, come fa oggi, si aliena progressivamente la stima e fiducia dei lavoratori che disertano massivamente non solo le iscrizioni ma le stesse assemblee convocate dal sindacato. In queste condizioni è evidente che viene meno ogni possibilità e utilità di lavorare nelle sue svuotate strutture di base.

Diverso era ovviamente quando il sindacato raccoglieva le grandi masse operaie che nelle sue strutture, e quasi soltanto lì, esprimevano il proprio essere collettivo in qualche modo contrapposto al padronato. E parimenti diverso sarebbe in quelle situazioni dove il sindacato dovesse mantenere l'atteggiamento rivendicativo e una conseguente presa sulla classe, come in alcuni dei paesi periferici.

Ma questa che dovrebbe essere una ovvietà è invece ciò che non viene compreso da un certo numero di compagni e di organizzazioni che pur si pretendono marxiste e rivoluzionarie. Fra queste c'è chi si ostina a vedere un cambiamento di posizione fra i documenti di partito dove si afferma la possibilità e necessità dell'intervento all'interno delle strutture di base del sindacato, laddove ciò torni utile al lavoro politico e organizzativo verso la creazione dei gruppi di fabbrica internazionalisti, e quelli in cui si afferma che non può esserci oggi reale difesa degli interessi operai, neppure dei più immediati, che fuori e contro la linea sindacale.

È questa una dimostrazione della inadeguatezza a cogliere la differenza fra origini e funzioni del sindacale e la sua caratteristica di ambito di un possibile lavoro rivoluzionario contro il sindacato, di cui abbiamo detto sopra.

Analoga inadeguatezza alle funzioni politiche di partito è dimostrata, guarda caso dai medesimi gruppi e personaggi, nel non cogliere le sostanziali differenze fra il vecchio concetto del sindacato come "cinghia di trasmissione" e la caratteristica posizione della nostra corrente sui gruppi di fabbrica e di territorio come organismi emanazione di partito senza esserne parte costitutiva.

Che questi ultimi non abbiano nulla a che fare con la cinghia di trasmissione fra partito e classe, statuita dalla Terza Internazionale e individuata nel sindacato, è cosa che può capire chiunque estraneo alla lotta politica come chi questa lotta conduca sul serio.

Non la riesce a capire chi invece fa della lotta politica una questione di estetismo e di logica formale. Lasciamo al lettore indovinare di chi si stia parlando.

Lasciando al loro destino i cultori della logica formale, torniamo alla questione dei gruppi di fabbrica e territorio internazionalisti. La loro necessità nasce dalla considerazione, più volte avanzata, che il partito, organismo di avanguardia e di guida politica della classe proletaria, si mette in condizione di svolgere il suo ruolo nella classe stessa, dotandosi degli strumenti adeguati.

Nel nostro "Il sindacato nel Terzo ciclo di accumulazione del capitale" e nel suo capitolo finale "È finito il sindacato ma non la lotta economica" è spiegato come la funzione dei gruppi comunisti di fabbrica non sia mutata, rispetto alle Tesi di Roma , se non

nell'oggetto della sua direzione: là si puntava sul sindacato, qui oggi, puntiamo sui veri organi di massa intermedi fra partito rivoluzionario e classe, i consigli.

Già questo dovrebbe bastare a fare giustizia degli equivoci artatamente alimentati da qualcuno circa la natura di "organismi intermedi" dei gruppi comunisti, per il solo fatto che essi non sono sezioni di partito.

La classe in lotta si esprime attraverso organismi di massa che - comunque si chiamino al momento - rientrano in ciò che storicamente definiamo consigli oprerai. È la classe stessa che li costituisce e li conforma. Essi diventano gli organi di lotta rivoluzionaria prima e di potere poi alla sola condizione che seguano il programma politico rivoluzionario espresso dal partito. Ma questa condizione non si verifica per opera e virtù dello spirito santo della rivoluzione, ma solo per opera attiva ed efficace del partito stesso, il quale deve dotarsi degli strumenti adeguati a condurre e vincere la battaglia politica per far prevalere all'interno dei consigli stessi il programma rivoluzionario.

Questi strumenti non si esauriscono certo nei gruppi comunisti di fabbrica e di territorio, ma li comprendono. E vanno predisposti, rodati e attivati ben prima dei momenti fatidici, nella lotta permanente che il partito conduce, anche da condizioni di esigua minoranza, contro il potere, l'ideologia e la corruzione politica dominante, nella fabbrica come nella società.

Chi non si pone sul terreno della organizzazione rivoluzionaria nella classe, identificandola con i volantinaggi alle fabbriche e alle manifestazioni e con la declamazione di principi generali, si pone immediatamente fuori dal terreno sul quale maturerà il partito internazionale del proletariato.

Mauro jr Stefanini

(1) Dall’intervento del compagno Albert al Convegno di Torino del 1945.

(2) Cfr. La Confederazione Generale del Lavoro negli Atti, nei documenti, nei Congressi 1906-1926, Edizioni Avanti 1962, pag. 303.

(3) Ibidem pag.301.

(4) ibidem.

(5) Per una trattazione specifica delle forme e dei comportamenti sindacali assunti dal sindacato alla chiusura del Terzo ciclo di accumulazione, rimandiamo al nostro opuscolo Il sindacato nel terzo ciclo di accumulazione del capitale.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.