Unificazione Cobas-SinCobas - Nuovi sindacati, vecchio riformismo

Nell'assemblea del 1° maggio a Roma si è realizzata l'unificazione tra Cobas e Sincobas.

Già da qualche tempo i Cobas-scuola avevano tentato processi aggregativi, come la fusione con il Coordinamento nazionale Cobas, con la quale si era formata la Confederazione, che vedeva rappresentati, insieme agli insegnanti, pochi altri lavoratori del pubblico impiego. Il tentativo era di utilizzare la crescita di iscrizioni tra i docenti per sfondare in altre categorie. Tale aumento di iscritti nella pubblica istruzione era stato acquisito sull'onda delle tensioni sviluppatesi nella scuola per adeguamenti salariali e contro l'"aziendalizzazione", ma anche attraverso la più decisa caratterizzazione sindacale con tanto di trattenute tramite amministrazione e campagna per la rappresentanza nelle RSU. L'attuale processo di unificazione con il Sincobas, numericamente un po' più corposo delle precedenti fusioni, va letto come embrionale tentativo di porsi come struttura credibile per una possibile alternativa sindacale a CGIL-CISL-UIL, uscendo dalle pastoie di un settore come quello dei docenti che sul piano della lotta difficilmente può esprimere di più di quello che ha espresso negli ultimi anni, a meno di non andare sul terreno pienamente corporativo, già coperto brillantemente dalla Gilda. L'obiettivo è pretenzioso, ma non impossibile, data la perdita crescente di credibilità tra i lavoratori dei Sindacati Confederali, quindi riteniamo questo progetto più che velleitario (a breve termine è anche tale) pericoloso, nell'ipotesi di una ripresa più significativa della lotta di classe sull'onda della crisi capitalistica. Ma perché tanto accanimento critico contro un tentativo che si pone comunque in un'ottica di difesa dei lavoratori dall'attacco alle loro condizioni salariali e di vita in generale?

La risposta non sta soltanto nel nostro giudizio, su cui più avanti torneremo, sull'impossibilità di usare il sindacalismo ai fini dello sviluppo della lotta di classe e della nascita di organismi di massa realmente classisti, ma nel palese opportunismo politico che caratterizza la linea della nuova, come della vecchia, Confederazione Cobas. Tale linea, come scrive Pino Giampietro sull'ultimo numero del giornale dei Cobas-scuola, è tesa a "reggere ad una possibile offensiva reazionaria di destra, ma anche a lavorare all'esplosione di una nuova stagione di lotte, di affermazione dei diritti, di protagonismo dei senza proprietà e senza potere, contro la deriva neo-liberista e le politiche di sfruttamento e di morte dei signori della guerra e dei potenti della terra". Appaiono in queste parole, oltre alla preoccupazione di non usare i termini classe operaia e proletariato per non spaventare la base insofferente al classismo, tutte le illusioni della piccola borghesia di fermare un'ipotetica reazione di destra (il governo Berlusconi?) e la pretesa di creare una nuova stagione di lotte che si limiti ad affermare diritti e a criticare il neo-liberismo e la "cattiveria" dei grandi della terra, senza nemmeno cominciare a mettere in discussione le forme generali dello sfruttamento. D'altra parte la categoria di neo-liberismo permette di criticare una linea (presunta) della borghesia in questa fase, senza criticare i rapporti di produzioni complessivi che la borghesia difende.

Tale posizione viene esplicitata con chiarezza anche nello statuto della nuova Confederazione. Nell'articolo 2 vengono esposte le finalità dell'Associazione e troviamo, a parte tutte le rivendicazioni tradizionali della democrazia piccolo borghese (l'egualitarismo, la difesa delle libertà di opinione, ecc.), tra i principi irrinunciabili: il superamento "delle logiche di sfruttamento dell'uomo sull'uomo", non dello sfruttamento, la lotta in prospettiva per superare "un'organizzazione della società e del potere basata sulla centralità del profitto economico, del mercato, ecc.", alludendo a una società alternativa in cui il profitto, il mercato, ecc., pur permanendo, non abbiano più una posizione centrale. Se avessero dichiarato di voler difendere solo il salario dei lavoratori avrebbero fatto meglio, anziché creare tanta ambiguità, buona per tranquillizzare la base spoliticizzata, non certo per far crescere la sua coscienza anticapitalista; ma la tentazione di risolvere in un colpo le necessità di rappresentanza sindacale e politica del mondo del lavoro è molto forte. Infatti, viene ribadito in tutti i documenti ufficiali e con orgoglio il carattere non meramente sindacale, ma politico-sindacale-culturale dei Cobas, come se da più di un secolo il sindacato non faccia politica tra i lavoratori, politica conciliatrice nella migliore delle ipotesi e sempre più spesso apertamente padronale. Se per aspetti politici dei Cobas si fa riferimento alle deboli e sovrastrutturali critiche alle "logiche" del sistema capitalistico e all'esaltazione del movimento "antiglobalizzazione", si sappia che queste circolano (e noi diciamo per fortuna) solo nelle ristrette cerchie di "nuova sinistra" che si autoconservano ai vertici dell'organizzazione, in quanto la più larga base di iscritti chiede solo tutela e consulenza e gliene sbatte dei tanti esaltati controvertici di Porto Alegre e purtroppo anche delle manifestazioni anti-G8 e della semplice solidarietà intercategoriale.

Il processo di costituzione della nuova Federazione Cobas non aiuta in niente la ripresa della lotta dei lavoratori su di un piano di classe, oltre tutto è stata condotta completamente dall'alto, senza coinvolgere minimamente le basi delle due organizzazioni in momenti unitari. Il movimento Cobas, che a metà degli anni '80 aveva espresso interessi reali di strati in via di proletarizzazione e anche una forma originale di organizzazione di massa, il comitato di base, conserva quest'ultimo solo nel nome. Ha ormai completato, dopo un lungo periodo di pura sopravvivenza di ceto politico, la sua trasformazione in un sindacato, nemmeno particolarmente partecipato, come vorrebbero le dichiarazioni ufficiali di rifiuto del sindacalismo di mestiere e della delega, e in via di ristrutturazione organizzativa in senso classico anche per quanto riguarda i distacchi dalla produzione, che prima rifiutati da tutti, e ora solo da una minoranza, sono entrati ufficialmente nel nuovo regolamento interno. Il calo delle lotte è inevitabile in fasi sfavorevoli; non sosteniamo che si possano far sopravvivere organismi di massa in fase di riflusso, ma riteniamo che un'esperienza di lotta significativa debba puntare alla crescita di avanguardie politiche che nei loro settori mantengano una coerenza classista o meglio ancora maturino una piena coscienza comunista, in attera di una ripresa successiva del movimento. Dare come sbocco e continuità organizzativa un organismo di iscritti, un sindacato, non prepara nessuna base più avanzata per il movimento successivo, anzi lo fa arretrare su un terreno vertenziale ed illusorio.

D'altra parte tutte le posizioni, che sostengono la necessità di ricostruire un sindacato di classe o più semplicemente di base, si fondano su un'analisi che vede solo negli ultimi 25-30 anni la perdita del ruolo classista dei Sindacati storici, dimenticando la loro azione in tutti i paesi occidentali a sostegno della ricostruzione capitalistica postbellica e il loro costante appoggio allo sviluppo capitalistico e alla concentrazione monopolistica (vedi a mo' di esempio italiano la battaglia per la nazionalizzazione dell'energia elettrica e a rimorchio delle partecipazioni statali e quella per il mitico "nuovo modello di sviluppo"). Secondo queste analisi invece CGIL-CISL-UIL avrebbero perso il ruolo di forza classista solo con la linea dell'EUR e con la più recente strategia della concertazione.

Al contrario il nostro giudizio sul ruolo del sindacato non nasce da un bilancio storico di breve periodo e a carattere nazionale, da quando cioè si sono visti i maggiori sindacati italiani gestire apertamente l'attacco confindustriale al salario e alla stabilità del lavoro tramite la linea dei sacrifici e della concertazione. Esso parte dall'analisi su scala internazionale della funzione del sindacato in tutta la fase imperialista del capitale. Anche nel periodo rivoluzionario successivo all'Ottobre, dunque nella fase più avanzata finora della lotta di classe internazionale, gli organismi sindacali assunsero un ruolo di aperta conservazione e non fu mai possibile una loro conquista da parte dei comunisti. La loro nascita come organismi di mera contrattazione del prezzo di vendita e delle condizioni di impiego della forza lavoro, che avevano avuto una funzione nel corso dell'ascesa del capitalismo, come strumento rivendicativo e solidaristico, non poteva nella fase monopolistica e di dominio totale del capitale sul lavoro assumere un ruolo diverso da quello di contenere le rivendicazioni nei limiti delle compatibilità del sistema. Nelle fasi di crisi generale del capitale, poi, dove si pone all'ordine del giorno il superamento della società capitalistica stessa, non possono che trasformarsi in organismi di conservazione dei rapporti di produzione capitalistici, attraverso il controllo e la divisione corporativa dei lavoratori.

Tale analisi non si riferisce a questo o a quel sindacato, secondo una differenziazione di linea, ma alla natura contrattualistica e di mediazione di interessi, che qualsiasi sindacato possiede per sua costituzione. Questo ci ha insegnato il tradimento dei sindacati socialdemocratici negli anni venti, come quello dei sindacati stalinisti del 2° dopoguerra, fino a quello più recente di Solidarnosc, pur nato sull'onda di una straordinaria lotta operaia. Continueremo perciò a denunziare ogni tentativo di raccogliere le risposte proletarie agli attacchi del capitalismo in crisi in forme di centralizzazione sindacale, intervenendo anche nelle strutture di base dei sindacati, quando si esprimono su un terreno effettivo di difesa degli interessi materiali dei lavoratori, ma per proporre con insistenza un superamento di tali strutture di mediazione in prospettiva della presa in carico delle lotte da parte dei comitati di sciopero e delle assemblee dei proletari.

G.L.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.