Vertice Opec - Il petrolio terreno di scontro tra gli imperialismi

Il vertice Opec di Vienna, che aveva lo scopo di calmierare il prezzo del petrolio, non ha raggiunto l'obiettivo sperato dalla maggioranza dei paesi industrializzati. Ovviamente dietro le quinte a manovrare contro gli interessi europei e giapponesi c'erano gli Stati Uniti, il cui tornaconto consiste nel mantenere sufficientemente alto il prezzo del greggio per contrastare i concorrenti sul piano della competitività produttiva da un lato, mentre sul versante della speculazione finanziaria e della rendita significa continuare ad imporre il monopolio mondiale della propria moneta, vale a dire del dollaro.

Il modesto aumento di 708 mila barili al giorno deciso il 23 giugno, passando dagli attuali 24,6 milioni a 25,4 milioni, un incremento di quasi il 3%, che avrebbe dovuto portare i prezzi a 25 dollari al barile, considerato il punto di equilibrio sia per i paesi produttori che per quelli consumatori, dopo le prime oscillazioni si va attestando saldamente oltre i 30 dollari al barile.

Nonostante tutto e contrariamente alla percezione dell'opinione pubblica, influenzata dal prezzo alle stelle della benzina nel vecchio continente e dal raddoppio del prezzo del carburante nell'ultimo anno negli stessi Usa, dove in ogni caso costa poco più della metà rispetto all'Europa, il valore dell'oro nero è notevolmente diminuito nel corso degli ultimi decenni: "Espresso in dollari 1973, il prezzo reale medio del petrolio Opec è così caduto da 9,82 dollari/barile nel 1974 a 5,61 nel 1997 e a 4,82 nel 1999. Secondo le ultime statistiche del Fmi, su base 100 nel 1990, l'indice del prezzo medio del petrolio è caduto a 83,8 nel 1997, mentre l'indice mondiale dei prezzi delle materie prime passava a 112,9". (Le Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2000).

Nello stesso intervallo il valore delle esportazioni mondiali cresceva di quasi sette volte, mentre il valore delle esportazioni del petrolio a livello mondiale raddoppiava solamente. Passando dal 19,6% rispetto alle esportazioni mondiali del 1974 a circa il 5% del 1999. Mentre il petrolio Opec che rappresentava il 14,4% nel 1974 crollava nel 1997 al 2,9%. Dunque è facile comprendere che il vertiginoso aumento del prezzo della benzina nell'attuale periodo non dipende tanto dai paesi esportatori, ma dalle manovre speculative dei cartelli delle compagnie petrolifere occidentali a danno dei consumatori, oltre alla forte tassazione soprattutto in Europa.

Considerando l'attuale ritmo di crescita dell'economia internazionale e nonostante i paesi industrializzati abbiano sensibilmente ridotto i consumi energetici attraverso le nuove tecnologie e diversificato le fonti di approvvigionamento, tendenza che ulteriormente si rafforzerà in futuro, ancora per parecchio tempo il petrolio rimarrà la più importante materia prima. Non soltanto come fonte di energia ma soprattutto perché i suoi derivati sono utilizzati nella maggior parte delle merci prodotte.

Questa caratteristica universale del petrolio lo rende naturalmente un'arma privilegiata e fondamentale a cui la più forte potenza imperialista non può assolutamente rinunciare a conservarne il controllo, così come non può rinunciarvi chi aspiri a contrastare tale dominio. Da qui le tensioni a volte nascoste e a volte palesi tra Usa ed Europa. Se l'Unione Europea si rafforzerà e l'euro vorrà competere davvero con il dollaro sul mercato mondiale, ed è questo l'obiettivo del grande capitale europeo, necessariamente i suoi sforzi non potranno prescindere dal tentativo di sottrarre il monopolio petrolifero agli americani, o quantomeno di ritagliarsi delle proprie aree di controllo.

Prospettiva rafforzata dal fatto che gli Stati Uniti il petrolio ce l'hanno, mentre l'Europa è sostanzialmente scoperta da questo punto di vista e dipendente dalle importazioni: "Contrariamente ai paesi dell'Europa occidentale e al Giappone, gli Stati Uniti dispongono di abbondanti risorse energetiche che gli consentono, a lungo termine e nel momento opportuno, di soddisfare i propri bisogni. Inoltre essi occupano sulla scena energetica mondiale un posto privilegiato che gli consentirebbe, in caso di crisi, di 'approvvigionarsi' molto più facilmente di tutti gli altri". (Le Monde diplomatique/il manifesto, cit.).

Quindi in chiave strategica rispetto all'acuirsi delle tensioni interimperialistiche, che non mancheranno di manifestarsi con sempre maggiore forza con l'ingigantirsi delle contraddizioni capitalistiche, è ovvio che gli europei debbano provare ad uscire da questa situazione penalizzante. Da parte loro gli Usa, sempre per il medesimo motivo, cercheranno di rafforzare la loro supremazia in tutte le aree petrolifere del mondo anche con la forza delle armi, come del resto hanno sempre fatto, mentre per quanto riguarda le riserve interne stanno pensando di ricostituirle invertendo la tendenza pesantemente negativa. Dal crollo dei prezzi del 1985-1986 ad oggi, le riserve petrolifere degli Stati uniti sono diminuite del 40% come pure la produzione è calata del 31,2%, accrescendo la loro dipendenza dal grezzo importato dal 33,2% al 50,9%. Da qui l'interesse americano a mantenere i livelli dei prezzi quanto basta per incentivare la produzione con nuovi investimenti e nuove prospezioni.

In questa chiave si spiega la volontà di conservare in naftalina attraverso le sanzioni, almeno sino a quando lo riterranno opportuno, paesi produttori di fondamentale importanza come Iraq, Iran, Libano. Il teatro di guerra interimperialistico trova nel petrolio un possibile pericolosissimo detonatore. Usa, Europa e Giappone sono i principali contendenti, senza dimenticare l'ex grande predone imperialista. Il conflitto in Cecenia dimostra che anche la Russia non vuole stare a guardare.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.