Massima chiarezza sulla costruzione del partito

Meritano una approfondita riflessione alcuni tentativi ufficiosamente rivolti (da più parti e direzioni) alla ricostruzione di un partito di classe, comunista e operaio, ma che in maggior parte mostrano alcune ambiguità e in casi estremi la prevalenza di un manovrismo politico tendenzialmente portato a soluzioni di superficiali intese, coordinamenti, eccetera. Il tutto calato in una situazione certamente di crisi capitalistica, ma ancora di assenza di un sia pure iniziale movimento di classe. In effetti, come chiunque può constatare, se qualcosa si muove ciò in prevalenza avviene in settori di media e piccola borghesia, spesso addirittura con dichiarate finalità reazionarie.

Fra parentesi, è proprio questa situazione che impone l'esigenza della esistenza operante del partito e del suo definito piano tattico-strategico, prima e non dopo o quanto meno durante il concretizzarsi di quelle spontanee iniziative di lotta delle masse, che nessuno di noi può sognarsi di promuovere o volontaristicamente anticipare.

Le buone intenzioni e le ingenuità di alcuni, la confusione di molti, la sospetta ignoranza e le velleità politiche di altri, meritano comunque e sempre una adeguata attenzione e valutazione. Tanto più quando si incontrano, evitando ogni reale e serio confronto teorico e politico, gruppi eterogenei che si dichiarano di avanguardia operaia ma che in generale evitano di chiarire apertamente le loro origini e provenienze. Questione di non trascurabile importanza, quando ci si trova di fronte a certe posizioni e scelte di campo sostenute nel passato, poi abbandonate, a volte riprese, in ogni caso mal digerite.

La tendenza prevalente, così come appare dalle dichiarazioni di alcuni gruppi impegnati nella ricerca di percorsi rivolti ad avviare un reale processo di unità, sarebbe in definitiva quella di portare alla luce della critica marxista ciò che è frutto unicamente di esperienze particolari di gruppi e coordinamenti.

Questo pragmatismo politico avrebbe il suo punto di forza nell'accantonamento di tutto ciò che divide (o può dividere) i vari gruppi, ritenendolo motivo di "una sterile lotta, frutto di una storia ormai passata". Dal passato, dunque, si dovrebbero trarre degli insegnamenti, sì, ma senza farsi paralizzare dagli stessi.

Solo nella valorizzazione di ciò che unisce, si troverebbe la possibilità di superare divisioni e settarismo. Il percorso suggerito passa quindi attraverso la discussione, la comunicazione e il confronto, ma limitatamente al movimento del presente (il quale ben poco si muove...). I limiti di questa logica si mostrano nella pretesa di superare, ignorando e cancellando, quanto possa ostacolare un affasciamento di "punti di vista", magari e al momento anche non convergenti ma che si spera lo diventino in una azione comune.

Purtroppo, e proprio da parte di molti di quelli che si vorrebbero distinguere attraverso il rifiuto di ogni pratica di settarismo, assistiamo a quella forma di settarismo consistente nel rifiuto della conoscenza del lavoro teorico-politico compiuto da chi quel famoso "filo rosso" non ha mai interrotto. Da chi, cioè, si è sempre preoccupato - pur condizionato dalle deboli forze e dai pochi mezzi a disposizione - di assolvere al fondamentale compito della aggregazione e formazione di quadri rivoluzionari attorno a una salda piattaforma politica e un chiaro programma teorico e d'azione. Tutto questo è pur avvenuto, nonostante l'isolamento nel quale quelle deboli forze si sono trovate a operare mentre altri - non è male ricordarlo, anzi va detto a chi se lo sia dimenticato o finga di non ricordarlo - si presentavano in tutt'altre faccende affaccendati. Se qualcuno invece ne ha tenuto conto, anche in senso critico, siamo pronti a dargliene atto.

In questo "steccato" (ciò che divide) da saltare in alto e in lungo, e che impedirebbe la pratica della discussione e comunicazione tra gruppi, figura anche la definizione e presentazione del programma e dell'azione di lotta, che si ritengono ancora da costruire a seguito del confronto tra le esperienze del presente. Si abbozza qualche tesi, si accennano progetti tattici e strategici, si avanzano ipotesi politiche, ma la soluzione definitiva viene lasciata ai risultati dell'esperienza presente (che non c'é) e di quella futura del movimento e delle "discussioni tra avanguardie".

Il punto focale della questione, in verità, rimane sempre quello fondamentalmente sostenuto dai nostri maestri. Le esperienze accumulate dal proletariato nella lotta di classe, nei periodi in cui riesce a scuotersi dalla passività con cui subisce gli attacchi del capitale, diventa reale coscienza teorica all'esterno delle masse operaie. Ritorna ad esse in forma compiuta attraverso l'operare della organizzazione politica, il partito, confrontandosi con lo sviluppo della stessa lotta proletaria. È nello sviluppo delle lotte che si verifica concretamente la giustezza del programma e della piattaforma politica che il partito ha formulate sulla base di una critica e di una analisi scientifica, di un saldo possesso della teoria rivoluzionaria. La necessaria unità di teoria e prassi si stabilisce perciò attraverso la preventiva eliminazione (perché risolte criticamente) di possibili divergenze e personali perplessità.

I percorsi alternativi, avviando contatti e discussioni senza che esista il necessario riferimento a una rigorosa piattaforma politica, o riducendo la stessa a un minimo e generico denominatore comune, vanificano l'ammonimento costante di Marx: "Non fate commercio dei principi e non fate concessioni teoriche". Questo è un dato di fatto, confermato dalle esperienze del passato, e che se fosse ripetuto nel presente comprometterebbe il futuro.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.