Trotsky e le origini del trotskismo

La sconfitta del primo potere proletario, instaurato dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, fu dovuta al soffocamento e alla ritirata decisiva delle lotte operaie nell’Europa dei primi anni 1920. Il seguito è consistito in una disintegrazione politica senza precedenti nella storia del movimento operaio.

Per settant’anni il cosiddetto “marxismo” è stato l’ideologia dominante di una classe capitalista che ha sfruttato più di un terzo della popolazione mondiale in Urss, Cina, Cuba ecc. Oggi alcune di queste classi dominanti hanno abbandonato ogni pretesa di aderire al marxismo, dal momento che adottano il linguaggio del mercato. Ma questo non ha cambiato nulla per coloro che considerano il Marxismo come la base scientifica della rivoluzione della classe operaia. Dagli anni 1920 il compito di ridefinire gli elementi essenziali del Marxismo è ricaduto su piccoli gruppi di comunisti con scarso radicamento (finora) nel corpo vivo del proletariato. Fra questi gruppi pretendono di esserci i trotskisti, che sono spesso presentati come l’unica valida espressione del proletariato rivoluzionario negli ottant’anni che hanno seguito la sconfitta della rivoluzione russa. La Quarta Internazionale trotskista sostiene che

La storia non mancherà di rilevare che è stato Trotsky, attraverso l’insieme dei suoi lavori, a dare il maggiore contributo...

P. Franck, La lunga marcia dei trotskisti

Anche i detrattori stalinoidi del trotskismo affermano che:

Il Trotskismo nel corso di tre lunghi e difficili decenni ha mantenuto vivo, quasi da solo, e contro ostacoli tremendi, molti degli elementi essenziali del marxismo rivoluzionario.

La rivoluzione incompiuta

Cominciamo esaminando le basi delle leggende inventate dal movimento trotskista e dai suoi sostenitori. Le loro affermazioni entusiastiche affondano bona fide le radici nel prestigio che Trotsky guadagnò come guida del Soviet di San Pietroburgo del 1905, come capo dell’Armata Rossa e come martire dello stalinismo nel 1940.

Una valida critica del trotskismo non ha niente a che vedere col metodo stalinista consistente nel dissotterrare il passato menscevico di Trotsky precedente al 1917, né tanto meno questa rinnega il contributo da lui dato, sia nella teoria sia nella pratica, alla Rivoluzione Russa stessa. Infatti, la sua analisi della rivoluzione del 1905 e della comparsa dei soviet gli consentì di prevedere la possibilità di una rivoluzione proletaria con una chiarezza che doveva convergere con le valutazioni di Lenin durante il 1917.

Ma il trotskismo come movimento politico, malgrado alcune radici che affondano nel periodo della rivoluzione, è essenzialmente il prodotto di un periodo successivo: il periodo della controrivoluzione, del quale divenne parte integrante.

In Russia il movimento associato a Trotsky nacque mentre la rivoluzione in Europa era in procinto di essere sconfitta. Il Terrore Bianco imperversava in Ungheria, i fascisti stavano conquistando il potere in Italia e gli ultimi tentativi indipendenti di una parte della classe operaia tedesca di rovesciare la borghesia si concludevano con la sconfitta nel marzo del 1921. Sebbene in seguito si siano verificati episodi esplosivi di resistenza operaia (Germania 1923, Regno Unito 1926, Cina 1927), questi restarono isolati e frammentati. Nella Russia stessa quattro anni di isolamento e di guerra civile portarono alla sostanziale eliminazione della vecchia classe operaia rivoluzionaria. L’introduzione della NEP, l’adozione da parte dell’Internazionale Comunista della tattica del “fronte unico” con la socialdemocrazia, così come la serie di alleanze politico-militari con gli stati capitalisti (trattato di Rapallo del 1922 con la Germania), mostravano come il fallimento della rivoluzione europea stesse portando alla controrivoluzione in Russia, proprio come è evidente che la notte segua il giorno. (1)

Trotsky avrebbe potuto essere scusato per non aver notato questo processo di degenerazione, ma in realtà egli stesso ne fu uno dei principali artefici. Fu lui che, avendo organizzato la vittoria dell’Armata Rossa nel 1920, in seguito concluse che alcune forme di “militarizzazione del lavoro” potevano essere estese all’intera classe operaia al fine di disciplinarla per la ricostruzione della Russia. Fu lui ad attaccare l’Opposizione Operaia al 10o Congresso di Partito (marzo 1921), che si risolse nell’interdizione di tutte le correnti dal partito. Fu ancora Trotsky ad escogitare l’alleanza militare segreta con l’imperialismo tedesco nel 1922. Se il successivo sviluppo della teoria e della pratica di Trotsky avesse comportato una rottura con questo spiacevole passato, la lotta per il comunismo avrebbe potuto prendere un’altra direzione. In realtà, dal 1923 in poi, Trotsky non solo non riuscì a riconoscere questi errori ma, al contrario, li trasformò proprio nel substrato teorico delle sue successive idee, come dimostra un’analisi della sua “opposizione” allo stalinismo.

L’Opposizione di Sinistra e l’Opposizione Unificata

La cosiddetta Opposizione di Sinistra che nacque alla fine del 1923 era soltanto indirettamente legata a Trotsky che, al tempo, non vi si identificava, malgrado gli oppositori accogliessero positivamente il Nuovo Corso di Trotsky, appena pubblicato. Contrariamente alla leggenda, questa opposizione non era in alcun modo connessa all’idea di opposizione al “socialismo in un solo paese”, per il semplice fatto che terminò prima che quella teoria fosse esposta. L’Opposizione di Sinistra sorse durante la “crisi delle forbici” del 1923, quando i prezzi crescenti dell’industria e quelli in calo dell’agricoltura causarono forti tensioni nell’economia. L’opposizione contestava che la leadership burocratica del Partito (a quel tempo Zinoviev, Kamenev, Stalin e Bukharin) fosse capace di risolvere la crisi - cosa che prontamente fece! Secondo gli oppositori, doveva essere aggiunta all’economia di mercato della NEP una certa pianificazione, permettendo una lenta industrializzazione attraverso la tassazione dei contadini. Per Trotsky, questo voleva dire e significava:

... sviluppare l’industria di stato come chiave di volta della dittatura del proletariato e base del socialismo.

Nuovo Corso, p.120

Naturalmente, dal momento che non controllava l’apparato, l’Opposizione si appellava alla “democrazia” interna del Partito, ma, a parte l’industrializzazione, non forniva indicazioni su che cosa questa democrazia dovesse servire a raggiungere. L’Opposizione non si preoccupò delle relazioni estere e non criticò nessuna delle politiche adottate a partire dal 1921 (fronti unici o riavvicinamento con stati capitalisti). Trotsky scrisse su tali questioni, ma essendo un sostenitore del fronte unico e del nazionalbolscevismo in Germania, era ritenuto all’estero un esponente della destra del Partito. Nel frattempo la “ala sinistra” del Partito tedesco (Maslow, Fischer e Thaelman) aveva Zinoviev e Stalin come suoi alleati!

Le sortite di Trotsky sulla politica estera espresse ne Le lezioni dell'Ottobre (1924), si preoccupavano di dimostrare che, proprio come non l’avevano colta nel 1917, Zinoviev e Kamenev avevano fallito nel cogliere l’opportunità rivoluzionaria in Germania nel 1923. Venendo lentamente estromesso dal potere, Trotsky sfruttava il fallimento del governo di fronte unico della Sassonia e della Turingia nel fare la rivoluzione, come un bastone col quale colpire Zinoviev. A quel tempo Trotsky vedeva come nemico principale Zinoviev, piuttosto che Stalin. Ma Trotsky aveva approvato la manovra politica (il fronte unico) che aveva dato vita a questi governi, così la sua polemica mancava di vigore. In precedenza, durante l’estate, quando in Germania c’era stato un genuino movimento di classe, a seguito del crollo della moneta, Trotsky si dichiarò contro ogni tentativo di rovesciare il governo.

Noi non consideriamo l’invasione francese della Ruhr come uno stimolo rivoluzionario [...] Non è neanche nei nostri interessi che la rivoluzione possa aver luogo in una Europa dissanguata [...] (Noi siamo) vivamente interessati alla salvaguardia della pace. (2)

Qual era il motivo di tutto ciò? A quel tempo Trotsky era il principale mediatore nell’alleanza tra Germania e Russia contro l’Intesa (Francia e Gran Bretagna). Una tale politica significava l’alleanza con l’ala destra dei comunisti in Germania e con le forze del fascismo e del nazionalismo contro l’occupazione francese della Ruhr. Questo veniva definito “nazionalbolscevismo”, la creatura di Radek, uno dei leader dell’Opposizione di Sinistra. Fu la sua graduale estromissione dal potere, più la comparsa di un regime pro-Intesa in Germania, che stava per convertire Trotsky in un “rivoluzionario”.

Parallelamente con la povertà, in realtà l'inesistenza, di un programma politico, l’Opposizione di Sinistra era priva del sostegno della classe lavoratrice. Di per sé questo non era un elemento decisivo, poiché in certi momenti le organizzazioni proletarie si possono ritrovare con uno scarso sostegno da parte del proletariato, ma molti nell’Opposizione erano noti per le loro posizioni contro la classe operaia a proposito della questione della “disciplina del lavoro”, e per aver denunciato l’ondata di scioperi di massa che era scoppiata nel 1923 a causa dei continui peggioramenti delle condizioni di vita. L’appello dell’opposizione era diretto ai burocrati del Partito ed ai dirigenti industriali, più che alla classe operaia:

Il settore del corpo del Partito dal quale l’opposizione a quel tempo riusciva meno ad ottenere sostegno era la classe operaia industriale. Niente, né nella sue scelte economiche né nella sua piattaforma politica, avrebbe potuto attirare l’immaginazione dell’operaio. (3)

La burocrazia fece alcune concessioni alle richieste dell’Opposizione di Sinistra, ma questa fu condannata al 13o Congresso, e scomparve all’inizio del 1924. Una tale opposizione merita l’epiteto di “sinistra” non più di quanto meriti il termine “opposizione”. Ma permetteteci di lasciare l’ultima parola all’operaio russo che raccontò della lotta tra la burocrazia e l’opposizione nel 1923:

I lavoratori mi chiederanno quali siano le vostre differenze fondamentali; francamente parlando, non saprei cosa rispondere. (4)

Questa singola frase proletaria riassume la natura dell’Opposizione di Sinistra.

In seguito, le manovre nel Partito assunsero (alla luce degli eventi successivi) dei contorni misteriosi. Stalin si alleò con Zinoviev contro Trotsky nel 1923 e più tardi, quando Stalin e Bukharin si mossero contro Zinoviev, Trotsky stabilì una tacita alleanza con Stalin dato che Zinoviev era il nemico principale. Successivamente, nel gennaio del 1925, quando il Politburo rimosse Trotsky dal suo incarico di Commissario alla Guerra, Stalin ripagò l’antico favore di Trotsky bloccando la richiesta di Zinoviev di espellere Trotsky dal Partito. Questo accadde in un periodo in cui Stalin aveva già avanzato la teoria del “socialismo in un solo paese”; abbastanza per la lotta di Trotsky contro di essa. Nel 1925 questa famosa battaglia non era ancora neanche cominciata, dato che il principale nemico di Trotsky fino ad allora non era stato Stalin, ma Zinoviev, colui che diede inizio alla degenerazione burocratica.

Gradualmente, non appena divenne chiaro che il gruppo Stalin-Bukharin stava per avere partita vinta nella lotta per il potere, Zinoviev e Kamenev si mossero per formare l’opposizione di Leningrado. Trotsky inizialmente rimase in disparte, ma presto si alleò col gruppo di Zinoviev. Nel luglio del 1926 si unì a Kamenev, Zinoviev e Krupskaya per firmare la “dichiarazione dei tredici” (membri del Comitato Centrale). Questo segnò pubblicamente la nascita dell’Opposizione Unificata, che operò fino al dicembre del 1927. L’Opposizione Unificata si raccolse intorno al programma di pianificazione e di industrializzazione, e di lotta contro “i nepman e i kulaki”. Essa richiese anche il ripristino della democrazia di Partito, della cui soppressione erano stati tutti artefici fin dal 10o Congresso nel 1921.

Se la pretesa che l’Opposizione Unificata esprimeva i reali interessi della classe operaia fosse stata legittima, allora lo stesso avrebbe dovuto valere per la politica adottata da Stalin dal 1929 al 1934, che mise in pratica parecchio delle posizioni dell’Opposizione. Questa conclusione non è semplicemente dedotta col senno di poi. La massa degli oppositori che non lo aveva ancora fatto, si arrese volontariamente a Stalin dopo il 1929, e anche Preobrazhensky annunciò che la opposizione continua di Trotsky era ingiustificata (5). Ancora una volta l’Opposizione aveva perso la possibilità di guadagnarsi un significativo seguito da parte della classe operaia. Ancora una volta la sua principale forza si era basata sulla burocrazia che criticava, ma della quale non metteva in discussione il dominio.

Il colpo di grazia fu inferto dallo stesso Trotsky. La “svolta a sinistra” di Stalin lo fece entrare in conflitto con la destra di Bukharin, ed era quest’ultimo che ora si univa al coro per la democrazia interna al Partito, offrendo a Trotsky un’alleanza su queste basi nel 1928. Trotsky, che spesso aveva “sostenuto criticamente” il centrista Stalin contro la destra di Bukharin, ora stupiva i suoi sostenitori accettando questa offerta opportunistica. È impossibile valutare l’effetto di ciò sull’Opposizione, dato che Trotsky venne esiliato da Stalin nel gennaio del 1929 e un’epoca di edificazione di miti iniziò sul serio.

Il socialismo in un solo paese

Verrà riconosciuto da molti dei suoi sostenitori che quella di Trotsky era un’opposizione leale, interna alla stessa burocrazia dalla quale era nata, ma che la vera benedizione che la salvava era nella sua opposizione al “socialismo in un solo paese” (teoria avanzata per la prima volta coerentemente da Stalin nel dicembre del 1924) e al conseguente abbandono dell’internazionalismo che una tale teoria implicava. Nessun'altra questione ha creato così tanti miti e mistificazioni come questa.

Prima del 1917 la storia non aveva mai offerto la possibilità per un singolo stato di muoversi da solo verso il socialismo. Non sorprende, quindi, che i commenti di Marx sulla questione siano vaghi. Il punto di vista predominante nella Seconda Internazionale, fondata nel 1889, era che all’interno di ogni stato capitalista ci sarebbe stata una pacifica transizione verso il socialismo, e che ogni nuovo stato socialista si sarebbe federato con gli altri in una confederazione socialista. Benché l’ala sinistra dell’Internazionale rifiutasse l’idea di un passaggio pacifico, essa non scartò mai l’idea che, almeno nei paesi avanzati, una simile transizione potesse essere intrapresa all’interno dei confini nazionali. Si credeva che in questi stati esistessero i prerequisiti materiali per tale trasformazione. Lenin, al culmine della guerra imperialista, scriveva:

(Lo slogan degli Stati Uniti d’Europa) può essere interpretato come l’impossibilità della vittoria del socialismo in un solo paese ... Uno sviluppo politico ed economico diseguale è legge assoluta del capitalismo, e perciò la vittoria del socialismo è possibile, prima in alcuni stati, o anche in uno stato capitalista preso singolarmente. Il proletariato di quel paese, avendo espropriato i capitalisti e organizzato la sua produzione socialista, resisterebbe contro il resto del mondo. (6)

La principale area di controversia era la Russia stessa, e in questo caso la discussione era legata alla specifica questione dell’arretratezza del paese. Lenin, e la gran parte dei bolscevichi, ritenne per molto tempo che la rivoluzione borghese fosse ancora all’ordine del giorno in Russia, anche se doveva essere portata a compimento dal proletariato. (7) Trotsky d’altra parte, con la sua teoria della “rivoluzione permanente”, affermava che se la rivoluzione russa fosse avvenuta contemporaneamente ad una rivoluzione nell’Europa occidentale, questa arretratezza sarebbe stata superata e la rivoluzione avrebbe potuto procedere verso la sua fase socialista. Lenin arrivò a simili conclusioni autonomamente nelle Tesi di aprile del 1917. Da allora ebbe pochi dubbi sui bolscevichi: essi erano lì per costruire il socialismo in Russia (“Fateci avanzare verso la costruzione del sistema socialista” - Lenin, 7 novembre 1917), e per estendere la rivoluzione mondiale. Non era ovviamente supposto che uno stato socialista voltasse le spalle alla rivoluzione mondiale. Di fatto, costruire il socialismo in casa propria e diffondere la rivoluzione mondiale erano considerati sinonimi.

Quando divenne chiaro che la Russia della NEP era in effetti isolata, le riserve manifestate da alcuni leader del Partito non esprimevano l’impossibilità di costruire il socialismo in un solo paese. Essi si rendevano conto che uno stato socialista non sarebbe probabilmente sopravvissuto in un mondo capitalista ostile, a causa degli attacchi militari dei capitalisti stessi. L’intervento nella guerra civile era stato l’esempio supremo di tutto ciò e negli anni intorno al 1920 i leader del PCUS, primo tra tutti Trotsky, rimasero ossessionati dalla paura di un fronte imperialista unito che avrebbe invaso la Russia in nome della restaurazione borghese. Appena il sistema dei soviet dimostrò la sua capacità di sopravvivere nel mondo capitalista (principalmente tramite un lento processo di capitolazione verso di esso), emerse la teoria di un regime socialista isolato possibile in Russia con il “socialismo in un solo paese” di Stalin.

Stalin occupava la destra del Partito, insieme a Bukharin e altri che vedevano la NEP come una concessione di lungo termine al contadiname. In questo periodo egli ammetteva la natura borghese dell’economia russa. Nei Principi del leninismo del 1924 egli rifiutava l’idea che il socialismo potesse essere costruito in Russia, benché il suo Rapporto sull’Attività Politica del Comitato Centrale al quattordicesimo Congresso del PCUS fosse molto vicino alla visione di Trotsky:

Comunque si può dire che il nostro regime non è né capitalista né socialista. Esso rappresenta una transizione dal capitalismo al socialismo ... Se si tiene conto dei residui burocratici che abbiamo nella gestione delle nostre imprese, non si può dire che abbiamo raggiunto il socialismo. Questo è vero, ma non contraddice il fatto che l’industria di stato rappresenti un tipo di produzione socialista.

Stalin pertanto riteneva che il socialismo si sarebbe potuto costruire in Russia, sempre che potesse essere mantenuta la smytchka (alleanza tra proletari e contadini). In questo momento Trotsky non si preoccupava delle innovazioni di Stalin. A dire il vero, in alcuni suoi scritti del periodo non si escludeva la possibilità del socialismo in un solo paese, anche in uno arretrato:

È chiaro che nelle condizioni di una rinascita capitalista in Europa e nel mondo intero, probabilmente stabile per molti anni, il socialismo in un solo paese arretrato si troverà a fronteggiare pericoli colossali. (8)

Nei fatti, fu l’Opposizione di Leningrado di Zinoviev e Kamenev che emerse come la prima avversaria al socialismo in un solo paese al quattordicesimo Congresso del Partito. Come abbiamo visto, Trotsky, che vedeva in quel momento Stalin come il pericolo minore, rimase silenzioso. La sua successiva alleanza con l’Opposizione di Leningrado all’interno delle Opposizioni Unificate era il risultato della conversione di Zinoviev e Kamenev alla necessità di industrializzazione in Russia come strada migliore per il socialismo in quel paese.

Pertanto, nell’intero dibattito sul “socialismo in un solo paese” c’erano solo differenze di enfasi. Mentre Stalin credeva, con Bukharin, che sotto la NEP la Russia stesse lentamente “cavalcando verso il socialismo su un ronzino contadino”, Trotsky metteva l’accento sul bisogno di un’industrializzazione più dinamica e non sul fatto che il tutto fosse impossibile nell’isolamento. Come scriveva in Verso il socialismo o il capitalismo,

Senza uno sviluppo delle forze produttive, non si può porre la questione del socialismo. (9)

Pertanto l’attacco di Trotsky al “socialismo in un solo paese”, nel 1926, era ben lontano da quella difesa risoluta dell’internazionalismo che più tardi sostenne. In termini internazionali, tutto ciò a cui Trotsky si appellava era la diversificazione delle relazioni nel commercio estero per avvantaggiarsi grazie al mercato mondiale, in contrasto con l’idea staliniana di autarchia e accumulazione nell’isolamento. In una lettera dall’esilio agli ultimi irriducibili dell’Opposizione Russa, Trotsky raccomandava l’uso della crescita della disoccupazione, soprattutto in Germania e Inghilterra, per ottenere crediti destinati alle attrezzature e macchinari agricoli in cambio dei prodotti del lavoro collettivizzato. Stalin continuava ad ignorare il commercio estero come strumento per iniziare il processo d’industrializzazione, specialmente dopo che le condizioni del commercio erano mutate in netto sfavore dell’URSS dopo il 1929. (10) Trotsky, dall’altra parte, spronava Mosca a migliorare la sua posizione commerciale facendo appello ai milioni di disoccupati dell’Europa occidentale, affinché protestassero a favore del commercio con la Russia; un commercio assistito dai governi con crediti sull’esportazione e così in grado, allo stesso tempo, di alleviare la disoccupazione. L’”internazionalismo” di Trotsky allora non era totalmente astratto. Come richiamo alla stabilizzazione capitalista, avrebbe fatto credito ad ogni libero commerciante del diciannovesimo secolo! In verità Trotsky aveva forgiato la sua Opposizione Unificata con Zinoviev solo sulla base del tacito accordo di liberarsi dell'idea di “rivoluzione permanente”, (11) con la sua connotazione di supporto per la rivoluzione mondiale. Infatti fu la fazione stalinista che, prima del 1934, produsse molti richiami rituali alla rivoluzione mondiale - specialmente dopo che la “svolta a sinistra” del cosiddetto “Terzo Periodo” di Stalin privò l’Opposizione della sua piattaforma. In qualità di sostenitore di Trotsky, Victor Serge scriveva:

Dal 1928-29 in avanti il Politburo si orientò verso l’uso delle idee fondamentali della Opposizione da poco espulsa (eccetto, certamente, la democrazia proletaria) e attuò queste idee con una violenza feroce. Noi avevamo proposto una tassa sui contadini ricchi - essi furono di fatto liquidati! Noi avevamo proposto limitazioni e riforme della NEP - questa venne del tutto abolita! Noi avevamo proposto l’industrializzazione - questa fu fatta su scala colossale che noi “super-industrializzatori”, come venivamo soprannominati, non avevamo mai sognato...

Memorie di un rivoluzionario, p. 252

Diventando egli stesso un super-industrializzatore, Stalin fece qualcosa in più che rubare all’Opposizione il suo programma: egli distrusse l’intera base della sua critica dal momento che veniva supposto da tutte le opposizioni del Partito Comunista che la burocrazia non potesse mai realizzare il loro programma. Siccome tutti avevano le proprie radici nella stessa burocrazia, non avrebbero mai potuto sfidare la propria base sociale, anche se - come vedremo - Trotsky e altri intuirono che si trattava di una nuova classe in formazione.

La natura dell’URSS. Parte I - L’economia

Una volta esiliato in Turchia, Trotsky avrebbe potuto iniziare un esame delle sue esperienze e, come la Sinistra del Partito Comunista d’Italia in esilio, avrebbe potuto provare a redigere un bilancio (B_ilan_) del processo che aveva visto i rivoluzionari esiliati o imprigionati dal fascismo. Ma Trotsky non vedeva alcuna ragione di approfondire lo studio del processo che stava dietro alla degenerazione del potere proletario in Russia. Essenzialmente questo era dovuto al fatto che egli stesso era molto legato a quel processo. Anche quelli che sostenevano Stalin intorno agli anni venti vedevano Trotsky come “un uomo di Stato, non di Partito”, mentre il suo ruolo specifico nell’abolizione delle frazioni interne nel PCUS e nella dura difesa della disciplina di fabbrica difficilmente potevano renderlo il campione senza macchia della democrazia proletaria e del controllo dei lavoratori, quale lo immaginano i suoi sostenitori odierni. Se Trotsky fosse stato capace di allontanarsi dal suo passato, sarebbe anche stato in grado di elaborare quella critica dei rapporti sociali in URSS che era necessaria per preparare le basi di una comprensione rivoluzionaria della natura della Russia. Il suo fallimento nel fare ciò lo condusse alla fine ad abbandonare il metodo marxista.

Il problema di ciò che era avvenuto in Russia era enorme da ogni punto di vista. Come è già stato detto, la teoria marxista non avrebbe potuto e non trattò in anticipo una situazione in cui una “roccaforte proletaria” (Lenin) fosse rimasta isolata per un certo periodo di tempo in un mondo capitalista ostile. Dopo 4 anni di isolamento, la Russia aveva perso 8 milioni di persone, incluso il fior fiore del proletariato rivoluzionario. A ciò si aggiungeva il fatto che i comunisti russi concepivano una sconfitta solo nei termini di una vittoria militare delle potenze capitaliste. Con il 1921, una tale minaccia era superata, ma anche la principale offensiva dell’ondata rivoluzionaria del proletariato europeo e mondiale era passata. Come abbiamo visto, fu in questo contesto che tutte le fazioni del PCUS si accordarono sulla necessità di costruire il socialismo nella sola Russia. Quindi, nel 1926 Trotsky celebrava lo sviluppo dell’industria di stato dopo 5 anni di GOSPLAN come “la meravigliosa musica storica del socialismo che cresce” e anticipava ciò che i pianificatori stalinisti avrebbero intonato sulla costruzione del “socialismo reale” - il furibondo sfruttamento del proletariato negli anni trenta. La comune visione che essi condividevano consisteva nell'equivoco che la pianificazione statale e la proprietà statale dei mezzi di produzione fossero la base essenziale del socialismo. Questo, malgrado il fatto che Lenin e Bukharin avessero già identificato la crescita dello stato capitalista come una delle principali caratteristiche del capitalismo nella sua fase imperialista. In Imperialismo ed Economia Mondiale (1915) Bukharin commentava come segue il cambiamento della natura del capitalismo:

Il modo di produzione capitalista è basato sul monopolio dei mezzi di produzione nelle mani dei capitalisti all’interno del sistema generale dello scambio di merci. Non c’è differenza alcuna in questo principio rispetto al fatto che ci sia un monopolio diretto del potere statale oppure che questo monopolio sia organizzato in maniera privata. In ogni caso ecco che rimangono l’economia mercantile (al primo posto il mercato mondiale) e, cosa più importante, i rapporti di classe tra borghesia e proletariato.

Nello scrivere ciò Bukharin stava semplicemente echeggiando le osservazioni di Engels degli anni seguenti al 1880,

... Come all’inizio il modo di produzione capitalista rimpiazzava i lavoratori, così ora rimpiazza i capitalisti, relegandoli ... tra la popolazione superflua anche se non certamente nell’esercito industriale di riserva ... Né la loro conversione in società per azioni conglomerate né quella in proprietà statale priva le forze produttive della loro natura di capitale ... Lo stato moderno, qualunque sia la sua forma, è allora lo stato dei capitalisti, l’organo collettivo, ideale di tutti i capitalisti. Più forze produttive raccoglie come sua proprietà, più esso diventa l’organo collettivo reale dei capitalisti, più cittadini esso sfrutta. I lavoratori rimangono salariati, proletari. I rapporti capitalistici non sono aboliti, ma portati all’estremo ...

Anti-Duhring

E questi rapporti capitalistici, che sono alla base della definizione marxista di capitalismo, stanno tra capitale e lavoro. Trotsky poteva parlare della burocrazia come di una “casta parassitaria”, ma non riconosceva che essa rappresentava una nuova classe dirigente in formazione, che disponeva collettivamente del surplus di prodotto, cioè del plusvalore, creato dal proletariato. Per lui, la Russia era sostanzialmente socialista perché:

La nazionalizzazione della terra, dell'industria, dei trasporti e degli scambi, insieme al monopolio del commercio estero, costituiscono la base della struttura sociale dei soviet. Attraverso questi rapporti, stabiliti da una rivoluzione proletaria, la natura dell’Unione Sovietica come stato operaio è per noi fondamentalmente definita.

da La Rivoluzione Tradita

Il tentativo di Trotsky di fare la quadratura del cerchio di uno stato di lavoratori diretto da una “casta parassitaria” ebbe come risultato la teoria dello stato operaio degenerato. Celebrata da Deutscher come “un'originale riaffermazione delle classiche visioni marxiste”, essa è in realtà una rottura completa col marxismo in quanto critica dell’economia politica. Il punto di partenza di questo concetto sono le caratteristiche esteriori della struttura sociale del capitalismo classico che si sono cristallizzate nella mente di Trotsky - proprietà individuale dei mezzi di produzione, inalienabilità giuridica della proprietà privata, diritto di eredità, ecc. Questo è in continuità con gli economisti borghesi - da Ricardo a Mandel - che ritengono che i rapporti di distribuzione possono essere trasformati senza mettere in discussione i rapporti di produzione. Ma, per un marxista, sono i rapporti di produzione a determinare la natura del modo di produzione e di circolazione; gli uni non possono essere separati dagli altri. La distribuzione capitalistica non può essere distrutta senza distruggere le basi di quella distribuzione: i rapporti di produzione. La produzione, quindi, determina l’essenza della distribuzione e delle forme ideologiche che la giustificano.

Per Trotsky, ossessionato dalla pianificazione statale, dall’estensione delle nazionalizzazioni, ecc., questa considerazione fondamentale risultava capovolta nella sua testa fino a produrre la seguente assurdità: “la coesistenza di un modo di produzione socialista con un modo di distribuzione borghese”. Questo è un semplice non senso, dal punto di vista marxista, secondo il quale:

I rapporti e i modi di distribuzione appaiono quindi meramente come il complemento della produzione. La struttura della distribuzione è determinata completamente da quella della produzione.

Marx, Grundrisse

Avendo ignorato questo principio fondamentale dell’economia politica marxista, Trotsky deviava ancora di più con la sua argomentazione che la sovrastruttura stalinista fosse in contraddizione con l’ossatura proletaria dell’economia. Egli affermava che la burocrazia stava impedendo la transizione verso il socialismo per poter mantenere i suoi privilegi. Il fatto che fosse proprio questa “burocrazia proto-capitalista” ad introdurre le misure di nazionalizzazione e industrializzazione che Trotsky immaginava avrebbero dato alla Russia la sua base socialista, non venne mai spiegato. Tali assurde conclusioni illustrano soltanto le premesse economiche contraddittorie su cui l’intera cosiddetta teoria dello “stato operaio degenerato” si ergeva.

Ma nel tentativo disperato di trovare qualcosa da difendere tra i rottami della Russia di Stalin, Trotsky non solo stava alterando il metodo marxista per coprire il proprio passato, egli non capiva che la vittoria del proletariato non consisteva semplicemente nella “espropriazione della borghesia” come aveva scritto nel suo Programma di transizione. Senza l’abolizione del lavoro salariato non si può parlare di socialismo. Il capitale non è soltanto, nella sua essenza, una massa di macchine o mezzi di produzione, la cui natura cambia miracolosamente grazie al fatto che essa viene definita come “proprietà delle masse” dopo l’abolizione politica di un élite avida e “parassitaria” di funzionari statali. Il capitale è una forma di rapporto storico e sociale basato sull’esclusione e separazione del lavoro dalla proprietà dei mezzi di produzione, trasformando così la forza lavoro in una merce vendibile in cambio di un salario.

Questo rapporto sociale conduce all’antagonismo tra produttori e proprietari de facto (indipendentemente dalle forme giuridiche sovietiche), tra quelli che i controllano mezzi di produzione, di distribuzione e lo stato (borghesia) e quelli che non hanno alternative e lavorano per un salario (proletariato), e conferisce alla totalità delle forze produttive della società il carattere di capitale.

La strada verso il comunismo è la lotta contro la totalità del capitale per l’abolizione del suo stato, della proprietà privata, della legge del valore, della merce e del lavoro salariato.

La natura dell’URSS. Parte II - La rivoluzione politica

Così, cosa ci indica Trotsky, invece della strada del comunismo, in Russia? Egli predicava una “rivoluzione politica e non sociale”, una rivoluzione che avrebbe rovesciato il sistema di governo stalinista esistente, ma che avrebbe lasciato intatti i rapporti di proprietà vigenti. In realtà, la difesa delle “basi proletarie dello stato” fu il punto cardinale del credo politico di Trotsky fino alla sua morte e, come vedremo ripetutamente, fu la radice di tutti i suoi errori politici.

Per il marxismo è un assunto fondamentale che lo stato non è la società, sebbene lo stato abbia il suo fondamento nella società. Ogni società con uno stato deve essere una società di classe, in cui lo stato agisce negli interessi della classe dominante per salvaguardare lo sfruttamento della classe dominata. Quando provano a stabilire la natura di classe di qualunque società, i marxisti quindi non cominciano dall’esaminare le forme giuridiche e legali dello stato per arrivare alla conclusione che esse costituiscono “la base proletaria dello stato”. Quindi, benché decine di scritti di Trotsky attestassero il cambiamento della composizione di classe del PCUS (parte del processo che vide tutte le opposizioni annientate), e malgrado il riconoscimento del fatto che la natura “parassitaria” della burocrazia richiedesse una “rivoluzione politica”, egli sosteneva ancora che un regime il quale

... salvaguarda la proprietà espropriata e nazionalizzata contro l’imperialismo, indipendentemente dalle forme politiche, è la dittatura del proletariato.

In difesa del marxismo

Ma se già esisteva una “dittatura del proletariato” che bisogno c’era di una “rivoluzione politica” o di un’iniezione di “democrazia dei soviet”? La contraddizione sorgeva semplicemente perché Trotsky non deduceva la natura dello stato russo dai suoi rapporti di produzione. Smettendo di definire le classi sociali nei termini dei loro antagonismi all’interno del processo produttivo, Trotsky si privava della sola possibilità di una chiara analisi della reale natura dell’URSS.

L’autarchia dell’epoca dei piani quinquennali, negli anni Trenta, era in realtà una forma di competizione che necessitava di una feroce intensificazione dello sfruttamento. Una competizione più dura a livello internazionale significava l’adozione del taylorismo e di nuove tecniche di gestione del lavoro alienato per accrescerne al massimo la produttività. Il controllo amministrativo dei rapporti di produzione da parte del Partito aveva generato in URSS una burocrazia che, resasi politicamente indipendente, acquisiva il ruolo di forza motrice nello sviluppo del capitale nazionale, in sostanza lo stesso ruolo della classica borghesia privata. Trattare in maniera miope i quadri della burocrazia statale come una semplice “casta” privilegiata, come una “escrescenza parassitaria”, significava fondamentalmente negare il suo sostanziale ruolo di classe. Il bisogno ineluttabile di procedere nel processo di accumulazione del capitale, la ferrea necessità imposta dal capitale mondiale determinarono il ruolo oggettivo del nuovo ceto, che era composto da funzionari di classe grazie al rapporto intrattenuto col capitale reificato e non per l’avidità (Trotsky diceva che consumavano troppo prodotto sociale), l’arroganza autoritaria o altre caratteristiche socio-psicologiche. La contraddizione tra la natura sociale della produzione e l’alienazione del prodotto sociale del lavoro dovuta allo sfruttamento di classe, sottolinea il dominio della legge del valore nell’economia sovietica. (12)

Tutto ciò mina anche la teoria intimamente contraddittoria dello “stato operaio degenerato”. Al tempo della sua concezione, e anche più in là, dopo la Seconda Guerra Mondiale, c’erano state manifestazioni evidenti della natura capitalista della società sovietica - l’esistenza del lavoro salariato, la produzione di merci per lo scambio, il dominio dei pianificatori da parte dell’ineluttabile legge del valore. La teorizzazione dell’esistenza di uno stato operaio in URSS, per quanto deformato potesse essere, iniziò a diventare un elemento centrale nella piattaforma trotskista che, come vedremo più avanti, conduceva inevitabilmente all’abbandono del disfattismo rivoluzionario e alla partecipazione durante la Seconda Guerra in difesa sia dell’imperialismo sovietico che di quello occidentale.

Il Programma di transizione e la Quarta Internazionale

La concezione di Trotsky della Russia come stato operaio, che dopo una rivoluzione puramente politica poteva diventare socialista, rivela non soltanto che egli non aveva capito niente della natura del capitalismo, ma anche che egli non aveva alcuna concezione del socialismo in senso marxista. Questo diventa ancora più evidente nel 1938 quando pubblica il programma della sua Quarta Internazionale, L’Agonia Mortale del Capitalismo e gli Obiettivi della Quarta Internazionale o, come è più comunemente noto, Il Programma di transizione. Nel trattare questo programma dobbiamo innanzitutto cominciare con una questione di metodo. I trotskisti dei nostri giorni pretendono, di solito sulla base della superficiale lettura di Deutscher, che Trotsky fosse l’erede politico di Lenin. (13) A differenza di Lenin tuttavia, Trotsky tendeva ad analizzare le situazioni storiche e il capitalismo in termini di categorie che non metteva mai in discussione. Quando nuovi eventi contraddicevano le sue analisi, invece di riesaminarli senza remora sulla base dei principi marxisti e rivedere di conseguenza le sue categorie, egli li distorceva per adattarli alle conclusioni che vi aveva già tratto. Abbiamo già visto questo metodo all'opera per quanto riguarda le sue analisi dell’economia russa. Bisogna ricordare che egli inizialmente sosteneva che la Russia era uno stato operaio perché il proletariato deteneva il potere, e che solo quando questa tesi divenne troppo imbarazzante da sostenere, fu combinata con quella economica sui rapporti di proprietà socialisti.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’imperialismo russo sottomise gli stati dell’Europa dell’est al suo dominio, gli epigoni di Trotsky nella Quarta Internazionale (Michel Pablo, Ernest Mandel, Ted Grant, James Cannon ecc.), nella migliore tradizione del loro mentore, decisero che anche quegli stati dovevano essere stati operai, nonostante il fatto che lì la classe operaia non avesse mai detenuto il potere e che i loro regimi fossero una pura creazione della burocrazia stalinista. Da ciò essi concludevano che anche le “burocrazie reazionarie proto-capitaliste” erano progressive e capaci di creare stati operai! Quindi, per sostenere la finzione della Russia come stato operaio, fu perpetrato un profondo travisamento dei fatti e del marxismo. La “rivoluzione permanente”, che sosteneva che i lavoratori e i contadini negli stati arretrati dovevano assolvere i compiti della borghesia nazionale perché quest’ultima era troppo debole, fu difesa in maniera simile, come lo fu pure la teoria della crisi permanente. Queste teorie costituivano i pilastri dell’analisi di Trotsky, ed erano semplicemente supposti come validi. Invece di lasciar crollare queste teorie sotto il peso delle loro stesse contraddizioni, Trotsky le difese sistematicamente, ma a costo di abbandonare il terreno politico della classe operaia.

Ciò che invece ci fornì Trotsky furono i concetti di “crisi permanente” e “rivoluzione permanente” che divennero slogan superficiali che non riuscivano a nascondere la sua incapacità di esaminare i rapporti sociali fondamentali del capitalismo moderno e gli obbiettivi politici del nuovo periodo. Perciò nel Programma di transizione il corretto riconoscimento che la missione storica del capitalismo era stata completata, viene completamente oscurato dall’analfabetismo economico e dalla limitatezza politica delle sue prospettive che, politicamente parlando, ci riportano al programma della social-democrazia. Il più lampante esempio di questo analfabetismo è nel campo economico. Trotsky ci dice che il capitalismo è maturo per la rivoluzione perché “le forze produttive dell’umanità stagnano” (Programma di transizione, p.11). Questo poteva essere vero negli anni Trenta ma può essere contraddetto oggi da una semplice statistica. Da quando viene registrato, il Prodotto Nazionale Lordo degli Stati Uniti (per non parlare dell’intero capitalismo occidentale) è aumentato di parecchie volte. Questa sola evidenza empirica è sufficiente a confutare la validità della sua affermazione; ma più grave è il fallimento del suo metodo nella comprensione del movimento reale del capitale. Il Capitalismo, come Marx scrisse in parecchie occasioni,

non può esistere senza rivoluzionare costantemente gli strumenti della produzione.

Il Manifesto

La fase dell’imperialismo, la fase decadente del capitalismo, non cambia l’elemento essenziale. (14) Né pone fine al ciclo di accumulazione del capitale che è punteggiato periodicamente da “crisi commerciali”. La differenza nella fase imperialista è che la soluzione borghese di queste crisi non è più una semplice questione di poche bancarotte che permettono ai sopravvissuti di rinnovare il ciclo. Questa ripresa ora arriva solo attraverso la massiccia distruzione di capitale su base globale come prodotto di una guerra imperialista. Perciò il ciclo del diciannovesimo secolo è diventato nella nostra epoca un ciclo di espansione-crisi-guerra-ricostruzione-espansione ecc. Non è la “stagnazione delle forze produttive” che spiega per i marxisti l’attuale decadenza del sistema, ma il fatto che sebbene esso possa ancora incrementare la produzione, il suo costo (eterna carestia nell’emisfero meridionale, guerre periodiche in tutto il pianeta, ecc.) non soddisfa più in alcun senso gli interessi dell’umanità. Le catene dei rapporti di produzione borghesi e la legge del valore ad essi connessa devono essere spezzate e distrutte prima che le forze produttive possano essere messe al lavoro per il bene dell’intera umanità.

L’incapacità di spiegare la natura del capitalismo nella fase imperialista e del capitalismo di stato è ciò che nei fatti esclude il Programma di transizione come base della lotta per il socialismo. Definendo semplicemente il capitalismo come un sistema nella sua agonia mortale, non come un sistema basato sulla legge del valore che esiste solo attraverso l’estorsione di plusvalore dal lavoro salariato, il Programma di transizione di Trotsky ci dà solo una immagine immediata di una singola fase del ciclo capitalista, la sua decadenza. Ma avendo stabilito nel 1938 che il capitalismo era nella sua “agonia mortale”, Trotsky doveva trovare qualche spiegazione al fallimento del proletariato nel distruggerlo e fornire una indicazione per superare questo fallimento. È qui che Trotsky ritornava alla social-democrazia.

Il Programma di transizione e il Partito

Essendosi dimostrato incapace di cogliere le dinamiche interne del capitalismo, il Programma di transizione trova una soluzione puramente volontaristica al problema della organizzazione proletaria. Correttamente, esso afferma che:

I prerequisiti economici per la rivoluzione proletaria hanno in generale già raggiunto il più alto grado di sviluppo che possa essere raggiunto sotto il capitalismo.

cit. loc.

Nel 1938 questo era ancora vero, ma perché poi, se le condizioni oggettive erano presenti, il proletariato si sottomise ancora al giogo capitalista? Trotsky schiettamente rispose che questo avveniva perché:

Il contesto politico mondiale nel suo complesso è per lo più caratterizzato da una crisi storica della dirigenza del proletariato.

Nel senso che mancava una guida comunista ciò era vero, ma Trotsky non voleva dire questo. Nell’ultimo quarto di secolo la classe operaia aveva visto le proprie organizzazioni trasformarsi in sostegno politico della borghesia. Prima i partiti della Seconda Internazionale, con le loro organizzazioni di massa - i sindacati - sono corsi in aiuto dei propri governi e hanno sostenuto lo sforzo bellico di ogni imperialismo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale questi partiti si separarono dalla causa dei lavoratori con fiumi di sangue, quando assistettero o, addirittura, come in Germania, organizzarono il massacro dei proletari con coscienza di classe. L’oppositore più autorevole dell’ordine imperialista nel 1914 fu il Partito Bolscevico che, armato teoricamente dello slogan di Lenin di “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, guidò con successo la presa del potere statale da parte del proletariato russo. Quando nel 1919 fondò l’Internazionale Comunista, esso era l’avanguardia dell’intero proletariato mondiale. Ma, come abbiamo prima spiegato, un processo di declino si fece strada, un processo che fu molto più insidioso del repentino tradimento della social-democrazia. L’adozione da parte della Internazionale Comunista dei fronti unici nel 1921 era ovviamente un momento critico del suo declino, come fu l’espulsione di qualsiasi opposizione nel 1926 e la sua disastrosa politica in Cina nel 1927. Nel 1938 anche Trotsky si rese conto che era avvenuto “il passaggio del Comintern dalla parte della borghesia”. Eppure, attraverso quel curioso avvitamento logico che è rimasto il marchio caratteristico dei trotskisti, egli ancora vedeva i partiti della Seconda e Terza Internazionale come “le reazionarie macchine burocratiche proprie [corsivo nostro]” del proletariato.

In altre parole, nonostante una storia di tradimenti e massacri, queste organizzazioni potevano essere conquistate alla rivoluzione se la loro guida fosse cambiata. Questo è del tutto coerente con la sua spinta per i fronti unici e per l’entrismo nei partiti socialdemocratici nel 1935, al fine di conquistarne la direzione. Il trotskismo ortodosso non è ancora riuscito a riconoscere la sconfitta ideologica che accompagnò la sconfitta fisica delle organizzazioni rivoluzionarie. Oggi queste strutture socialdemocratiche (i partiti socialisti e laburisti e i rispettivi sindacati), sebbene spesso racchiudano masse di lavoratori e ottengano il sostegno elettorale di milioni di persone, in effetti non sono nient’altro che agenti della borghesia e del loro sistema di classe. La loro ragione di esistenza è difendere il capitalismo incanalando la lotta di classe sul tranquillo piano delle elezioni o degli scioperi economici isolati in un settore o in una fabbrica.

Dunque, la natura estremamente superficiale dell’analisi di Trotsky sulla debolezza politica del proletariato negli anni trenta, gli impedì di vedere il fatto che la crisi della dirigenza del proletariato sorse perché il proletariato non aveva un partito politico che difendesse la sua indipendenza di classe e le sue aspirazioni rivoluzionarie. E non riuscire a capire questo, come pure la natura dei rapporti capitalistici nella fase imperialista, significava che la stessa Quarta Internazionale era, dalla sua fondazione, non solo mal equipaggiata per essere un partito di classe, ma era in realtà un blocco alla sua formazione poiché operava anch’essa sul terreno della borghesia. Quello di cui c’era davvero bisogno era una lotta decisa contro tutto ciò che sosteneva la conservazione dei vecchi partiti socialisti e comunisti. Oggi il trotskismo parla ancora di “tradimenti” di queste organizzazioni e partiti e perciò è incapace di spiegare il reale ruolo che essi giocano all’interno della classe operaia. Come aveva argomentato, all’epoca, la Sinistra Comunista Internazionale (la Frazione Italiana), la Quarta Internazionale non può dichiararsi partito del proletariato, dal momento che non ha sviluppato il necessario lavoro di chiarificazione politica dopo la sconfitta dell’ondata rivoluzionaria degli anni venti. Una tale chiarificazione, che Trotsky evitò metodicamente, era il passo essenziale per la rinascita del partito rivoluzionario del proletariato e la ricostituzione di un programma comunista che tenesse conto delle lezioni apprese.

Trotsky immaginava che la semplice costituzione della Quarta Internazionale avrebbe risolto il problema con un semplice sforzo di volontà.

Ma l'assenza del partito di classe non è solo il risultato di una mancanza di volontà. Mentre la necessità indispensabile del partito nel suo ruolo di centralizzatore, capo e guida della classe nell’azione non può essere messa in discussione, la costituzione della Quarta Internazionale ebbe luogo senza che i seguaci di Trotsky avessero svolto un serio esame della esperienza della rivoluzione e della controrivoluzione.

Il partito non si può semplicemente creare dal nulla, indipendentemente dal luogo e dal tempo. L’assenza di un partito di classe non è soltanto il risultato di una crisi “della dirigenza rivoluzionaria”, anche se una tale mancanza fu storicamente un fattore oggettivo nel rovesciamento delle sorti del proletariato, come in Germania nel 1918-19. Secondo la concezione di Trotsky del partito, invece di essere una parte necessaria della lotta di classe, esso assumeva la forma idealistica di un deus ex machina che, attraverso la determinazione dei suoi membri, poteva e doveva superare le difficoltà storiche dell’umanità. Riducendo le necessità della accumulazione delle contraddizioni materiali, e con una concezione religiosa che assegna ai rivoluzionari il possesso del Santo Graal di una soggettività puramente comunista, la concezione trotskista non vede che il partito è contemporaneamente espressione e organamento della coscienza rivoluzionaria e fattore che materializza la maturità della autocoscienza di classe. (15)

Questo diventa ancora più evidente nell’analisi delle “rivendicazioni di transizione” del programma.

Le rivendicazioni del Programma di transizione

Nella sua Critica del Programma di Gotha, Marx sosteneva che la transizione dal capitalismo al socialismo presupponeva una dittatura del proletariato e l’adozione sistematica di tutte le misure necessarie alla distruzione del capitale. Il programma di transizione, agonia mortale del capitalismo, e i compiti della Quarta Internazionale - la mobilitazione delle masse attorno alle esigenze di transizione come preparazione alla conquista del potere, come il titolo suggerisce, ha poco a che fare con la concezione marxista della transizione.

Per Trotsky era ovvio che, poiché il capitalismo era nella sua “agonia mortale”, la “epoca della transizione” era già in essere, anche se non c’era stata la rivoluzione negli anni trenta. Per Marx la transizione al socialismo non comincia prima che il proletariato abbia frantumato lo stato borghese (questa era, dopo tutto, la lezione della Comune di Parigi nel 1871). Proprio perché incapace di comprendere la struttura alla base del “socialismo” nell’URSS, Trotsky ora mostrava come si stesse allontanando dalle concezioni marxiste del socialismo in generale. Infatti, Trotsky ci riporta al riformismo della Seconda Internazionale che portava avanti rivendicazioni minime, con la semplice differenza che egli credeva che ora, all’interno del capitalismo decadente, anche rivendicazioni minime non potessero essere raggiunte.

L’epoca attuale si distingue non per il fatto che libera il partito rivoluzionario dal lavoro giornaliero ma perché permette di condurre questo lavoro in maniera indissolubile dai compiti reali della rivoluzione.

In breve, il vecchio programma minimo della socialdemocrazia coincide ora con il programma massimo dal momento che, per i trotskisti,

... neanche le richieste più elementari possono essere raggiunte senza l’espropriazione rivoluzionaria della classe capitalista. (16)

Questo evidente nonsenso può essere contraddetto anche dal più distratto sguardo alle rivendicazioni del Programma di transizione.

Quello che infatti Trotsky ci offre è un grande piano per riformare il capitalismo reclamando provvedimenti come nazionalizzazione delle banche, controllo dei lavoratori sull’industria, lavori pubblici e scala mobile dei salari, prima della conquista del potere del proletariato. Esattamente le stesse rivendicazioni “radicali” erano già state avanzate da Keynes, contemporaneo di Trotsky, come progetto esplicito di salvataggio del capitalismo e, infatti, tutte queste misure furono adottate dagli stati borghesi per preservare l’ordine capitalistico. La nazionalizzazione delle banche in Europa orientale, il controllo operaio in Yugoslavia (entrambi naturalmente sbandierati dai moderni trotskisti come “capitalismo decadente”), la scala mobile dei salari (introdotta in Italia e, nella forma delle indicizzazioni, altrove) e i lavori pubblici (virtualmente in ogni angolo del mondo capitalista avanzato) sono mezzi per puntellare il capitale, non per distruggerlo.

Quindi l’incapacità di Trotsky nel comprendere la natura e il ruolo dello stato in Russia, aveva il suo corollario generale nel Programma di transizione. L’incapacità di concepire lo stato come capitalista collettivo significava che Trotsky ancora confondeva la nazionalizzazione con la socializzazione, ancora vedeva come primo obiettivo del socialismo non l’abolizione del lavoro salariato, ma la “espropriazione della borghesia”. In questo il Programma di transizione non costituisce un progresso neanche rispetto al socialdemocratico Programma di Erfurt del 1890, dal momento che non possiede neppure una parte rivoluzionaria “massima”. La “dittatura del proletariato” è menzionata una sola volta, in maniera puramente incidentale, e non c’è nessuna spiegazione sulla natura del socialismo. Questo è ciò che rende la seguente definizione dell’obiettivo del Programma di transizione particolarmente assurda:

È necessario aiutare le masse nel processo della loro quotidiana battaglia rivoluzionaria a trovare il ponte tra le loro rivendicazioni immediate e il programma della rivoluzione socialista.

Ma Trotsky aveva già indicato che le “rivendicazioni immediate” erano potenzialmente rivoluzionarie. Quello che mancava era un partito che combattesse con le masse per il “programma della rivoluzione socialista”. L’abissale errore di Trotsky era quello di non aver neanche cominciato ad elaborare questo programma per la fase attuale del capitalismo.

I rivoluzionari riconoscono l’importanza delle rivendicazioni, ma queste sono il prodotto di una reale battaglia in evoluzione, non schemi astratti elaborati in precedenza e che, come le rivendicazioni del Programma di transizione, sono facilmente recuperabili dal capitalismo. Tra le dure lezioni della rivoluzione del 1848, Marx aveva messo bene in evidenza come ogni rivendicazione formulata dal proletariato dovesse essere una risposta diretta alla situazione in essere della lotta di classe.

Alle origini del movimento, i lavoratori non saranno naturalmente capaci di proporre direttamente alcuna misura comunista, comunque, ... se la piccola borghesia propone di comprare le ferrovie e le fabbriche ... i lavoratori devono richiedere che esse siano semplicemente confiscate dallo stato senza ricompensa. Se le richieste propongono tasse proporzionali, essi devono richiedere tasse progressive ... le cui aliquote siano talmente crescenti che il capitale sia subito mandato in rovina; se i democratici richiedono il controllo del debito pubblico, i lavoratori devono chiedere il suo ripudio ...

Indirizzo al Comitato Centrale della Lega dei Comunisti

La concezione dialettica è completamente diversa dall’idea che Trotsky tirò fuori dal ripostiglio della degenerante Internazionale Comunista (in particolare il suo Terzo Congresso) dove si affermava che c’era un preciso

... insieme di rivendicazioni che costituiscono gli stadi della lotta (quando le) masse, seppur non ancora consciamente, si sollevano per la dittatura del proletariato.

Citato da Frank, op. cit. p. 61

Questo giustifica tutte le idee del kautskismo che vedono il proletariato solo come una massa acefala che può essere richiamata dai socialdemocratici in questa o quella manifestazione per “sostenere” la battaglia parlamentare dei cosiddetti “rappresentanti dei lavoratori”. Ma la lotta viva crea rivendicazioni diverse da parte dei rivoluzionari che, essendo presenti al suo interno, possono guidarla verso una maggiore unità e quindi verso obiettivi più importanti, definendo non solo le rivendicazioni per ottenere tale unità, ma anche l’obiettivo reale della lotta: la dittatura del proletariato. Questo è qualcosa che il Programma di transizione evita dal momento che il suo punto di partenza è anche il suo punto di arrivo: il livello immediato di coscienza delle masse. (17)

Trotsky perciò mostra di non superare i limiti della Seconda e, in seguito, della Terza Internazionale. Quei limiti non risiedono nella abilità di combattere con le masse, ma nella incapacità di fornire una guida che avesse una chiara concezione del comunismo e della necessità del rovesciamento dello stato borghese. Invece di criticare queste debolezze, Trotsky ne fa una virtù. La “conquista delle masse” in un momento di sconfitta del proletariato era il centro di questo volontarismo e ogni (fallita) tattica per ottenere il sostegno delle masse, dai fronti unici ai programmi minimi, fu riesumata da Trotsky nel vano tentativo di conquistare un consenso di massa. Seguendo questa logica, egli indicò ai suoi sostenitori francesi di “sconfiggere il riformismo all’interno delle sue stesse roccaforti” e di “portare il programma rivoluzionario alle masse” aderendo allo SFIO, la sezione francese della Seconda Internazionale. Egli difficilmente era in condizione di criticare l’adozione da parte del Comintern della politica dei Fronti Popolari nel 1935 e la sua denuncia del passaggio dell’Internazionale Comunista “dal lato della socialdemocrazia” non era coerente. Mentre c’era una sicura logica controrivoluzionaria nella politica dell’IC (essa voleva una alleanza con gli imperialismi francesi e inglesi contro i regimi fascisti dell’Europa centrale), l’entrismo di Trotsky nella socialdemocrazia non aveva alcun senso, specialmente se - come lui proclamava - la rivoluzione era proprio dietro l’angolo.

Noi affermiamo: le diagnosi del Comintern sono completamente false. La situazione è rivoluzionaria quanto può esserlo, date le politiche non-rivoluzionarie dei partiti della classe operaia. Più esattamente, la situazione è pre-rivoluzionaria. Per portare la situazione alla sua completa maturazione, ci deve essere una immediata, vigorosa, crescente mobilitazione delle masse, sotto lo slogan della conquista del potere. Questa è la sola via in cui una situazione pre-rivoluzionaria evolverà in una rivoluzionaria.

Non riconoscendo la sconfitta della classe operaia negli anni venti, Trotsky nel 1938 era quindi impreparato alla guerra imperialista che la borghesia imponeva ad essa. Non è perciò sorprendente che il Programma di transizione dovesse finire con un esplicito rifiuto del punto cardine della teoria rivoluzionaria di Lenin nella Prima Guerra Mondiale - il disfattismo rivoluzionario. Questo portò il trotskismo a partecipare alla Seconda Guerra Imperialista dal lato dell’imperialismo sia russo che occidentale.

La Seconda Guerra Imperialista

Il Programma di transizione afferma chiaramente che:

nel prossimo periodo il successo di un partito rivoluzionario dipenderà principalmente dalla sua condotta nella questione della guerra.

p.31

Viene anche ripetuto il principio comunista basilare che nella guerra imperialista “il principale nemico è nel proprio paese”. Ciò nonostante, Trotsky presto rivela di nuovo come la sua incapacità di analizzare la natura dell’URSS o di riesaminare la vecchia politica dei fronti unici della Internazionale Comunista lo conduca ad abbandonare questo principio. Nella stessa pagina il Programma di transizione ci dice non solo che sono oppresse le nazioni “non imperialiste” ma anche che

lo stesso compito di sostegno e difesa si applica a riguardo dell’aiuto all’URSS o qualsiasi altro governo operaio possa sorgere ...

Quindi l’incapacità di Trotsky di analizzare i rapporti di produzione in URSS lo disarmò nei confronti della posizione della Russia nella rete delle alleanze imperialiste. Nonostante l’evidenza degli anni trenta, quando la politica di Stalin fu quella di tentare di stabilire una alleanza con Inghilterra e Francia contro la Germania; nonostante i risultati di questa politica in Spagna e Cina; (18) nonostante il patto che Stalin firmò con Hitler per attaccare la Polonia nel 1939 e nonostante l’attacco alla Finlandia, Trotsky rimase sempre ancorato - fino al giorno della sua morte - all’illusione che la Russia non fosse né capitalista né imperialista. In verità, nel suo articolo La Russia e la guerra, scritto nel 1939, Trotsky criticava

la politica di Mosca (che) presa nel suo insieme mostra chiaramente il suo carattere reazionario

ma ancora una volta non è spiegato perché veniva condotta una politica reazionaria se non attraverso il debole argomento che lo stato dei lavoratori era stato deformato da una élite bonapartista. Nello stesso articolo Trotsky de-stalinizzò Stalin nella sua difesa del “socialismo” in URSS di fronte al proletariato mondiale.

Non dobbiamo per un solo momento perdere di vista il fatto che la questione della burocrazia sovietica è per noi subordinata alla questione della salvaguardia della proprietà statale dei mezzi di produzione in URSS; (ed) ... è subordinata per noi alla questione della rivoluzione mondiale del proletariato.

Non è sorprendente che questo conduca alle divisioni nella Quarta Internazionale con CLR James, Burnham e Schachtman che giungono tutti a conclusioni diverse sulla natura della Russia.

Gli scritti di Trotsky su questo dibattito furono raccolti e pubblicati sotto il titolo In Difesa del Marxismo. Sebbene impropriamente intitolati, essi mostrano la crisi di coerenza che lo aveva ora colpito. Il suo argomento in questo testo - che se la guerra non avesse condotto alla rivoluzione proletaria allora il marxismo avrebbe dovuto essere rifiutato e non ci sarebbe stata mai più la possibilità del socialismo - era semplicemente una versione più definita di quello che egli già scrisse in L’URSS e il Socialismo nel 1939.

... se, contrariamente a tutte le probabilità, la Rivoluzione di Ottobre [con questo egli intendeva l’URSS - ndr] non riuscisse, durante il corso della attuale guerra o immediatamente dopo, a trovare la sua continuazione in qualcuna delle nazioni avanzate; e se, d’altro canto, il proletariato fosse ricacciato su tutti i fronti, allora noi dovremmo senza dubbio porre la questione di rivedere le nostre concezioni dell’epoca attuale e delle forze che la guidano.

Questa non era una difesa del marxismo ma la logica conclusione di una analisi non basata sulle categorie marxiste. Incapace di comprendere la sconfitta del proletariato negli anni venti, egli provava a superare la sua debolezza con uno sforzo di volontà nel 1938 che dava credito all’idealismo ma non al marxismo. Questo non fu l’ultimo degli errori di Trotsky. In Difesa del Marxismo egli andò anche oltre sulla strada dell’appoggio all’imperialismo non soltanto per la “difesa dell’URSS” ma anche per la difesa della “palude democratica” in generale. Questo avveniva prima che l’attacco di Hitler contro la Russia nel 1941 portasse all’alleanza imperialista di convenienza tra URSS, Gran Bretagna e USA. E mentre i trotskisti statunitensi si dividevano sull’analisi della Russia, anche i trotskisti francesi si dividevano - in difesa di entrambi gli imperialismi tedesco e alleato! Mentre il Mouvement National Revolutionnaire chiamava alla “collaborazione senza oppressione” con Hitler, i “Comitati della Quarta Internazionale” in Verité chiamavano alla difesa...

della ricchezza che generazioni di lavoratori e cittadini francesi hanno accumulato. (19)

Settembre 1940

La nostra panoramica sulle origini del trotskismo termina con questo spiacevole episodio, la prima di molte divisioni senza principi in un movimento che, come abbiamo qui mostrato, non possedette mai chiare “concezioni sull’epoca attuale e sulle forze che la guidano”. Comunque, le critiche degli errori di Trotsky non equivalgono a cancellare la storia della lotta per il programma comunista e il partito comunista internazionale. Significano semplicemente che dobbiamo dirigere il nostro sguardo altrove.

(1) Qui non possiamo trattare l’intero processo del declino della Rivoluzione russa, ma i lettori possono riferirsi al nostro libro “Lo Stalinismo alla base della Perestrojka” o all’opuscolo dei compagni della CWO “1917-24 Revolution and Counter-revolution.

(2) Trotsky, Citato in E.H.Carr L’interregno p. 66

(3) Carr op. cit. pp326-7.

(4) Citato nella rivista teorica troskista Critique 4 p.44

(5) R.V.Daniels The Conscience of the Revolution pp 374-5

(6) Lenin, citato in R.V.Daniels A Documentary History of Bolshevism.

(7) Per una più completa esposizione della posizione di Lenin sulla “rivoluzione democratica” vedi Revolutionary Perspectives 20, “The Democratic Revolution - A Programme for the Past” e Revolutionary Perspectives 21Lenin’s Political Theory” (recensione).

(8) Trotsky Challenge of the Left Opposition p. 295

(9) Challenge of the Left Opposition p 295

(10) Il valore delle esportazioni sovietiche precipitò a un terzo e quello delle importazioni a un quarto fra il 1930 e il 1935. Per maggiori dettagli vedi “Theories of State Capitalism” in Revolutionary Perspectives 19

(11) Non abbiamo sinora discusso di questo concetto poiché, nonostante tutto il rumore sollevato dai trotskisti, gioca di fatto una parte piuttosto piccola nella analisi politica di Trotsky stesso

(12) Vedi Revolutionary Perspectives 19 loc. cit. dove c’è una analisi estesa dedicata alla valutazione dell’Urss da parte di Trotsky.

(13) Per una breve spiegazione di ciò, vedi Revolutionary Perspectives in “Lenin’s Political Thought”.

(14) Un prossimo opuscolo sulla decadenza economica del capitalismo spiegherà in maniera più approfondita questo concetto.

(15) Vedi “Class Consciousness in the Marxist Perspective” in Revolutionary Perspectives 21

(16) Slaughter nella Introduzione all’edizione del WRP del Programma di Transizione, p. 10

(17) Per un’ulteriore discussione del problema delle rivendicazioni, vedi Revolutionary Perspectives 17 e 20.

(18) Revolutionary Perspectives 1 e 15 come Internationalist Communist 8 e 12 trattano più estesamente questo episodio.

(19) Citato in Le Gauche Communiste d’Italie, libro della CCI, p. 166.

Trotsky, trotskismo, trotskisti

Il presente opuscolo è la traduzione dell'omonimo lavoro dei compagni inglesi della Communist Workers Organisation. Può essere considerato il completamento di un precedente lavoro della Cwo degli anni 1970 ora completamente esaurito e lo sviluppo di alcune linee di analisi contenute nell'articolo Kronstadt 1921 di Prometeo IV Serie n. 5 (settembre 1981).

Le posizioni qui espresse rappresentano il patrimonio comune del Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario in tema di rapporto con il movimento trotskista, sia per quanto riguarda il metodo di analisi sia le linee generali di giudizio della stessa Urss. È questa la ragione per la quale il documento è tradotto e pubblicato in più lingue.