Sognando California? I rischi di blackout totale denunciano la miopia di fondo delle scelte della borghesia

Blackout sporadici di qualche ora hanno ombreggiato qua e là le festività estive in California.

Centinaia di migliaia di famiglie californiane sono rimaste per ore al buio e nella impossibilità di cuocere e scaldarsi, in dicembre. Decine di aziende della famosa Sylicon Valley hanno dovuto ridurre drasticamente i consumi, per non trovarsi del tutto tagliate fuori dalla rete elettrica.

A consolare le famiglie verrà a gennaio un robusto aumento del 20 per cento minimo delle bollette elettriche, concesso dall'autorità statale alle aziende fornitrici dell'energia elettrica (Southern California Edison e Pacific Gas and Electric), sull'orlo del fallimento perché oppresse da un debito di 9 miliardi di dollari contratto per pagare i produttori di energia.

Le aziende da parte loro, sono state consolate dal finanziamento deciso dalla California Energy Commission per 1,4 milioni di dollari di un progetto pilota che aiuterà le aziende a installare attrezzature e congegni per il controllo dell'utilizzo di energia (quanta energia assorbita al secondo dai vari apparati, ecc.).

Il gravissimo dissesto del sistema elettrico californiano, ma non solo (1), non ha nulla a che fare con il prezzo e il mercato del petrolio. Il petrolio pesa infatti come materia prima per la produzione di energia elettrica negli Usa, per un irrisorio 3 per cento, come mostra questa tabellina pubblicata dal Dipartimento dell'Energia degli Usa:

Fonte Peso nella produzione elettrica
Carbone 51%
Nucleare 20%
Gas 15%
Idraulica 8%
Petrolio 3%
Altre rinnovabili non idrauliche 2%

La crisi energetica californiana è invece, e per ammissione di parte borghese, il famoso nodo al pettine della "deregulation" decisa nel 1996.

I fatti

Brevemente i fatti: nel 1996 viene varato il patto di deregulation con cui le già citate aziende private si impegnano a cedere (vendere a terzi) i propri impianti di produzione, a comprare sul "libero mercato" l'energia che distribuiranno soltanto agli utenti, evitando di scaricare su questi gli eventuali aumenti di costi nelle forniture elettriche almeno fino al 31 marzo del 2002.

La SC Edison e la PG&E hanno così iniziato a comprare l'energia sul mercato per rivenderla ai clienti a prezzi inizialmente accettabili per loro e remunerativi per le aziende.

Ma la California, sede della succitata Sylicon Valley a sua volta sede di aziende high tech e assolutamente energivore, registra un tasso di crescita dei consumi elettrici del 2 per cento annuo (secondo la California Energy Commission). L'estate scorsa la domanda di energia ha fatto un balzo in su, ma contemporaneamente sono schizzati in alto i prezzi a causa della siccità che aveva ridotto i bacini idroelettrici dello stato di Washington, dove le aziende fornitrici di energia elettrica californiane prevalentemente acquistano.

D'altra parte dal 1966 nessuna nuova centrale di produzione è entrata in funzione in California: le aziende di produzione hanno evidentemente ritenuto non remunerativi e dunque non necessari, gli investimenti per nuovi impianti di produzione. Ora i produttori di energia dicono di avere sei impianti in costruzione per circa 12.000 Megawatt, e altri 11 impianti sono in programma; ma intanto il problema si è creato e rimane a breve irrisolvibile.

Diversi commentatori americani si sono spinti recentemente a indagare i grandi errori caratterizzanti quella deregulation e che l'hanno condannata al fallimento. La stessa CNN, che possiamo definire senza tema di sbagliare di molto, organo di stampa del governo (quello vero) e della CIA, ha scritto:

Quando la California si è mossa verso la deregulation dell'energia, questa veniva vista come modello di ruolo per l'intera nazione. Molti in questo Stato ora pensano che essa ha svolto quella funzione, ma in modo inverso: mostrando come non farla.

Ci si sofferma così sui particolari della deregulation, sui modi cioè in cui la privatizzazione è stata portata avanti nel settore energetico. Nessuno mette in questione la privatizzazione stessa. Si dice, per esempio, che uno degli errori fu di vietare, fino al 31 marzo 2002, gli aumenti delle tariffe di fornitura a compensazione degli aumenti dei costi dell'energia. Ora può essere vero - anzi lo è certamente - che una liberalizzazione così totale avrebbe salvato la SC Edison e la PG&E dalla bancarotta che ora stanno rischiando; ma ciò non avrebbe certamente salvato i cittadini dal pagare bollette di fuoco quale condizione per ricevere l'energia acquistata nel Washington a prezzi appunto di fuoco. Ora gli aumenti concessi salveranno le aziende dalla bancarotta mettendo in bancarotta i bilanci familiari dei proletari. Ma questa è la storia di sempre.

Le conclusioni

Ciò che invece va oggi sottolineato è la profonda stupidità della ideologia borghese, oggi pensiero unico, oltreché dominante. È un assioma di questo pensiero unico che il privato funziona meglio del pubblico, che cioè l'iniziativa privata soddisfa i bisogni reali meglio e di più dell'iniziativa statale. A rafforzare "storicamente" l'assioma, ci si dice: lo stato poteva e doveva supplire l'iniziativa privata quando gli investimenti necessari erano talmente elevati che i privati per quanto riuniti in SpA non avrebbero potuto raccoglierli: ferrovie, telefonia, energia...; ma ora che le grandi corporation hanno bilanci che superano il PIL di diversi stati del mondo e capacità finanziarie superiori a quelle di molti stati poveri, esse possono benissimo svolgere le funzioni che prima svolgeva lo stato. Sarebbe allora giusto e utile affidare tutto alla iniziativa privata limitando le funzioni dello stato a quelle di arbitro e di macroregolatore.

Ebbene i fatti di California smentiscono clamorosamente queste amenità. E la ragione è semplicissima: un conto è la possibilità degli investimenti, altro conto la loro convenienza. Ora il privato, sia pure una grande corporation con migliaia di azionisti, valuta la convenienza sua, non quella dell'insieme, neppure dell'insieme delle corporation, e la sua convenienza sta solo nelle SUE prospettive di profitto immediato Lo Stato invece, proprio perché espressione collettiva della classe dominante, è l'unico soggetto capace di investimento sulla base dell'interesse collettivo dei capitalisti.

Sarebbe un elemento forte per le campagne anti-liberiste e anti-globalizzazione di tanti socialdemocratici radicali impegnati nelle marce alle varie scadenze, ma non lo usano. Forse perché li scoprirebbe come difensori del capitalismo, seppur in veste migliore.

Per quanto riguarda noi e gli interessi proletari, non si tratta di opporsi alle privatizzazioni in nome dello statalismo, quanto di trovare nei guasti delle privatizzazioni ragioni in più per la lotta contro il capitale e il suo sistema produttivo e distributivo, per la lotta per il comunismo.

Ultimissima nota, sul tema energia: che senso ha - dal punto della vista della società umana - produrre energia nello stato di Washington perché venga trasportata con perdite enormi nella California? Ancora una volta il senso è solo quello capitalistico: conviene ai produttori del Washington e ai distributori di California, fintanto che l'energia è una merce. Togliamole il carattere di merce e la potremo produrre dove, come e nella quantità che riterremo migliore per noi e per l'ambiente.

m.jr

(1) Anche in Arkansas sia a Natale sia a Capodanno 37.300 utente (familiari e aziendali) sono rimaste al buio, qui soprattutto per la ridicola fragilità della rete distributiva, messa in ginocchio da alcune tempeste di neve.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.