Petrolio, imperialismo e il fratello americano

Suo malgrado l'Iraq di Saddam Hussein è ritornato alla ribalta delle cronache. È tornato sulla base di una dichiarazione denuncia nei confronti del Kuwait. Secondo il Rais di Baghdad gli odiati vicini gli sottrarrebbero da dieci anni milioni di barili di petrolio da una falda comune, quella di Rumaillah, grazie alla colpevole disattenzione dell'occidente e degli Stati Uniti.

La storia non è nuova. Quella dello sfruttamento congiunto della falda comune è stata una delle giustificazioni addotte all'epoca dell'invasione del Kuwait nel 1990. Oggi le motivazioni che sottendono alla dichiarazione denuncia di Hussein hanno lo scopo di riproporre all'attenzione internazionale la questione dell'embargo, nella speranza che gli interessi che dividono l'Europa - Russia dagli Usa sul problema petrolio portino al suo annullamento, o quantomeno, alla sua rinegoziazione. Il governo americano ha immediatamente risposto da par suo dichiarando che saremmo in presenza della ennesima provocazione del dittatore di Baghdad, che non esistono margini di contrattazione sull'embargo, e che se Hussein dovesse far seguito alle parole con i fatti, tutto è pronto per una seconda e più severa punizione.

Come da copione il contrasto viene presentato come una "querelle" tra il recidivo Hussein e gli Usa patrocinatori della pace mondiale. Nei fatti sull'Iraq e sulla sua popolazione si sta giocando una delle tante partite che hanno come obiettivo il controllo del petrolio, della rendita petrolifera, del sempre più serrato scontro tra Europa e Usa (euro e dollaro) nella ricomposizione dello scenario internazionale imperialistico apertosi con il crollo della Unione Sovietica.

L'intransigenza americana nei confronti dell'Iraq ha come principale obiettivo quello di non concedere all'Europa nessuna "chance" nel reperimento di petrolio che non passi dalla sua gestione. Non a caso la reiterata volontà di mantenere l'Iraq sotto embargo si è manifestata quando l'Europa ha ventilato l'ipotesi di accettare la proposta irachena di trattare direttamente e di pagare il suo petrolio in Euro e non in dollari come di prammatica nel mercato mondiale, a condizione, come è ovvio, che cessi l'embargo. Nei piani americani non c'è soltanto l'obiettivo di gestire in prima persona le risorse della materia prima per eccellenza, ma di condizionarne i prezzi di vendita in modo da intervenire sui meccanismi della economia mondiale. Come è noto, nel 1998 quando il prezzo del greggio ha toccato il minimo storico degli ultimi venti anni, pari a 9 $ e spiccioli al barile, e tutti gli analisti pronosticavano una ripresa economica in Europa accompagnata da un rallentamento della crescita americana, l'amministrazione Clinton ha immediatamente convocato un "summit" a Washington per creare le condizioni dell'aumento del prezzo del greggio. Ha convocato i suoi grandi alleati petroliferi Opec e non: A. Saudita, Kuwait, Emirati e Messico con lo scopo di mettere in difficoltà la ripresa economica europea. Il prezzo del greggio, nello spazio di due anni è balzato dai neanche 10 dollari ai 34 - 36 del mese scorso con le note conseguenze e allarmi che il proletariato è chiamato a sopportare. Gli Usa non hanno fatto due guerre (Golfo e Kosovo) per niente, ma per imporre il proprio dominio imperialistico sulle aree di strategica importanza, tra cui quelle petrolifere.

Al riguardo non ingannino i recenti comportamenti della amministrazione Clinton che, improvvisamente, con il greggio a 36 dollari a barile e l' Euro che in nemmeno due anni ha perso quasi il 30% nei confronti del dollaro, ha deciso di intervenire per aiutare la moneta europea e per abbassare il prezzo del greggio. Manovre contrabbandate come un aiuto sincero e disinteressato nei confronti dell'Europa e, perché no, dei paesi in via di sviluppo gravati dal doppio giogo energetico e finanziario. La "carità pelosa" è presto spiegata. Un così alto costo del greggio accompagnato da un Euro troppo debole nei confronti del dollaro stanno mettendo in crisi le esportazioni americane verso l'Europa di quei beni tecnologici su cui l'economia americana fa molto affidamento. Con una bilancia dei pagamenti con l'estero in deficit di 300 miliardi di dollari l'economia americana non può permettersi il lusso di vedere le proprie esportazioni crollare per un eccesso di supremazia del dollaro nei confronti dell'Euro. La sola notizia del crollo delle esportazioni in Europa ha fatto precipitare le quotazioni borsistiche del colosso Intel del 22% in una sola seduta, bruciando qualcosa come 200.000 miliardi di lire. Lo stesso disastro, anche se in termini quantitativi minori, ha colpito i giganti della new economy come Oracle, Ibm e Cisco. Ma anche le strutture produttive della old economy, quali la Mgm, la Ford, la Colgate e la Du Pont sono pesantemente danneggiate. Ne consegue che gli interventi della Federal Bank sul mercato delle valute a sostegno dell'Euro e la decisione di fare ricorso al 5% delle riserve strategiche americane (30 milioni di barili al giorno per trenta giorni) al fine di ridurre il prezzo del greggio, hanno come obiettivo le esportazioni delle imprese americane danneggiate dall'eccessivo caro petrolio e dalla sottovalutazione dell'Euro. Rimane il fatto che all'imperialismo Usa facciano comodo in questa fase di rallentamento della propria crescita e di rilancio dell'economia europea un dollaro forte ed un prezzo del greggio alto, ma non così forti e alti da penalizzare le sue esportazioni. Il lupo perde il pelo ma non il vizio e i suoi denti sono aguzzi e sempre pronti a mordere anche quando sorride.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.