I disastri ambientali non finiscono

Bisogna seppellire il capitalismo prima che il capitalismo ci seppellisca tutti

Non solo in Italia, ma in tutto il mondo ormai piogge torrenziali e siccità, allagamenti e desertificazione del territorio, frane e valanghe sono divenuti fenomeni con frequenza ordinaria così come d'ordinaria quotidianità sono gli incidenti che durante il trasporto o durante i cicli di produzione industriali provocano immissioni di sostanze nocive nell'ambiente.

Normalmente, all'indomani di ogni disastro provocato da eventi che in qualche modo sono addebitabili all'attività umana, vengono annunciate misure che dovrebbero prevenire il loro ripetersi. Non è raro neppure che i responsabili vengano individuati e perseguiti penalmente o vengano chiamati a pagare i danni anche se sono ingenti.

Anche i mass media, che abitualmente si distinguono per l'accondiscendenza verso il potere e i potenti, in questi casi non si tirano indietro nel denunciare omissioni e responsabilità.

La consapevolezza dei rischi che l'umanità corre, in apparenza, è così' diffusa che si fa fatica a comprendere il perché poi ogni volta che piove un po' più del solito i fiumi straripano; se il mare si agita qualche nave carica di petrolio o di veleni affonda e se il buon Eolo cessa di soffiare per qualche ora, le città si trasformano in tante camere a gas.

Questa contraddizione così palese tra denunce e intenzioni da un lato e risultati concreti dall'altro per molti si spiega con il fatto che in realtà incidenti e disastri sono eventi determinati dal caso e che prevenirli è pressoché impossibile visto che le cause che li provocano sono tante e così diverse fra loro. In ultima istanza, secondo costoro, sarebbero disastri naturali da cui ci si può difendere forse un po' meglio, ma che nulla si può fare per evitarli. Per altri, invece, le misure di prevenzione e protezione fin qui adottate sono del tutto insufficienti e invocano l'adozione di provvedimenti sempre più restrittivi nell'uso dei fattori naturali o di pesanti tassazioni per scoraggiare il loro uso o quello di prodotti inquinanti come la benzina o il gasolio.

Per quanto questi due approcci alla questione ambientale - chiamiamola così per comodità di discorso - appaiano in netta contrapposizione fra loro, in realtà entrambi sono il prodotto dell'accettazione totale dell'attuale sistema economico e della sua ideologia. L'uno, assumendo questi eventi come fatti naturali, in realtà assume come del tutto naturale anche l'attuale sistema economico; l'altro, sostenendo la necessità di rendere più costoso l'accesso ai beni naturali, in realtà non fa altro che reclamare un'ulteriore mercificazione dei bisogni umani e in ultimi istanza a vantaggio dei più ricchi. I due approcci, cioè, si equivalgono laddove sostanzialmente non mettono in discussione il sistema capitalistico che pretende appunto di essere "naturale" e non un prodotto storico e perciò transitorio quale invece è, e che ha nella mercificazione crescente dei bisogni dell'uomo una se non la sua principale ragion d'essere.

Mercificazione, infatti, significa che ogni bisogno deve essere soddisfatto mediante la produzione di una merce e merce significa profitto, cioè, che la soddisfazione dei bisogni umani debba necessariamente sottostare alla logica del profitto.

Prendiamo il tanto decantato diritto alla mobilità. Si dice che nella società moderna qualora mancasse verrebbe meno una delle basi della stessa democrazia - borghese, aggiungiamo noi - per questo ogni individuo ha il diritto a possedere un proprio mezzo di trasporto (un'autovettura), ma è proprio grazie all'eccessivo numero di autovetture, per lo più in sosta, che nelle città ormai ci si sposta a velocità medie prossime allo zero e anche negli spostamenti extraurbani le velocità medie di crociera sono inferiori a quelle dei nostri treni, che pure non sono certo dei fulmini di guerra.

Assumendo la mobilità come un bisogno sociale, invece, si potrebbero organizzare sistemi di trasporto integrato collettivo/individuale. Con la creazione di parchi auto organizzati per garantirne l'uso e non la proprietà si otterrebbe una drastica riduzione delle autovetture in circolazione a tutto vantaggio degli spostamenti con i mezzi collettivi mettendo ognuno nelle condizione di poter scegliere di volta in volta il mezzo più efficace secondo le caratteristiche dei luoghi in cui ci si muove e di quelli che bisogna raggiungere con enormi vantaggi sia per la mobilità, sia per l'ambiente, sia per la velocità di spostamento.

Tecnicamente questa soluzione è già oggi a portata di mano, ma la sua piena realizzazione presuppone la demercificazione del bisogno di mobilità e di conseguenza anche dei mezzi di trasporto con tanti saluti ai profitti del Sig. Agnelli e dei suoi compari che per questa ragione hanno ovviamente tutto l'interesse a opporvisi.

Non diversamente le cose stanno per il degrado del territorio, per la deforestazione, per le immissioni nocive nell'atmosfera o l'uso di navi-carrette per il trasporto di petrolio o di altri prodotti chimici e così via. A monte di ognuno di queste attività vi è la mercificazione di un bisogno, la sua trasformazione in merce e quindi in opportunità di profitto.

La costruzione di case, le mega centrali termoelettriche, il trasporto di petrolio e così via non rispondono tanto alla necessità di soddisfare bisogni quanto al fatto che quei bisogni, peraltro molti di essi indotti, sono stati mercificati e con essi ovviamente anche la produzione dei beni necessari per soddisfarli.

Se, per esempio, per la casa, il bisogno da soddisfare fosse semplicemente quello di offrire a tutti un'abitazione dignitosa, non si costruirebbero seconde e terze case nei posti più impensati senza badare ai danni all'ambiente e alla stessa sicurezza di chi deve abitarle. Così come non sarebbero necessarie milioni di auto che stanno ferme per la maggior parte del tempo e mega centrali termoelettriche quando è possibile muoversi più velocemente o produrre energia con fonti riproducibili e non inquinanti

A dispetto delle convinzioni dominanti, è solo dal riconoscimento del carattere sociale della stragrande maggioranza dei nostri bisogni che può venire una seria e reale soluzione dei problemi ambientali perché ne rimuove la causa che è alla loro origine. Se davvero, dunque, si vuole evitare, come affermano molti scienziati, che nel giro di qualche generazione il pianeta terra diventi una landa deserta, bisogna andare esattamente nella direzione opposta a quella suggerita sia dagli ambientalisti sia da coloro che ritengono che non ci sia nulla da fare. Anziché pensare a nuove imposte o a costruire inutili argini di cemento, bisogna seppellire il capitalismo prima che il capitalismo ci sotterri tutti.

gp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.