Bolivia: la continuita' della ribellione

Ma la dinamica spontanea delle masse sollevate non è sufficiente per il trionfo rivoluzionario

Pochi mesi addietro, in una riunione delle dieci maggiori imprese capitaliste degli Stati Uniti e dell'Europa, patrocinata dalla Citibank, il presidente boliviano Hugo Banzer ha acettatoo la sfida di approfondire e accelerare i cambiamenti chiesti dalle multinazionali, alfine di inviare al capitale internazionale chiari segnali che nel suo paese ci si sta dando da fare per perfezionare il quadro giuridico e legislativo che assicuri regole chiare per gli investitori "la cui presenza, in accordo con il discorso pronunciato da Banzer in questa riunione, desideriamo incentivare e incoraggiare". La prima conseguenza di queste nuove regole politiche è stata la sollevazione delle masse. La sedizione generale è cominciata nella città di Cochabamba, si è estesa al Chapare con blocchi e dimostrazioni, acquistando, infine, forza nell'altopiano e nella capitale, La Paz. La promulgazione dello stato d'assedio da parte del governo Banzer, non ha fermato il movimento di protesta, che persiste nel suo intento di far recedere i piani del capitalismo internazionale. La rivolta degli schiavi latino-americani non ha, dunque, ragione per finire. Oggi ha acquisito l'aspetto di un uragano sociale che si muove in molte direzioni.

Nonostante - e in contrasto con - lo scarso sviluppo locale delle forze produttive del capitale, in Bolivia le masse hanno dimostrato di possedere un livello di coscienza più avanzato di quello dei lavoratori degli altri paesi della regione. La spiegazione di questo fenomeno risiede tanto nel fatto che la penetrazione dell'ideologia borghese è ancora incipiente (infatti, di fronte all'ideologia individualista del consumismo e del mercato che il capitale cerca di imporre, sopravvivono, sulla base di un'enorme popolazione eccedentaria - secondo i criteri capitalisti, n.d.r. - non suscettibile di essere integrata nell'economia formale, le diversità di cultura e di modi di pensare della comunità tribale e contadina basate sulla cooperazione e su forti legami collettivi di solidarietà) quanto nel fatto che siamo di fronte a un anello debole della catena imperialista verso il quale il capitalismo internazionale trasferisce le conseguenze acute ed estreme della sua crisi.

Sebbene non abbia avuto alcuna eco pubblicitaria, il movimento delle masse in Bolivia ha evidenziato la sua superiorità qualitativa rispetto alle rivolte "ecuadoriana", "peruviana" e "colombiana"; le loro rivendicazioni esprimono tanto gli interessi immediati dei settori più colpiti della classe lavoratrice, quanto compiti che toccano l'insieme della classe. Da un lato, le loro rivendicazioni si elaborano a partire dalla situazione concreta in cui vivono e come reazione alle privatizzazioni, senza subordinarsi al movimento nazionalista (il caso della Colombia, dell'Ecuador e del Perù); dall'altro, l'unità e il coordinamento si perseguono in funzione della lotta per sconfiggere la politica dei padroni e il governo. Mentre i contadini domandano prima di tutto l'annullamento "totale" della Legge delle Acque e la fine dell'estirpazione della coca, la Coordinadora popular ha come esigenze primarie la rescissione del contratto con l'impresa transnazionale "Aguas del Tunari", l'eliminazione della legge 2029 relativa al regime delle acque e alla privatizzazione delle terre comunali. Da parte loro, i docenti si sono mobilitati per l'aumento degli stipendi.

Nonostante la tendenza a unificare la lotta di tutti i settori sfruttati, l'inserimento dei diseredati urbani nel movimento è precaria. Sebbene, per certi aspetti, si avverta una certa polarizzazione delle masse, i poveri delle città, che patiscono la terribile carenza di approvvigionamenti provocata dai blocchi agrari, potrebbero avere reazioni incoscienti facilmente recuperabili dai loro nemici. In certi ambienti si pensa persino che la maggior parte dei settori urbani si sentano estranei alla mobilitazione. C'è anche il pericolo del nazionalismo delle popolazioni indigene, la cui ansia di redenzione sociale e culturale può spingerle a nutrire la romantica speranza di conseguire una rivincita storica ritornando al passato. Nel caso ciò avvenisse, sarebbero fortemente sospinte a rompere il fronte unico di massa, raggiunto finora con la lotta, sul quale poggia la possibilità di vincere la borghesia. Dall'altro lato, sta lo spirito reazionario e razzista della classe media, che si limita a incolpare delle sue frustrazioni sociali i ribelli, esigendo dal governo il "pugno di ferro" per farla finita con il disordine "degli indios".

In coerenza col loro avanzamento politico, le masse non possono esprimersi né organizzarsi attraverso le istituzioni democratiche o dello Stato. La loro dinamica e il grado di mobilitazione raggiunto non si conciliano nemmeno con le strutture corporative e sindacali. Tendono, invece, a superare queste forme e a dotarsi di istanze di coordinamento capaci di operare nel mezzo della lotta contro il potere e unificare il maggior numero di settori sotto una stessa bandiera. Così, lo scatenamento della lotta di classe ha messo in discussione tutti i limiti borghesi dei meccanismi di mediazione tra le classi subalterne e lo Stato, distruggendo immediatamente gran parte del tessuto che unisce le organizzazioni della società con il potere. Invece di dissolvere l'individuo della classe nell'astratto cittadino della politica, lo vincola direttamente al suo io collettivo reale, rendendolo cosciente dei suoi interessi di classe. Attratte dall'imperativo della lotta in difesa dei loro interessi comuni, le masse procedono attraverso l'autorganizzazione e l'azione diretta.

La capacità degli strumenti tradizionali di controllare il movimento delle masse è limitata dal fatto che non esistono argini per sviare le rivendicazioni attuali. Tuttavia, anche qui il conflitto "cocalero", con i suoi pericoli e le sue possibilità, ha un peso enorme nell'attuale scenario di scontro sociale. Il problema della coca è in rapporto con la ricerca di nuovi mezzi di vita da parte delle masse che sono divenute eccedenti rispetto alle caratteristiche locali dell'accumulazione del capitale o si trovano di fronte all'impossibilità di integrarsi con i meccanismi sussidiari dell'economia terziaria. Il destino della ribellione dei cocaleros - esplosa dopo il clamoroso fallimento delle colture "alternative" di ananas e banane, con le quali si pretendeva di rimpiazzare le piantagioni di coca - dipende dalla capacità dei braccianti delle piantagioni, dei contadini poveri e delle comunità indigene di articolarsi indipendentemente dalla lumpenborghesia narcotrafficante e di sostenere un progetto proprio a fianco di quello dei più sfruttati. Ciò, a sua volta, dipende dalla disposizione politica del proletariato delle città e dalla costituzione al suo interno di una corrente comunista. Tanto la ribellione dei poveri delle campagne, quanto la stessa politica ufficiale dettata dal FMI e dagli USA, rendono manifesta l'incompatibilità tra il capitalismo - il cui mercato dichiara "superflui" tanto i prodotti "alternativi" quanto i suoi produttori - e la sopravvivenza delle masse. Prima di decidersi a negoziare, Banzer e il suo governo hanno dovuto sperimentare l'impotenza delle forze armate nel soffocare la ribellione. Seguendo le direttive dell'ambasciata statunitense, ha limitato dall'inizio la portata delle trattative, segnalando che non ci sarebbe stato l'aumento per i docenti e che l'estirpazione delle piantagioni di coca e la costruzione di cuarteles (caserme) nel Chiapare (contro la quale si scagliano i cocaleros) non sono negoziabili. Ciò significa che la Bolivia sta soffrendo l'impatto del piano regionale dell'imperialismo, concepito e finanziato dagli USA per monopolizzare il traffico di droga e imporre la loro versione della globalizzazione economica, la quale implica la rovina dei lavoratori condannati a pagare la sua crisi.

Solo il proletariato, che si ispira al programma comunista, può emancipare socialmente le masse contadine e indigene incatenate al latifondo, alla borghesia, allo Stato e agli speculatori. A causa della sua natura di classe, lo stato democratico non può farlo. Infatti, i due gruppi sociali che lo controllano, la borghesia locale e i proprietari terrieri, non sono altro che un prolungamento dell'imperialismo e delle borghesie metropolitane. Entrambi si sono trasformati molto tempo fa - attraverso il loro legame con il capitale minerario, con l'installazione della piantagione per lo sfruttamento del lavoro salariato, con l'usufrutto della rendita percepita dallo Stato e dal sistema finanziario - in una frazione della borghesia mondiale unificata in un fronte unico contro tutti gli sfruttati.

Per alcuni aspetti il caso della Bolivia ripete quello dell'Ecuador, del Perù e della Colombia. Come in questi paesi - dove la bancarotta dei politici tradizionali è patente - l'incapacità di contrastare il movimento attraverso i meccanismi abituali dei partiti e il fiasco delle azioni di forza, hanno spinto la borghesia ad appellarsi alle istituzioni della società civile - apparentemente "neutrali" e "al di sopra delle classi" - per contenere le masse e farle ritornare all'ovile. In Bolivia, per esempio, grazie alla mediazione della Chiesa, si è riusciti a convincere i cocaleros, la Coordinadora del Agua di Cochabamba e gli insegnanti a "dialogare" con il governo. L'unica - però molto importante - eccezione sono i contadini della Cutce. La psicologia di costoro è refrattaria ai preti - che sono mortalmente odiati nelle comunità indigene - e le loro necessità sono troppo urgenti per essere differite con un'illusione. D'altra parte, il fallimento dei partiti populisti tradizionali nell'attirare a sé le masse e l'inettitudine dello Stato nel conservare le redini dell'autorità - di fronte a una massa che sente che non è più possibile sopportare oltre - ispira alla borghesia il progetto di creare una "alternativa" di sinistra che tenga a freno gli sfruttati. Non c'è motivo per credere che i sogni che oggi coltiva la destra possano essere materializzati domani dalla sinistra. Tutte queste questioni fanno sì che la sollevazione ponga in primo piano, in maniera acuta, la questione della strategia politica degli sfruttati. Tuttavia, la prima cosa che si deve constatare è che costoro, sebbene si ribellino, non sanno nemmeno cosa occorre fare per cambiare il vecchio ordine di cose. Come in tutte le situazioni del passato testé citate, quella odierna riflette una dinamica rivoluzionaria che non può cristallizzarsi nella dittatura del proletariato a causa dell'assenza di un partito rivoluzionario dotato del programma, della strategia e delle indicazioni tattiche per abbattere la borghesia e instaurare il potere proletario. Il bilancio della ricca esperienza storica del proletariato boliviano prova una volta di più che la dinamica spontanea delle masse sollevate, nella misura in cui sfocia in organi e istanze autonome di potere dei lavoratori, è una condizione necessaria, però mai sufficiente per il trionfo rivoluzionario. È condizione imprescindibile che la politica e il programma comunista dirigano il movimento. L'altro problema sta nella costituzione di una Internazionale che colleghi l'azione del partito proletario locale con quella della classe e della sua organizzazione politica in tutto il mondo.

Ja

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.