Irak - I bombardamenti non finiscono mai - E milioni di iracheni muoiono di fame

L'attacco è stato proditorio e arrogante quanto insulsa la giustificazione. In termini di criminologia spicciola suonerebbe così: " gli ho sparato perché mi guardava male". A tanto è arrivata l'amministrazione Bush J. all'atto del suo insediamento per quanto riguarda la decennale questione Iraq. In realtà la nuova amministrazione non ha fatto altro che continuare la politica del mandato Clinton intesa a mantenere l'embargo nei confronti del regime di Saddam Hussein contro il parere degli stessi alleati. È da ben dieci anni che gli Usa, con la collaborazione dell'Inghilterra, operano militarmente in Iraq. Dalla chiusura della guerra del Golfo ad oggi sono più di mille le operazioni militari intraprese contro un paese stremato economicamente e militarmente incapace di offendere. Le scuse sono state di volta in volta artatamente confezionate in modo da dare in pasto all'opinione pubblica mondiale una versione dei fatti falsa. Sono arrivati a confezionare falsi documenti sulle presunte capacità del regime iracheno di costruire armi chimiche accreditando l'immagine di un pericolo di riarmo a dir poco inesistente.

La vecchia e la nuova amministrazione americana hanno cinicamente rifiutato di riconsiderare la questione embargo anche di fronte alle statistiche della Croce Rossa internazionale in base alle quali i dieci anni di isolamento hanno prodotto un milione e mezzo di morti tra cui ottocento mila bambini. Mancano plasma, antibiotici e medicinali di ogni tipo, i pezzi di ricambio per i depuratori dell'acqua. Da un punto di vista alimentare il paese è ai limiti della sopravvivenza. Sul fronte internazionale, dalla Francia alla Cina, dall'Italia alla Russia il coro delle critiche, anche se pelose e strumentali, si è fatto sempre più insistente. E allora perché tanta feroce determinazione nella prosecuzione dell'embargo, perché un nuovo omicida attacco nei confronti dell'Iraq? La madre di tutte le risposte è semplice e chiara e va ricercata nel codice genetico dell'imperialismo che in questo caso ha gettato le sue radici nell'episodio della guerra del Golfo. Sul finire dell'evento bellico, quando le truppe di occupazione irachene, già sulla strada del ritorno, furono sterminate, nel nord e nel sud dell'Iraq si produssero contemporaneamente due importanti episodi di rivolta contro il regime di Saddam Hussein. Curdi e sciiti, rispettivamente nelle zone di Mossoul e Bassora, anche se con motivazioni diverse, ritennero giunto il momento di regolare i conti con il regime di Baghdad. I due episodi sembravano concorrere positivamente alla realizzazione del piano americano di destabilizzazione dell'Iraq, ma contrariamente alle aspettative le truppe Onu, sotto la gestione strategica del Pentagono, non solo non appoggiarono le rivolte interne ma consentirono alla Guardia Repubblicana di uscire allo scoperto, di superare indisturbata e protetta l'accerchiamento nel quale era stata chiusa in una sorta di ferrea morsa militare, e di reprimere violentemente le rivolte curda e sciita. La spiegazione di quell'apparente "strano" comportamento americano colloca nella giusta dimensione gli ultimi bombardamenti alle porte di Baghdad.

Nella strategia americana il mantenere in vita, anche se in ginocchio, il regime di Saddam Hussein, rispondeva a tre esigenze fondamentali. La prima era quella di eliminare una variabile impazzita nella gestione del petrolio medio orientale senza suscitare la reazione delle popolazioni arabe che di fronte all'annientamento fisico, oltre che politico dell'Iraq, avrebbero potuto inscenare episodi di anti americanismo di difficile amministrazione anche per la più militarmente potente delle centrali imperialistiche. La seconda era finalizzata a giustificare la necessità della presenza militare americana nell'area per la "sicurezza" degli alleati petroliferi. In altri termini, lasciando in piedi il regime di Baghdad, si manteneva in vita lo spauracchio di future rivincite irachene nei confronti del Kuwait, dell'Arabia Saudita e degli Emirati Arabi, fornendo il migliore degli alibi allo stazionamento delle truppe Usa, non più Onu, che da quel momento non hanno più mollato la presa. La terza doveva servire ad impedire al resto del mondo, Europa in modo particolare, di accedere autonomamente al petrolio iracheno finché la "necessità" dell'embargo poteva essere giustificata dalla presenza di un regime pericoloso in grado di riarmarsi se lasciato libero di agire al di fuori del controllo internazionale. La determinazione americana ha avuto un ulteriore impulso quando ha saputo che numerosi paesi occidentali, tra i quali l'Italia e la Francia, avevano firmato accordi per lo sfruttamento del petrolio iracheno con il regime di Saddam Hussein, accordi che potevano entrare in vigore solo dopo l'annullamento dell'embargo.

Ne consegue che le mille operazioni militari sul territorio iracheno, una media di cento l'anno sotto forma di raid aerei con relativi bombardamenti delle "zone incriminate", hanno avuto e continuano ad avere l'obiettivo di mantenere le cose come stanno, embargo compreso. L'ultimo episodio, quello più odioso perché operato alle porte di Baghdad e che è costato molte vittime civili, va ascritto al quadro precedentemente delineato, ma con una connotazione in più. La recessione americana che procede di pari passo alla timida ripresa europea, i rovesci della Borsa di New York che si accompagnano alla leggera flessione del dollaro rispetto all'Euro, i mille segnali economici che indicano che questa recessione non sarà nè breve ne leggera, fanno sì che la nuova amministrazione Bush non si limiti a continuare la vecchia politica di Clinton, ma la renda ancora più dura. Un eventuale, anche se non imminente, annullamento dell'embargo significherebbe dare il via all'approvvigionamento autonomo da parte dell'Europa proprio nel momento in cui la competitività europea inizia a far sentire il suo peso sul mercato internazionale a scapito degli Stati Uniti. Immettere il petrolio iracheno sul mercato della materia prima energetica per eccellenza significherebbe gonfiare la domanda di almeno quattro milioni di barili al giorno che avrebbero come immediato risultato la diminuzione del prezzo del greggio a barile. Nella strategia americana tutto ciò non coincide con i suoi interessi contingenti e futuri. Eventualmente un prezzo del greggio stabile attorno agli attuali 25 dollari a barile, o meglio ancora più alto, sarebbe la migliore delle soluzioni, ma certamente non al di sotto di questa quota e, soprattutto, non di libero accesso all'alleato rivale europeo.

Che tutto ciò implichi più di un milione e mezzo di vittime, che i bambini iracheni muoiano come le mosche per mancanza di medicinali, che un'intera popolazione sia ridotta alla fame e alla disperazione, che i proletariati dei paesi che soffrono maggiormente il peso del "caro petrolio" vengano chiusi nella morsa tra licenziamenti e bassi salari, non interessa alla amministrazione Bush. L'imperialismo può solo generare guerre e disastri, non è nel suo stile risolvere i problemi delle popolazioni e dei proletariati. Crearli si, è il suo perverso contributo alla crescente barbarie sociale.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.