"Paul, Mick e gli altri" di Ken Loach, un lucido sguardo sulla classe operaia

È rarissimo che in televisione o al cinema si parli della nostra classe. I mass media borghesi, ma anche certi pretesi antagonisti che, come viziate signorine di buona famiglia sentono il bisogno di cambiarsi spesso d'abito (da tute bianche a disobbedienti), hanno decretato che la classe operaia non esiste più, che non esistiamo più, anche se i padroni e il loro servidorame, dai tubi catodici o sui loro fogli, non fanno passare giorno per predicare che dobbiamo rinunciare a una pensione "decente", a un lavoro "decente", a un salario che non sia da fame o giù di lì. Ma se non esistiamo più, perché tanto accanimento contro dei fantasmi?

Per fortuna, ogni tanto il regista inglese Ken Loach rompe questa greve cappa di piombo e getta uno sguardo sul mondo così poco... telegenico del proletariato. Certo, i suoi film di solito girano quasi clandestini nei cinemini di periferia, nelle rassegne infrasettimanali, disertate, in genere, da chi il giorno dopo deve alzarsi per andare a lavorare, ma vale la pena non farseli scappare. È il caso anche di Paul, Mick e gli altri (The navigators) , l'ultima fatica di Ken Loach, che, attraverso le vicende di un gruppo di operai ferroviari di Sheffield, ci dà uno spaccato della classe operaia inglese (solo inglese?) molto più illuminante di cento testi universitari.

Il film narra le vicissitudini di una piccola comunità operaia che la privatizzazione selvaggia delle ferrovie frammenta, disperde, getta quasi alla fame, amplificando e potenziando i piccoli e meno piccoli problemi familiari quotidiani, rendendoli drammatici. Compagni che fino a ieri lavoravano gomito a gomito, ora, pur continuando a svolgere lo stesso lavoro, devono fare i conti con salari diversi, orai diversi, trattamenti diversi (sempre in peggio, naturalmente), quando non sono allontanati e licenziati.

La solidarietà di classe è la prima vittima dell'aggressione padronale: anche chi non si è mai tirato indietro da una lotta (per quanto moderata dal sindacato), ora è sempre più tentato dallo "scivolo - cioè la buonuscita in cambio dell'auto-licenziamento - fino a che non finisce per accettarlo e diventare una specie di lavoratore autonomo, in un mercato del lavoro più ostile e pericoloso di una giungla equatoriale.

Si arriva così alla drammatica conclusione finale, in cui anche gli ultimi, quelli che non hanno mai piegato la testa, per le insopportabili difficoltà familiari e personali diventano complici dello spietato meccanismo di sfruttamento cui sono sottoposti.

Nonostante la durezza e la drammaticità dell'argomento, il film non scade mai nell'enfasi o nel sentimentalismo; anzi lo stile è sobrio, scarno, lo sguardo lucido e non mancano l'umorismo e il sarcasmo (per es., verso il "capo" che si affanna a esaltare, beffeggiato dagli operai, le virtù della privatizzazione), l'ironia e l'autoironia di chi, in quanto classe proletaria, dalla vita ha ricevuto solo umiliazioni. Infine, ma non da ultimo, a tutto questo aggiungiamo la notevole bravura degli interpreti nel raccontare una storia che è, o potrebbe essere, quella della maggior parte di noi.

lambro

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.