Nuova economia e vecchio sfruttamento

New-economy è il concetto, la nuova dinamica realtà che deve convincere anche chi ne patisce che tutto va per il meglio e che il capitalismo continua a essere il modo di produzione e la formazione sociale più avanzata e terminale nella storia dell'uomo.

Certo sarà un po' più difficile convincere i lavoratori delle maquiladoras messicane e dei barrios sudamericani, piuttosto che i proletari vietnamiti o i disoccupati del nostro Meridione, delle sorti fauste e progressive dell'attuale status della società, ma tant'è, a costoro neppure è diretta quella propaganda borghese. Quel che conta è turlupinare con aria dotta il proletariato metropolitano, nel mentre stesso gli si taglia occupazione salario e servizi.

Ma cos'è in sostanza questa new-economy? Innanzitutto è il portato di quella che abbiamo chiamato la terza rivoluzione tecnologica: quella del microprocessore. I suoi più recenti sviluppi, con l'esplosione di Internet, sono solo una avanzata applicazione del microprocessore e dell'informatica al settore delle telecomunicazioni, ovvero la informatizzazione delle telecomunicazioni. Non a caso si attua la distinzione (più linguistica che altro) fra informatica e telematica. Ebbene la new-economy altro non è che la applicazione della info-telematica alle transazioni commerciali, siano esse relative a merci materiali, informazioni o servizi.

Anche a questo punto sono evidenti le sue ricadute sulla stessa organizzazione del processo produttivo, che già, nelle punto avanzate, aveva già largamente fruito dei benefici della elettronica e dell'informatica, con le linee robotizzate multiutensili programmabili e simili e analoghe "meraviglie" tanto nella produzione quanto nella logistica della produzione stessa.

L'impresa produttiva ben inserita nella nuova economia è quella che raccoglie da e mediante Internet le richieste del mercato adeguando ad esse la flessibilità del suo processo produttivo e del suo sistema logistico e di distribuzione/consegna dei prodotti.

Poi c'è - ed è la forma più evidente, quella di cui si sente più parlare anche in apertura dei telegiornali - l'applicazione della info-telematica ai mercati finanziari. È attraverso Internet, a partire dai computer delle borse e del grandi speculatori, che si spostano quotidianamente quelle masse spaventose di valori - a questo punto neppur cartacei - che, lungi dall'avere un loro corrispettivo reale nella produzione mondiale di merci, causano i paurosi su e giù dei titoli di borsa, dei loro derivati, delle valute e i correlati stati di crisi di questo o quel settore.

In entrambi i casi, nel settore produttivo come nel settore finanziario, perché la nuova economia attecchisca e arricchisca i capitalisti, occorre che preesistano le sue condizioni: un apparato industriale "tradizionale" forte e sviluppato, una adeguata concentrazione di capitali finanziari.

È questo un fatto da tenere sempre presente per non farsi prendere letteralmente per i fondelli da quei politici, di destra e di sinistra, che per esempio affidano alla new-economy le speranze (per loro certezze) di ripresa di regioni arretrate come... la Calabria. Cosa può vendere in rete chi non produce? Con quale faccia tosta si può raccontare che la new-economy consentirà di baypassare l'industrializzazione primaria, fallita nel Sud d'Italia per precise ragioni storiche, economiche e politiche? Se l'arretratezza del Sud va ricondotta alla mancata esperienza Comunale del Basso medioevo italiano (come le eccellenze senatoriali calabresi argomentano), come si può pensare che la new economy la superi di un balzo? Mettendo in rete il nulla industriale e la povertà della stragrande maggioranza della popolazione?

Quel che possono sperare, i padroni della new economy, è che lo strato piccolo borghese della popolazione calabrese, come di tutte le zone del mondo deprivate di industria e di infrastrutture, investa i suoi pochi spiccioli nel gioco finanziario in rete, affidandoli a questo o quel gestore di fondi. Ecco l'unico modo in cui la new economy penetra in tutte le regioni del globo.

L'altro modo del suo manifestarsi trova le sue ragioni, ancora, nelle condizioni in cui è nata.

Abbiamo detto un'elevata concentrazione e articolazione industriale; ma non basta. Nel villaggio globale della concorrenza, vince chi pratica i prezzi più bassi, ovvero chi taglia di più sui famosi costi del lavoro. E ancora, nel momento in cui Internet e la correlata logistica consentono l'espansione del proprio mercato al di là dei confini nazionali e addirittura continentali, come potranno sopravvivere le imprese locali se non tagliando a loro volta e selvaggiamente sui costi e sulle condizioni di lavoro.

Conclusione: la new-economy, al di là degli aspetti tecnici, si fonda sull'attacco generalizzato al costo del lavoro. Il fenomeno americano dei tecnici della Sylicon Valley che abitano all'Hotel 22 (vedi altro articolo) ha le stesse origini del supersfruttamento dei proletari vietnamiti di cui si parla nella notizia in coda.

Quante sono le maquiladoras messicane che lavorano per i gruppi americani alfieri e attori della new-economy?

Agli ovattati uffici in cui ronzano i computer che spostano migliaia di miliardi con dei click si accompagnano, come condizione di esistenza, i barrios sudamericani e le fogne delle città rumene popolate di bambini.

I bambini sfruttati in condizioni schiavili nel Sud Est Asiatico, come negli scantinati d'Italia non sono sopravvivenze di un mondo superato, che nulla ha a che fare coi fasti dei ricchi nelle metropoli. Anzi quello stesso modo di produrre e quella stessa formazione sociale che vede moltiplicarsi i redditi giganteschi di pochi, vede anche e come condizione di quella ricchezza, ingigantire la miseria dei più.

Un ultima notazione. La campagna ideologica sulla new-economy, secondo cui essa consisterebbe in un superamento della vecchia organizzazione del lavoro e della struttura sociale di classe corrispondente, dove ha fatto breccia? Ppiù che sul proletariato "classico", già bastonato nel concreto e ora anche deriso, la bufala della nuova economia ha colpito l'immaginazione degli strati più nuovi del proletariato stesso, in quelli più direttamente a contato con i padroni e gli attori metropolitani della new-economy. Al punto che fra questi e per questi circola la favola di un nuovo modo di presentarsi del dominio capitalista e di una nuova contrapposizione: non più di classe - proletariato contro borghesia - ma quella fra i detentori dei saperi tecnici e gli utilizzatori/sfruttatori di questi saperi tecnici.

Fra collaboratori esterni dell'informatica e dell'editoria, programmatori a cottimo, elaboratori di dati a casa, e i loro utilizzatori esiste lo stesso rapporto di sfruttamento che esiste fra l'operaio e il padrone della impresa... fordista, ma per loro No. Loro sono restati vittime della campagna e credono che tutto il mondo viva nel "post-produttivo" e che da qui, da questa grande bufala si possa partire per un "progetto di cambiamento". Chissà cosa ne penserebbero gli operai vietnamiti.

m.jr

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.